IL PAPA AI VESCOVI ITALIANI/ “Frociaggine”, dietro il
clamore di una parola l’urgenza di una domanda
Pubblicazione: 29.05.2024 - Federico Pichetto
La parola "frociaggine" pronunciata da
Francesco ha il merito di accelerare dentro la Chiesa la posizione di una
questione non più rinviabile. Indica anche una opzione
Papa Francesco con i vescovi CEI nell'incontro dell'8
febbraio 2024 (ANSA)
Frociaggine. È la parola che da due giorni aggrega più
commenti sulla rete e nei social media. L’ha pronunciata – il fatto è noto –
Papa Francesco in un dialogo a porte chiuse, porte che qualcuno ha provveduto
ad aprire alla stampa e agli organi di comunicazione, non si sa con quanta
intenzione o con quanta malizia. Si sa solo che si tratta dell’ultima parte di
una risposta più articolata che il pontefice ha offerto a quanti gli chiedevano
conto circa la possibilità di ammettere in seminario candidati con orientamento
omosessuale.
Negli ultimi anni, seguendo la prassi della Chiesa
universale, anche la Conferenza episcopale italiana si è adoperata nel
distinguere tra coloro che hanno un orientamento omosessuale e coloro che lo
traducono in atti concreti e reiterati. Francesco ha preferito negare questa
distinzione, asserendo che la condizione omosessuale, vissuta all’interno di
una comunità esclusivamente maschile, espone il futuro presbitero a
intraprendere con maggiore facilità una doppiezza di vita non compatibile col ministero ordinato.
Sulla questione si dovrebbe pronunciare anche uno dei tavoli
sinodali che faranno il punto il prossimo ottobre a Roma al cospetto del Papa,
ma le parole di Francesco sembrano superare il tema e chiudere l’argomento.
Immortalato, per l’appunto, dall’osservazione circa il fatto che nei seminari –
o nel clero – ci sarebbe già troppa “frociaggine”.
Le considerazioni che si potrebbero fare su questo episodio
sono molte: è inutile seguire il filone della polemica o quello
dell’apologetica ad ogni costo. Il punto di partenza è che queste parole hanno
ferito delle persone, hanno destato stupore e hanno interrogato molti. Il
motivo si potrebbe riassumere in almeno sei ragioni.
Per prima cosa è giusto evidenziare che il Papa, con questo
intervento, mette in luce come la questione omosessuale non sia più un tema
culturale, una questione che la Chiesa di Roma si trova ad affrontare,
bensì una questione esistenziale, un tema che riguarda la
Chiesa al suo interno. Non si tratta di capire come muoversi fuori dal
perimetro ecclesiale, ma all’interno. Che cosa intende fare la Chiesa con i
fedeli omosessuali? E che cosa intende fare con i preti e i vescovi che
sperimentano questo orientamento?
In secondo luogo le reazioni alle parole di Bergoglio fanno
capire che esiste un problema missionario: oggi moltissimi prendono le distanze
dalla Chiesa, se ne vanno e la lasciano, per le posizioni del cattolicesimo
sull’omosessualità. Sono soprattutto giovani, uomini e donne di trenta o
quarant’anni, che diventano atei, agnostici o abbracciano altre confessioni
cristiane. Il cattolicesimo può stabilire che va bene così, che questa è la
sfida che la fede lancia alla modernità, ma certamente deve diventarne consapevole.
Che cosa abbiamo da dire a chi se ne è andato? Perché un giovane omosessuale
non dovrebbe prendere le distanze dalla Chiesa?
In terzo luogo è chiaro come per questa enorme problematica
morale non ci siano gli strumenti teologici adeguati: categorie e
pronunciamenti sono ancorati a circostanze troppo localizzate per poter
assurgere a strumenti di interpretazione e di esplicazione universale. Manca un
pensiero cristologico e trinitario che sorregga la posizione della Chiesa e la
precisi adeguatamente. Ci sono slogan, spinte, contrapposte tifoserie, ma non
c’è un’idea in campo. Che cosa significa oggi pensare l’omosessualità alla luce del fatto cristiano?
C’è poi il tema del celibato, una questione spirituale. Da
come lo si descrive in alcuni contesti esso si risolverebbe nel mettersi nelle
condizioni migliori per trattenersi, ma il celibato della Chiesa è molto di
più: è scelta profetica di un dono totale agli altri che non si esaurisce nel
lasciarsi andare o nel disciplinarsi, ma nell’apprendere l’amore. A chi questo
oggi è possibile? Che cosa significa davvero essere celibi?
Inoltre, legato a questo, c’è la quarta ragione che rende le
parole di Francesco tremendamente dirimenti: il rapporto della Chiesa con il
desiderio sessuale. È compatibile il desiderio di Cristo con il desiderio del
piacere? In che rapporto sta l’esigenza di felicità di ogni uomo, l’evidenza di
trovare in Cristo l’unico bene, con la vita sessuale? Che cos’è il sesso per la
Chiesa?
Non è dunque scontato, vista la portata delle domande
suscitate, che il tavolo del sinodo dedicato al tema presenti argomentazioni
alternative a quelle del pontefice: che cosa significa in questo caso la
sinodalità? Che senso ha discutere di qualcosa che il Papa ha così ben
circoscritto? Che cos’è, dunque, un sinodo?
Infine le parole sfuggite dal seno dei vescovi italiani
gettano una domanda più radicale sul rapporto tra la Chiesa e la rivoluzione
sessuale. Joseph Ratzinger fu chiarissimo nell’addebitare
a tale mutamento dei costumi l’origine della crisi antropologica contemporanea;
oggi pare che il papa tedesco non fosse lontano dal vero: il valore teologico
dei sentimenti, delle pulsioni, delle perversioni e delle relazioni private è
certamente l’appuntamento che la Chiesa ha con la storia del XXI secolo. Che
cosa è moda, modernismo strisciante, e che cosa, invece, chiamata dello Spirito
alla conversione e al cambiamento? Come gli studi biblici possono aiutare questo
delicatissimo discernimento?
(…..continua)
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