Una risata seppellirà il gulag
IL CASO
Level Berdzenišvili racconta la vita nelle prigioni sovietiche come un
momento dove l’umorismo fu per tanti uomini un punto di forza per
vincere l’abbandono Storie di vite straordinarie
Si può ridere vivendo
prigionieri in un gulag? A molti potrà sembrare una bestemmia, ma è
quanto accaduto negli anni dell’ultimo segretario del Pcus, Michail
Gorbaciov, durante i quali parallelamente alle riforme avviate con la perestrojka
i campi di lavoro forzato venivano a poco a poco smantellati. A
partire dal 1985, la situazione dei detenuti divenne sempre meno dura ed
era loro permesso giocare a dama e scacchi, persino a ping pong. Una
storia sui generis
dei gulag riservati ai prigionieri politici, il più delle volte
condannati al carcere duro per agitazione e propaganda antisovietica e
spediti nei campi di lavoro, è contenuta nel libro La santa tenebra di Levan Berdzenišvili, di recente tradotto in italiano dalle edizioni e/o (pagine 272, euro 18).
L’autore, che nel 1978 aveva fondato a Tbilisi il primo partito
clandestino nella storia della Georgia sovietica e nell’83 era stato
arrestato assieme al fratello Dato, definisce i tre anni trascorsi nel
campo di Barasevo, in Mordovia, come i migliori della sua vita. «Il
Kgb – egli spiega – si è dato un gran daffare per riunire in un solo
posto un gruppo di persone eccezionali », capaci di dar vita con
ironia e creatività a forme di resistenza culturale impensate di
fronte a un sistema di potere sempre più assurdo. Fisici, ingegneri,
poeti, linguisti: intellettuali di ogni tipo di provenienza perlopiù
armena, georgiana e ucraina, indubbiamente facilitati da condizioni di
vita più morbide rispetto all’era staliniana o brezneviana,
organizzavano corsi di lingua antica, sfide di dialettica ispirate alla
figura di Socrate, persino gare di gastronomia… E poi interminabili
serate a discutere di socialismo e della possibilità di far convivere
comunismo e democrazia. Il libro di Berdzenišvili, che nel 1987 è stato
liberato divenendo docente di Storia della letteratura antica, poi
direttore della Biblioteca nazionale di Tbilisi e deputato del
Parlamento georgiano, è costruito come una serie di ritratti di
personaggi, in tutto una quindicina: i suoi compagni del gulag. Come il
fisico Petr Butov, originario di Odessa, arrestato nel 1982 e condannato
a cinque anni di detenzione e due di confino. Di quale reato si era
macchiato? Di aver dato vita alla più grande
biblioteca di letteratura del samizdat di tutta l’Urss: conservava
circa 30.000 opere a stampa e 20.000 microfilm. I libri di Salamov e
Solženicyn, di Bulgakov e Pasternak, di Sacharov e Amalrik, ma anche i
bollettini della resistenza antisovietica e persino le riviste dei
dissidenti fuggiti all’estero come “Kontinent”, stampata da Maksimov a
Parigi, erano a disposizione di una rete di migliaia di persone che
desiderava leggerli. La biblioteca clandestina era dotata di una
fotocopiatrice e di un laboratorio per la realizzazione di microfilm e
riuscì a sopravvivere per ben dieci anni alle grinfie del regime,
quando i famigerati cekisti la trovarono e la diedero alle fiamme. Essa
rimane «l’ulteriore riprova del fatto che gli uomini sono stati capaci
di grandi cose anche sotto il giogo di un ’impero del male».
Altre figure leggendarie appaiono nel libro. Ecco il tassista Zakaria
Laskarasvili, uno dei pochissimi che non faceva la spia per conto del
Kgb e che anzi aveva creato un’organizzazione segreta per
l’indipendenza della Georgia. A Barasevo era famoso per conoscere alla
perfezione la geografia fisica ed economica di tutti i Paesi del mondo e
«poteva discettare per ore sui sensi unici, le strade carrabili e le
zone pedonali di Parigi, Londra e New York». Nel lager si era preso una
cotta per la responsabile dell’ufficio censura e tutti lo canzonavano:
lei del resto continuava imperturbabile a manomettere la sua posta. Si
considerava un estremista ultraradicale ed è
stato probabilmente l’ultimo detenuto politico ad uscire dai gulag,
nel luglio 1987. Ancora, il poeta Rafika (al secolo Rafael Asotovic
Papayan), discepolo del grande linguista Jurij Lotman e fra i
fondatori della sezione armena del Gruppo di Helsinki per la difesa dei
diritti umani. Nel lager divenne protagonista di discussioni sulla
paternità della lingua georgiana, a suo dire ideata da Mesrop Mastoc,
già inventore dell’alfabeto armeno e santo della Chiesa apostolica.
Al matematico Vadim Anatolevic Jankov, grande esperto di linguistica
indoeuropea (conosceva inglese, francese, tedesco, italiano,
latino, greco antico e sanscrito) si deve il progetto dei dialoghi
socratici, un gioco in cui lui stesso interpretava Socrate e gli altri
detenuti i suoi discepoli o avversari. Nato a Taganrog, nella regione
di Rostov, finita la detenzione è divenuto docente di storia della
filosofia e matematica all’Università statale per le scienze umane di
Mosca. Boris Manilovic invece improvvisava gare di poesia, ove ciascun
recluso aveva 5 minuti per presentare o declamare il poeta preferito.
Blok, Pasternak e la Cvetaeva i più gettonati. Amante dei calembour, la sua opera più adorata era L’Armata a cavallo e raccontava spesso la storia del-
l’autore: salvato da una famiglia di cristiani nel pogrom di Odessa del
1905, Isaak Babel era stato messo a morte nel 1940, come noto per
ordine di Stalin in persona. A Barasevo si trovò per caso riunita una
vera intellighenzia che avrebbe contribuito alla rinascita culturale e
politica delle nazioni sorte dalle ceneri dell’Urss e che negli anni
della glasnost
soffriva ancor più la segregazione, mentre all’esterno si cominciava a
respirare aria di libertà: «Non c’è nulla di più insopportabile – si
dicevano fra loro Levan Berdzenišvili e i suoi amici – che stare al
fresco in un momento così».
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