Belgio,
una speranza antica da riscoprire
Jan De Volder, docente dell'Università cattolica di Lovanio,
commenta il viaggio di Papa Francesco e la visita per i seicento anni
dell'ateneo: «Ci ha chiesto di non perdere di vista la ricerca della verità»
Luca Fiore01.10.2024
«Ho visto un Papa combattivo. Anziano nel corpo, ma capace
dell’energia per scuotere una comunità cristiana che gli appare un po’
addormentata, impaurita e perplessa. Ci aspettavamo un vecchio impegnato in
discorsi istituzionali, ma non è stato affatto solo questo: lo abbiamo visto
affettuoso, sveglio, con la battuta pronta. Furbo. Mi ha stupito. Ci ha
stupito». Jan De Volder è professore all'Università Cattolica di Lovanio, dove
insegna nella facoltà di Teologia e Scienze religiose ed è titolare della cattedra
“Religione, conflitto e pace”. All’indomani di quello che è stato forse il
viaggio più difficile dell’intero Pontificato, per la prima volta nel cuore
dell’Europa secolarizzata, il professore belga cerca di individuare i punti
salienti del messaggio portato da papa Francesco nel suo Paese. «Il clima della
vigilia non era molto favorevole: l’opinione pubblica è apparsa a tratti
scettica, a volte molto critica, addirittura cinica. Qualcuno, dopo il lungo
viaggio impegnativo in Oriente, pensava che la visita da noi potesse saltare.
Poi è arrivato e, come spesso succede con Francesco, le cose si sono smosse».
Che cosa l’ha più colpita?
La tappa belga si è aperta con la visita al re Filippo, dove
il primo ministro Alexander De Croo ha fatto un discorso molto duro sugli abusi
sessuali nella Chiesa e su come la gerarchia ha gestito i casi emersi negli
ultimi anni. Il Papa lì ha reagito a braccio dicendo, senza equivoci, che si è
trattato di episodi intollerabili e che la Chiesa deve fare in modo che non
accadano più. Ha chiesto perdono e ha definito ciò che è accaduto «la nostra
vergogna e la nostra umiliazione». Dopo ha incontrato le vittime degli abusi.
Anche qui c’erano state delle critiche perché si diceva che un’ora di colloquio
con 15 persone, tenuto conto della tradizione, sarebbe stata troppo poco. Poi
Francesco si è intrattenuto con loro per quasi due ore in quello che si dice
essere stato un incontro aperto, dopo il quale le vittime, alla vigilia quasi
tutte critiche, si sono dette contente perché si sono sentite ascoltate da un
Papa che è apparso commosso ed empatico. Mi sembra che anche l’opinione
pubblica abbia apprezzato.
Anche all’università non è stato facile.
Al centro della visita c’era l’invito del Papa per i
seicento anni dalla fondazione dell’Università cattolica di Lovanio che, nel
1972, si è scissa nelle sedi di Lovanio, la sede francofona (Katholieke
Universiteit Leuven o KU Leuven, ndr), e Louvain-la-Neuve, quella fiamminga
(Université Catholique de Louvain o UCLouvain, ndr). Venerdì c’è stato
l’incontro con professori incentrato sul tema dei profughi, mentre sabato il
Papa ha incontrato gli studenti e il tema era quello dell'enciclica Laudato
si'. L’Università ha ringraziato il Pontefice per gli stimoli su questi due
temi, ma nei discorsi dei due rettori ha voluto ribadire alcuni temi tipici
della cultura liberal che è dominante in questi due atenei: quello
dell’apertura rispetto al mondo Lgbtqia+ e quello dell’apertura verso le donne,
con anche la richiesta dell’introduzione del sacerdozio femminile. Il Papa ha
deciso di non rispondere a queste sollecitazioni, ma a Louvain-la-Neuve ha
toccato il tema del ruolo della donna, riproponendo il discorso classico della
dottrina cristiana cattolica, insistendo sulla complementarietà tra uomo e
donna nella vita della Chiesa, ribadendo che non si tratta di realtà
intercambiabili. Questa cosa ad alcuni non è piaciuta, tanto che la rettrice ha
pubblicato un comunicato di dissenso alle parole del Papa a discorso appena
concluso. Francesco, nel volo di ritorno, ha fatto notare che non è «morale»
pubblicare una presa di posizione senza tenere conto di quanto viene detto
effettivamente.
Al di là delle tensioni, il Papa ha offerto il suo punto di
vista sul compito dell’università.
La sua lettura è stata interessante: un elogio nel mondo
degli studi accademici, chiedendo di aprire le frontiere del sapere. Ha
domandato di non perdere di vista la ricerca della verità, dunque criticando le
ideologie che condizionano la ricerca e chi rinuncia a desiderare di conoscere
la verità. Sono cose utili e che raramente si ascoltano in università. Ci
sarebbe da approfondire, rileggere e dibattere. Non so dire se questo avverrà o
se si andrà avanti come se nulla fosse. È ancora presto per dirlo.
Un gesto molto importante è stata la visita alla tomba di re
Baldovino.
È nota la stima che i Papi hanno avuto per questa figura. Si
dimise per due giorni per non firmare la legge che legalizzava l’aborto. Dopo
un anno morì e ci fu un lutto nazionale molto sentito anche a livello popolare.
Era considerato, agli occhi dei più, un uomo molto credente, forse anche troppo
credente per il belga medio, ma la gente lo considerava un uomo retto, che
aveva seguito la propria coscienza. Il suo ricordo oggi è forse un po’
sbiadito. Tuttavia, proprio in queste settimane, nel Parlamento belga si
discute della possibilità di una maggior liberalizzazione dell’aborto. Il Papa
non ne ha parlato nei suoi discorsi, ma è andato a pregare sulla tomba del re e
alla fine della Messa ha annunciato che chiederà che si avvii il processo per
la sua beatificazione. Questo ha sorpreso un po’ tutti.
Qual è stato il messaggio, invece, alla comunità cristiana?
Ha insistito sulla gioia e sull’evangelizzazione. Lui deve
aver l’impressione che la nostra sia una Chiesa stanca in un Paese che si è
secolarizzato molto rapidamente. Così ci ha invitato a uscire dalla difensiva e
metterci al servizio del Vangelo e della missione. Non più pensando di essere
in una posizione di maggioranza, ma sapendo che siamo una minoranza, ci chiede
di avere il coraggio di portare il messaggio di Cristo a tutti.
Il Papa ha detto, proprio nel primo discorso in Belgio: «La
Chiesa Cattolica vuol essere una presenza che, testimoniando la propria fede in
Cristo Risorto, offre alle persone, alle famiglie, alle società e alle Nazioni
una speranza antica e sempre nuova; una presenza che aiuta tutti ad affrontare
le sfide e le prove, senza facili entusiasmi né cupi pessimismi, ma con la
certezza che l’essere umano, amato da Dio, ha una vocazione eterna di pace e di
bene e non è destinato alla dissoluzione e al nulla».
Sì, la speranza era proprio il tema di questa visita:
"En route avec Espérance". Il Papa percepisce il Belgio come un luogo
un po’ depresso, soprattutto per la Chiesa e per i cristiani e quindi ha voluto
proporre la speranza antica, perché ha radici nel Vangelo, nel messaggio di
Cristo che ha vinto il male e la morte sulla croce, ma anche ribadito che
questo slancio si può vivere con nuovo vigore nella nostra epoca. Un messaggio
di speranza giovanile che arriva da un ottantottenne. La fragilità del suo corpo
esaltava la forza delle sue parole. È stato un viaggio vitale concepito come un
invito alla vita. Questo penso abbia colpito tanti, sicuramente i giovani. Ce
n’erano alcune migliaia alla veglia con i giovani. Non era in programma che il
Papa andasse, invece ha voluto esserci. È stato un momento festoso, dove si è
visto un popolo di giovani che hanno voglia di essere cristiani. La messa è
stata un momento di festa, ma anche di preghiera. Il silenzio era davvero
silenzio.
(…) https://it.clonline.org/news/chiesa/2024/10/01/jan-de-volder-universita-cattolica-lovanio-intervista-viaggio-papa-belgio#:~:text=BELGIO%2C%20UNA%20SPERANZA,bello%20della%20visita.