sabato 13 maggio 2006

L'emergenza educativa oggi e la responsabilità dell'adulto

Introduzione della prof.ssa Gemma Barulli, presidente del Centro Culturale Sipontino «Fontana vivace", all'incontro con il dott. Ercole D'Annunzio, Presidente regionale dell'Anfas Regione Abruzzo.
Buona sera a tutti. Il Centro culturale sipontino “Fontana vivace” inizia la sua attività proponendo un incontro dal titolo “L’emergenza educativa oggi e la responsabilità dell’adulto”, che vedrà l’intervento del Dott. Ercole D’Annunzio, Presidente regionale dell’Anfas Regione Abruzzo.
Prima di iniziare, ringrazio il Prof. Falcone, Dirigente Scolastico del VI Circolo, e tutto il corpo docente che ivi presta servizio, per aver voluto ospitare la presente iniziativa.

Nel mese di febbraio, nella nostra città come in molte altre città italiane, è stato diffuso un "Appello per l’educazione", firmato da personalità di orientamento diverso ma accomunate dall’identica preoccupazione che proponiamo stasera.
“L’Italia – dice l’Appello – è attraversata da una grande emergenza. Non è anzitutto quella politica o economica, a cui tutti legano la possibilità di ripresa del Paese, ma qualcosa da cui dipendono anche la politica e l’economia. Si chiama educazione”.
Intendiamo porre al centro dell’attenzione comune l’emergenza educativa, che non è un problema degli addetti al lavoro (gli insegnanti), ma di tutti. Come ci interessa se l’economia va bene o male, se vince uno schieramento politico o un altro, così, e di più, occorre che ci interessi ciò che il mondo adulto sta trasmettendo alle nuove generazioni.
Il fattore umano, infatti, sottende i processi politici ed economici.
Come afferma il prof. G.Vittadini in un recentissimo articolo intitolato significativamente “Investire in educazione”, “E’ ormai risaputo che l’investimento in capitale umano, tradizionalmente inteso come incremento della capacità lavorativa e professionale ottenuto attraverso istruzione e formazione professionale, porta a un incremento della produttività: si stima che un aumento dell’istruzione media nei paesi OCSE possa provocare, nel lungo periodo, un incremento stabile dell’output economico del 3-6 %”

Il tema dell’educazione è, naturalmente, molto complesso. Noi abbiamo voluto metterne in luce un aspetto inquietante, che tutti possiamo vedere diffuso ovunque e anche nella nostra città: “Sta accadendo una cosa mai accaduta prima – continua l’Appello - : è in crisi la capacità di una generazione di adulti di educare i propri figli. (…) E’ stata negata la realtà, la speranza di un significato positivo della vita, e per questo rischia di crescere una generazione di ragazzi che si sentono orfani, senza padri e senza maestri, costretti a camminare come sulle sabbie mobili, bloccati di fronte alla vita, annoiati e a volte violenti, comunque in balia delle mode e del potere. Ma la loro noia è figlia della nostra, la loro incertezza è figlia di una cultura che ha sistematicamente demolito le condizioni e i luoghi stessi dell’educazione – la famiglia, la scuola, la Chiesa”.

“Educare, conclude l’Appello, cioè introdurre alla realtà e al suo significato, mettendo a frutto il patrimonio che viene dalla nostra tradizione culturale, è possibile e necessario, ed è una responsabilità di tutti”

Educare, dunque, come afferma don Luigi Giussani in un libro magistrale, Il Rischio Educativo, (magistrale perché i contenuti illustrano una prassi di vita confermata da una lunghissima storia), “vuol dire introdurre alla realtà totale, e la realtà non è mai veramente affermata se non è affermata l’esistenza del suo significato”.
L’illusione affermatasi negli ultimi decenni è che l’educazione sia riducibile ad un addestramento, a un problema di tecniche più aggiornate o di acquisizione di nuovi linguaggi vicini al mondo giovanile.
Ma, attraverso tecniche o linguaggi, che cosa si comunica? E, più profondamente, chi è il soggetto che comunica?

“O sole adorabile, hai versato i tuoi raggi in una stanza vuota. Il padrone dell’alloggio era sempre fuori” (Ibsen)

Uno dei problemi maggiormente avvertiti dai ragazzi è la mancanza di comunicazione con i genitori e, più in generale, con il mondo adulto. L’assenza di comunicazione denota una povertà umana molto profonda e tipica della nostra epoca. La stanza è vuota, il padrone dell’alloggio è sempre fuori, l’adulto non è impegnato con le proprie esigenze costitutive (di verità, di bellezza, di giustizia, di amore), e perciò la vita è muta, non dice nulla a sé e agli altri.
Per documentare che cosa intendo identificare usando il termine “povertà” a proposito del mondo adulto, mi servo di qualche riga di un grande uomo di cultura, Albert Camus, che nel romanzo “Il primo uomo” (dedicato alla scoperta della figura del padre, morto subito dopo la sua nascita), descrive un dialogo con sua madre (cfr Camus, Il primo uomo, p.68 e ss).

Ciò che intimidisce di più la persona e conduce alla situazione che ho chiamato “latitanza dell’io” è l’assenza di legami condivisi. La solitudine nel mondo adulto è un dato di fatto, e tutti ne siamo perfettamente consapevoli.
Raramente però prendiamo coscienza del fatto che ad essa è da attribuirsi l’insignificanza del nostro messaggio, della nostra comunicazione.
Se in una famiglia ciò che si trasmette non è “coniugato”, non parte da una sintonia profonda tra moglie e marito, i figli non ascolteranno né l’uno né l’altro. Così si potrebbero fare esempi similari per la scuola. Non convince ciò che rimane nell’ambito della pura coscienza individuale: non ha la forza di sfidare il tempo e la storia.

Il mondo giovanile non può trovare nel gruppo dei pari o nei messaggi dei mass-media delle guide, dei maestri. Occorrono uomini e donne. Occorre che ci riappropriamo della nostra responsabilità, che non possiamo demandare a niente e a nessuno. Soprattutto, se nella nostra esperienza intravediamo ambiti e persone che incrementano la costruzione di un mondo migliore,iniziamo a camminare insieme a loro.
La parola al nostro ospite.