LA RIVOLUZIONE (E IL SOGNO) DI FRANCO BASAGLIA
L'11 marzo sono cento anni dalla nascita del grande neurologo e psichiatra il cui lavoro ha portato, nel 1978, alla chiusura degli ospedali psichiatrici. Ecco come lo ricorda Eugenio BorgnaNon posso non dire che ho visto poi un manicomio di Milano, e ne sono rimasto angosciato e terrorizzato, comprendendo le ragioni che inducevano Basaglia alla sua coraggiosa e apparentemente temeraria battaglia contro la sopravvivenza dei manicomi italiani, contrassegnati dalla indifferenza alla sofferenza e alla angoscia delle pazienti e dei pazienti. Chiuso nelle mura del manicomio di Novara, non mi accorgevo della insostenibile condizione di vita degli altri manicomi, ho potuto poi conoscere le realizzazioni di Basaglia a Gorizia e a Trieste, e ne sono stato folgorato. Non immaginavo che l’alternativa alle violenze, che constatavo nei manicomi di Milano, fosse solo quella di chiuderli.
Mi chiedevo nondimeno come sarebbero state seguite le pazienti e i pazienti, con le loro angosce e con la loro disperazione. Mi sono riconosciuto negli ideali di Basaglia, il grande respiro non solo umano, e anche spirituale, che li animava, ma le sue idee mi sembravano sogni, o illusioni, e invece hanno cambiato il mondo. Sì, immaginavo che psichiatre e psichiatri giovani, infermiere e infermieri motivati e animati da entusiasmo, assistenti sociali più numerose, e la presenza delle sorelle religiose, come erano a Novara, potessero rinnovare il modo di avvicinarsi alle pazienti e ai pazienti. Sono state illusioni, come constatavo a Milano, e allora non era davvero possibile non giungere alla chiusura degli ospedali psichiatrici: cosa che Basaglia dimostrava a Trieste come possibile, e non utopica.
Ne conseguiva la legge di riforma del 1978 che ne sanciva la definitiva chiusura, e il modo di fare psichiatria cambiava radicalmente. Non più manicomi, stracolmi di pazienti, ma la territorializzazione della psichiatria: ogni ospedale avrebbe avuto servizi psichiatrici, collegati con ambulatori e con comunità di cura, che consentivano di curare, e di prevenire, i disturbi psichici anche nei luoghi di residenza. Una vera rivoluzione, che sembrava impossibile, e che invece si è realizzata.
Il cuore di questa rivoluzione, che ha cambiato il modo di fare psichiatria in Italia, si è rispecchiata nelle conferenze tenute da Basaglia in Brasile, nelle quali in particolare diceva che noi psichiatri non possiamo non andare alla ricerca di un ruolo che ci metta, per quanto è possibile, alla pari con chi sta male, in una dimensione umana, in cui la malattia sia messa fra parentesi, consentendoci di avvicinarci il più possibile alla sofferenza psichica, e di coglierne la fragilità e la umanità.
La psichiatria manicomiale, che non è nemmeno oggi scomparsa dal modo di agire in alcuni luoghi di cura privati, si radicava nella esclusiva attenzione alla malattia, e non alla soggettività, alla interiorità, alla storia della vita, ai sentimenti, delle pazienti e dei pazienti. La sofferenza psichica non è stata più considerata come qualcosa da analizzare con un gelido sguardo clinico, ma come esperienza umana, ferita dall’angoscia e dal dolore, dalla solitudine e dall’isolamento, che ha bisogno di psicofarmaci, ma anche, e soprattutto, di ascolto e di dialogo, di accoglienza e di gentilezza.
I manicomi sono stati chiusi, ed è stata una cosa di straordinaria importanza non solo clinica ma umana; e nondimeno non meno importante è stata in Basaglia la rivalutazione del senso della sofferenza, che è parte della condizione umana, e alla quale noi tutti dobbiamo accoglienza, e rispetto. Sono valori, che non valgono solo nella cura della follia, e sono valori che dovremmo sapere riconoscere nella nostra vita, e non solo in quella incrinata dalla sofferenza psichica.
Ne conseguiva la legge di riforma del 1978 che ne sanciva la definitiva chiusura, e il modo di fare psichiatria cambiava radicalmente. Non più manicomi, stracolmi di pazienti, ma la territorializzazione della psichiatria: ogni ospedale avrebbe avuto servizi psichiatrici, collegati con ambulatori e con comunità di cura, che consentivano di curare, e di prevenire, i disturbi psichici anche nei luoghi di residenza. Una vera rivoluzione, che sembrava impossibile, e che invece si è realizzata.
Il cuore di questa rivoluzione, che ha cambiato il modo di fare psichiatria in Italia, si è rispecchiata nelle conferenze tenute da Basaglia in Brasile, nelle quali in particolare diceva che noi psichiatri non possiamo non andare alla ricerca di un ruolo che ci metta, per quanto è possibile, alla pari con chi sta male, in una dimensione umana, in cui la malattia sia messa fra parentesi, consentendoci di avvicinarci il più possibile alla sofferenza psichica, e di coglierne la fragilità e la umanità.
La psichiatria manicomiale, che non è nemmeno oggi scomparsa dal modo di agire in alcuni luoghi di cura privati, si radicava nella esclusiva attenzione alla malattia, e non alla soggettività, alla interiorità, alla storia della vita, ai sentimenti, delle pazienti e dei pazienti. La sofferenza psichica non è stata più considerata come qualcosa da analizzare con un gelido sguardo clinico, ma come esperienza umana, ferita dall’angoscia e dal dolore, dalla solitudine e dall’isolamento, che ha bisogno di psicofarmaci, ma anche, e soprattutto, di ascolto e di dialogo, di accoglienza e di gentilezza.
I manicomi sono stati chiusi, ed è stata una cosa di straordinaria importanza non solo clinica ma umana; e nondimeno non meno importante è stata in Basaglia la rivalutazione del senso della sofferenza, che è parte della condizione umana, e alla quale noi tutti dobbiamo accoglienza, e rispetto. Sono valori, che non valgono solo nella cura della follia, e sono valori che dovremmo sapere riconoscere nella nostra vita, e non solo in quella incrinata dalla sofferenza psichica.
(continua su il sussidiario.net)
https://it.clonline.org/news/cultura/2024/03/11/anniversario-franco-basaglia-eugenio-borgna#:~:text=LA%20RIVOLUZIONE%20(E,occhi%20delle%20pazienti.
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