» 12/01/2015
FRANCIA - ISLAM
Charlie Hebdo: per non scivolare nell'ipocrisia
di Bernardo Cervellera
All'enorme
raduno di ieri vi è stata poca "liberté", poca "egalité" e poca
"fraternité". Si è manifestato per la libertà di espressione, ma in
Russia e Turchia - presenti alla marcia - si arrestano giornalisti e
blogger. I capi politici hanno avuto paura di marciare con tutta la
folla. La revisione di Schengen rischia di dividere il sud dal nord
dell'Europa. Poca solidarietà verso le vittime quotidiane del terrorismo
in Siria, Iraq, Nigeria. Paesi europei vendono armi ad Al Nusra e allo
Stato islamico. Convivenza ed educazione per una vera "fraternité".
Roma (AsiaNews) - C'è qualcosa che non convince nella pur
commovente dimostrazione di coraggio della manifestazione di ieri a Parigi.
Certo, l'uccisione dei giornalisti di Charlie Hebdo, dei poliziotti (di cui uno
musulmano), degli ostaggi (quattro ebrei), e dei terroristi nel cuore di Parigi
aveva bisogno di una dimostrazione ferma e decisa, come pure della solidarietà
del mondo intero.
Ma la processione "laica" con l'inchino davanti alla
Marianna repubblicana e ai valori universali di "liberté, egalité, fraternité"
ha mostrato qualche sbavatura. E se non si mettono in luce queste stonature, la
giornata di ieri rischia di passare non come "una giornata storica", come si è
detto in modo un po' retorico, ma come un manto che copre l'ipocrisia di molti.
Anzitutto non vi è stata troppa "liberté": fra gli oltre 50
rappresentanti politici che hanno manifestato ieri, vi sono membri di Stati che
soffocano la libertà di stampa in modo quasi dittatoriale, come la Russia o la Turchia,
dove blogger, internet e giornalisti vengono accusati e arrestati allo stesso
modo che in tanti Paesi islamici.
E anche se può sembrare fuori luogo - perché siamo vicini e
preghiamo per i giornalisti barbaramente uccisi e nulla giustifica gli assassini - vale la pena ricordare che la
libertà e il diritto di satira di Charlie Hebdo si sono spesso manifestati come
un'offesa ai sentimenti di molti credenti cristiani, musulmani, ebrei. E la
Francia che permette alle Femen di danzare nude sugli altari delle chiese, non
permette di manifestare per la famiglia formata da un padre e una madre.
Quella di Parigi non è stata nemmeno una manifestazione di
"egalité". Anzi, si può dire che vi sono state due manifestazioni: quella della
gente comune, di genitori con figli, di persone di tutte le estrazioni e
religioni, che è durata quasi tutta la giornata; quella dei politici, che hanno
camminato per soli 20 minuti, con enormi cordoni di sicurezza, dissolta in poco
tempo. Se si voleva assicurare la popolazione che Parigi è una città dove si
può vivere senza l'incubo del terrorismo, si è persa un'occasione: la veloce fine della marcia dei
leader ha mostrato che non vi è per nulla quella sicurezza tanto predicata.
Anche l'idea ventilata di rivedere il trattato di Schengen e
rafforzare i controlli alle frontiere degli Stati rischia di creare
disuguaglianze: all'Italia, la Spagna, la Grecia lasciare la marea di profughi
che provengono dal Medio oriente e dall'Africa; ai Paesi del Nord Europa il
controllo sui confini. Se poi si tiene conto che molti degli immigrati provengono
da Paesi stritolati dal terrorismo, si vede che anche la "fraternité" rischia
delle falle.
Ma la falla più grande è il fatto che se la lotta contro il
terrorismo e il dolore per le vittime non hanno una dimensione internazionale,
allora si rischia davvero l'ipocrisia. Non si può dimenticare infatti che
proprio alcuni dei Paesi rappresentati ieri nel corteo sono quelli che hanno
fatto la sventurata scelta di sostenere e finanziare i gruppi islamisti in
Medio oriente per combattere il siriano Assad; che le armi di al Nusra e quelle
dello Stato islamico sono state loro vendute dai democratici Paesi europei, via
Arabia saudita, Emirati, Qatar; che il terrorismo islamista che infiamma oggi
l'Africa subsahariana è causato dal disastro che gli stessi Paesi europei -
Francia in testa - hanno causato in Libia.
Che dire poi della poca solidarietà, della poca
"fraternité", quando si ricordano così poco le vittime del terrore in Siria,
Nigeria, Iraq dove ogni giorno vi sono massacri come quello avvenuto contro
Charlie Hebdo? Non sarebbe più onesto unire le forze di tutta la comunità
internazionale sotto l'egida dell'Onu e fermare l'Isis aiutando irakeni e
siriani, invece di una politica di contenimento, distinguendo fra Al Nusra (al
Qaeda) e Stato islamico, quando proprio in Francia, gli attentatori dei due
gruppi si sono proclamati alleati?
E non sarebbe bene che invece di armi e petrolio, con i
Paesi del Medio oriente ci fossero anche scambi culturali e sovvenzione di
scuole ed esperimenti di convivenza e accoglienza fra etnie e religioni
diverse?
Quella della convivenza è una sfida che va assunta proprio
in nome della proclamata "fraternité" e d è il compito che dobbiamo assumerci
tutti, anche i quattro milioni che hanno manifestato in Francia e nel mondo.
Altrimenti sembra che noi ci muoviamo solo per difendere la nostra libertà,
mentre gli immigrati, i musulmani o altro, possono rimanere a vivere nel vuoto
delle periferie senza speranza.