22/07/2015
PAKISTAN
Asia Bibi, la Corte suprema sospende la pena e ordina la revisione del caso. Paul Bhatti: “presto libera”
Questa
mattina i supremi giudici hanno fermato l’esecuzione della 50enne
cristiana e madre di cinque figli, disponendo la revisione del processo.
Verranno riascoltati i testi che hanno portato alla sua condanna. Ex
ministro per le Minoranze: “fiduciosi” e “ottimisti” per un imminente
rilascio; decisione “secondo diritto” e non basata sue “influenze
esterne”.
Lahore
(AsiaNews) - “Siamo fiduciosi e aspettiamo che in un futuro prossimo
possa essere liberata. Questo giudizio è un passo positivo non sono per
lei, ma anche per le molte altre persone accusate di blasfemia. I
supremi giudici decidono secondo diritto e non si fanno influenzare da
elementi esterni, garantendo giustizia per tutti”. È quanto afferma ad AsiaNews Paul Bhatti ex ministro federale per l'Armonia nazionale e leader di All Pakistan Minorities Alliance
(Apma), commentando la sospensione dell’esecuzione di Asia Bibi
ordinata oggi dalla Corte suprema del Pakistan. “Finora la Corte suprema
non ha mai giustiziato nessuno se accusato ingiustamente per blasfemia -
aggiunge il leader cattolico - quindi ci sono speranze per un esito
positivo della vicenda”.
Questa mattina i giudici hanno accolto il ricorso presentato dai
legali della donna, 50enne cristiana e madre di cinque figli, condannata
a morte per blasfemia e da anni in regime di isolamento in carcere,
ordinando la revisione del processo. Il pannello di tre giudici ha
ammesso le richieste avanzate dalla difesa, aprendo così la strada a una
nuova udienza e al riesame dei testi che hanno portato al verdetto di
condanna in primo e secondo grado.
Nella petizione presentata attraverso i legali ai giudici, la donna
ha sottolineato ancora una volta di non aver compiuto alcun atto di
blasfemia e di non aver rivolto parole ingiuriose verso l’islam o il
profeta Maometto, le ragioni alla base della sua condanna. E aggiunge
che la denuncia presentata dai suoi accusatori - molti dei quali vicini
di casa o abitanti dello stesso sobborgo - è frutto di controversie e
dissapori personali. Per questo auspica che venga cancellata la pena
capitale e sia restituita a una famiglia che da sei anni attente il suo
ritorno a casa.
Arrestata il 19 giugno 2009 e condannata a morte in primo grado nel
novembre 2010, Asia Bibi è da allora sottoposta al regime di isolamento
per motivi di sicurezza. Dal novembre 2010 è nel braccio della morte e
per averla difesa, nel 2011 gli estremisti islamici hanno massacrato il
governatore del Punjab Salman Taseer e il ministro federale per le
Minoranze religiose Shahbaz Bhatti, un cattolico. La comunità cristiana
pakistana ha promosso a più riprese giornate di digiuno e preghiera - cui hanno aderito anche musulmani - per il rilascio. Nella sentenza di condanna, il giudice ha ritenuto valide le accuse delle due donne musulmane che hanno testimoniato sulla presunta blasfemia.
Secondo Paul Bhatti nel processo a carico di Asia Bibi “vi sono tanti
punti negativi, ma anche elementi positivi a suo favore che possono
essere discussi”. La nuova udienza, aggiunge, “porterà alla sua
liberazione, ne sono certo, perché in passato sono state esercitate
pressioni sui giudici e non si è potuta difendere in modo regolare”.
“Sono ottimista e in un futuro prossimo verrà liberata. Vi è stata
grande attenzione da parte della comunità internazionale - conclude - ma
va anche ammirata la giustizia pakistana che opera in modo
trasparente”.
Ottimismo viene espresso anche da p. Bonnie Mendes, sacerdote di
Faisalabad (nel Punjab), già segretario esecutivo di Giustizia e Pace
(Ncjp) e coordinatore di Caritas Asia. “Le sue possibilità di provare
l’innocenza sono molto forti - aggiunge - perché è stata accusata solo
per gelosia. I cristiani hanno pregato a lungo per la sua liberazione e
ora la comunità internazionale aumenterà le preghiere per lei. Quello
che chiede è giustizia, nient’altro”. Sobia John, attivista cristiana
per i diritti umani, afferma che la decisione dei giudici “è una
risposta alle preghiere giunte da tutto il mondo per Asia”. La donna
avverte però che, al momento della liberazione, “lei e la sua famiglia
non potranno tornare a casa, per via delle continue minacce di morte che
pendono sulle loro teste da parte di alcuni religiosi musulmani”.
Suneel Malik, direttore di Peace and Human Development Foundation,
ricorda gli anni in prigione trascorsi da Asia cui è stata “negata
giustizia”, mentre leader musulmani “hanno commesso atti di blasfemia di
fronte alle telecamere, senza essere arrestati o incriminati”.
Infine Peter Jacob parla di “vittoria procedurale”, ora bisogna
valutare “come verrà presentato in tribunale”. Nel frattempo, aggiunge,
il governo “deve lavorare sull’aspetto politico della vicenda” e fermare
“la perdita di vite umane a causa di violenze insensate in nome della
religione”.
Con più di 180 milioni di abitanti (di
cui il 97% professa l'islam), il Pakistan è la sesta nazione più
popolosa al mondo ed è il secondo fra i Paesi musulmani dopo
l'Indonesia. Circa l'80% è musulmano sunnita, mentre gli sciiti sono il
20% del totale. Vi sono inoltre presenze di indù (1,85%), cristiani
(1,6%) e sikh (0,04%). Decine gli episodi di violenze, fra attacchi
mirati contro intere comunità (Gojra nel 2009 o alla Joseph Colony di Lahore nel marzo 2013), luoghi di culto (Peshawar nel settembre 2013) o abusi contro singoli individui (Sawan Masih e Asia Bibi, Rimsha Masih o il giovane Robert Fanish Masih, anch'egli morto in cella), spesso perpetrati col pretesto delle leggi sulla blasfemia.
(Ha collaborato Shafique Khokhar)