Buonasera a tutti!
L’iniziativa
di questa sera, “Educare, una passione per l’uomo”, si inserisce in una serie
di incontri ricordati con il logo #Giussani100, visibile nel manifesto di
invito, e organizzati in tutto il mondo in occasione del centenario della
nascita di don Luigi Giussani. Egli, oltre ad essere una figura fortemente
carismatica, è stato uno dei più grandi educatori del XX secolo, tanto da
essere denominato il San Giovanni Bosco dei nostri tempi. Migliaia di giovani
(e, con il tempo, anche meno giovani), lo hanno ascoltato, seguito, si sono
coinvolti con la proposta educativa che il sacerdote milanese ha
instancabilmente rilanciato dagli anni ’50 fino alla fine della sua vita.
Aldilà del
suo innegabile e acclarato carisma personale, egli ha individuato fin dai primi
anni del suo sacerdozio il ‘vulnus’ educativo della sua epoca, e si è lanciato
nell’agone dell’insegnamento della religione cattolica al Liceo Berchet di
Milano per rispondere all’arsura di sete del significato che aveva sperimentato
lui stesso da preadolescente e che riscontrava chiaramente nei suoi giovani
interlocutori, per i quali aveva lasciato una sicura e promettente carriera
teologica.
Negli
anni ’50 (e ancor più nei decenni successivi) la mentalità sociale creata dal
boom economico aveva permeato individui, famiglie e classi dominanti. I valori
proposti e universalmente stimati erano connessi all’arricchimento, alla
carriera, al benessere. Tale orizzonte di vita, ambìto da tutti, cristiani
inclusi, aveva svuotato dall’interno ogni ideale precedentemente riconosciuto.
Don Giussani
constatò il formalismo della proposta educativa cristiana, che era svuotata
anch’essa della sua specificità ed era ridotta a puro moralismo, a dispetto del
fatto che le chiese fossero ancora gremite; considerò che le pure parole o la
ripetizione di iniziative e precetti morali non erano in grado di raggiungere
l’attesa umana dei giovani e le loro domande, e rivoluzionò il suo modo di
porsi entrando nell’ambiente scolastico e non limitandosi a invitare i ragazzi
nelle parrocchie. Giudicando che l’ambiente scolastico era molto
ideologicizzato, e che i ragazzi cristiani erano intimiditi, non avevano le
ragioni e il rischio della fede, cominciò a porre se stesso in classe e a
sfidare le obiezioni, amando la libertà e rispettando tutti, ma esortando
altresì a usare fino in fondo la ragione. Da questo fuoco di domande e
risposte, di invito alla verifica personale, di gite, incontri, iniziative nate
dai ragazzi stessi, revisione dei contenuti di studio e mille altre proposte,
segno di una vita spesa insieme, nacquero delle vere e proprie comunità.
“Abbiamo cominciato così - ebbe a dire in una nota intervista – parlando di
Cristo e mettendoci insieme”.
In che senso
don Giussani è stato un educatore? Egli ha sempre sostenuto che, pur mortificato
e ridotto in catene, l’io di ciascuno è inalienabile e, se opportunamente
richiamato dall’avvenimento di un educatore appassionato, si risveglia.
Educatore appassionato è stato don Giussani stesso, perché ha abbracciato
l’orizzonte divino (che chiamava destino) di ognuno dei suoi interlocutori e,
fissandolo, faceva sì che anche il giovane lo intravedesse e cominciasse ad
amarlo e a camminare verso di esso, senza perdere la speranza anche quando, a
causa di cadute ed errori, l’orizzonte diventava più confuso. Fissare
l’orizzonte ultimo, conoscerne il nome, prenderne familiarità, creava legami
non più occasionali con la realtà e con le persone, e favoriva il
posizionamento degli obiettivi parziali in un cammino possibile e umano. Chi ha
frequentato don Giussani sapeva con certezza assoluta che, a imitazione di Dio,
egli non l’avrebbe abbandonato mai. Questo è il cuore dell’educazione.
Gemma Barulli