Nel corso dell’ultimo secolo la durata della vita si è talmente allungata da
arrivare quasi a raddoppiare quello che era il dato medio all’inizio dell’Ottocento,
almeno per quanto riguarda i paesi cosiddetti avanzati. E in questa gara a chi
vive più a lungo le donne mantengono ovunque il primato, anche se sono quelle
che si curano di meno; quando poi prendono medicine, si tratta di farmaci
testati solo sugli uomini.
Qualcuno dice che è perché non lavorano, ma si
tratta di una ipotesi facilmente smentita dalla realtà: le donne lavorano in
media molto più degli uomini perché aggiungono ai ruoli familiari quelli
professionali. La risposta vera sta forse nella maggiore capacità delle donne
di affrontare la vecchiaia: non avendo puntato tutto sulla realizzazione nel
lavoro — come fanno gli uomini, che entrano spesso in depressione quando vanno
in pensione — accettano più facilmente una fase della vita in cui la
realizzazione di sé è limitata ai rapporti personali, alle soddisfazioni
affettive e all’esercizio della solidarietà. Proprio per questo — da quando è
quasi scomparsa la mortalità per parto, che ha segnato per secoli il loro
destino — le donne anziane si sono moltiplicate, assumendo anche ruoli nuovi ed
esplorando spesso impensate possibilità. Che non sono solo fare ginnastica o
curarsi di più di se stesse, come suggeriscono i media, ma anche, forse
soprattutto, approfondire la loro vita spirituale. Quell’aspetto che era
forzatamente trascurato negli anni del doppio se non triplo impegno lavorativo,
nel tempo della vecchiaia è finalmente accessibile anche a loro. È come se
l’allungamento della vita offrisse a molte donne la possibilità non solo di
aiutare gli altri, allargando il raggio degli affetti e dei legami, ma anche di
approfondire il senso della loro vita, del loro impegno religioso, con letture
e incontri, con pellegrinaggi e ritiri spirituali, trovando in questa
dimensione un nutrimento dell’anima di tipo nuovo. I primi a beneficiare di
questo impegno sono i familiari, accompagnati nella preghiera con maggiore
attenzione, ma anche tutte le persone che appartengono al loro gruppo sociale,
che ne riconoscono la capacità rinnovata di aiuto e di ascolto. Se ci guardiamo
intorno, vediamo che le donne anziane tengono in piedi il mondo: non solo come
nonne che aiutano spesso in maniera insostituibile ad allevare i nipoti, ma
anche come assistenti dei poveri e dei più anziani, come aiuto dei parroci
nella vita di parrocchia, dove spesso impegnano il loro tempo improvvisamente
libero. Ma anche, e non secondariamente, nella preghiera: le anziane sono
capaci di sostenere per questa via la vita delle persone care, che spesso non
ne sono neppure consapevoli. Ed è risaputo, come conferma suor Emidia,
intervistata in prima pagina, che le donne sanno sopportare meglio la
sofferenza fisica, e trasformare anche le crescenti sofferenze in nuove
opportunità per lo spirito. La vecchiaia femminile quindi è potenzialmente carica
di doni, tanto che gli uomini dovrebbero imparare da questo modello, come fa
Simeone nel prendere in braccio il piccolo Gesù, rivelando una tenerezza
materna. (lucetta scaraffia)