venerdì 28 novembre 2025

Il Rosario di un agnostico

 



Il Rosario di un agnostico

Il «significato prezioso» del volantino di CL nella lettera dello scienziato spagnolo Juan José Gómez Cadenas, fisico delle particelle e scrittore

 

01.11.2025

Juan José Gómez Cadenas

Fisico delle particelle e scrittore

 

Cari amici di CL,

la lettura del testo “La speranza della pace” mi ha particolarmente commosso per il significato, prezioso soprattutto nei tempi attuali, delle due proposte che presenta: preghiera e testimonianza.

Potrebbe sembrare scioccante che uno “scienziato agnostico” – se così si può definire – dia valore a un gesto apparentemente così “settario” e “inutile” come recitare il Rosario. La Palestina sanguina e i cristiani non hanno niente di meglio da fare che sgranare un Rosario recitando delle Ave Maria?

(….)

In questi giorni siamo testimoni di un enorme frastuono, un’esplosione di rumore e furia che emula metaforicamente le bombe che cadono su Gaza. Assistiamo a dichiarazioni, manifestazioni, boicottaggi, proteste e ogni tipo di azione, se non violenta, spesso al limite dell’isteria. È difficile sottrarsi all’impressione che coloro che tanto protestano e rivendicano stiano, in fondo, interpretando un ruolo in cui sono loro, e non coloro che soffrono a Gaza, i protagonisti.

(….)

Ci sarà chi sosterrà che la preghiera ha senso solo se crediamo che qualcuno ci ascolti. Io credo che non sia così. Per cominciare, il cristiano, quando prega, si basa su una speranza, una fede, una promessa, non su una certezza assoluta. E l’agnostico, a sua volta, ha l’opportunità di formulare quella preghiera per se stesso, per coloro che lo accompagnano, per coloro che soffrono, o per quello stesso Dio di cui non percepisce la presenza, tranne quando guarda negli occhi i suoi figli.

Un paio di anni fa, io e la mia famiglia abbiamo partecipato a una gita estiva organizzata da Javier Prades e altri amici, durante la quale siamo saliti fino al paradiso di un azzurro cielo pirenaico, mentre le nostre ginocchia scendevano all’inferno. Il cammino è iniziato con un’ora di silenzio, senza ordini precisi, ma con un chiaro suggerimento di preghiera, in quanto pregare è, soprattutto, guardare dentro di sé. Il giorno dopo abbiamo partecipato a una bella Messa all’aperto, che ha commosso me, mia moglie e mio figlio, che mi accompagnavano. Un rito, sì, una semplice (semplice?) ripetizione di gesti e parole, un uomo che alza le braccia al cielo tenendo in mano un pezzo di pane azzimo e pronuncia una formula magica. I miei amici cristiani ritengono che questo atto trasformi la sostanza del pane e del vino. Io non arrivo a tanto, ma la mia anima si sentiva più leggera alla fine della Messa.

Oggi, leggendo “La speranza della pace”, mi sono ricordato di quella mattina, di quel cielo azzurro e di quelle preghiere silenziose, e non posso fare a meno di offrire anche le mie affinché le sofferenze in Terra Santa finiscano il prima possibile.

Tempo fa, Javier Prades mi ha chiesto di recitare un’Ave Maria per aiutare sua madre a riprendersi da un grave intervento chirurgico. Ho obiettato che forse la preghiera di un agnostico non avrebbe avuto valore. Lui mi ha risposto: vale il doppio.

 

Vi mando un forte abbraccio.

 

(Questo testo è stato scritto prima che entrasse in vigore la tregua a Gaza)

(sussidiario.net)


giovedì 27 novembre 2025

Matrimonio, promessa di infinito

 



Matrimonio, promessa di infinito

La Nota del Dicastero per la Dottrina della Fede “Una caro. Elogio della monogamia” approfondisce il valore dell’«unione esclusiva» tra i coniugi e l’«appartenenza reciproca», che nel completo dono di sé all’altro ne rispetta la dignità. E propone ai giovani: l’amore vero è ancora possibile (da Vatican News)

 

26.11.2025

Isabella Piro

“Indissolubile unità”: così la Nota dottrinale del Dicastero per la Dottrina della fede (Ddf) definisce il matrimonio, ovvero come una “unione esclusiva e appartenenza reciproca”. Non a caso, il documento - approvato da Leone XIV lo scorso 21 novembre, memoria liturgica della Presentazione della Beata Vergine Maria, e illustrato alla stampa oggi, 25 novembre - ha per titolo “Una caro (una sola carne). Elogio della monogamia”. Nel documento si spiega che coloro che donano sé stessi pienamente e completamente all’altro possono essere soltanto due, altrimenti sarebbe un dono parziale di sé che non rispetta la dignità del partner.

 

Tre le motivazioni all’origine del testo: in primo luogo - scrive nell’introduzione il cardinale prefetto, Víctor Manuel Fernández - c’è l’attenzione all’attuale “contesto globale di sviluppo del potere tecnologico” che porta l’uomo a pensarsi come “una creatura senza limiti” e quindi lontano dal valore di un amore esclusivo e riservato a una sola persona. Si accenna anche alle discussioni con i vescovi africani sul tema della poligamia, ricordando che “studi approfonditi sulle culture africane” smentiscono “l’opinione comune” sulla eccezionalità del matrimonio monogamo. Infine, il documento constata, in Occidente, la crescita del “poliamore”, ovvero di forme pubbliche di unione non monogama...

 

Continua a leggere su Vatican News

Dottrina della Fede: la monogamia non è un limite, sposarsi è promessa di infinito


lunedì 24 novembre 2025

Soul: lo splendore della vita monastica

 

Maria Francesca Righi - 23.11.2025

 


Finisce un anno liturgico, e ci facciamo introdurre nel nuovo da una monaca cistercense, badessa del monastero trappista di Valserena. Maria Francesca Righi è in clausura da 50 anni: dopo una giovinezza turbolenta nella Milano del 68, segnata dall’impegno politico e culturale, ha trasformato l’irrequietezza in inquietudine, rispondendo a una chiamata, che è per tutti, e ha trovato risposta nella preghiera, nel lavoro, nell’armonia con la natura, nello studio. “Ora, labora et lege”, è il motto benedettino. Madre Maria Francesca ha un’acuta lettura del presente, in tutti i suoi campi, la sua porta è sempre aperta all’incontro. I monasteri hanno vegliato e devono continuare a vegliare sulla coscienza cristiana, ricostruendo l’Europa.

 

https://www.play2000.it/detail/6?episode_id=25498&season_id=924


21 MIN Nuovo Paradigma - estratto intervento don Julián Carrón

venerdì 21 novembre 2025

Gemelle Kessler: si può attraversare la notte dell'anima solo se qualcuno ci chiama per nome

 



GEMELLE KESSLER/ “Si può attraversare la notte dell’anima solo se qualcuno ci chiama per nome”

Nicola Campagnoli Pubblicato 21 Novembre 2025

 

Il suicidio delle gemelle Kessler (1936-2025) ci interroga sul perché si vive, sul “chi” non ci abbandona mai, e per cui vale la pena vivere fino in fondo

Quando da lontano si vedono avvicinarsi le nubi cupe e tristi del temporale, cosa ci dà il coraggio di attraversare quel buio, di affrontare la notte? Dopo che si è vissuta la dolcezza dell’estate, come si può abbandonarla per difendersi dalle intemperie?

Alice ed Ellen Kessler non hanno proseguito il loro cammino verso il tramonto della loro giornata che annunciava brutto tempo.

La forza di andare avanti è proporzionale all’amore che si riceve. Il problema non è mai la morte (o la vecchiaia o il dolore). La questione è il perché si vive, anzi per chi si vive.

Tanta ammirazione e tanta lode, tanto pubblico e tanta attenzione su di sé, quale compagnia reale rappresentano alla propria esistenza? tanti occhi sgranati fissi sul piccolo schermo, quale amore portano; amore concreto, quotidiano, vivo, alla propria persona, fatta di pregi e limiti, di difetti e slanci positivi, fatta di bisogno profondo di presenze amanti del fondo del proprio io?

(…..)

L’abbandono, il restare soli, fa terrore; il non amore terrorizza.

Cesare Pavese scrisse nel suo diario: “Da uno che non è disposto a condividere con te il destino, non dovresti accettare nemmeno una sigaretta”. Pavese, al massimo del suo successo e del suo riconoscimento, sentì l’apice della sua solitudine. Quel non avere altri vicino, se non il proprio vuoto abissale, che lo portò al tragico epilogo.

 

Da Sussidiario.net


“Noi poeti, pescatori di parole o cercatori di chiavi smarrite”

 


LETTURE/


“Noi poeti, pescatori di parole o cercatori di chiavi smarrite”

Corrado Bagnoli Pubblicato 21 Novembre 2025

 

Rolle, Mandorlo, Vitale, Bregoli, Germani, Bellini, Bulfaro: la poesia come ricerca del proprio personale mazzo di chiavi per abitare la casa della vita

Ha davvero ragione il poeta Emiliano Rolle? Nelle sue recentissime Filastrocche da un Oblò (MC, 2025), ironicamente riconoscendo che di poesia se ne scrive anche troppa, “anche se con il sospetto fondato che non serva non farlo”, Rolle sostiene che bisogna accenderle le poesie “e sperderle perché accadano come le foglie… sperderle senza un commento/ senza un ritorno/ sperderle perché un giorno/ ai margini di un lieto evento/ può essere che ci incontrino/ si accostino/ chiedano ancora/ se si è/ non facciano finta di niente”.

Se fosse davvero questa la sfida? Quella di una parola che vuole la dispersione? O piuttosto bisogna ascoltare il grido di Massimiliano Mandorlo che, nelle sue Mappe del grande mare (MC, 2023), afferma invece: “e io cerco/ parole celesti,/ nomi di vento/ qualcosa che duri/ tra la polvere e il cielo”? Perché, dice sempre Mandorlo, “Noi non siamo fatti/ per la morte/ per il vento siamo fatti/ e questa terra/ dona luce/ custodisce… canta in me/ prima di me”.

In questo dialogo a distanza e immaginario tra i libri che da qualche tempo stanno qui sulla scrivania e mi chiedono ascolto, penso alle altre voci che si aggiungono. Quella di Marco Vitale che, anche lui, ne La strada di Morandi (Passigli Poesia, 2024) si domanda “Questa sera di giugno all’ora azzurra… come fermarla/ mentre s’affanna un ultimo/ del silenzio trasvolo, un dono opaco/ una torsione per il limpido/ teatro che scolora?”. Riconoscendo subito dopo “Quanta, ripenso, verità per quel silenzio/ e in quelle pagine incantate, in quel dirsi/ come la vita almeno andasse scritta”.

Al fervore appassionato di Mandorlo che dice: “Con versi come spade/ sguainate, con parole/ semplici e luminose/ camminiamo nel vento/ che affila i palazzi/ cercando l’invisibile/ luce delle cose”, sembra rispondere o forse accostarsi il rigore quasi matematico della poesia di Fabrizio Bregoli che nel suo Referti (Società Editrice Fiorentina, 2025) rivela: “Hanno l’inquietudine di un silenzio/ sicario, una pentecoste di lingue/ impronunciabili, i numeri. Scorie/ fossili. Omelia del nulla… Credili un sanscrito i simboli, luce/ stremata su uno scaleno di ipotesi./ le formule, un vangelo di menzogne. / Uno sbaglio./ (Come ogni poesia.)”

Sembra dunque che si scriva sguainando la parola come una spada, cercando l’invisibile mistero che riluce nelle cose; ma si scriva anche per dire quanta impotenza c’è nella parola. Finanche in quella della scienza. Quasi fino ad arrivare al punto del silenzio, nel riconoscimento che “Tutto quel mare nella notte/ e il vento, le onde/ scure/ in un abbraccio solo./ Tutta quella vertigine/ fredda/ che chiama e dissolve,/ quella poesia/ che nessuno mai scrive” rimane quasi lo statuto di ogni verso, come sembra dire Mauro Germani in Prima del sempre (puntoacapo, 2024).

In questo vagare tra le voci di poeti che s’interrogano sul destino della loro parola e della poesia tutta, ascolto ancora l’ultimo libro di Marco Bellini, L’orizzonte che ci spetta (Ronzani, 2025). Nel suo viaggio nel mondo scopre che “È successo oggi che la mia voce/ ha fatto la voce del bosco… È successo che tutti questi suoni/ mi hanno chiesto la parola, a sorpresa/ la mia, mentre stavo negli scarponi/ e lo zaino tendeva la schiena./ E io chi sono per tacere la voce,/ per non essere al servizio?”.

La poesia non salverà la vita. È però al suo servizio. Con parole che hanno dentro la forza della spada, il rintocco della nostalgia, o il clamore della propria inadeguatezza finanche accompagnato dal desiderio del silenzio. E anche noi nei nostri scarponi, chi siamo per tacere, per non essere al servizio di una realtà che, anch’essa come la parola, sembra sempre invocare altro?

Bellini, nel continuo dialogo con la realtà di cui il libro è testimonianza, incapace di dare un nome a questo altro, chiede persino a una biscia se lei lo sa che “cos’è lui che si nasconde dietro le nuvole… Sta lì la biscia, la coda tra i fiori di plastica/ e l’ombra sopra il cero sostenuto da una ragnatela./ Impercettibile, quasi una porta segreta/ è la vibrazione della ragnatela,/ il passaggio della preghiera”.

(…)

E spiega il perché di tanto, tantissimo impegno: “finché non trovi le tue parole, usi le parole di riserva: le parole degli altri. Ma questa è una soluzione temporanea. A ciascuno di noi occorre il proprio mazzo di chiavi per entrare e uscire dalla propria casa. Il poeta è un pescatore di parole. Un cercatore di chiavi smarrite. È colui che ti ha mostrato che le chiavi sono sempre state lì, a portata della tua mano, della tua lingua. Non le avevi perse, semplicemente si mostravano ma non le vedevi, ti chiamavano e non le ascoltavi”.

Bulfaro, che un tempo all’ufficio anagrafe del suo paese chiedeva che alla voce professione mettessero la parola “poeta”, oggi chiederebbe di scrivere invece “umile servitore della poesia”. Ma solo perché la poesia, quella vera, pur non salvandoci la vita, ci aiuta a trovare le nostre chiavi di casa. Non si può non dire grazie a tutte queste voci. Non si può fare finta di niente.

(sussidiario.net)


domenica 16 novembre 2025

COLLETTA ALIMENTARE 2025: RISULTATI

 



16 novembre 2025 - “Se cresce la povertà deve crescere anche la solidarietà, la Colletta Alimentare è un piccolo gesto che risponde a una domanda importante di come arrivare a fine mese: è un gesto di grande fiducia oltre che una risposta concreta”, ha dichiarato il Presidente della CEI, Cardinale Matteo Zuppi dopo aver partecipato all’iniziativa.

In un contesto sociale segnato da individualismo e indifferenza, la partecipazione di 155 mila volontari e di oltre 5 milioni di donatori rappresenta un segnale forte: cittadini di ogni età e provenienza hanno dedicato tempo, cura e attenzione, per quegli “invisibili” che spesso non trovano voce. Un gesto semplice — una confezione di riso, una scatoletta di tonno, una bottiglia di passata di pomodoro — che alimenta speranza, come auspicato da Papa Leone XIV domenica scorsa: “Mentre le cause strutturali della povertà vanno affrontate e rimosse, tutti siamo chiamati a creare segni di speranza”.

È questo, in fondo, il valore della Colletta: un Paese che sceglie di non voltarsi dall’altra parte e, nonostante l’aumento del costo della vita, dona quanto può. Un vero e proprio spettacolo della carità, il segno di una coscienza di popolo ancora viva, come dimostra anche la partecipazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, primo anche quest’anno ad aderire personalmente a questo gesto. Dalla Presidenza della Repubblica, la Colletta Alimentare, ha ricevuto anche l’Alto Patronato.

Secondo il rapporto ISTAT sul Bes diffuso due giorni fa, nel 2024 in Italia la percezione del rischio di cadere in povertà è al 18,9% rispetto a una media Europea del 16,2%. La Giornata Nazionale della Colletta Alimentare dice anche qualcosa di importante sul bisogno - profondo e condiviso - di costruire relazioni vere e capaci di rispondere ai molteplici volti della povertà, primo fra tutti la solitudine.

Grazie a 8.300 tonnellate di prodotti donati nei supermercati di tutta Italia, Banco Alimentare potrà sostenere nei prossimi mesi 1 milione e 800 mila persone bisognose attraverso 7.600 enti caritativi convenzionati.

L’ attività di Banco Alimentare, operativo tutto l’anno nella lotta allo spreco e sul valore del cibo come risorsa, vuole essere sempre più uno strumento di inclusione, di relazione e di costruzione di comunità più resilienti, dove nessuno resti ai margini.

La Colletta Alimentare continua online fino al 1° dicembre su alcune piattaforme dedicate: per conoscere le modalità di acquisto dei prodotti è possibile consultare il sito bancoalimentare.it.

La Colletta Alimentare, gesto con il quale la Fondazione Banco Alimentare ETS aderisce alla Giornata Mondiale dei Poveri 2025 indetta da Papa Leone XIV, ha ricevuto il patrocinio e il sostegno del  Comitato Nazionale per la celebrazione dell’VIII centenario della morte di San Francesco di Assisi ed è resa possibile dalla collaborazione con la Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, la Compagnia delle Opere - Opere Sociali ETS, l’Esercito, l’Aeronautica Militare, l’Associazione Nazionale Alpini, l’Associazione Nazionale Bersaglieri, il Lions International Multidistretto 108 Italy e la European Food Banks Federation.

sabato 15 novembre 2025

CHE COSA LEGGONO GLI ALUNNI

 



Ma gli scolari leggono? E se sì cosa leggono? Domande quanto mai attuali. Che poste da un prof a una classe di “primini” sono destinate a ricevere una sola risposta: il silenzio. Allora che fare? Procedere secondo canoni consueti oppure avviare una piccola avventura quotidiana come quella di leggere insieme qualche pagina di un classico che poi è da intendersi cosa significhi incontrare un classico della letteratura? Incontrarne i personaggi? Familiarizzare con loro? Ecco allora farsi strada la convenienza e la sorpresa dell’inconsueto

 

di Paolo Covassi

 (continua su ".CON" numero 78 della rivista del CMC

sabato 1 novembre 2025

NEWMAN DOTTORE DELLA CHIESA/ Obbedire a quella voce divina che parla dentro di noi




NEWMAN DOTTORE DELLA CHIESA/ Obbedire a quella voce divina che parla dentro di noi

Michiel Peeters Pubblicato 1 Novembre 2025

 

Oggi papa Leone XIV proclama san John Henry Newman dottore della Chiesa. Il suo insegnamento sulla coscienza è un punto di non ritorno

Il 28 ottobre, Papa Leone XIV ha dichiarato san John Henry Newman co-patrono della missione educativa della Chiesa, insieme a san Tommaso d’Aquino. Oggi, 1° novembre, lo proclamerà Dottore della Chiesa. In questo articolo discuterò una delle intuizioni più sorprendenti di Newman, ovvero che la coscienza umana ha in ultima analisi la precedenza sull’autorità ecclesiastica e che, paradossalmente, negarlo equivale a segare le gambe della cattedra di Pietro.

Nel presentare il pensiero di Newman, svolgerò un confronto serrato con quanto ha detto sull’argomento Luigi Giussani, la cui “genialità pedagogica e teologica” è stata anch’essa riconosciuta dalla Chiesa (Francesco, Discorso ai membri di Comunione e Liberazione, 15 ottobre 2022).

Mentre la mentalità dominante odierna nelle sue teorie nega del tutto l’utilità e la necessità dell’autorità (ma poi sant’Ambrogio osserva giustamente: “Quanti padroni ha chi è fuggito da uno solo?”), ci sono cattolici che – per pigrizia o per “tenere” le persone – direbbero che l’autorità ecclesiale prevale sulla coscienza personale, ad esempio con il seguente ragionamento: finché non si conosce Cristo nella sua Chiesa, vale la coscienza; ma chi accetta che Cristo è Dio può e deve semplicemente obbedire a Lui e alla Chiesa. Tuttavia, don Giussani dice: “Guai calcolare su [ignoranza e passività] per ‘prendere’ o ‘tenere’ la gente! Ogni adesione al cristianesimo, in quanto ha di puramente meccanico, non possiede valore. Perciò guardiamo con molta perplessità ogni attaccamento puramente tradizionale e ogni improvvisato entusiasmo. L’ambiente proprio della libertà è la convinzione, illuminata e volitiva” (Giussani, Il cammino al vero è un’esperienza, 2006, p. 29).

La tesi difesa da Newman nella sua Lettera al Duca di Norfolk (1875) – meno di cinque anni dopo il dogma dell’infallibilità papale – è che ci sono “estremi casi in cui la coscienza possa venire in collisione con la parola del Papa e che debba esser seguita nonostante quella parola” (Newman, Lettera al Duca di Norfolk, p. 57). Con il suo famoso aforisma: “Certo se fossi obbligato a mescere fra brindisi d’un banchetto la religione (cosa non molto probabile), io berrei, se vi piace, alla salute del Papa, ma prima alla Coscienza, e poi al Papa” (ibid., 69).

Per comprendere questo, è fondamentale capire che cosa intende Newman (e la dottrina cattolica) per “coscienza”. Essa è un “elemento costitutivo della mente, come può essere la nostra percezione delle altre idee, la nostra facoltà di ragionare, il nostro sentimento dell’Ordine e del Bello, e le altre nostre doti intellettuali”.

È “un principio, posto in noi prima che avessimo alcun tirocinio; benché un tal tirocinio e l’esperienza fossero necessari alla forza, incremento e debita formazione di esso”. Non è una “creazione dell’uomo”, ma “la Voce di Dio nella natura e nel cuore dell’uomo”. È il “testimone interiore e dell’esistenza e della legge di Dio” (ibid., 58; cfr. Giussani, Il senso religioso, 2023, pp. 75-77, 156-160, 167).

È un “principio [che non può] risolversi in una combinazione di principi naturali più elementari di lui”. È un “dettato [che importa] la nozione della responsabilità, del dovere, di una minaccia e d’una promessa, con vivezza tale che lo [distingue] da tutti gli altri elementi costitutivi della nostra natura” (Newman, Lettera al Duca di Norfolk, p. 59).

È “la messaggera di Colui, che con la Natura e con la Grazia ci parla dietro un velo, e ci ammaestra e ci regola per mezzo dei suoi rappresentanti” (ibid., 58). In breve, “la Coscienza è l’aborigene Vicario di Cristo, profeta nelle sue informazioni, monarca nei suoi perentori decreti, sacerdote nelle sue benedizioni ed anatemi, e, se mai potesse cessare nella Chiesa l’eterno sacerdozio, in essa rimarrebbe il principio sacerdotale e conserverebbe lo scettro” (Newman, ibid., p. 59).

Newman sottolinea poi che nulla di tutto ciò è in linea con la mentalità dominante attuale. Quest’ultima, infatti, conduce “una lotta deliberata, quasi direi una cospirazione contro i diritti della Coscienza… Ci si dice che la coscienza [non è altro che una distorsione nell’] uomo primitivo ed ignorante; che il suo imperio è una immaginazione” (ibid., p. 59-60).

Oppure, quando il termine viene utilizzato, non è nel suo significato corretto di “severa ammonitrice”, ma nel senso di quella “contraffazione” che ne ha usurpato il titolo nel XIX secolo, vale a dire il diritto di fare di testa propria (ibid., 60-61).

Ma la coscienza nel suo vero senso non è una fantasia o un’opinione, bensì una “debita obbedienza a quella che vuol essere tenuta qual voce divina, parlante al nostro spirito” (ibid., p. 64-65). Appartiene “a Dio e non all’uomo, siccome un Angelo che attraversando la terra, non ne divien cittadino o dipendente dal Potere Civile” (ibid., p. 58-59; cfr. Giussani, Il senso religioso, p.11-13).

“Per avere il diritto di opporsi all’autorità suprema … del Papa, [la Coscienza] dev’essere qualche cosa di meglio di quella infelice contraffazione…. Se, in un dato caso, deve esser seguita, come sacra e sovrana maestra, i suoi dettati per prevalere sulla voce del Papa debbono essere la conseguenza di gravi considerazioni, di preghiere, e di tutt’i mezzi atti a formare un giusto giudizio della materia di che trattasi…. A meno che un uomo non si senta sicuro di dire a sé stesso, come dinanzi a Dio, che egli non deve e non osa di agire secondo le ingiunzioni papali, egli è obbligato ad obbedire al Papa, e commetterebbe un gran peccato a disobbedirlo” (Newman, Lettera al Duca di Norfolk, p. 66).

Chiarito questo, Newman sottolinea che, secondo la dottrina cattolica, abbiamo il “dovere d’obbedire in ogni caso alla nostra coscienza”. “Colui il quale opera contro coscienza perde la sua anima” (ibid., 67) “Naturalmente, se egli è colpevole dell’errore, perché avrebbe potuto evitarlo usando maggior cautela, egli risponderà a Dio; ma tuttavia deve operare secondo quell’errore, finché vi ci si trova, perché lo crede sinceramente essere la verità” (ibid., 67-68).

“Così se il Papa ingiunge ai Vescovi Inglesi di ordinare ai loro preti di agitarsi energicamente in favore del Tetotalismo, ed uno fra essi fosse convinto che l’astinenza dal vino fosse in pratica un errore Gnostico, e però sentisse di non poter obbedire senza peccato; ovvero poniamo che il Papa ordinasse di far lotterie in ciascuna missione per qualche scopo religioso, ed un prete potesse asserire dinanzi a Dio di credere le lotterie moralmente cattive, codesto prete, in ognuno dei due casi, commetterebbe hic et nunc un peccato se obbedisse al Papa, o che avesse ragione o torto nella sua opinione, e se torto, ancorché egli non avesse avuta sufficiente cura di conoscere la verità nella materia” (ibid., p. 68; corsivo aggiunto).

Il Dottore della Chiesa sostiene che la Chiesa non si è mai espressa contro l’autorità della coscienza personale. Se così è sembrato, è dovuto al fatto che le sue parole sono state estrapolate dal contesto (ibid., p. 61-62; cfr. Giussani, Perché la Chiesa, 2014, p. 190-193). “Nessuna beffa di Papa si trova in alcun formale documento, indirizzato ai fedeli tutti, per quella dottrina solenne del diritto e dovere di seguire quella divina autorità, che è la voce della Coscienza, sulla quale invero è fondata la Chiesa stessa” (Newman, Lettera al Duca di Norfolk, p. 62). Newman approfondisce poi quest’ultimo punto essenziale: “Davvero se il Papa parlasse contro la Coscienza, nel proprio significato della parola, egli commetterebbe un suicidio, smoverebbe il terreno ove poggiano i suoi piedi. Egli ha la missione di predicare…, proteggere e rafforzare quella luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo [Gv 1,9]. Sulla legge della coscienza e sulla santità di essa si fondano tanto la sua autorità in teoria quanto la sua potenza in fatto. Spetta alla storia dire se questo o quel Papa, in questo mondo triste, tenne sempre di mira, in tutti i suoi atti, questa grande verità. Io qui considero il Papato nel suo ufficio e nei suoi doveri… Ci apparirà chiaro che il Papato ha conquistato il suo posto nel mondo e compiuto tante meraviglie a questo modo solo, fondandosi sul sentimento universale del giusto e dell’ingiusto…; principi fondamentali, profondamente impressi nel cuore degli uomini. L’essere ordinato da Dio a tener alte, proteggere e rafforzare quelle verità, di che il legislatore ha dotato la nostra natura, è la sola spiegazione d’una lunghezza di vita più che antidiluviana. La sua ragion d’essere sta nella difesa della legge morale e della Coscienza. Il fatto della sua missione è la risposta a coloro che si lamentano dell’insufficienza del lume naturale; e l’insufficienza di questo lume è la giustificazione della sua missione (Newman, Lettera al Duca di Norfolk, p. 62-63; corsivo aggiunto).

In quest’ultima frase, Newman fa riferimento alla necessità della rivelazione, data la difficoltà esistenziale che l’essere umano sperimenta nel rimanere fedele a se stesso. Secondo Giussani, esistenzialmente, la ragione umana descrive una parabola: senza l’aiuto divino, non possiamo mantenere al livello delle nostre intuizioni più elevate, per quanto accurate (Giussani, Il senso religioso, pp. 189-191, 195-205; cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae 1.1.1: “La verità che la ragione potrebbe raggiungere su Dio…”).

Ancora Newman: “La Religione Naturale, ancorché siano certe le sue fondamenta e dottrine, quando s’indirizzano agli animi riflessivi e gravi, abbisogna d’essere sostenuta e completata dalla Rivelazione, affine di parlare con efficacia all’umano genere” (Newman, Lettera al Duca di Norfolk, p. 63).

Tuttavia, mentre la natura può arrivare a qualche punto anche senza rivelazione, non vale il contrario. “Sebbene la Rivelazione sia … distinta dalla scienza della natura…, tuttavia non ne è indipendente, né senza relazioni con essa, ma ne forma il complemento, la conferma, il termine, la personificazione e l’interpretazione” (ibid.; cfr. Mt 5,17b).

Inoltre, “il Papa, che viene [dalla] rivelazione, non ha giurisdizione sulla Natura” (Newman, ibid., p. 63). Don Giussani lo spiega chiaramente ne La struttura dell’esperienza, pubblicato nel 1963 con l’imprimatur dell’Arcidiocesi di Milano. Laddove l’esperienza cristiana si presenta come “unità d’atto vitale risultante da un triplice fattore” (vale a dire l’incontro con una realtà umana, la corretta percezione del significato di tale incontro e la libera verifica di questa intuizione), l’autorità della Chiesa fa parte del primo fattore, mentre il secondo è il cuore che giudica l’incontro con quella realtà, includente la sua autorità. L’autorità, quindi, è ‘dentro’ l’esperienza cristiana; non può prevalere su di essa (Giussani, Il rischio educativo, 2014, p. 130-132).

Newman prosegue discutendo un’obiezione. Alcuni ammettono che, in effetti, il potere della Chiesa si basa sulla coscienza; ma sostengono che, una volta che ci si sottomette all’autorità della Chiesa, il Papa  “usi [di quel sentimento religioso] destramente, formando sotto la sua egida un falso codice di morale per sostenere la sua grandezza e tirannia; … così la Coscienza [diventa] sua schiava, facendo il volere di lui, quasi per divina sanzione; in guisa che in astratto ed in idea essa sia libera, ma nel fatto non mai capace di levare un volo libero, indipendente da lui, più che gli uccelli che abbiano le ali tagliate: dippiù, che, se essa potesse avere una volontà propria, ne seguirebbe una collisione [indomabile]…: imperocché che cosa addiverrebbe della ‘assoluta autorità del Papa’…, se anche la Coscienza privata avesse un’autorità assoluta?” (Newman, Lettera al Duca di Norfolk, p. 64).

Il teologo inglese spiega poi che l’infallibilità del Papa riguarda “proposizioni generali” e il “condannare certi particolari errori”, mentre la coscienza non è un giudizio sulla dottrina o su verità speculative, ma riconosce ciò che qui e ora dovrebbe essere fatto o evitato. La coscienza, come il cuore in quanto tale, è una capacità non di definire in generale, ma di riconoscere qualcosa di presente. Una “collisione” non potrebbe quindi mai verificarsi in ambiti in cui la Chiesa gode di infallibilità, ma solo nelle decisioni ecclesiastiche su questioni pratiche, ordini, legislazione e simili (ibid., p. 65), anche se è fondamentale sottolineare che, anche in questo caso, “a primo aspetto è [lo] stretto dovere [del cattolico]…, di credere che il Papa abbia ragione, ed operare conformemente: egli deve vincere quella vile, ingenerosa, egoista, volgare disposizione della sua natura, la quale al primo sentire d’un comando si muove a fare opposizione al superiore che l’ha dato, si domanda se questi non ha ecceduto ì suoi diritti, e si compiace moralmente e praticamente di cominciare dallo scetticismo. Egli non deve avere nessuna idea fissa di esercitare il diritto di pensare, parlare ed operare come gli pare e piace, senza punto tener conto del vero e del falso, del giusto e dell’ingiusto, del dovere di obbedienza, finché sia possibile, con quella passione dell’animo che ne spinge a parlare conformemente ai propri capricci e ad ostinarvisi. Se questa regola necessaria fosse osservata, sarebbero molto rare le collisioni fra l’autorità del Papa e quella della Coscienza. Dall’altro lato, nel fatto che la Coscienza è libera in fin dei conti nei casi straordinari, noi troviamo la salvaguardia e la sicurezza, dove questa fosse necessaria…, che nessun Papa potrà mai creare una falsa coscienza in pro dei suoi fini particolari” (ibid., p. 66-67; corsivo aggiunto).

Va da sé che quanto Newman afferma sul rapporto tra coscienza e l’autorità suprema del Papa vale a maggior ragione per le autorità inferiori nella Chiesa. Suggerisco qui, senza poterlo approfondire ora, che ciò che vale per la coscienza vale, e anzi, a fortiori, per il “cuore” nel senso giussaniano (il complesso di evidenze ed esigenze originali con cui l’uomo “è proiettato dentro il confronto con tutto ciò che esiste”; Giussani, Il senso religioso, p. 8; cfr. ibid., p. 7-15).

La coscienza riguarda il bene e il male, ciò che si deve fare o evitare. Newman scrisse sulla coscienza perché il dogma del 1870 riguardava l’infallibilità del Papa in materia di fede e morale, e anche perché, nella filosofia del XIX secolo, la coscienza era (ancora) un fenomeno umano fondamentale accettato (Lash, Introduction to An Essay in Aid of a Grammar of Assent, by John Henry Newman, 1979, p. 13).

Egli voleva dimostrare che, nonostante la sua infallibilità, il Papa non prevale sulla coscienza umana, ma la conferma, la completa, la personifica e l’interpreta (Newman, Lettera al Duca di Norfolk, p. 63). Ora, la coscienza morale fa parte del cuore (Giussani, Il senso religioso, p. 148-150). Non solo siamo dotati di una coscienza morale, ma anche, e prima ancora, di un senso del bello e del brutto, del vero e del falso, di ciò che libera e di ciò che soffoca, ecc. Infatti, il cuore deve prima riconoscere la presenza di questi valori affinché la coscienza possa dettare l’azione appropriata.

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