LA BIOGRAFIA
Domenicano instancabile che
radiografò la crisi del cattolicesimo occidentale
LORENZO
FAZZINI
Un teologo che scriveva di Chiesa, fede e cultura su Le Monde; un
domenicano instancabile nel suo lavoro intellettuale, brillante e
pionieristico, ma anche segnato da limiti caratteriali umani che talvolta ne
hanno segnato il percorso (« È vero, non sono uno facile»); autore di
best-seller teologici, con numeri che fanno impallidire l’editoria cattolica di
oggi; un intellettuale capace di dissentire da grandi colleghi per diversità di
vedute – tre nomi, Rahner, Ratzinger e Schillebeeckx. E soprattutto oggetto di
un ostracismo da parte della gerarchia cattolica che si è poi tramutato – con
l’avvento di Giovanni XXIII – in una valorizzazione quasi corrispettiva alla
negazione del suo apporto innovativo a due campi della teologia, il rapporto
tra fede e storia, e l’ecumenismo. Tutto questo, e molto altro, è stato Yves Congar,
uno dei più grandi pensatori cattolici del Novecento, come emerge dalla recente
biografia dello storico francese Étienne Fouilloux, Congar. Una vita (Il
Mulino, pagine 328, euro 28,00). Testo ricchissimo, quello di Fouilloux, che
attinge dai Diari di Congar e ne ricostruisce il profilo
biografico e lo spessore teologico nel contesto della Chiesa nel Novecento.
Fouilloux segnala come fondativa, nel percorso biografico di
Congar, la stagione di guerra: arruolato e poi prigioniero, nella baracca del
campo di prigionia fu compagno di Jean Guitton. E se lo storico non può non
registrare una venatura antisemita di Congar, incapace di lucidità su questo
rispetto ad un certo spirito del tempo, gli va riconosciuta la capacità di aver
visto nel nazismo un’espressione di netto e radicale anticristianesimo: «Padre
Congar sarà davvero indenne dall’antisemitismo solo al tempo del Vaticano II»,
scrive il biografo, ricordando al contempo come «tanto ammirava la Germania di
Lutero e Möhler, tanto detestava la Germania di Hitler e quella di Guglielmo
II». Sul fronte religioso, Congar era stato capace, già negli anni Trenta, di
radiografare con parole precise la crisi del cattolicesimo occidentale: «
Ripiegata su se stessa, tagliata fuori dalla vita, la religione non ha più
offerto alle anime quell’ambiente di vita totale in cui la fede ha la sua
adeguata espressione. La fede si è, per così dire, disincarnata, svuotata di
sangue umano». Per riportare il cattolicesimo all’altezza della sua vocazione
Congar si avventura in un lavoro teologico di proporzioni enormi (1790 titoli
censiti), con alcune opere che hanno fatto la storia del pensiero
teologico: Vera e falsa riforma della Chiesa (in
Italia per Jaca Book) in Francia ricevette 27 recensioni, quel volume di 650
pagine venne venduto in cinquemila copie, esaurite in un solo anno (1950).
Mentre Per
una teologia del laicato (Morcelliana), ampio come il
precedente, si arrivò alla cifra sensazionale di diecimila copie vendute
dell’originale francese nella seconda edizione del 1954. Un’eredità che resta
feconda e attuale ancora oggi, visto che proprio nell’estate scorsa papa
Francesco ha citato Vera e falsa riforma di Congar laddove ha
chiesto ai sacerdoti: « Non ci succeda di essere una Chiesa “ricca nella sua
autorità e nella sua sicurezza, ma poco
apostolica e mediocremente evangelica”». La perizia e la
peculiarità intellettuale di Congar divennero ben presto però un problema per
le maglie della censura del suo Ordine (era entrato nei domenicani nel 1925, a
21 anni) e di quella vaticana: già nel 1939 il Sant’Uffizio chiede il ritiro di
una pubblicazione di Charles Moeller nella collana fondata da Congar. Per dare
un’idea di quanto Congar abbia dovuto subire in termini di restrizione,
Fouilloux segnala che il suo Chrétiens désunis abbia dovuto
attendere il 1964 per essere di nuovo pubblicato dalla prima edizione, uscita
nel 1948. Nei suoi Diari Congar riferisce di quella prassi
censoria che voleva sopire sul nascere ogni tentativo
riformatore: «Si cerca nei miei scritti
ogni minima possibilità in direzione di ogni temibile eresia,
finendo per trovarne un’ombra in mezza riga. Nessun testo – neanche san Tommaso
– resisterebbe a un simile trattamento ». La scure vaticana colpì nel 1952 in
particolare Vera e falsa riforma: vietata la sua
riedizione e vietata ogni traduzione. Ostracismo che colpiva nell’intimo un
teologo innamorato della Chiesa e della sua missione: « Ho pianto per ore, e
singhiozzato come un bambino», scrisse nel luglio 1956, quando il suo Ordine
gli impediva, sollecitato da Roma, di pubblicare. L’amara constatazione di
Congar: «Solo una volta mi rifiutarono il diritto di predicare: i
nazisti nel maggio 1941». Il cielo si schiarisce per Congar
nell’approssimarsi al Concilio Vaticano II, convocato da Giovanni XXIII.
Diverse testimonianze attestano che fu proprio il pontefice bergamasco – che
era stato nunzio a Parigi e aveva apprezzato il teologo di Le Saulchoir, dal
nome del convento belga domenicano fucina delle novità teologiche di Francia. En passant, anche
Henri de Lubac, prima avversato, venne ampiamente riabilitato. Nella primavera
del 1963, con il vento già cambiato in suo favore, Congar registra: « Alle
11.50 a Santa Sabina il padre generale ha chiesto di incontrarmi. Per dirmi
cose gentili: è la prima volta in vita mia che un superiore mi convoca per una
cosa simile». Il biografo ha gioco facile a segnalare: « Era entrato
nell’Ordine nel 1925, quasi trentotto anni prima…».
Fouilloux traccia poi riassuntivamente (lo stesso Congar lo
aveva scritto nel suo Diario del Concilio) l’apporto del
teologo francese ai lavori del Vaticano II: otto dei sedici documenti
dell’assise avevano visto l’apporto del domenicano. «Solo Philips, cardine dei
testi dottrinali, dall’intersessione del 1963 al suo ritiro a causa di una
malattia il 7 novembre 1965, poteva esser paragonato a lui».
Gli anni successivi al Concilio per Congar furono, da un lato,
segnati da una malattia neurologica che ne limitò sempre di più la sfera di
influenza, dall’altra segnata dai tormenti post-conciliari: per esempio, il suo
rapporto dialettico con la teologia della liberazione più marcata, quando
scrisse: « Il progetto di salvezza di Dio in Gesù Cristo supera, giudica e
radicalizza gli sforzi umani di liberazione temporale ». « Riformista, padre
Congar non era una rivoluzionario », sintetizza Fouilloux, il quale non tace la
riserva del domenicano sull’Humanae vitae, e al contempo
segnala la distanza dialettica che Congar manifestò verso Hans Küng: « Pur
elogiando al sua intrepidezza, criticava il radicalismo della sua sintesi sulla
Chiesa e la contestazione dell’infallibilità. Ma riteneva importante il suo lavoro,
e si impegnò con lui in un dialogo
esigente e senza compromessi». Come altri teologi prima
ostracizzati, poi riconosciuti dalla Chiesa come punti di riferimento, anche
Congar ricevette la porpora – a de Lubac era stato assegnata la dignità
cardinalizia nel 1983, a lui toccò nel 1994, esattamente 50 anni dopo essere
stato censurato e allontanato dall’insegnamento. Riabilitazione piena che operò
papa Giovanni Paolo II. Il 22 giugno 1995 morì durante la colazione
all’ospedale des Invalides, dove era stato accolto come reduce di guerra.
(da Avvenire on line,
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