sabato 27 luglio 2024

Il Sessantotto di don Giussani. Scritti dal '68 al '70

 


Negli anni incandescenti del Sessantotto, gli impetuosi venti di cambiamento che agitano la società si insinuano anche tra le fila del «movimento» di Gioventù Studentesca, che fino al 1965 è guidato da don Luigi Giussani: un migliaio di liceali e alcune centinaia di universitari se ne allontanano per aderire al Movimento Studentesco. È lo «scossone più grosso» mai subìto dall’esperienza di Gioventù Studentesca, come dirà in seguito don Giussani. Dopo aver lasciato la guida di GS, in quegli stessi anni don Giussani frequenta con assiduità il Centro culturale Charles Péguy. Fondato nel 1964 a Milano da un gruppo di laureandi, laureati e assistenti universitari, di fatto rappresenterà la prosecuzione dell’esperienza cominciata nelle aule del Liceo Berchet e, al contempo, l’inizio di quella realtà che di lì a poco assumerà definitivamente il nome di «Comunione e Liberazione».

Questo volume raccoglie per la prima volta le trascrizioni delle lezioni tenute da don Giussani ai giovani del Centro Péguy dal 1968 al 1970, nell’arco di tre anni di incontri e riflessioni intorno a una intuizione che sarà gravida di conseguenze: solo nella comunione cristiana possiamo sperimentare la liberazione, cioè l’avvento di un mondo più umano.

Attento osservatore della società, don Giussani guarda al sommovimento politico, sociale e culturale portato dal Sessantotto cogliendo l’istanza profonda che sta alla base del fenomeno – il risveglio del desiderio di autenticità nella vita e di cambiamento nel mondo – e leggendo gli anni della contestazione giovanile come il crinale di un «cambiamento d’epoca» che si stava preparando già da tempo.

E la forza della proposta di don Giussani si rivela intatta, se non ancora più dirompente, al giorno d’oggi, in una società segnata dall’individualismo, da un tessuto sociale sempre più logoro e da nuove tecnologie che invece di avvicinarci, nella comunione che il sacerdote auspicava, ci allontanano inesorabilmente gli uni dagli altri.

"Una rivoluzione di sè. La vita come comunione (1968-1970)", ed. Rizzoli


venerdì 26 luglio 2024

 


SCHUSTER. «ALTRO RICORDO DA DARVI NON HO»

A 70 anni dalla morte, su "Tracce" di Luglio-Agosto un viaggio nella vita del beato Arcivescovo di Milano. E nella sua eredità: «La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione. Ma, di fronte alla santità, ancora crede»
Ennio Apeciti*
«È proprio dei Santi restare misteriosamente “contemporanei” di ogni generazione: è la conseguenza del loro profondo radicarsi nell’eterno presente di Dio». Questo scrisse san Giovanni Paolo II nella Lettera Operosam diem (1° dicembre 1996) in occasione del 16° centenario della morte di sant’Ambrogio. Mi pare siano parole che possono valere anche per il beato cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, del quale ricordiamo i settant’anni della morte. Cosa può insegnare ancora a noi?

Alfredo nacque a Milano il 18 gennaio 1880. Suo padre, Giovanni, era stato uno zuavo pontificio, un militare, ma dopo la fine del potere temporale del Papa si era adattato a fare il sarto, non guadagnando certo molto, anche perché alla nascita di Alfredo aveva già 61 anni ed era al suo terzo matrimonio, con Anna Maria Tutzer, trent’anni più giovane di lui, che aveva accettato di prendersi cura dei figli di quel vedovo. Quattro anni dopo, giunse la sorella Giulia, insieme alla povertà e al dolore: il papà morì che Alfredo aveva appena 9 anni. E lui ricordò sempre quello che avvenne dopo il funerale, quando la mamma aprì l’armadio e diede ai figli due o tre pani, qualche moneta e disse: «È tutto qui: domani non avremo più nulla da mangiare». Di fatto solo la carità dei vicini e l’industriosità della mamma – che fece la donna delle pulizie a ore – permise loro di sopravvivere.

Alfredo non si fece sconfiggere – come accade oggi a molti – da queste prove. Leggiamo dal suo Diario: «Rimani raccolto. Soprattutto evita l’ozio, come padre di tutti i vizi. Sii sempre operoso e studia». E lo fece, animato dalla fede che la mamma gli trasmetteva. Sempre nel Diario«Ama, ama assai, ama perdutamente, prima il tuo Dio, quindi la Sua Adorabile immagine in tutti gli uomini». Fu il suo ideale e lo trasmise anche alla sorellina più piccola, Giulia, cui l’8 maggio 1907 scrisse: «La nostra patria, il nostro regno, la nostra casa paterna è il cielo (…). Il regno di Dio è dentro di noi, è là nel secreto della coscienza, nel silenzio dell’anima che noi dobbiamo vivere questa vita intensa di carità, e di fede che vuole Gesù». Non si vergognò mai di essere povero, tanto che nel suo Testamento scrisse: «Sono nato e vissuto povero, ed essendo monaco, anche sul trono di sant’Ambrogio, mi sono sempre considerato, non già proprietario, ma dispensiere dei beni della mia Chiesa».

Non mancano mai le persone buone, così il barone Pfiffer d’Althishofen, colonnello della Guardia Svizzera, nel 1891 si interessò perché l’undicenne Alfredo fosse accolto tra gli “oblati” del Monastero di San Paolo fuori le Mura. I benedettini, infatti, da sempre accoglievano i ragazzi poveri, curandone l’istruzione e la formazione, condividendo il loro stile di vita e la loro spiritualità sino a che, divenuti maturi, sarebbero stati liberi e pronti di tornare dalla loro famiglia, di farsi la loro vita felice.

Alfredo, invece, scelse di rimanere, di continuare quel tipo di vita che lo aveva plasmato, con quello stile che san Benedetto raccomandava da secoli e che si riassume in uno splendido trinomio: «Ora. Labora. Noli contristari», che dovremmo tradurre: “Cura con equilibrio il tuo rapporto con Dio e con il mondo: impegnati! Ma fai tutto con serenità, senza mai scoraggiarti”.

https://it.clonline.org/news/chiesa/2024/07/24/cardinale-schuster-anniversario-tracce-luglio-agosto-2024#:~:text=SCHUSTER.%20%C2%ABALTRO%20RICORDO,senza%20mai%20scoraggiarti%E2%80%9D.

giovedì 18 luglio 2024

Savina: amica per sempre


 

"Ardi pure! Ma non essere fuoco di paglia. Ardi con vigore, intensamente come le stelle, come il sole. 

Continua a consumarti ! A Dio si dà tutto o non si dà nulla!  Sii un santo!


                                                                                      (Tre frati ribelli)


La nostra carissima amica Savina Di Santi è morta in mare nel tentativo (riuscito) di salvare la nipotina dalla corrente che stava trascinando lontano entrambe.

sabato 13 luglio 2024

lntervento del Cardinale Joseph Ratzinger in apertura del Convegno Mondiale dei Movimenti (27 maggio 1998)

 



Intervento del Cardinal Joseph Ratzinger in apertura del Convegno mondiale dei Movimenti

27 maggio 1998

 

Nella grande enciclica missionaria Redemptoris Missio il Santo Padre scrive: “All’interno della Chiesa si presentano vari tipi di servizi, funzioni, ministeri e forme di animazione della vita cristiana. Ricordo, quale novità emersa in non poche chiese nei tempi recenti, il grande sviluppo dei “movimenti ecclesiali”, dotati di forte dinamismo missionario. Quando s’inseriscono con umiltà nella vita delle chiese locali e sono accolti cordialmente da vescovi e sacerdoti nelle strutture diocesane e parrocchiali, i movimenti rappresentano un vero dono di Dio per la nuova evangelizzazione e per l’attività missionaria propriamente detta. Raccomando, quindi, di diffonderli e di avvalersene per ridar vigore, soprattutto fra i giovani, alla vita cristiana e all’evangelizzazione, in una visione pluralistica dei modi di associarsi e di esprimersi”.

 

 

Per me personalmente fu un evento meraviglioso la prima volta che venni più strettamente a contatto – agli inizi degli anni settanta – con movimenti quali i Neocatecumenali, Comunione e Liberazione, i Focolarini, sperimentando lo slancio e l’entusiasmo con cui essi vivevano la fede e dalla gioia di questa fede si sentivano necessitati a partecipare ad altri ciò che avevano ricevuto in dono. a quei tempi, Karl Rahner ed altri usavano parlare di “inverno” nella Chiesa; in realtà parve che, dopo la grande fioritura del Concilio, fossero subentrati gelo in luogo di primavera, affaticamento in luogo di nuovo dinamismo. allora sembrava esser in tutt’altra parte il dinamismo; là dove – con le proprie forze e senza scomodare Dio – ci si dava da fare per dar vita al migliore dei mondi futuri. Che un mondo senza Dio non possa essere buono, men che meno il migliore, era evidente per chiunque non fosse cieco. Ma Dio dov’era? E la Chiesa, dopo tante discussioni e fatiche nella ricerca di nuove strutture, non era di fatto stremata e appiattita? L’espressione rahneriana era pienamente comprensibile; rendeva un’esperienza che facevamo tutti. Ma ecco, all’improvviso, qualcosa che nessuno aveva progettato. Ecco che lo Spirito Santo, per così dire, aveva chiesto di nuovo la parola. E in giovani uomini e in giovani donne risbocciava la fede, senza “se” né “ma”, senza sotterfugi né scappatoie, vissuta nella sua integralità come dono, come un regalo prezioso che fa vivere. Non mancarono certo di quelli che si sentirono infastiditi nei loro dibattiti intellettualistici, nei loro modelli di Chiesa del tutto diversa costruita a tavolino secondo la propria immagine. E come poteva essere altrimenti? Dove irrompe, lo Spirito Santo scombina sempre i progetti degli uomini. Ma vi erano e vi sono anche più serie difficoltà. Quei movimenti, infatti, palesavano – per così dire – malattie della prima età. Vi era dato cogliere la forza dello Spirito, il quale però opera per mezzo di uomini e non li libera d’incanto dalle loro debolezze. Vi erano propensioni all’esclusivismo, ad accentuazioni unilaterali, donde l’inattitudine all’inserimento nelle chiese locali. Dal loro slancio giovanile, quei ragazzi e ragazze traevano la convinzione che la chiesa locale dovesse elevarsi, per così dire, al loro modello e livello e non, viceversa, che toccasse a loro lasciarsi incastonare in una compagine che talvolta era davvero piena d’incrostazioni. Si ebbero frizioni, di cui, in vari modi, furono responsabili ambe le parti. Si rese necessario riflettere sul come le due realtà – la nuova fioritura ecclesiale originatasi da situazioni nuove e le preesistenti strutture della vita ecclesiale, cioè parrocchia e diocesi – potessero porsi nel giusto rapporto. In larga misura si tratta, qui, di questioni prettamente pratiche, che non vanno spinte troppo in alto nei cieli del teorico. Ma d’altro canto è in gioco un fenomeno che si ripresenta periodicamente, in forme disparate, nella storia della Chiesa. Esiste la permanente forma basilare della vita ecclesiale in cui si esprime la continuità degli ordinamenti storici della Chiesa. E si hanno sempre nuove irruzioni dello Spirito Santo, che rendono sempre viva e nuova la struttura della Chiesa. Ma quasi mai questo rinnovamento è del tutto immune da sofferenze e frizioni. Ecco quindi che non ci si può certo esimere dalla questione di principio del come si possa individuare correttamente la collocazione teologica dei detti “movimenti” nella continuità degli ordinamenti ecclesiali.

(continua su https://www.ratzinger.us/I-Movimenti-ecclesiali-speranza-per-la-Chiesa-e-per-gli-uomini/#:~:text=Intervento%20del%20Cardinal,It/1dia4_i.html )


sabato 6 luglio 2024

Passione per l’umano, passione per la libertà. Tracce di politica nel pe...

CIO' CHE NESSUN POTERE PUO' TOGLIERCI

 



CIÒ CHE NESSUN POTERE PUÒ TOGLIERCI

Se la vita è totalmente donata, anche l'uomo privato di tutto non è mai schiavo di alcuna menzogna. L'attualità della lezione di Aleksandr Solženicyn citato da don Giussani nell'ottavo capitolo de "Il senso religioso"
Adriano Dell'Asta
Una giornata di Ivan Denisovič e La casa di Matriona, l’Arcipelago Gulag e La ruota rossal’infinitamente piccolo dei due primi racconti e l’infinitamente grande dei due possenti affreschi storici coi quali Aleksandr Solženicyn ricostruiva la storia dei campi di concentramento sovietici e quella della rivoluzione del 1917 con il dramma che l’aveva preparata. Nei due racconti, invece, il grande scrittore russo (premio Nobel per la letteratura nel 1970) narrava la storia di un uomo e di una donna di cui ci faceva riscoprire la grandezza e la dignità: da una parte la sorprendente grandezza di Ivan Denisovič, un semplice detenuto di un campo staliniano che era riuscito a conservare la propria libertà e la propria anima anche in un lager, un luogo fatto apposta per distruggere l’umanità («devi essere contento di essere in prigione – gli dice un altro detenuto, che come lui non aveva ceduto – perché qui hai tutto il tempo di pensare all’anima»); dall’altra l’inimmaginabile dignità di Matriona, una povera contadina che tutti consideravano stupida e con un passato per nulla irreprensibile e che invece, dopo la morte, si era rivelata «il giusto senza del qual non vive il villaggio, né la città né tutta la terra nostra».

(...)

https://it.clonline.org/news/cultura/2024/07/04/solzenicyn-senso-religioso#:~:text=CI%C3%92%20CHE%20NESSUN,la%20terra%20nostra%C2%BB.