Messaggi che
bucano i muri
DELFINA BOERO
Secondo fonti indipendenti, in Russia il numero dei
prigionieri politici è in aumento. Ma parallelamente cresce un’ampia rete di
volontari che visitano le prigioni o scrivono ai detenuti. A volte basta una
lettera o qualche notizia per ricordare loro che qualcuno li pensa.
Il volontariato a favore dei carcerati è sempre stato
praticato in Russia e più o meno «tollerato» da tutti i regimi a cominciare da
quello zarista. Basti ricordare l’aiuto medico e spirituale del dottor Haas ai
forzati o la copia del Vangelo donata a Dostoevskij al suo arrivo nel carcere
di transito di Tobol’sk.
Dopo la rivoluzione la tradizione è proseguita con alterne
vicende: un pacco di indumenti caldi o alimenti diventava un punto di speranza
per tanti detenuti dispersi nell’universo concentrazionario sovietico. Oggi
quest’opera prosegue con l’aiuto delle nuove tecnologie, e in rete si
moltiplicano i gruppi di volontariato che aiutano i prigionieri politici o
offrono linee-guida a chi desidera sostenerli. Sarebbe impossibile menzionare
tutte le iniziative che negli ultimi anni stanno fiorendo in Russia nonostante
le strettoie per cui devono passare.
Ne citeremo solo alcune.
Da dieci anni rosuznik.org («il prigioniero russo») cura la
corrispondenza con i detenuti, spiegando come spedire una lettera cartacea o
mettendo a disposizione un modulo on line per scrivere loro una mail.
Siccome non tutti i luoghi di detenzione hanno un servizio
di posta elettronica per i carcerati, rosuznik stampa le mail dei volontari, e
le spedisce per posta normale insieme a un’altra busta e ai francobolli per la
risposta.
Il sito presenta brevi biografie dei detenuti a cui scrivere
con il loro indirizzo, pubblica brani dalla corrispondenza con i volontari;
spiega le motivazioni del gesto, come vanno redatte le lettere, quali argomenti
evitare per scansare la censura e quali invece sono accettati e possono piacere
a chi sta in carcere. La gestione del sito e le spedizioni sono finanziate solo
dalle offerte dei simpatizzanti. Ad oggi i volontari di rosuznik scrivono a 128
prigionieri in tutto il paese, migliaia le lettere inviate, anche attraverso il
sistema del Servizio federale per l’esecuzione delle pene (FSIN), nonostante
rosuznik non nasconda le proprie posizioni democratiche e spieghi in modo
sobrio ma chiaro che in Russia è in atto una «criminalizzazione dell’attività politica»,
citando dati e fatti.
Nella stessa direzione ma con un taglio diverso lavora il
gruppo facebook «Skazki dlja politzaključënnych» («fiabe per prigionieri
politici»), un progetto «benefico e apolitico» fondato nel 2015, inizialmente a
sostengo delle persone arrestate per le manifestazioni in piazza Bolotnaja a
Mosca.
Negli anni successivi, l’attività si è gradualmente estesa
ad altri detenuti. Coordinata da Elena Efros, madre del regista Evgenij
Berkovič, ha un indirizzario di oltre mille destinatari.
Il progetto non vuole solo far entrare «una boccata d’aria
fresca nello spazio angusto della cella, ma anche ricordare ai detenuti e alle
guardie che la persona non è dimenticata e lasciata sola faccia a faccia con il
sistema». Perché fiabe? «Perché nelle fiabe trionfano sempre la verità, il bene
e la giustizia, che vincono anche nella vita reale, magari non subito ma
immancabilmente».
Le migliaia di lettere inviate finora dai volontari
contengono non solo fiabe in senso stretto, ma anche biografie di personaggi
celebri, viaggi virtuali, notizie sulle novità tecnico-scientifiche o racconti
di vita vissuta. Interessante la variopinta chat dei volontari, che condividono
liberamente notizie sui detenuti a cui scrivono, disegni, racconti sulla vita
di ex prigionieri del GULag, come quello apparso di recente sulla pianista Vera
Lotar-Ševčenko, che fu aiutata da Marija Judina a reinserirsi nella società
dopo anni di lager e di confino.
Una fiaba illustrata da V. Barinov. (facebook)
E se capitasse a me?
L’ultimo frutto di questo fervore creativo è «Tjuremnyj
vestnik», letteralmente Il bollettino carcerario, una rivista artigianale, di
pochi fogli, che vuole colmare il vuoto informativo dei detenuti e rompere
almeno in parte il loro isolamento. Avendo una bassa tiratura, non figura fra i
mass media ed è di fatto un samizdat di nuova generazione, ma prodotto e
distribuito nel pieno rispetto delle leggi russe.
A pubblicarla ormai da un anno è l’informatico Pëtr Losev,
ex coordinatore delle campagne elettorali dell’opposizione. In una recente
intervista al portale indipendente «Važnye istorii» ha spiegato com’è nato il
progetto: nel 2022 hanno messo dentro un suo conoscente, e Pëtr lo ha saputo
solo per caso. «Ho pensato: e se capitasse a me? La gente ha i suoi impegni e i
suoi problemi, non ha tempo di pensare anche ai detenuti, è normale.
Non è normale però che i prigionieri politici, che non
risparmiano forze e salute per noi, vengano dimenticati da tutti. Quindi ho
deciso di dare loro una mano. Se, Dio non voglia, metteranno dentro me o voi,
questo giornalino aiuterà almeno un po’ a mitigare la grigia quotidianità del
carcere».
Losev spiega che il compito principale del «Vestnik» è dare
ai detenuti un’idea di ciò che succede fuori. Non solo la cronaca locale o
mondiale, ma anche «il contesto quotidiano, l’aria che tira, quello che si
pensa e si dice».
Losev ha testato l’efficacia di questa idea durante uno
scambio epistolare con Il’ja Sačkov, direttore di una società di informatica in
carcere per presunto alto tradimento. Ha cominciato a raccontargli in due o tre
frasi gli avvenimenti del mese: la guerra ma anche «le barzellette su Vkusno i
točka» («È buono, punto e basta»), la nuova catena russa di fast food che ha
sostituito McDonald’s dopo l’invasione dell’Ucraina, o i meme su Ryan Gosling
che interpreta Ken nel film Barbie. Il destinatario gli ha risposto che era
proprio questo che gli mancava.
La struttura del «Vestnik» è molto semplice: una cinquantina
di notizie di due o tre frasi, la rubrica «Discussioni su twitter» con i temi
più dibattuti sul segmento russo del social, la colonna scritta da un
prigioniero politico o da un giornalista, brani dalle lettere dei lettori. C’è
anche una rassegna dei meme più famosi del mese.
Ma la principale attrazione è la fantastica copertina, in
cui il disegnatore della rivista riesce a stipare tutti gli avvenimenti del
mese: «Cinquanta rebus su un’unica copertina, e ognuno di questi è una
notizia».
vestnikA giudicare dalle centinaia di lettere di risposta a
ogni numero, fotografate e pubblicate sul canale Telegram di Losev la rivista è
molto apprezzata da detenuti e non. «C’è chi riceveva “Vestnik” in carcere ma
ora è in libertà e ha già scritto delle colonne per noi», spiega l’editore.
Come Andrej Borovikov, ex coordinatore del quartier generale
di Naval’nyj per la regione di Archangel’sk, condannato a due anni e mezzo di
colonia penale, ufficialmente per aver diffuso del materiale pornografico. In
effetti aveva ripostato la clip della canzone Pussy dei Rammstein,
indubbiamente di contenuto hard, che però, a torto o a ragione, circola
liberamente on line in molte parti del mondo. Liberato nel maggio 2023 con una
riduzione di pena di tre mesi, ha raccontato che in carcere si sentiva come un
mendicante che elemosinava «avanzi di informazione», se non altro per far
funzionare il cervello.
«Risposte come queste ci spronano a continuare, perché non
lavoriamo per lo stipendio», commenta Losev, consapevole che in carcere c’è
gente che aspetta. Alcuni detenuti scrivono che, quando ricevono un numero
della rivista, lo danno da leggere a tutta la cella, compresi i delinquenti
comuni, che «vanno matti» per tutto quello che succede in Russia.
Nelle risposte dei prigionieri politici, a volte emergono le
loro storie: Il’ja Jašin, ex deputato comunale condannato a otto anni e mezzo
di colonia penale per «fake news» sull’esercito, ringrazia per la rivista che
legge con interesse: «Incrociando le dita, per ora non ho problemi con la
censura. Ho il sospetto che anche i censori si divertano a leggere queste cose.
Per un prigioniero politico l’informazione indipendente è l’unico habitat
possibile, e i vostri invii sono come una boccata d’aria per chi sta per
soffocare».
Oggi «Vestnik» ha una tiratura di circa 250 copie, ma i
prigionieri politici in Russia sono molti di più. Quando hanno iniziato il
progetto, Losev e i suoi collaboratori si sono serviti di data base già
esistenti, come quello di «Svobot», letteralmente «il bot della libertà», un
bot di Telegram per inviare lettere ai prigionieri politici, ma alla fine hanno
deciso di costruire ex novo un proprio sistema di gestione dei dati, basato su
criteri più attuali: «Siccome vengo dal mondo degli affari e dell’amministrazione,
tutta l’attività operativa di “Tjuremnyj vestnik” è automatizzata fin nei
minimi particolari».
Una scelta peculiare di «Vestnik» è che fra i suoi
destinatari non ci sono solo i prigionieri politici in senso stretto, ma anche
dei detenuti per diserzione e altri reati comuni, il cui orientamento e impegno
politico costituiscono però un’aggravante per la giustizia russa.
Tuttavia, la maggior parte dei destinatari della rivista
sono persone di cui non si sa nulla o quasi, di cui i mass media non parlano e
a cui i volontari non scrivono. «Lavorare con loro è il nostro compito
principale», osserva Losev. «Ho mandato delle lettere ad alcuni attivisti
contro la guerra dei quali perfino il portale indipendente per i diritti umani
“OVD-Info” ha scritto una sola volta e di cui non si hanno più altre notizie.
Molti di loro non hanno mai fatto politica: li hanno messi dentro perché sono
usciti con un manifesto o per dei commenti su Odnoklassniki».
Per passare la censura carceraria, «Vestnik» usa il
«linguaggio esopico»: «Da noi c’è la censura, quindi scriviamo le notizie in
modo che siano inattaccabili. Ad esempio, ne mettiamo alcune in fila. Una sola
non dice niente, ma lette insieme possono significare qualcosa». Sono bandite
le parole che irritano le autorità: «Se loro non chiamano per nome alcuni
personaggi, non lo facciamo neppure noi. Diciamo ad esempio che “il nemico
della corruzione ha dichiarato…”. Oppure, simulando la propaganda russa, scriviamo:
“Se la Russia c’entri con l’attacco all’Ucraina, non è dato sapere…”». Chi vuol
capire, capisca. «Per ora nessuno si è
lamentato che scriviamo in gran parte per allegorie. È tutto chiaro».
Un terzo delle copie arriva stabilmente ai lettori con
allegata una busta per confermare la ricezione della rivista. Gli altri due
terzi non rispondono, forse perché il numero non ha passato la censura o forse
perché il destinatario non ha voglia di mandare la conferma.
Sicuramente nel 3% dei casi il motivo è la censura. Losev
osserva che in alcune colonie penali la mancata consegna delle lettere è dovuta
a semplice incuria, perché gli addetti non sono passati a ritirare la posta o
l’hanno fatto con due mesi di ritardo. Il penitenziario ha l’obbligo di
ricontrollare e consegnare una lettera entro sette giorni dall’arrivo in posta,
ma secondo l’editore il 90% delle lettere vengono recapitate fuori tempo
massimo. Il disservizio secondo Losev dipende dal fatto che quello del censore
in carcere è un mestiere ingrato, poco pagato, e chi lo fa «sta lì a scaldare
la sedia». Ma ci sono anche dei censori autoritari che non consegnano certe
pubblicazioni perché a loro avviso «contengono delle informazioni eversive».
A volte la consegna della corrispondenza viene usata come
strumento di pressione sui detenuti. Tant’è che i redattori di «Tjuremnyj
vestnik» hanno messo in atto un secondo progetto, «Svoboda perepiski» (Libertà
di corrispondenza), per tutelare il diritto dei detenuti a ricevere posta.
Hanno deciso di farlo quando hanno saputo che i censori a volte non solo non
consegnano le riviste, ma possono anche non consegnare le lettere personali,
perché usano la corrispondenza come arma di ricatto. Se un detenuto secondo
l’amministrazione «si comporta bene» gli consegnano la posta, altrimenti no, il
che è esplicitamente illegale.
«Grazie a “Vestnik” siamo riusciti a individuare le persone
a cui l’amministrazione non consegna nulla, fra questi Vladimir Domnin, che di
recente ha battuto il record di permanenza in cella di rigore, 55 giorni». Dopo
che Losev e i suoi collaboratori hanno fatto causa al penitenziario di Uglič,
dove Domnin è detenuto, l’amministrazione del carcere ha cominciato a
consegnargli la posta.
Lo staff di «Tjuremnyj vestnik» è formato da nove persone,
ma a lavorarci stabilmente sono solo in tre: lo stesso Losev, il manager e
l’impaginatore. Il problema principale sono i finanziamenti: «Porterei
volentieri la tiratura a 999 copie, il massimo consentito per legge. E magari
ci piacerebbe registrarlo ufficialmente come mass media, perché chiunque in
carcere possa abbonarsi, ma per ora il budget non lo permette».
«Mi colpisce quanto sia difficile cercare soldi – si
stupisce Losev – Abbiamo un progetto chiarissimo e un obiettivo altrettanto
chiaro: aumentare la tiratura. Di gente che ha i soldi ce n’è, ma quando vado a
chiedere anche una piccola cifra, mi dicono: “È un progetto fantastico, dovete
trovare qualcuno che ve lo finanzi”. Ma io sto chiedendo a voi di farlo!».
Per intanto «Vestnik» va avanti con le offerte della gente
comune.
A parte un caso isolato, al momento i lettori di «Vestnik»
non hanno mai subito vessazioni per il contenuto della rivista.
(continua su La Nuova Europa)
https://www.lanuovaeuropa.org/societa/2024/02/20/messaggi-che-bucano-i-muri/#:~:text=20%20Febbraio%202024-,Messaggi%20che%20bucano%20i%20muri,e%20%E2%80%9CVestnik%E2%80%9D%20e%20%E2%80%9CSvoboda%20perepiski%E2%80%9D%20andranno%20avanti%2C%20ma%20pi%C3%B9%20a%20rilento%C2%BB.,-(foto%20d%E2%80%99apertura%3A%20immagini