Cala
il sipario sulla Settima Sociale dei Cattolici Italiani. Quattro giorni
di incontri, dialoghi, incroci di esperienze. Tra ecclesiastici, gente
comune e istituzioni. Capitolo chiuso? Tutt'altro: è l'inizio di una
strada. Ecco perchéPaolo PeregoSi è concluso ieri l’appuntamento di Cagliari. Eppure, i quattro giorni della Settimana Sociale dei Cattolici Italiani sul tema del lavoro
danno davvero la percezione di essere una strada nuova che si apre.
Come livello di proposte, intanto. Ma anche come metodo. Giornate piene,
dense. Belle, come il sole della Sardegna che le ha accompagnate
illuminando dialoghi e incontri.
Erano un migliaio, da tutta
Italia. Professionisti impegnati con le loro diocesi, gestori di opere
sociali, imprenditori, vescovi, parroci, sindacalisti. Giovani e meno
giovani. Gente che si è ritrovata a condividere la vita, non solo le
diverse esperienze. Che si è messa in gioco, cosciente - o scoprendo lì -
di un cammino nella stessa direzione: «servire» il bene comune, come ha
ricordato papa Francesco nel suo messaggio
ai partecipanti indicando il ruolo della Chiesa, e nel «formare
comunità in cui la comunione prevale sulla competizione». Ecco. Questa
comunione è accaduta.
Cagliari, chiusa la Settimana Sociale dei Cattolici Italiani
Anticipazione. Arte e passione, la bellezza secondo D'Avenia
Alessandro D'Aveniasabato 28 ottobre 2017
Le figure femminili al centro del nuovo libro dello
scrittore «Ogni storia è una storia d’amore» (Mondadori). In questo
brano protagonista è Nadežda scrittrice e moglie del poeta sovietico
Mandel’štam
Nadežda, il tuo nome vuol dire speranza. La speranza
di un segnalibro, la misura di ciò che non possiamo perdere, perché ne
andrebbe di noi stessi. Ti ho vista due volte, Nadežda Jakovlevna,
quando controllavo gli intellettuali per conto del ministero della
Cultura. Eri nella penombra in un’epoca di lupi. La prima volta fu nel
1919 in un locale in cui parlavamo di poesia, di libri, di politica e
di rivoluzione. Tu avevi i capelli che si accendevano agli incerti
bagliori delle lampade e i tuoi occhi puliti sembravano lavanda in un
mazzo di calle, perché avevi la pelle chiara in quella notte di ferro.
Io ti guardavo, cercando il tuo consenso, ma tu eri tutta concentrata
su di lui. Lo stavi già aspettando. Io mi chiedevo cosa ci trovassi in
uno che parlava così lentamente, aveva le spalle incurvate e le gambe
troppo lunghe. Era troppo magro per la tua bellezza. Troppo serio per i
tuoi occhi incantati. Ma tu con quegli occhi seguivi le sue labbra, era
il segno che non c’erano speranze. Lo so che quando una donna guarda
le mani e le labbra di un uomo quell’uomo è già stato scelto. E tu gli
guardavi le labbra, da cui uscivano parole gravi, simili ai metalli
nelle miniere. Rilucevano nella tenebra e veniva subito voglia di
incastonarle in un gioiello, tanto erano pure e grezze al tempo stesso,
originarie e originali. Contenevano tutto lo spessore del mondo, fino
al centro della terra e ritorno.
Da san Francesco a Eduardo la dimensione religiosa e umana della regista «Rourke? Sul set recita la sua vita»
ROBERTO MUSSAPI
«Sì, la mia prima regia
teatrale: un mondo per me nuovo, del tutto diverso da quello del
cinema, il mio». Il “suo” da sempre, da quando Liliana Cavani
adolescente fu sollecitata dalla madre alla passione del cinema e, dopo
una laurea in letterature classiche a Bologna, entrò nella Settima
Musa come regista, sceneggiatrice, divenendo presto uno dei grandi
registi italiani di cui andar fieri nel mondo, un autore di cultura,
più e prima ancora che internazionale, comparatistica e visione
profonda. È un’ispirata quando filma e quando parla, anche solo al
telefono, ha la semplicità e la forza del Maestro.
Santoro: «Bisogna partire dal Sud per dire no al lavoro senza dignità» L’arcivescovo di Taranto: «Ci sono situazioni drammatiche come quella dell’Ilva. Servono nuovi modelli di sviluppo»
I temi in agenda
Tenere insieme denuncia e proposte è la missione della Settimana
sociale che si è aperta ieri a Cagliari. Morti bianche disoccupazione,
sicurezza ambientale sono alcuni dei temi affrontati nella prima
giornata
PAOLO VIANA
INVIATO A CAGLIARI
La Settimana sociale di Cagliari si apre con una richiesta, che
spiega a quali condizioni sarà possibile tenere insieme la denuncia e la
proposta: «Non stacchiamoci nemmeno per un minuto dalle immagini
concrete e drammatiche delle vittime di incidenti sul lavoro, dei
disoccupati che ci visitano ogni giorno, degli inattivi, dei
cinquantenni in stand by, o meglio nel limbo o proprio nel purgatorio »
ha esortato i partecipanti monsignor Filippo Santoro, presidente del
Comitato delle Settimane, aprendo i lavori ieri pomeriggio. «Che i
nostri interventi partano dal cuore e diventino proposte come se si
trattasse di un nostro fratello o figlio, o figlia non da raccomandare,
ma da incamminare al lavoro e non ad un incessante pellegrinaggio tra i
vari centri per l’impiego»: un incipit diretto, com’è nello stile
dell’arcivescovo di Taranto, che esplicita la volontà della Chiesa
italiana di aggredire i problemi, come ci ha spiegato al termine della
prima giornata di lavori.
Monsignor Santoro, sono quasi cinquant’anni che la Settimana Sociale
non si occupa di lavoro. Non teme le dimensioni della sfida?
Ci siamo preparati. Abbiamo seguito lo stile sinodale di Firenze e
sono state coinvolte le diocesi e molte istituzioni in una serie di
eventi: dal Festival della Dottrina sociale a Verona al Convegno delle
Chiese del Sud a Napoli, al Seminario nazionale della Pastorale
sociale a Firenze, al Convegno delle Associazioni promosso da Rete in
Opera a Roma… Questo cammino è stilizzato nel logo che riprende la
creazione dell’uomo di Michelangelo nella Cappella Sistina: vogliamo
dire innanzi tutto che il lavoro ha una sua grande dignità, perché
partecipa all’opera creatrice di Dio, e ha sempre un volto, altro tema
ripreso dal logo. La ragione che ci muove è la passione per il Popolo
che drammaticamente ogni giorno ci interpella per la mancanza del
lavoro, per la sua precarietà, ma anche per il suo valore decisivo
nella vita. Ecco perché ripetiamo che la Settimana parte dai volti e
non dalle statistiche, anche se numeri e teorie hanno la loro
importanza.
Kenya: "Traces" e il regalo di Apollo (comunioneeliberazione.com)
Duecentocinquanta
copie della rivista distrutte dalla pioggia, nel trasporto da Nairobi
all'Uganda. Si potrebbero ristampare, ma è costoso. «Non vi preoccupate,
lo faccio gratis», il messaggio dello stampatore...Ogni mese in Kenya stampiamo Traces e la nostra edizione serve anche per l’Uganda.
Lo faccio da oltre due anni ormai, e col tempo è diventata quasi
un’abitudine: ricevo il pdf dall’Italia, lo controllo e lo inoltro allo
stampatore. Quando la rivista è pronta, lo stampatore si è reso
disponibile a inviare direttamente in pullman le copie destinate all’Uganda, così io non devo nemmeno andare di persona in città. È sempre filato tutto liscio.
Nell’agosto scorso ero in vacanza in Europa, e ho ricevuto un messaggio dalla persona responsabile di Traces in Uganda, che mi informava di aver ricevuto 250 copie, ma tutte danneggiate
dalla pioggia. Non potevo crederci, pensavo che spedendole via pullman
non sarebbe potuto succedere, ma dato che in quei mesi c’erano state
piogge fortissime si era inzuppato tutto.
Ho contattato Apollo, lo stampatore,
e gli ho raccontato cosa era successo, chiedendogli di ristampare 250
copie per l’Uganda. Naturalmente l’Uganda avrebbe dovuto ripagare
l’intero importo perché lo stampatore non era responsabile del danno, ma
questo era un problema, perché il costo delle copie non è irrilevante.
Apollo
ha contattato la compagnia dei pullman che aveva consegnato le riviste e
ha appurato che loro non avrebbero risarcito il danno.
Francesco: il Paradiso è l’abbraccio con Dio «Ci entriamo grazie a Gesù. Non è un luogo da favola e nemmeno un giardino incantato»
Cari fratelli e sorelle,
buongiorno! Questa è l’ultima catechesi sul tema della speranza
cristiana, che ci ha accompagnato dall’inizio di questo anno liturgico. E
concluderò parlando del
paradiso, come meta della nostra speranza.
« Paradiso » è una delle ultime parole pronunciate da Gesù sulla croce,
rivolto al buon ladrone. Fermiamoci un momento su quella scena. Sulla
croce, Gesù non è solo. Accanto a Lui, a destra e a sinistra, ci sono
due malfattori. Forse, passando davanti a quelle tre croci issate sul
Golgota, qualcuno tirò un sospiro di sollievo, pensando che finalmente
veniva fatta giustizia mettendo a morte gente così.
Accanto a Gesù c’è anche un reo confesso: uno che riconosce di aver
meritato quel terribile supplizio. Lo chiamiamo il “buon ladrone”, il
quale, opponendosi all’altro, dice: noi riceviamo quello che abbiamo
meritato per le nostre azioni (cfr Lc 23,41).
Sul Calvario, in quel venerdì tragico e santo, Gesù giunge all’estremo
della sua incarnazione, della sua solidarietà con noi peccatori. Lì si
realizza quanto il profeta Isaia aveva detto del Servo sofferente: «È
stato annoverato tra gli empi» (53,12; cfr
Lc 22,37).
È là, sul Calvario, che Gesù ha l’ultimo appuntamento con un peccatore,
per spalancare anche a lui le porte del suo Regno. Questo è
interessante: è l’unica volta che la parola “paradiso” compare nei
vangeli. Gesù lo promette a un “povero diavolo” che sul legno della
croce ha avuto il coraggio di rivolgergli la più umile delle richieste:
« Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno » ( Lc
23,42). Non aveva opere di bene da far valere, non aveva niente, ma si
affida a Gesù, che riconosce come innocente, buono, così diverso da lui
(v. 41). È stata sufficiente quella parola di umile pentimento, per
toccare il cuore di Gesù.
Creazione senza Dio?
Tommaso d’Aquino osserva che il problema della creazione non è
soltanto un asserto di fede: «Che l’universo sia creato non lo crede
soltanto la fede, ma anche lo dimostra la ragione». Il tema della
creazione dal nulla è di competenza della teologia che riflette sulla
rivelazione, e parimenti della metafisica. Poiché creare è trarre
qualcosa dal nulla, la creazione esige una Causa prima che non è una
causa fisica ma meta-fisica, ossia Dio non è il primo di una serie
successiva di cause fisiche, è trascendente la serie fisica in quanto
Atto puro. L’apporto maggiore di Tommaso alla questione cosmologica e
creazionistica è l’idea ontologica e non fisica di creazione, mentre la
cosmologia attuale sembra talvolta giocare su due tavoli: da un lato
rimane giustamente nell’ambito della fisica e della questione del
divenire evolutivo, dall’altro sembra assumere quest’ultimo come verità
insuperabile: tutto diviene e questa è la verità suprema. Tale
cosmologia rischia di confondere il divenire delle cose nel tempo con
la creazione dal nulla.
Il tema merita particolare attenzione perché da diversi anni risuona in
taluni autori l’asserto di una «creazione senza Dio», ossia l’idea che
il mondo è uscito da solo dal nulla assoluto e si è autocreato. Mi
permetto di osservare che in simili mirabolanti asserzioni prevale la
propensione di taluni scienziati e di taluni filosofi di trasformare
con estremo semplicismo teorie scientifiche più o meno immaginose in
ipotesi filosofiche primarie che pretenderebbero di offrirci la risposta
finale. Stephen Hawking e taluni suoi colleghi sostengono precisamente
che il mondo si è creato da solo, e non ha bisogno di un Creatore. Per
Hawking «l’universo può essersi creato da sé, può essersi creato dal
niente» e dunque «non è stato Dio a crearlo». Egli osserva: «Poiché
esiste una legge come la gravità, l’universo può essersi e si è creato
da solo, dal niente. La creazione spontanea è la ragione per cui c’è
qualcosa invece del nulla, il motivo per cui esiste l’universo, per cui
esistiamo noi». Secondo l’autore la legge di gravità porterebbe alla
formazione continua dell’universo, che «può e continuerà a crearsi da
sé, dal niente».
L'articolo di Riccardo Cristiano prende spunto dal libro di Antonio
Spadaro che raccoglie conversazioni e interviste con il Papa, "Adesso
fate le vostre domande" edito da Rizzoli
“Desidero una Chiesa che sappia inserirsi nelle conversazioni degli
uomini, che sappia dialogare. È la Chiesa di Emmaus, in cui il Signore
‘intervista’ i discepoli che camminano scoraggiati. Per me l’intervista è
parte di questa conversazione della Chiesa con gli uomini d’oggi.” Si
conclude così la breve prefazione di Bergoglio al libro curato da padre Antonio SpadaroAdesso fate le vostre domande
(Rizzoli, euro 19,50) che raccoglie alcune interviste e alcuni dialoghi
di Papa Francesco con lo stesso Spadaro, con i gesuiti, i padri
superiori, durante i suoi viaggi apostolici, dall’inizio del pontificato
fino a pochi mesi fa.
Sono parole importanti quelle che Francesco firma a conclusione della
prefazione, perché indicano la necessità della conversazione con gli
uomini d’oggi. Ad esempio, arrivando all’incontro con i superiori
generali di Ordini e Congregazioni, l’ultima conversazione contenuta nel
libro e risalente al 25 novembre 2016, Spadaro ci fa sapere che il papa
arrivò in ritardo ed esordì così: “Scusate per il ritardo. La vita è
così: piena di sorprese. Per capire le sorprese di Dio bisogna capire le
sorprese della vita. Grazie tante”. Ogni occasione è importante per
capire Bergoglio e la sua capacità, o meglio la sua necessità di
sentirsi nel tempo, non arroccato nel suo spazio. Stare nel tempo,
questa è la missione della sua Chiesa che vuole conversare con questa
umanità scoraggiata come Gesù conversò con i discepoli che camminavano
scoraggiati.
Il libro sarà presentato domani pomeriggio alla Civiltà Cattolica da padre Antonio Spadaro con Piero Badaloni e Ferruccio De Bortoli.
E il discorso verterà proprio su questo tema: perché Bergoglio ha
cambiato comunicazione, da arcivescovo non dava interviste e ora invece
le rilascia con una certa facilità? La risposta in parte sta nella
prefazione del papa: il vescovo di Roma deve indicare alla Chiesa
universale l’urgenza di comunicare con gli uomini di oggi, di conversare
con loro. Lui non può più sperare di avere un rapporto diretto con loro
andando nelle tante periferie di Buenos Aires, in metropolitana, tra i
cartoneros, ora che è papa deve comunicare con loro anche tramite i
media, e incontrando giornalisti, tanti, non solo quella Francesca Ambrogetti
che per prima lo convinse a mettersi seduto davanti a un microfono e
registrare un libro intervista, del quale all’attuale papa piacque tutto
tranne la copertina, apprendiamo da lui stesso.
L’urgenza che avverte Bergoglio è l’urgenza che avverte anche il
mondo: una Chiesa che parli con lui, che lo capisca in quest’epoca di
mezzo. Mentre molti intorno a lui si ostinano a desiderare e proporre
una Chiesa-giudice al di fuori e al di sopra della storia, lui ha capito
che in questo tempo di mezzo, tempo di globalizzazione di profittatori e
quindi senza radici ma senza possibilità di ritorno al passato, il
mondo ha bisogno di un’etica globale per sconfiggere la paura e quindi
evitare di rintanarsi nell’odio. Odio per i migranti, odio per l’altro,
odio per le donne, odio così terrorizzato e viscerale da diventare odio
anche per i bambini. A questo mondo che odia perché impaurito Bergoglio
propone un’anima globale, quindi rispettosa dell’altro, ma nel quale la
Chiesa prenda “il Vangelo senza calmanti”, come è intitolata la sua
citata ultima conversazione. Qui Bergoglio dice una cosa importantissima
che spiega il suo attaccamento totale al discernimento: “Le cose
statiche non vanno. Soprattutto con i giovani. Quando io ero giovane la
moda era fare riunioni. Oggi le cose statiche come le riunioni non vanno
bene. Si deve lavorare con i giovani facendo cose, lavorando, con le
missioni popolari, il lavoro sociale, con l’andare ogni settimana a dar
da mangiare ai senzatetto. I giovani trovano il signore nell’azione.
Poi, dopo l’azione si deve fare una riflessione: ma la riflessione da
sola non aiuta: sono idee… solo idee. Dunque due parole: ascolto e
movimento”.
Leggendo questo libro, che parte o per meglio dire riparte dalla
celebre intervista di Papa Francesco ad Antonio Spadaro dell’agosto
2013, un’intervista programmatica che rileggere oggi fa molto bene per
capire meglio dove stia andando la Chiesa, si capisce molto bene quanto
questo pontificato sia nel pieno della nostra storia, quasi offrendoci
un argine alle derive che si affollano in noi e attorno a noi. “Oggi Dio
ci chiede questo: di uscire dal nido che ci contiene per essere
inviati”. Domani a La Civiltà Cattolica ne sapremo certamente di più.
La domanda che l'uomo non può evitare (www.comunioneliberazione.it)
«Che
cosa allora può rendere l’uomo capace di riconoscere il Divino?». Oggi
esce "Dov'è Dio?", il libro-intervista di Julián Carrón con Andrea
Tornielli, vaticanista de "La Stampa". Ecco un branoQuali
sono le ragioni per le quali dovremmo credere all’esistenza di un
Essere superiore che ci ha creati, ci ha voluti e che continua a volerci
bene? È una domanda impegnativa, che mi sembra in
rapporto con quanto appena detto. Interrogarsi sull’esistenza di un
Essere superiore appare a taluni come qualcosa di irrazionale o per
addetti ai lavori, estraneo a chi ha interessi vitali e concreti,
qualcosa, insomma, per coloro che non hanno altro da fare o al massimo
per qualche filosofo che ancora si pone certi problemi. Ora, fino a
quando viviamo nella superficialità, nella dimenticanza, nella banalità,
possiamo – più o meno – tirare a campare evitando la questione. Ma
quando la vita urge, quando è provocata da un fatto, da una situazione,
da un’incompiutezza, da un fallimento, da un’irrequietezza che non
sappiamo come “risolvere”, allora certe domande esplodono, bruciano:
«Perché la sofferenza, il dolore, la morte?», «Che senso ha la vita?».
Cominciano a riemergere quegli interrogativi che avevamo censurato, dai
quali avevamo cercato di fuggire. Il problema religioso coincide
precisamente con queste domande.
La copertina di "Dov'è Dio?", conversazione di Julian Carrón con Andrea Tornielli (Piemme)
E' possibile ancora, dentro al
mondo ampiamente scristianizzato in cui viviamo, cercare e trovare
Cristo? Nel sovrapporsi di fedi diverse o di nessuna fede,
nell’allargarsi di un inconsapevole nichilismo, nella distratta
lontananza di tanti, è possibile ancora ai cristiani contagiare l’amore
per il loro Dio, e come? Attorno a questa domanda scorrono le duecento
pagine della conversazione di Andrea Tornielli con Julián Carrón Dov’è Dio? La fede cristiana al tempo della grande incertezza
in uscita per Piemme (pagine 216 , euro 15,90) e che sarà presentata
nell’aula magna dell’Università Cattolica di Milano giovedì alle 21.00
dagli autori e da Adolfo Ceretti, Mauro Magatti ed Elisabetta Soglio.
Un dialogo esigente e sincero fra il giornalista che ha da poco
intervistato il Papa e il responsabile di Comunione e Liberazione, teso
a disegnare lo sguardo con cui il Movimento osserva questo momento
storico, la Chiesa e la situazione della fede.
Sguardo che in Carrón è fatto di realismo e di speranza assieme,
antico binomio della forma mentis cristiana. Realismo, perché
niente della realtà sia censurato, e speranza, perché non siamo
stati lasciati soli da Dio in questo mondo. Che poi, osserva Carrón,
è un mondo non molto peggiore da quello in cui nacque Cristo,
quando gli stessi ebrei erano divisi fra farisei, zeloti, esseni e
altre correnti, e l’Impero romano avanzava col suo pantheon di
divinità pagane. Nel multiculturalismo insomma il cristianesimo è
nato, ed è anzi questo tessuto, secondo Carrón, una occasione perché
risalti la radicale diversità del suo annuncio. Siamo molto lontani
dunque da certo tradizionalismo che piange i bei tempi antichi: dalle
risposte a Tornielli esce uno sguardo sul presente fiducioso e denso di
fede viva. Su una fede che ogni giorno può ricominciare.
«All’interno del contesto
carcerario la filosofia, aprendo liberi spazi di riflessione e
confronto, assume una valenza fortemente educativa e formativa, intesa
come educazione permanente al dialogo, alla cura e alla conoscenza di
sé attraverso la parola e lo scambio con l’altro» scrive in Filosofia dentro. Pratiche e consulenza filosofica in carcere
(Mursia, pagine 200, euro 14), Chiara Castiglioni. Qui l’esperienza di
consulenza filosofica e laboratoriale maturata, a partire dal 2014 sia
all’Istituto penale minorile Ferrante Aporti di Torino sia,
successivamente, al carcere per adulti Lorusso Cutugno (
Vallette-Torino), reagisce con il rigore e la competenza teoretica.
Come nasce la sua esperienza?
«Tutto prende le mosse dal tirocinio seguito al master universitario
in consulenza filosofica, prima con i minori al Ferrante Aporti poi alle Vallette».
Un centro di detenzione per adulti?
«Sì e per di più nella sezione di alta sicurezza. Un posto unico, lì ci
si imbatte nella nudità della vita. Qui la filosofia ritrova il senso
delle domande radicali. Si incontra quell’essenzialità che ci conduce
all’universale, sorgente originaria della filosofia e si ha modo di
scoprire potenzialità di rinascita senza pari».
Perché la filosofia ha bisogno di luoghi estremi?
«Perché provoca crisi. Quando parlo di luoghi estremi non alludo
esclusivamente al carcere. Esistono anche nel quotidiano. L’estremo è
dentro di noi e permette il contatto con l’universale. La filosofia,
sia come forma di narrazione sia nella versione autobiografica,
consente di ricostruire il senso presentandosi come un modo del
prendersi cura del nostro modo di stare al mondo. E i luoghi estremi facilitano questa impresa».(www.avvenire.org)
12 OTTOBRE. NASCE L’AMERICA
MODERNA. Diritti dei popoli, liberazione, democrazia, integralismi,
poveri, nella riflessione del filosofo uruguayano Methol Ferré (www.terredamerica.com)
Monumento al domenicano spagnolo Francisco de Vitoria
di Alver Metalli
METHOL
FERRÉ: C’è un pensiero che risale al momento generativo dell’America
Latina in quanto soggetto storico autocosciente, e a cui abbiamo già
accennato parlando delle principali polemiche teologiche: è la grande
discussione sull’evangelizzazione degli indigeni che si è svolta nel
corso della prima metà del XVI secolo. Fu un dibattito aspro, di grande
intensità, che coinvolse le migliori menti dell’epoca. I teologi che vi
intervennero furono quasi tutti spagnoli, ma la ricaduta della
controversia sul Nuovo Mondo fu decisiva; a giusto titolo può essere
annoverata tra le riflessioni fondanti la Chiesa latinoamericana, che
hanno fissato il corso e stabilito la direzione futura del cattolicesimo
in queste terre.
La discussione fu così accanita e
prolungata che dal XVI secolo trapassò nel secolo seguente; grazie ad
essa gli indios delle terre scoperte e conquistate vennero alfine
considerati liberi vassalli della Corona spagnola nel territorio del
Nuovo Mondo. Che poi nella pratica tale principio venisse contraddetto
in maggior o minor misura in un luogo delle Indie o nell’altro, che i
missionari dovessero denunciare gli abusi di conquistadores, che i
coloni facessero il bello e cattivo tempo approfittando della lontananza
dalla madrepatria, questo non inficia il fatto che abbia ispirato una
legislazione indigena molto avanzata sul piano dei diritti umani.
«Proteggiamo i più piccoli dalla pornografia online» Il Papa ai partecipanti al convegno internazionale alla Gregoriana: non voltiamoci dall’altra parte
Il richiamo
Francesco ha ricordato che è la scienza a dimostrare l’impatto profondo
delle immagini violente e sessuali sui minori. Servono soluzioni
tecniche, ma soprattutto la moralità dei protagonisti del mondo
digitale. E una lotta senza confini ai crimini in Rete
ANDREA GALLI
Il problema è ben riassunto
in alcuni numeri che il Papa ha ricordato ieri: «oggi i minori sono
più di un quarto degli oltre tre miliardi di utilizzatori di internet,
questo vuol dire che oltre 800 milioni di minori navigano nella Rete».
E «nella sola India nell’arco di due anni oltre 500 milioni di persone
avranno accesso alla Rete, e la metà di esse saranno minori». Quali sono
i rischi online per un pubblicato siffatto – oltre alle opportunità si
intende – sono riassumibili in parole come «pornografia» e «abusi»,
declinabili in vari modi: « sexting fra i giovani e le ragazze che usano i social media», « sextortion,
l’adescamento dei minori a scopo sessuale tramite la Rete»,
«l’organizzazione online del traffico delle persone, della
prostituzione, perfino dell’ordinazione e della visione in diretta di
stupri e violenze su minori commessi in altre parti del mondo», il « dark net
», ovvero le regioni oscure «dove il male trova modi sempre nuovi e
più efficaci, pervasivi e capillari per agire ed espandersi », senza
dimenticare «il bullismo che si esprime sempre più online ed è vera
violenza morale e fisica contro la dignità degli altri giovani».
Francesco ha affrontato il tema ieri ricevendo in udienza i
partecipanti al convegno internazionale «Child dignity in the digital
world» (dignità dell’infanzia nel mondo digitale), che si è tenuto alla
Pontificia Università Gregoriana da martedì a ieri: tre giorni di
confronto tra esperti su sicurezza, educazione e responsabilità per quanto riguarda la presenza dei minori in Rete. (continua su www.avvenire.it)
Ecco i tredici punti che compongono la Dichiarazione di Roma sottoscritta al termine del convegno alla Gregoriana.
1 Alle autorità mondiali, perché intraprendano campagne globali di
sensibilizzazione per educare e informare le persone nel mondo rispetto
alla gravità e al l’estensione dell’abuso e dello sfruttamento dei
bambini di tutto il mondo, e per spingerle a richiedere interventi da
parte dei leader nazionali.
2 Alle autorità delle grandi religioni del mondo, perché informino e
mobilitino gli appartenenti a ogni fede religiosa affinché si uniscano
in un movimento globale per proteggere
i bambini del mondo.
3 Ai Parlamenti
di tutto il mondo, perché migliorino la legislazione per una più
efficace protezione dei minori e chiamino a render conto dei loro
crimini coloro che si rendono responsabili dell’abuso e dello
sfruttamento dei bambini.
Con “Bitter harvest” Mendeluk porta sul grande schermo lo sterminio dei
contadini per la carestia provocata da Stalin negli anni 30
RICCARDO MICHELUCCI (www.avvenire.it)
Fino a una ventina d’anni
fa, in pochi avevano sentito parlare del cosiddetto Holodomor, il
genocidio per fame che sterminò milioni di contadini ucraini causato
dalla collettivizzazione forzata decisa da Stalin all’inizio degli anni
’30. Mosca era riuscita a nascondere all’opinione pubblica
internazionale un crimine spaventoso anche grazie all’insospettabile
complicità di intellettuali prestigiosi. Persino il più famoso
accusatore degli orrori del regime staliniano, il premio Nobel russo
Aleksandr Solženicyn, aveva negato che gli ucraini fossero stati
vittime di un genocidio, sostenendo che le loro rivendicazioni
rappresentavano un atto di revisionismo storico. La congiura del
silenzio era proseguita anche con la “destalinizzazione” poiché
Chrušcëv, nell’elencare i crimini di Stalin, si limitò a denunciare le
purghe all’interno del partito comunista e non fece menzione del
dramma ucraino. Rendere di dominio pubblico la pagina più nera del
comunismo sovietico avrebbe seriamente rischiato di compromettere il
mito dell’Urss in Occidente. A lungo occultate per interessi
politico-nazionali, le dimensioni e le cause di quella gigantesca
ecatombe rimasero quindi confuse nei meandri della tragica storia del
XX secolo almeno fino al 1991. La verità su quegli anni iniziò a
emergere solo con la dichiarazione di indipendenza dell’Ucraina e
l’apertura degli archivi sovietici, con la conseguente scoperta dei
documenti celati per oltre mezzo secolo dalle autorità di Mosca. Nel
2003 le Nazioni Unite hanno riconosciuto in una dichiarazione congiunta
che l’Holodomor uccise tra i sette e i dieci milioni di persone, ma
la strenua opposizione della Russia ha finora impedito di riconoscerlo
in via ufficiale come genocidio.
Alla fine di ottobre Papa Francesco vuole incontrare tutti i giovani,cattolici, cristiani, credenti di altre religioni, atei, per ascoltare le loro domande: desidera in tal modo preparare un Sinodo dei giovani e non sui giovani (www.avvenire.it)