domenica 15 luglio 2018

Amelia e gli orfani del Ruanda

La pensionata Amelia che salvò gli orfani del Ruanda 
 
sulle strade del mondo «S e devo morire, io morirò. Ma insieme a loro. Senza di loro, io non parto». Era rimasta. Con 'loro', ma anche con solo qualche chilo di latte in polvere, venti uova, tanta fame arretrata e circondata da un Ruanda messo a ferro e fuoco dalla violenza. Settantasei anni aveva Amelia Barbieri. Una donna minuta, ma con una forte fibra, capace di rinunciare a una salvezza sicura in elicottero, per mettersi al volante di un fuoristrada Toyota e guidarlo per 600 chilometri, sobbalzando su tutta pista di terra e sassi per raggiungere l’Uganda. Strade terribili, cercando di scansare i posti di blocco dei 'demoni' armati, assetati di violenza, per portare in salvo 'loro'. Amelia in Italia era nonna e bisnonna; in Africa 'mamma' di 50 e più orfani, da pochi giorni di vita a dieci anni d’età. Un giorno d’aprile del 1994, in piena guerra civile ruandese, militari delle forze speciali internazionali, tra cui paracadutisti italiani della 'Folgore', si presentano da lei per evacuarla dalla 'Casa di accoglienza san Giuseppe' di Muhurura, novanta chilometri dalla capitale Kigali, costruita con la carità e il sostegno dei suoi compaesani.
La guerra sta massacrando il Paese e i machete insanguinati non si fermano davanti a niente e a nessuno. Una morte atroce. C’era da augurarsi di essere finiti al primo colpo di rasoio piuttosto che agonizzare per ore con le braccia e le gambe mozzate. Bisognava andare via, al più presto. Ma i bambini no, sono ruandesi e devono restare dentro l’inferno. La loro condanna a morte è sicura. Amelia è cocciuta più dei parà, resta anche lei. Lei che, prima di tutta questa storia, raccontava: «Se da pensionata fossi rimasta a fare niente, a 76 anni ero buona solo per l’ospizio». Per 'dare un senso alla vita' di un’ostetrica in pensione, vedova, scelse l’Africa, salutando figli, nipoti, bisnipoti e il suo paese, San Vito di Leguzzano, in provincia di Vicenza. La svolta avviene per caso nel 1983, con un appello apparso su 'Famiglia Cristiana'. Si cerca una levatrice volontaria per il Ruanda: «Eccomi, sono io, Amelia, la pensionata di Leguzzano».

Qualcuno la paragona a Madre Teresa di Calcutta per la sua immensa carità dedicata al prossimo: «Per favore, no. Io conto quanto uno zero». Il suo sogno era «poter vedere quei pensionati italiani, abbandonati su una panchina, che hanno imparato un mestiere da elettricista, meccanico, saldatore, falegname, qui con me. A insegnare i loro mestieri, per far crescere il futuro dell’Africa per l’Africa». In Italia monta la preoccupazione. Dal Ruanda giungono notizie terribili di massacri cui non sfuggono neppure gli stranieri. Cosa fare? È un miracolo di solidarietà: scatta l’'Operazione cicogna'.
L’associazione 'Insieme per la pace' di Maria Pia Fanfani, la Compagnia di San Paolo-Opera cardinal Ferrari di Milano, che mette a disposizione un Boeing della compagnia aerea 'Tea', volontari della Croce rossa di Varese e dottori del Niguarda di Milano si giocano le ferie: andiamo a prenderli tutti. Scatta un ponte aereo che in 24 ore porta mamma Amelia e i suoi bambini in Italia. Dopo l’orrore si risvegliano i sorrisi. Finita la guerra civile, l’ostetrica Barbieri ritornerà in Ruanda per rimanervi fino al 2012, quando la malattia la costringe a rientrare a Leguzzano. Dove si spegnerà nel 2016. Questa è la storia della pensionata Amelia. Italiana qualsiasi, ma eroica nel bene. Ricordata nel centenario della sua nascita, che cade oggi, 15 luglio 2018.
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giovedì 12 luglio 2018

Invito di Carron aigiovani: andiamo dal Papa a Roma

Carrón ai giovani di CL: «A Roma dal Papa come mendicanti»

L'11 e il 12 agosto papa Francesco incontrerà i giovani italiani per pregare in vista del Sinodo di ottobre. Il Presidente della Fraternità ha scritto ai 740 studenti che parteciperanno a un pellegrinaggio di preparazione a quei giorni. Ecco le sue parole
Julián Carrón
L'11 e 12 agosto papa Francesco incontrerà, prima alla Veglia di preghiera al Circo Massimo e poi alla Messa in piazza San Pietro, i giovani italiani in vista del Sinodo di ottobre ("I giovani, la fede e il discernimento vocazionale"). Per l'occasione, Comunione e Liberazione ha organizzato un pellegrinaggio di cinque giorni lungo il percorso delle Basiliche papali di Roma, a cui parteciperanno 740 tra maturati e laureandi. A loro don Julián Carrón ha scritto questo messaggio.


Perché andare a Roma nel cuore dell’estate? Perché qualcuno ci ha convocato, il Papa; non è qualcosa che abbiamo tirato fuori noi dal cilindro. Ci ha invitato qualcuno di cui ci fidiamo.
Quali ragioni abbiamo per fidarci? Dobbiamo guardare alla nostra esperienza. Ce lo ha ricordato papa Francesco con «le parole che Gesù disse un giorno ai discepoli che gli chiedevano: “Rabbì […], dove dimori?”. Egli rispose: “Venite e vedrete” (Gv 1,38-39). Anche a voi Gesù rivolge il suo sguardo e vi invita ad andare presso di lui. Carissimi giovani, avete incontrato questo sguardo?» ( Lettera ai giovani in preparazione del Sinodo, 13 gennaio 2017).

Il postulatore: ecco perchè Moro sarà santo

«Moro? Ecco perché sarà santo»
Il postulatore: nel leader della Dc carità, giustizia e prudenza
«Aldo Moro, ucciso dalle Brigate rosse 40 anni fa, era un laico appartenente all’Ordine dei frati predicatori (domenicani). Potrebbe essere il santo della politica che ancora manca alla Chiesa». A confermare un fatto privato poco noto, riguardante l’ex presidente della Dc, è padre Gianni Festa, postulatore generale dei domenicani, cui recentemente è stata affidata la causa di beatificazione di Aldo Moro. Incontriamo il religioso con l’abito bianco nel suggestivo chiostro duecentesco del complesso monumentale di Santa Sabina all’Aventino, nel cuore della Capitale. È all’inizio del suo lavoro ma ha già una visione chiara sulla pratica esemplare delle virtù cristiane di Moro. «Credo che la santità dello statista pugliese possa essere ravvisata nello stile umile ed esemplare di una vita cristiana vissuta senza compromessi al servizio della politica e della società. Attualmente non c’è ancora un politico 'puro' elevato alla gloria degli altari. Penso che la figura di Aldo Moro potrà risplendere nel panorama della santità come il 'politico' santo, o il santo della politica».
Arrivarci non sarà facile, Moro è una figura ingombrante e non priva di detrattori. Quali saranno le sue prime mosse?
Anzitutto dobbiamo “ricercare”, attraverso la raccolta di testimonianze, l’esistenza della fama di santità per poi evidenziare l’alta qualità della sua vita cristiana, che si palesa nell’“eroica” pratica delle virtù teologali e cardinali. La virtù nella quale Moro ha eccelso è il servizio nella politica, definita da Paolo VI «la forma più alta della carità». L’agire politico di Moro è stato non solo il frutto maturo di una maestria intellettuale e giuridica, che tutti gli riconoscono, ma anche la fioritura di un’autentica pratica di vita santa. Mi riferisco alla sua intensa vita di preghiera, alla pratica quotidiana dei sacramenti, alla vita modesta, discreta, tutta tesa all’edificazione del bene dei cittadini e del Paese. E poiché di un futuro beato bisogna far emergere la qualità cristiana in cui ha eccelso, posso dire che in Moro le virtù che appaiono eloquenti di questa santità sono: la carità, la giustizia e la prudenza.

Card. Bassetti:La paura dell'altro ci paralizza

Bassetti: accogliere come san Benedetto
Il richiamo del presidente della Cei «La paura dell’altro? Ci paralizza»
FIRENZE
«San Benedetto ci insegna che nei confronti degli altri, chiunque essi siano, che siano profughi che vengono dalle piaghe dell’Africa o qualunque altra persona, vale la parabola del Samaritano: “ebbe cura di lui”. Gli uomini si distinguono in due categorie: chi ha cura dell’altro e chi considera l’altro qualcuno che mi fa paura, da cui mi devo difendere. La paura paralizza. Bisogna ripartire dal Vangelo e da quello che dice il Papa: accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Certo, con criteri di equità, di giustizia, tenendo conto delle situazioni in cui uno si trova». Il cardinale Gualtiero Bassetti spiega così l’attenzione che il padre del monachesimo europeo aveva per il tema l’accoglienza. Lo fa nella sua Firenze dove il presidente della Cei è tornato ieri per partecipare ai festeggiamenti per i mille anni dell’abbazia di San Miniato al Monte. Lo fa nel giorno in cui la Chiesa celebra san Benedetto da Norcia, patrono d’Europa. E a chi gli chiede cosa ha da dire oggi il santo al continente, risponde così: «Credo che Benedetto abbia ancora molto da dire dopo 1600 anni. L’Europa non può dimenticarsi le sue radici cristiane, benedettine. Nel primo millennio Benedetto ha insegnato all’Europa la preghiera, il rapporto con Dio, ma anche l’arte del lavoro. Se prendiamo una carta d’Europa del primo millennio, vediamo che è costellata di abbazie benedettine». Ricordando la Regola di san Benedetto, Bassetti sottolinea l’invito a «non anteporre nulla all’amore di Cristo, perché Cristo non ha anteposto nulla all’amore per noi». A questo si aggiunge il secondo monito: ogni uomo va onorato in quanto persona. L’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve cita a questo proposito uno scritto del cardinale Gianfranco Ravasi su Avvenire: «La civiltà ha fatto un passo decisivo, forse il passo decisivo per eccellenza, il giorno in cui lo straniero, da nemico ( hostis), è divenuto ospite ( hospes) ». «Sappiamo – aggiunge Bassetti – quanto san Benedetto insistesse perché i monasteri fossero aperti agli ospiti, e addirittura nella Regola esiste un intero paragrafo dedicato a loro: quando giungono in monastero, scrive, siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: “Sono stato ospite e mi avete accolto ”».

domenica 8 luglio 2018

Fede: la virtù per dialogare con Dio

FEDE
La virtù per dialogare con Dio
Fin dalle origini della Chiesa, nel cercare il senso della fede, è constante il riferimento alle Sacre Scritture,
leitmotiv di ogni riflessione giudeo-cristiana. Dobbiamo però ai pensatori medievali, arricchiti soprattutto dalla riflessione sul pensiero di sant’Agostino, il merito di inquisire il rapporto esistenziale tra la singola persona e Dio. Si trattò di interrogarsi sul come il dono della fede, dato a tutti, può essere recepito da ogni persona umana. Quando la Chiesa nascente, sostenuta dalle categorie del pensiero semitico, cominciò a misurarsi con il mondo greco, che fu la più proficua esperienza di inculturazione a noi conosciuta - anche se non l’unica -, l’insegnamento dei grandi pensatori aiutò non poco a cercare una conciliazione tra Dio, Totaliter aliter, e di per sé inconoscibile se non rivelato, e l’uomo, sempre affascinato dal mito di Ulisse, in cerca di superare le Colonne d’Ercole. Quando si andò ad analizzare in forma sistematica questa relazione, se cioè fosse essa possibile, e come superare, al di là del cognitum, il rapporto tra Dio e l’uomo, si avviarono tentativi che, di generazione in generazione, giunsero fino ai nostri tempi. Dobbiamo rifarci al concetto di interior instinctus di Tommaso d’Aquino: la prima Grazia che Dio fa all’uomo. È la facoltà, insita nella creatura umana, di tentare di porsi in relazione con il Creatore: « Ad tertium dicendum quod interior instinctus, quo Christus poterat se manifestare sine miraculis exterioribus, pertinet ad virtutem primae veritatis, quae interius hominem illuminat et docet ». L’intuizione tomista dette origine a una serie di riflessioni piene di fascino. L’Aquinate, figlio della sua epoca, affrontò la speculazione sul tema, soprattutto attraverso il principio di causalità. Causa - effetto è il nesso della Scolastica sulle cosiddette “5 vie” per dimostrare l’esistenza di Dio. Nella solare esperienza di Tommaso non andò perduta la riflessione di Agostino. Il decimo capitolo delle Confessiones esprime liricamente il rimpianto per la tardiva conoscenza di Dio, della libertà, del peccato e della Grazia. Qualche eco della gnosi antica risulta nella ricerca del rapporto con Dio attraverso la via della conoscenza, o quella antichissima dei Padri Apostolici della via dell’illuminazione. Mi piace ricordare, seppur con un fugace cenno, la svolta di Blaise Pascal, forse edotto dai mistici spagnoli del secolo che lo aveva preceduto, di indirizzare la ricerca su quel concetto che nella Scrittura è il
leb, identificato con la categoria del “cuore”. È un concetto non certamente estraneo a una sempre più profonda discesa nell’interiorità dell’uomo. Altra è la via dei grandi pensatori tedeschi dei due secoli successivi, che, ciascuno con un’indagine propria, approfondiscono la realtà umana, senza eludere una ricerca sull’interiorità, con gli approcci che appartengono a ciascuna filosofia. Queste ultime sono le radici del pensiero contemporaneo.

sabato 7 luglio 2018

Temperanza: la virtù del buon umore

TEMPERANZA
La virtù del buon umore
Scopo della temperanza è quello di governare nella persona umana gli slanci propri della sua natura. In tal senso, Aristotile insegnava che la temperanza «è una medietà relativa ai piaceri» ( Etica Nicomachea III, 10). Il termine greco cui egli ricorre è edoné, che vuol dire piacere, ma pure gioia; godimento, ma pure compiacenza. Nella forma plurale indica le passioni, ma anche i desideri.
Sofocle, nelle sue tragedie aveva fatto ricorso a edoné per dire che si può essere «pazzi per la gioia» ( Elettra 1153), ma pure ch’è possibile «buttar via il senno per la voluttà» ( Antigone 648). Ecco, allora, l’importanza del termine medietà, usato da Aristotile: la temperanza è intermedia fra due eccessi, che nei casi estremi sono l’insensibilità e la sfrenatezza. Sono due forze opposte che possono lacerare una persona. Lo abbiamo veduto per Medea. Altrettanto drammatica la vicenda di Mezio Fufezio, l’ultimo re di Alba Longa ( VII secolo a. C.), che da Tullo Ostilio, l’antagonista re di Roma fu fatto legare ad una quadriga per le braccia e ad un’altra per le gambe sicché i cavalli, spronati in direzioni contrarie, strapparono le sue membra (cfr.
Historiarum ab Urbe condita I, 28)! Così le passioni e i desideri possono rovinare gli uomini se non sono guidati dalla temperanza...
Tommaso condividerà sostanzialmente la tesi aristotelica, reinterpretandola ovviamente in senso cristiano e stabilendo che in ogni caso, come per le altre virtù umane, più importanti sono le virtù teologali.

domenica 1 luglio 2018

Libri da leggere per l'estate

Cinque libri (più due) per l'estate

Dal nuovo volume di don Giussani al Papa, fino alle proposte per i giovani, ecco i titoli che il movimento suggerisce per continuare un percorso, anche durante le vacanze (da "Tracce" di giugno)
Il 19 giugno è uscito La convenienza umana della fede, di don Giussani (Bur, 320 pagine, 14 euro, prefazione di Julián Carrón), il secondo testo della collana “Cristianesimo alla prova”. Raccoglie lezioni e dialoghi avvenuti agli Esercizi della Fraternità di CL tra il 1985 e l’87. Ed è uno dei cinque libri consigliati per l’estate da Comunione e Liberazione, come accompagnamento al lavoro svolto durante l’anno.

Si parla delle sfide che segnano la vita di tutti, sempre: la fragilità, l’incapacità, l’incoerenza. La paura di perdere qualcosa abbracciando un’altra misura, «l’ideale». Ma soprattutto si vede che cosa si guadagna quando a questo ideale – a Cristo – ci si affida, e la fede diventa vita facendoci sperimentare «una rivoluzione pacifica e piena di letizia», che ci consegna un compito: «Credete voi che il mondo abbia bisogno di qualcosa di diverso che la testimonianza o la luce o il calore di questa intensità assolutamente inconcepibile di vita, di questa redenzione del niente, del meschino, del contraddittorio, della morte?», domanda don Giussani: «Cristo è Dio perché ha vinto la morte».