UCRAINA
Libertà per la Chiesa
La Chiesa
ortodossa ucraina chiede l’indipendenza totale, o autocefalia, dal
Patriarcato di Mosca, crede che sia una necessità reale per il suo paese?
«L’autocefalia viene richiesta già da molto tempo. Si è cominciato a
chiederla molto prima di Porošenko, molto prima del Majdan e anche della
Rivoluzione arancione del 2004. Parliamo del momento in cui l’Ucraina
ha acquistato l’indipendenza nel 1991, dopo il crollo dell’Unione
Sovietica. Se alla Chiesa ortodossa Ucraina l’autocefalia fosse stata
data in quel momento non ci sarebbero stati scismi. E invece, milioni di
persone, uomini, donne e bambini si sono sposati, battezzati, hanno
celebrato le esequie ai propri morti in Chiese non canoniche, ricevendo
dei sacramenti che, secondo il parere del Patriarcato di Mosca, sono
inefficaci. L’esperienza degli ultimi 25 anni ha mostrato che Mosca non
cerca possibilità di dialogo in Ucraina, ormai è chiaro che non c’è
speranza di ottenere nulla in questo senso. Eppure parliamo di milioni
di persone, non di decine di migliaia, ma di milioni considerati
scismatici, anche se tra noi e loro non ci sono differenze dogmatiche,
di rito, di fede, i santi sono gli stessi... L’unico punto sul quale
non c’è unità sono i rapporti con Mosca. Tutta l’Ucraina è rimasta
scioccata quando una madre ha chiesto il funerale per il suo bambino e
il prete si è rifiutato perché il piccolo era stato battezzato nel
patriarcato di Kiev scismatico. È una questione politica? No, è una
questione spirituale. Come si fa a mancare di misericordia in questo
modo verso le persone solo perché non sono, tra virgolette,
“canoniche”? Vuol dire che il “canone” diventa strumento di
segregazione, di isolazionismo, viene usato per rinchiudere in un
“ghetto” milioni di persone solo perché non vogliono sottomettersi al
Cremlino. È una questione spirituale, morale, etica, una questione
della Chiesa in fin dei conti. Se oggi si offre la possibilità che
questa situazione venga sanata - e la cosa riguarda noi tutti uomini di
fede - questa situazione deve essere sanata. Certo, bisogna ancora
capire “come”. È una questione difficile che non può essere risolta in
modo leggero, perché qualsiasi semplificazione può fare solo del male,
ma d’altra parte non dobbiamo nemmeno lasciarci prendere dal panico e
temere di muoverci per non provocare mali peggiori. Non sarebbe una
posizione cristiana, sarebbe una posizione fatalista. Invece tutto
dipende da come lo Spirito opererà, dalla nostra apertura e da quanto
riusciremo ad agire insieme, tramite il dialogo, usando la
conciliarità. Del resto, c’è sempre il grosso rischio di interferenze.
Le autorità della Chiesa ortodossa russa non sono libere di esporre il
loro punto di vista personale rispetto alle questioni ecclesiastiche. È
assolutamente chiaro che la Chiesa ortodossa russa subisce la
fortissima influenza del Cremlino; il quale esercita una forte
pressione sulle varie strutture sociali, e
sulla Chiesa in modo particolare, perché è la maggiore istituzione
esistente che non appartenga allo Stato».
Quindi lei ritiene che l’autocefalia sia importante in quanto eliminerebbe l’influenza della politica russa sulla Chiesa?
«Se teniamo conto di quello che è successo negli ultimi anni in Russia, a partire dagli episodi di piazza Bo-
lotnaja, con l’aumento della violenza nei confronti della società
civile; se teniamo conto che adesso come adesso non ci sono possibilità
di separare Stato e Chiesa, il potere spirituale da quello temporale,
ma che al contrario la pressione dello Stato sulla Chiesa aumenta sempre
più, come aumenta la strumentalizzazione della Chiesa, per noi ucraini
diventa chiaro che l’unica possibilità per dare a Cesare quel che è
di Cesare e a Dio quel che è di
Dio, per sfuggire all’influenza dello Stato è separarsi dalla Chiesa
ortodossa russa. Personalmente io preferirei che in questo campo ci
fosse meno politica possibile. Ritengo che allo stadio in cui ci
troviamo ora, si dovrebbe chiedere a tutti i personaggi politici di
tutte le parti di lasciare tranquilli vescovi, credenti, laici e non
laici, e che nessuno dei presidenti dei paesi coinvolti si immischi in
questa faccenda, che non è affare né di Putin, né di Erdogan, né di
Porošenko».
Non esiste il rischio che nella nuova Chiesa Ucraina possa ripetersi la
stessa logica di potere che si è instaurata in quella di Mosca, e che la
questione nazionale diventi più importante di quella spirituale?
«Il rischio c’è sempre, ma i contesti sono molto diversi. La
situazione Ucraina, in 27 anni di indipendenza, non è mai stata
monolitica né mai lo sarà. In Ucraina c’è sempre stata pluralità e
questa pluralità si conserverà sempre; nessuna delle sue Chiese deve
diventare Chiesa di Stato. La società civile ucraina è convinta che
proprio nella sua varietà, nel suo ricco mosaico sta la sua forza, la
sua ricchezza e che quindi questa situazione non debba cambiare. Allo
stesso tempo non voglio idealizzare la realtà: bisogna evitare che
qualsiasi estremismo, compreso quello etnocentrico, cominci a giocare
lo stesso ruolo che ha oggi all’interno della Chiesa ortodossa russa.
Per questo motivo la giovane Chiesa Ucraina dovrebbe avere a cuore che
le altre Chiese, non solo Costantinopoli, ma la Chiesa della Georgia,
della Repubblica Ceca, della Romania, della Grecia, siano in dialogo
tra loro, e che l’Ucraina esca finalmente dall’isolamento. In Ucraina
bisognerà stare attenti alle provocazioni, senza averne paura, ma allo
stesso tempo prendendo sul serio tutte le possibili forme di
destabilizzazione. Soprattutto bisogna fare di tutto per evitare la
violenza nelle eventuali redistribuzioni future delle chiese tra i vari
patriarcati. Bisogna che si mantengano al massimo grado la misura, la
razionalità sociale che erano proprie dei primi mesi del Majdan. Tutti
gli stranieri che venivano a Kiev in quei mesi si stupivano di non
trovare neanche una vetrina rotta, non una macchina capovolta, le
strade erano pulite... Questo è il modello che ci serve anche oggi».
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