Tommaso & Aristotele Le ragioni dell’ANIMA
Filosofia
Le speculazioni dell’Aquinate sulla verità metafisica, radicate nel
pensiero dello Stagirita, fissano l’idea sull’uomo dal Medioevo ai
nostri giorni
San Tommaso d’Aquino era un
fine conoscitore di Aristotele. Discepolo prediletto di sant’Alberto
Magno e commentatore di eccezionale valore delle opere dello
Stagirita. [...] Conosceva bene le opere degli antichi e i commenti a
esse relativi e fu il suo amore per la filosofia a spingerlo a
proporsi come fedele interprete di Aristotele. Riteneva anche che
nessuno fosse ancora arrivato (sei molti commenti rivolti allo
Stagirita e in particolare sulla
Metafisica) a conclusioni filosofiche precise. [...]
Il suo progetto di costruire una nuova sintesi del pensiero cristiano,
comprendente tutti i contenuti essenziali propri della tradizione
teologica insieme all’uso di un rigoroso metodo di indagine di tipo
aristotelico che potesse consentirgli di dimostrare l’esistenza di Dio
come Ipsum Esse subsistens,
non aveva precedenti. [...] Nel pensiero tomista, l’anima permane
intesa ancora aristotelicamente come la forma sostanziale del corpo che
resta comunque autonoma da esso, essendo di per sé spirituale e
sussistente. Essa non è corruttibile con la morte, perché ha l’essere
in proprio, è dotata di autoscienza e detiene conoscenza. L’anima
inoltre, non partecipa soltanto all’essere del singolo come le altre
forme dei corpi, perché in tutti gli oggetti inumani, secondo Tommaso,
chi esiste è solo l’oggetto. Per esempio, in un albero chi esiste è
l’albero stesso e non la sua forma sostanziale. Quest’ultima esiste in
quanto vi è l’oggetto di cui è forma. L’anima è quindi la forma
dell’uomo.
Questo ragionamento proviene in parte dal pensiero espresso nel primo libro del
De Anima
di Aristotele: «se dunque c’è un’operazione o passione propria
dell’anima, l’anima potrà esistere allo stato separato, ma se non ce
n’è nessuna propria di lei, non sarà separata e si troverà a essere
nella stessa condizione di quel che dritto a cui, in quanto tale,
convengono molte proprietà , ad esempio di essere tangente a una sfera
di bronzo in un punto, e tuttavia, in quanto separato, non può toccarla:
in realtà è inseparabile perché esiste sempre con un corpo».
L’enunciato aristotelico dovrebbe contenere anche un’altra parte,
minore ma necessaria per poter sostenere in pieno l’indipendenza
dell’anima e concludere che esiste anche un’attività propria solo
dell’anima. Aristotele col termine “separata” intende qui l’attività
intellettiva, senza specificare se si tratti di quella del singolo o di
un prodotto dell’intelletto unico. Egli concepisce l’anima come entelechiadi
un corpo naturale che ha la vita in potenza mantenendo sempre il
discorso all’interno di una sfera scientifica esclusivamente naturale
perché il De Anima
affonda una parte delle proprie radici nella biologia. Ciò rende ardua
la concezione di un’anima che possieda una vita indipendente rispetto a
quella corporea. Tale problema sembra es-
sere stato scavalcato da Aristotele perché nel terzo libro vi è una
parte lasciata in sospeso. Quando, per spiegare la conoscenza, egli
parla infatti della parte dell’anima che conosce e riflette ( fronei) e della definizione di intelletto attivo e passivo ( pathitikos),
non viene mai fornita una risposta sul fatto se la parte dell’anima che
conosce sia separabile o no, mentre l’intelletto attivo si rivela
invece «separato, immisto e impassivo [...] separato esso è solo quel
che realmente è, e questo solo è immortale ed eterno».
Tra le varie interpretazioni date a questo passo, Avicenna
rappresenterà un anello di unione tra l’ilemorfismo tradizionale e la
nuova metafisica dell’essere proposta da san Tommaso d’Aquino. Lo
scienziato persiano, nel suo commento al De Anima o Liber sextus naturalium
sembrava poter riuscire a conciliare le tesi aristoteliche con quelle
riguardanti l’immortalità dell’anima. [...] Per Avicenna l’intelletto
agente è un’intelligenza separata, è una sostanza che illumina
l’intelletto passivo e che apprende gli oggetti intellegibili ( De Anima
V,2). Tradizionalmente, si potrebbe identificare tale sostanza con
quella dell’intelletto in potenza che, pur essendo presente nell’uomo,
viene definita incorporea ed immortale per essenza e non per un
procedimento conoscitivo. [...] L’anima razionale, sostiene Avicenna nel suo commento, è stata creata col corpo affinché essa possa governarlo ( De Anima,
V, 3), è individuale per ciascun essere umano e, soprattutto non si
estingue con la morte ( V,4). L’intelletto, che è una prerogativa del
corpo, intende già in potenza e passa all’atto grazie all’intelligenza
agente, che possiede già in origine quest’atto di conoscenza.
L’intelligenza, separata e unica per tutti gli uomini, avrebbe di
conseguenza la capacità di illuminare le singole anime, mentre le
immagini sensibili servirebbero per rendere l’intelletto umano atto a
ricevere i concetti universali che sono astratti dalla materia. È una
descrizione di quello che Tommaso chiamerà poi “intelletto possibile”.
Una simile speculazione risultava indubbiamente conciliabile col
cristianesimo. L’interpretazione averroista fu invece considerata dal
pensiero tomista errata sia sul piano teorico che su quello esegetico.
Pur sostenendo infatti, che l’intelletto fosse incorporeo e immortale,
esso veniva alla fine considerato come unico e separato. Per un
cristiano invece, l’anima di ciascun uomo è spirituale, immortale e
sussistente, essa è il principio
dell’attività intellettiva e la forma del corpo. Essendo, tale
conoscenza intellettiva l’attività specifica che caratterizza l’uomo,
ne è anche la forma sostanziale e dunque l’intelletto non può risultare
un’intelligenza unica e separata. Sarebbe inoltre inspiegabile come
esso, nell’atto di conoscere, si possa riunire alla materia umana. L’anima, obietta san Tommaso nel De Intellecto Contra Averroistas
(III, 82), è forma del corpo proprio perché è il principio
dell’essere, dell’agire e della conoscenza intellettiva. Dire che essa
sia la forma del corpo, equivale in pratica a sostenere che non si
unisce a un corpo già formato secondo leggi meramente naturali, ma che
ne determina anche i tratti somatici e tutto l’essere. Se essa si
unisse a un corpo già formato, sarebbe in grado di modificarlo ma non di
comunicargli l’essenza e quindi non ne sarebbe più la forma
sostanziale ( Summa Theologicae, I, q. 76, art.4). L’anima che comunica il suo essere al corpo ( Summa Theologicae, I, q. 76 art.1) lo rende actu esse
(in atto) per cui l’uomo non è formato da anima e corpo intese come due
sostanze unite, ma è costituito da una sola sostanza formata
dall’anima che è il principio determinatore anche del corpo.
Il pensiero filosofico di san Tommaso è teso a salvare l’uomo dalla
morte donandogli la vita e l’amore divino in eterno perché l’universo
senza l’uomo, che è l’unico essere partecipe del divino, sarebbe
imperfetto. Tradizionalmente, il santo italiano concepiva un universo
formato da una gerarchia di esseri, che dalle forme di vita più basse
si elevavano gradualmente fino a giungere a quelle più perfette. L’uomo,
metà bestia e metà angelo, rappresenta l’anello di congiungimento a
Dio, in quanto è l’unico capace, per volere del Creatore, a poter
trascendere dal mondo della materia a quello spirituale e di elevarsi
una volta abbandonata la sua parte materiale, in una forma superiore
toccando già in vita il livello più elementare del genere delle
sostanze intellettive. Per volontà divina, il Verbo si è incarnato in
un uomo in quanto con quest’atto di amore supremo, Egli ha voluto
condurlo verso di sé e salvarlo. Ogni cosa è perciò predestinata verso
un fine voluto dal Salvatore che per questo scopo ha modellato tutte le
sue creature donando loro una traccia della legge eterna. L’uomo solo
però è consapevole del suo fine e sa che può conseguire già in vita
una forma di rapporto diretto con Dio «pervenendo alla verità
intellegibile» attraverso l’intelletto e la ragione. L’uso della
parola, lo rende superiore al resto degli esseri affinché possa
manifestare pienamente queste verità e collaborare con gli altri suoi
simili nella conoscenza di essa e, contemporaneamente, svolgere il
ruolo di animale sociale che Dio gli ha affidato durante il suo
passaggio terreno ( Summa contra Gentiles, III, 147).
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