lunedì 30 novembre 2015

L'attesa di Francesco a Kampala

LETTERA/IL PAPA IN UGANDA

«Con te l'attesa non è vuota»


30/11/2015 - L'hanno aspettato per ore, fin dall'alba. Con la certezza di essere "preferiti". E quando è arrivato, mentre cantavano "È bella la strada", si sono trovati a tu per tu con Francesco col cuore commosso. Poche parole: «Ti vogliamo bene»
C’è una sola parola che descrive bene i tre giorni in cui il Papa è stato tra noi: attesa. Il mio cuore è stato dominato in ogni istante dall’attesa di un padre. Tutti i volti che ho incontrato manifestavano quest’attesa colma di certezza. Solitamente in me l’attesa genera un filo di angoscia, agitazione, dubbio. Ma questa volta nulla di tutto ciò mi ha sfiorato. Il cuore era in pace. L’ho intuito quando la mia amica Rose mi ha detto alcuni giorni prima dell’arrivo del Papa: «Stiamo aspettando il Padre della nostra umanità». Che gratitudine poter incontrare chi mi richiama in modo così radicale alla sorgente della mia umanità.

Da qui l’esperienza di una preferenza su di me senza “se” e senza “ma”. Una preferenza che ha raggiunto anche tutti i miei amici e studenti e che ha generato il fiore di un’unità imprevedibile, non per fare cose o per l’organizzazione dell’evento, ma per attendere insieme.

Abbiamo vissuto un’unità di sguardo perché di fronte a noi c’è stato un punto che dominava il nostro orizzonte, il nostro cuore.

Per questo è stato semplice ritrovarsi tutti i tre giorni, a orari improbabili, fuori dalla Nunziatura a cantare per ore, per poter salutare, anche se solo per qualche secondo, Francesco. Un popolo multicolore, composto di famiglie, Memores Domini, studenti e donne del Meeting Point International. E lui ci ha guardato, salutato, sorriso. Difficile passare inosservati con uno striscione di 10 metri con la scritta “Communion and Liberation. With You we never walk alone”. Con te non camminiamo soli, con te l’attesa non è vuota, perché ci riconosciamo figli preferiti. E mentre cantavamo È bella strada, ci siamo ritrovati, per qualche secondo, a tu per tu con Francesco. In silenzio siamo riusciti a dire solo poche parole, che sono l’espressione sintetica di un cuore commosso: «Francesco, noi ti vogliamo bene».

Un bene che abbiamo percepito anche nei vari eventi che abbiamo avuto la fortuna di seguire, come a Kololo, durante l’incontro con i giovani, quando lo abbiamo sentito dire che con Gesù i muri si trasformano in orizzonti e le difficoltà in Cristo diventano fonte di speranza. Oppure quando. di fronte al clero e ai religiosi. il Papa ha affermato che la bellezza della nostra vita sta nella fedeltà alla memoria di Chi ci ha conquistato e quindi alla fedeltà alla propria vocazione. Queste le uniche condizioni per non far sfiorire la bellezza della “perla d’Africa”, questa la condizione per non perdere la consapevolezza che la vera perla d’Africa è ciascuno di noi.

Matteo, Kampala

La realtà della Resurrezione

PARIGI

Dopo cinque anni Dio è tornato a urlarmi in faccia

di Luca Fiore
23/11/2015 - Camilla ha perso un amico negli attentati. Ma quel che è successo ha cambiato la sua vita. All'inizio quella strana letizia. Poi il desiderio di essere perdonata per poter perdonare. Fino alla festa per il proprio compleanno. Alla quale invita Silvio...
«Un collega è venuto a chiedermelo: “Come fai a ridere? Hai perso un amico, stai aspettando la data dei funerali, come fai a essere così?”. L'ho guardato e ho risposto: “Perché c’è Uno che la morte l’ha vinta. E dopo cinque anni è tornato a urlarmi in faccia che le cose non le faccio io».

Camilla è nata a Bologna 26 anni fa. Lavora in uno dei locali più in di Parigi, il Candelaria, numero 12 dei 50 migliori cocktail bar del mondo. Abita in un appartamento sopra Le Petit Cambodge, uno dei ristoranti in cui i terroristi hanno fatto strage il 13 novembre. Lei quella sera non si trova a casa, ma è con un amica a 20 minuti di distanza. Il fidanzato dell’amica le passa a prendere e porta tutti fuori città. Iniziano tre giorni che le cambiano la vita.

Ma prima di raccontare come la sua vita è cambiata, Camilla fa una premessa: «Erano cinque anni che non avevo più a che fare con CL. Cinque anni in cui mi sono fatta da me. Ed è stata una vita pienissima: sono diventata responsabile commerciale di un grande locale, mi sono sposata, ho avuto un figlio, ho divorziato scegliendo di farlo...». Il movimento l’aveva incontrato a sedici anni. A diciotto è arrivata a Parigi per studiare alla Sorbona. «Ero in una situazione catastrofica, umanamente allo sbando...». Fine della premessa.

giovedì 26 novembre 2015

Colletta alimentare 2015

#COLLETTA15

Lo spettacolo della carità


26/11/2015 - Sabato 28 novembre torna nei supermercati di Italia l'appuntamento organizzato dalla Fondazione Banco alimentare. Ecco come prepararsi (e cosa c'è da sapere) per dare l'aiuto di cui c'è bisogno
Cinque milioni di persone che, per un giorno intero, fanno la spesa non solo per sé, ma anche per chi ne ha più bisogno. Sabato 28 novembre torna la Colletta alimentare, in oltre 11mila supermercati di tutta la penisola. L’appuntamento nasce nel 1997 dalla Fondazione Banco alimentare, ed è ormai diventato una tradizione che, dopo diciannove anni, non smette di crescere. I numeri parlano: solo lo scorso anno sono state raccolte oltre novemila tonnellate di alimenti, destinate ai più poveri.

«Questo gesto di generosità è piccolo, quasi banale, ma mette in moto una predisposizione che cerca spazio per esprimersi», ha ricordato don Julián Carrón, il 12 novembre, all'incontro di presentazione della Colletta, con Giuseppe Guzzetti e Fausto Bertinotti: «Non c’è solo risposta al bisogno, ma educazione di un popolo. Il gesto della Colletta alimentare è un gesto riuscito. È un gesto educativo perché non finisce lì» (guarda il video dell'incontro).

Proprio per questa "educazione", si può donare alla Colletta non solo con spesa e carrello, ma anche tramite il sito del Banco alimentare.

E, per seguire passo per passo la giornata del 28 novembre, sarà possibile interagire attraverso Facebook, Twitter e altri social network con l'hashtag #Colletta15.

Kenya: festa nazionale per l'arrivo del Papa

IL VIAGGIO DEL PAPA

«Perché andrò a vederlo e sentirlo parlare»


26/11/2015 - Kenya. Un popolo in festa accoglie Francesco. Oggi, la messa all'Università di Nairobi. Tra la folla c'è anche Daisy: «Attendo quell'uomo, per ricordarmi che è un Altro a cambiare la mia vita»
Oggi in Kenya è festa nazionale perché, per la prima volta dopo la sua elezione, il Papa viene in visita in Africa. La sua è una figura “simbolo”, che la maggior parte dei leader mondiali e delle autorità religiose di altre fedi, anche in Kenya, ascolta e riconosce.

Per noi è un privilegio e una grazia riceverlo, oggi che celebra la messa all’Università di Nairobi, a un chilometro da dove Giovanni Paolo II la celebrò durante il suo viaggio apostolico nel Paese, nel 1995. Accadeva vent’anni fa, e io ne avevo solo tre. Mia madre ricorda ancora con nostalgia la bellezza di quella messa a cui aveva partecipato. È stata lei a raccontarmelo.

martedì 24 novembre 2015

Colletta Alimentare 2015

Condividere i bisogni per condividere il senso della vita



Appuntamento giovedì 12 novembre alle ore 18 con l'incontro di lancio della 19esima edizione della Giornata Nazionale della Colletta Alimentare, dal titolo Condividere i bisogni per condividere il senso della vita.
Ospiti d’eccezione, Giuseppe Guzzetti, Presidente di Fondazione Cariplo, Fausto Bertinotti, Presidente emerito della Camera dei Deputati, e Don Julian Carron, Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione. Modera Marco Lucchini, Direttore Generale della Fondazione Banco Alimentare.
Per rivedere il video dell'incontro clicca qui.

www.bancoalimentare.it

lunedì 23 novembre 2015

L'apertura della porta santa in Africa

CENTRAFRICA

Il Papa presentato ai musulmani di Bangui


23/11/2015 - Monsignor Dieudonné Nzapalainga incontrerà la comunità musulmana locale presentando il video-messaggio di Francesco. Poco prima della visita del Pontefice nella capitale africana, un modo per sostenere il dialogo interreligioso (da Fides)
«Stiamo andando insieme ai giornalisti al Km5 per presentare il video messaggio del Santo Padre sul suo viaggio nel nostro Paese» dice, all'Agenzia Fides, Sua Ecc. monsignor Dieudonné Nzapalainga, Arcivescovo di Bangui e Presidente della Conferenza Episcopale della Repubblica Centrafricana, Paese che rientra nella visita che papa Francesco effettuerà questa settimana in Africa.

Il Km5 è il quartiere a maggioranza musulmana della capitale centrafricana, dove registrano tensioni e incidenti legati alla situazione politica che sta vivendo il Paese dal 2012. «Avremo un incontro per presentare il messaggio di papa Francesco con i miei amici della piattaforma religiosa per la pace, formata, oltre che dall'Arcivescovo di Bangui, dal Presidente del Consiglio islamico centrafricano, Imam Oumar Kobine Layama e dal Presidente della Alleanza Evangelica, il pastore Nicolas Guérékoyaméné-Gbangou. Insieme continuiamo ad invitare i nostri fedeli a coltivare l'unità, la coesione e a offrire il perdono ai nostri fratelli e sorelle» dice Mons. Nzapalainga che, insieme agli altri membri della piattaforma interreligiosa per la pace, ha sempre affermato come la religione sia stata strumentalizzata a fini politici.

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Papa Francesco: educare è introdurre alla realtà totale

Discorso ai partecipanti al Congresso mondiale promosso dalla Congregazione per l'educazione cattolica

Francesco vatican.va

21/11/2015 - Aula Paolo VI

Prof. Roberto Zappalà, dirigente scolastico dell’Istituto Gonzaga di Milano
Le istituzioni educative cattoliche sono presenti in una grande diversità di nazioni e contesti: nazioni più ricche, nazioni in via di sviluppo, nelle città, nelle zone rurali, in nazioni a maggioranza cattolica e in Paesi in cui il cattolicesimo invece è una minoranza. In questa grande varietà di situazioni, che cosa, secondo Lei, fa sì che una istituzione sia veramente cristiana?

Papa Francesco
Anche noi cristiani siamo in minoranza. E mi viene in mente quello che ha detto un grande pensatore: “Educare è introdurre nella totalità della verità”. Non si può parlare di educazione cattolica senza parlare di umanità, perché precisamente l’identità cattolica è Dio che si è fatto uomo. Andare avanti negli atteggiamenti, nei valori umani, pieni, apre la porta al seme cristiano. Poi viene la fede. Educare cristianamente non è soltanto fare una catechesi: questa è una parte. Non è soltanto fare proselitismo – non fate mai proselitismo nelle scuole! Mai! – Educare cristianamente è portare avanti i giovani, i bambini nei valori umani in tutta la realtà, e una di queste realtà è la trascendenza. Oggi c’è la tendenza ad un neopositivismo, cioè educare nelle cose immanenti, al valore delle cose immanenti, e questo sia nei Paesi di tradizione cristiana sia nei Paesi di tradizione pagana. E questo non è introdurre i ragazzi, i bambini nella realtà totale: manca la trascendenza. Per me, la crisi più grande dell’educazione, nella prospettiva cristiana, è questa chiusura alla trascendenza. Siamo chiusi alla trascendenza. Occorre preparare i cuori perché il Signore si manifesti, ma nella totalità; cioè, nella totalità dell’umanità che ha anche questa dimensione di trascendenza. Educare umanamente ma con orizzonti aperti. Ogni sorta di chiusura non serve per l’educazione.

venerdì 20 novembre 2015

Uomini di Dio - la scena più bella e commovente del film

WWW.TERAMOWEB.IT - La Cattedrale di Teramo ospita una mostra su Don Gius...

L'anno della misericordia: la confessione nella testimonianza di un anziano cardinale

La cura d'anime non va in pensione
Roberto I. Zanini

«Non sono uno psicologo e preferisco non parlare degli effetti del perdono degli uomini. Il perdono di Dio, invece, mi toglie dalla disperazione, mi ridona la serenità della vita». È così importante e necessario che «precede la confessione. Già nel momento in cui desidero di confessare i miei peccati, Dio mi dona il suo perdono».

Il cardinale Luigi De Magistris è ormai prossimo ai 90 anni. Vive con una nipote e un nipote nella vecchia casa di famiglia in una via dello storico quartiere Castello a Cagliari. Le sue parole sono poche ed efficaci. Giungono dirette al cuore prima ancora che all’intelletto. Sempre riferite a se stesso non hanno bisogno di fronzoli, di argomentazioni decorative. Si affidano a una sapienza pastorale che sa di antico, di umiltà edificata su una fede rocciosa e schiva. Forgiata in una famiglia in cui il padre, medico, per la sua dichiarata fede cattolica, nella Cagliari di inizio Novecento, fortemente segnata dall’ideologia massonica, era stato escluso da ogni forma di carriera e aveva scelto di esercitare la professione in favore dei più poveri ricevendo in un ambiente della sua casa. Una fede e una fedeltà alla Chiesa, quella della famiglia di don Luigi (vuole essere chiamato così), che può essere agevolmente sintetizzata da un’espressione che il cardinale ama ripetere in dialetto cagliaritano: «Su Papa s’ascurtara e no si discutiri», il Papa si ascolta e non si discute.

giovedì 19 novembre 2015

Il Papa: "Togliete le sbarre dalla porta"

DOPO PARIGI

«Togliete le sbarre dalla porta»

di Alessandro Banfi
19/11/2015 - Le parole di papa Francesco all'Udienza generale del 18 novembre, a cinque giorni dalle stragi francesi, ricordano quelle che pronuncia Tommaso Becket nel dramma teatrale di T.S. Eliot, "Assassinio nella cattedrale". Vale la pena rileggerle
La sintesi giornalistica ieri è stata questa: il Papa dice che il Vaticano non può blindare le sue porte. Nei giorni drammatici e cupi, seguiti ai fatti di Parigi, fra allarmi dell’Fbi e insistenze isteriche sui rischi rappresentati dal Giubileo, in realtà ieri Francesco ha offerto una bellissima meditazione sul tema, a lui caro, dell’apertura delle porte della Chiesa (chi non si ricorda Giovanni Paolo II nello storico discorso di intronizzazione «Spalancate le porte a Cristo?»), prendendo spunto proprio dall’Anno Santo della Misericordia.

Sèbastienne: la vita è un dono prezioso

DA BERGAMOPOST

«Le mie due ore da ostaggio al Bataclan»


19/11/2015 - Sébastien era uno degli ostaggi usati dagli attentatori dello Stato Islamico come scudi umani per negoziare con la polizia. Intervistato dalla radio francese Rtl, racconta quello che è successo venerdì notte a Parigi
Eravate dentro il Bataclan e avete discusso a lungo con gli attentatori, è vero?Sì, prima hanno discusso tra di loro, poi ci hanno fatto il loro discorso sul perché erano li.

E cosa vi hanno detto?
Ci hanno spiegato che erano le bombe che erano state sganciate in Siria a spingerli ad essere lì, per mostrare, far vedere a noi occidentali ciò che quegli aerei facevano là (in Siria). Quindi ci hanno portato nella sala, dove c’erano i feriti ancora agonizzanti, e ci hanno spiegato che non era che l’inizio. E che la guerra cominciava in quel momento e che erano lì a nome dello Stato Islamico. Poi ci hanno chiesto se eravamo d’accordo con loro, e vi lascio immaginare il silenzio che c’è stato in quel momento. Poi i più timidi hanno annuito con la testa e i più temerari hanno risposto a voce alta di sì. Ci hanno anche chiesto se avevamo un accendino, e quando ci hanno riportato nel corridoio dove ci hanno tenuto in ostaggio, ci chiedevano spesso di fare il palo o di gridare ai poliziotti dalla finestra di non avvicinarsi perché se no avrebbero fatto esplodere la loro cintura esplosiva, che non avevano paura. [...]

Che cosa avete imparato da questa cosa così straordinaria che vi è capitata? Ricordiamoci che voi avete salvato la donna incinta che si era appesa alla finestra per scappare, che avete parlato con gli attentatori, che avete passato un’ora con un kalashnikov puntato in faccia… Cosa avete imparato Sébastien?
Che la vita è appesa a un filo, e che c’è bisogno di apprezzarla, e che non c’era niente di più serio che il fatto che eravamo ancora vivi.

mercoledì 18 novembre 2015

Madre Teresa santa entro l'anno

SORPRESE GIUBILARI. Madre Teresa di Calcutta in corsa verso la santità. La guarigione di un fedele brasiliano potrebbe essere il miracolo per canonizzazione della suora albanese

Settembre 1997. Madre Teresa di Calcutta vegliata dalle sue suore prima dei funerali
Settembre 1997. Madre Teresa di Calcutta vegliata dalle sue suore prima dei funerali
La culminazione dell’anno giubilare indetto da papa Francesco non potrebbe essere più azzeccata, per dirla nel romanesco ormai divenuto famigliare al papa argentino. Sono in molti a sperare che l’evento culminante del Giubileo della Misericordia sia proprio la canonizzazione della suora albanese. Secondo alcune indiscrezioni di stampa già circolate nella primavera scorsa, il 4 settembre 2016, diciannove anni dopo la sua scomparsa, Madre Teresa di Calcutta potrebbe essere canonizzata da Papa Francesco in Piazza San Pietro proprio alla fine dell’Anno dedicato alla misericordia. Un anno fa padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana, provvide a gettare acqua sul fuoco, precisando come la causa di canonizzazione della missionaria, fondatrice della Missionarie della Carità e beatificata da Giovanni Paolo II nel 2003, fosse ancora in corso. Evidentemente l’acqua non ha spento la combustione.
Negli ultimi mesi sono arrivate in Vaticano numerose segnalazioni di miracoli attribuiti all’intercessione di Madre Teresa. E ora, una guarigione scientificamente inspiegabile attribuita alla sua intercessione, pare che abbia impresso il sigillo definitivo al processo di canonizzazione. È il caso di un fedele della diocesi di Santos, nello stato di San Paolo del Brasile, inspiegabilmente guarito da un tumore al cervello nel 2008. La notizia, diffusa dall’agenzia cattolica CNA, raccontava di un uomo ricoverato in condizioni molto gravi che doveva essere sottoposto a un intervento particolarmente delicato. Secondo un giornale brasiliano, “Presença Diocesana”, a suggerire di invocare Madre Teresa fu padre Elmiram Ferreira, un amico di famiglia e devoto della beata. In seguito, dall’esame delle tac i medici si accorsero che il carcinoma al cervello era scomparso del tutto.
Il miracolo dovrà essere esaminato dalla commissione medica a Roma e dalla commissione teologica com’è prassi. Dal civico 10 di Piazza Pio XII, sede della Congregazione della Cause dei Santi, trapela cautela oltre all’indiscrezione che in cuor suo anche il papa spera di poter canonizzare Madre Teresa durante l’anno giubilare. La sua testimonianza di carità non si è estinta e mai come oggi sembra sposarsi con il messaggio del pontificato di Francesco.

Lunedì mattina a Parigi

DOPO GLI ATTENTATI

Lunedì mattina a Parigi

di Luca Fiore
17/11/2015 - È stato il fine settimana della paura e dello smarrimento. Tanja, Lara e Silvio tornano alla vita di tutti i giorni. Devono fare i conti con quello che in loro è accaduto. Provando a lasciare spazio a un'ipotesi che possa riapre la partita...
Tanja è russa e si trova a Parigi per un dottorato su Paul Claudel. In questi giorni i volti tesi dei parigini gli ricordano quelli visti a Mosca dopo l’attentato al Teatro Dubrovka del 2002. Lei era solo una bambina, ma la paura a prendere la metropolitana se la ricorda. I cadaveri del Bataclan, le vetrine crivellate, le sirene della polizia. Le strade deserte il sabato mattina. Lei, come altri che hanno letto le parole di don Julián Carrón in occasione degli attentati si è trovata a ricominciare la settimana da quel lunedì: «Con questa Presenza negli occhi potremo guardare perfino la morte, offrire ai nostri figli un’ipotesi di significato per stare davanti a queste stragi e a ciascuno di noi una ragione per tornare al lavoro lunedì mattina continuando a costruire un mondo all’altezza della nostra umanità».

martedì 17 novembre 2015

"Non avrete il mio odio"



Attentati di Parigi, Antoine rimasto vedovo e la lettera ai terroristi su Facebook: «Non avrete il mio odio»

Hélène, da 12 anni compagna di Antoine, è morta venerdì sera. Lui, 34 anni e papà di un bimbo di 17 mesi, ha scritto una lettera aperta ai terroristi che ha fatto il giro del web: «Non avrete il mio odio e non sacrificherò la mia libertà per la sicurezza»

di Greta Sclaunich

Fino a lunedì mattina ha sperato che la sua Hélène non fosse tra la vittime degli attentati di venerdì sera. Poi dalla morgue lo hanno chiamato per identificarne il corpo: «L’ho vista stamattina. Finalmente, dopo giorni e notti d’attesa. Ed era così bella, bella come quando è uscita venerdì sera, bella come quando mi ha fatto follemente innamorare di lei 12 anni fa». Antoine Leiris, giornalista francese, ha deciso di condividere la sua storia in un lungo e toccante post su Facebook. La storia di un giovane di 34 anni, con un bimbo di 17 mesi, che di colpo si ritrova da solo. Ma che rifiuta ad ogni costo di provare odio. Ed è così, infatti, che intitola il suo post, una lettera aperta ai terroristi che in poche ore è già stata condivisa oltre 20mila volte: «Non avrete il mio odio».

lunedì 16 novembre 2015

L'umanesimo cristiano? e' Gesù

«La Chiesa che voglio»

Incontro con i rappresentanti della Chiesa italiana (Santa Maria del Fiore, Firenze - martedì 10 novembre 2015)
10/11/2015
Cari fratelli e sorelle, nella cupola di questa bellissima Cattedrale è rappresentato il Giudizio universale. Al centro c’è Gesù, nostra luce. L’iscrizione che si legge all’apice dell’affresco è “Ecce Homo”. Guardando questa cupola siamo attratti verso l’alto, mentre contempliamo la trasformazione del Cristo giudicato da Pilato nel Cristo assiso sul trono del giudice. Un angelo gli porta la spada, ma Gesù non assume i simboli del giudizio, anzi solleva la mano destra mostrando i segni della passione, perché Lui «ha dato sé stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2,6). «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Gv 3,17). Nella luce di questo Giudice di misericordia, le nostre ginocchia si piegano in adorazione, e le nostre mani e i nostri piedi si rinvigoriscono. Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo. È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo. Il volto è l’immagine della sua trascendenza. È il misericordiae vultus. Lasciamoci guardare da Lui. Gesù è il nostro umanesimo. Facciamoci inquietare sempre dalla sua domanda: «Voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Guardando il suo volto che cosa vediamo? Innanzitutto il volto di un Dio «svuotato», di un Dio che ha assunto la condizione di servo, umiliato e obbediente fino alla morte (cfr Fil 2,7). Il volto di Gesù è simile a quello di tanti nostri fratelli umiliati, resi schiavi, svuotati. Dio ha assunto il loro volto. E quel volto ci guarda. Dio – che è «l’essere di cui non si può pensare il maggiore», come diceva sant’Anselmo, o il Deus semper maior di sant’Ignazio di Loyola – diventa sempre più grande di sé stesso abbassandosi. Se non ci abbassiamo non potremo vedere il suo volto. Non vedremo nulla della sua pienezza se non accettiamo che Dio si è svuotato. E quindi non capiremo nulla dell’umanesimo cristiano e le nostre parole saranno belle, colte, raffinate, ma non saranno parole di fede. Saranno parole che risuonano a vuoto. Non voglio qui disegnare in astratto un «nuovo umanesimo», una certa idea dell’uomo, ma presentare con semplicità alcuni tratti dell’umanesimo cristiano che è quello dei «sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5). Essi non sono astratte sensazioni provvisorie dell’animo, ma rappresentano la calda forza interiore che ci rende capaci di vivere e di prendere decisioni. Quali sono questi sentimenti? (continua a leggere)

domenica 15 novembre 2015

Intervista a Wael Farouk sui recenti eventi di terrorismo

Wael Farouq: “L’Isis ha un’ideologia chiara, l’Occidente vive di contraddizioni”



Intervista al vicepresidente del Meeting del Cairo. Gli immigrati? “Chiudere le frontiere è sbagliato, chi vuole venire in Europa, lo fa perché è attratto dai nostri valori: chiudendogli la porta in faccia faremmo il gioco dello Stato islamico”

 

Wael
Vicepresidente del Meeting del Cairo, Presidente del Centro Culturale Tawasul e docente presso l’Istituto di Lingua Araba all’Università Americana del Cairo, Wael Farouq oltre ad essere coautore, assieme a Papa Benedetto XVI, del libro “Dio salvi la ragione” è uno dei più attenti osservatori delle dinamiche dell’islam in Occidente. Queste le sue riflessioni dopo gli attacchi di Parigi.
Professore come va letto questo drammatico 13 novembre?
Io credo che i fatti di Parigi ci dicano essenzialmente due cose. La prima è che l’isis ha un’ideologia e un obiettivo chiaro: cancellare quella zona grigia che rappresenta l’area di dialogo fra mondo cristiano e mondo musulmano. I terroristi non hanno colpito il palazzo del Governo francese hanno colpito un ristorante, uno stadio, un teatro. Quando spari in modo indiscriminato o ti fai esplodere in questo tipo di luoghi non puoi sapere se ucciderai un francese, un italiano, un musulmano o un cattolico. Perché questi sono appunto luoghi di massa dove la gente va per godere il bello del cibo, della musica e del calcio. Lì ci potrebbe essere chiunque. Quello di cui sei sicuro però è che colpirai uno spazio di relazione fra persone con culture e religioni diverse. La zona grigia, di cui dicevo prima. Tenga conto che la prima dichiarazione pubblica dell’Isis fu quella con cui richiamavo tutti i musulmani sparsi per il mondo ad andare nello stato islamico. Questa ideologia punta ad avere un mondo diviso fra bianco e nero. È questa la ragione che spiega anche il perché del loro accanimento verso i luoghi di bellezza, penso al museo iracheno o a Palmira. Distruggo il bello perché la bellezza è un formidabile collante che unisce le persone al di là della loro nazionalità o del credo religioso. Altrimenti sarebbero comportamenti inspiegabili. È uno strategia chiara. Tanto da averla dichiarata apertamente attraverso le pagine di Daqib,la rivista dell’Isis e in diversi statments: la zona grigia va cancellata. Noi invece quella zona grigia dobbiamo difenderla strenuamente.

sabato 14 novembre 2015

Preghiera unanime per la Francia



Una preghiera unanime domenica per il popolo francese così duramente provato. È l'invito che la Chiesa italiana rivolge a tutta la comunità cristiana, in risposta ai vili attentati di ieri notte. Ecco il comunicato della presidenza della Cei.

"La Chiesa italiana, profondamente colpita dagli attacchi terroristici che hanno insanguinato Parigi, si stringe solidale alla Chiesa che è in Francia e a tutto il suo popolo. Assicura che in tutte le comunità cristiane domani (domenica 15 novembre, ndr), giorno che fa memoria della Risurrezione del Signore, la preghiera si eleverà unanime in suffragio delle vittime e in segno di vicinanza fraterna ai feriti e alle loro famiglie, come a tutti i soccorritori.

Il Card. Angelo Bagnasco, Vice-Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, nel condannare la strategia del terrore che si esprime in questo nuovo attentato all’umanità, rilancia l’impegno di tutta la comunità ecclesiale a contribuire fattivamente alla convivenza sociale, alla riconciliazione e alla pace".
© riproduzione riservata

#Parigi. Le parole di #PapaFrancesco dopo gli attentati in Francia

venerdì 13 novembre 2015

Bagnagno: Il pericolo per la Chiesa? La tiepidezza spirituale

FIRENZE 2015

Bagnasco: «Il pericolo per la Chiesa? La tiepidezza spirituale»

di Paolo Rodari
13/11/2015 - Si è chiuso oggi il Convegno ecclesiale nazionale promosso dalla Cei nel capoluogo toscano. Parla il Presidente dei Vescovi italiani. Dalle parole del Papa alle cronache degli ultimi tempi, un'evidenza: «Siamo chiamati a una continua conversione»
A chiusura del Convegno ecclesiale della Conferenza episcopale italiana a Firenze ha preso la parola il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei. Egli, ripercorrendo l’intervento di papa Francesco di martedì scorso, ha ricordato come lo scopo del vivere e dell’esistere della Chiesa è da sempre uno: «Seguire e imitare Gesù, rendendolo presente agli occhi del nostro mondo». Per fare ciò, come Chiesa, ha detto Bagnasco, «siamo chiamati a vivere in uno stato di continua missione». Un compito da cui il presidente dei Vescovi italiani ha tratto cinque sottolineature: anzitutto «uscire, andare». Perché «non basta essere accoglienti: dobbiamo per primi muoverci verso l’altro, perché il prossimo da amare non è colui che ci chiede aiuto, ma colui del quale ci siamo fatti prossimi». Quindi «annunciare la persona e le parole del Signore, secondo le modalità più adatte perché, senza l’annuncio esplicito, l’incontro e la testimonianza rimangono sterili o quantomeno incompleti». La terza tappa è la missione: «Abitare, termine con il quale ci richiamiamo a una presenza dei credenti sul territorio e nella società, secondo un impegno concreto di cittadinanza, in base alle possibilità di ognuno». La comunità e i credenti sono poi chiamati «al compito di educare per rendere gli atti buoni non un elemento sporadico, ma virtù, abitudini della persona, modi di agire e di pensare stabili, patrimonio in cui la persona si riconosce». Tutti questi passaggi, infine, sono tesi «a trasfigurare le persone e le relazioni, interpersonali e sociali».

giovedì 12 novembre 2015

Il Papa a Firenze

IL PAPA A FIRENZE

Il genio del cristianesimo, vivo

di Davide Perillo
10/11/2015 - Francesco ha parlato al Convegno Ecclesiale nel capoluogo toscano. Un discorso storico, che in tanti ha provocato un contraccolpo. Perché ha rimesso al centro Cristo. E una proposta alla nostra libertà
Bisognerà leggerlo, riprenderlo, studiarlo a fondo. E bisognerà lavorarci su tanto anche solo per iniziare a rendersi conto della ricchezza che offre alla Chiesa. Ma il contraccolpo è tale che già adesso, a botta calda, può essere d’aiuto fissare qualche punto dello storico discorso che papa Francesco ha fatto al Convegno della Cei di Firenze. Senza la minima pretesa di definire nulla, ci mancherebbe. Ma solo per mettere a fuoco meglio cosa è successo a molti di noi, ascoltandolo. Per accorgerci di più del perché da subito lo abbiamo avvertito come uno choc benefico, una scossa che sorprende e insieme rende lieti.

Anzitutto, la partenza. Commossa (bastava guardare in faccia il Papa) e commovente. Lo sguardo fisso sulla’Ecce homo della cupola di Santa Maria del Fiore. «Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo. È la contemplazione del volto di Gesù morto e risorto che ricompone la nostra umanità, anche di quella frammentata per le fatiche della vita, o segnata dal peccato. Non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo. È il misericordiae vultus. Lasciamoci guardare da Lui. Gesù è il nostro umanesimo. Facciamoci inquietare sempre dalla sua domanda: “Voi, chi dite che io sia?”».

martedì 10 novembre 2015

Ucraina, un inizio nuovo

UCRAINA

La "comunità volante" di inizio in inizio

di Luca Fiore
10/11/2015 - Tre giorni a Kar’kov per riprendere l'anno insieme. Sono venuti anche da Russia, Bielorussia e Italia. Più di due terzi sono ortodossi. Tra loro anche il Vescovo ausiliare di Kiev. Un'amicizia che cresce e che chiede aiuto ai santi
Sui due televisori al plasma scorrono i video musicali di una specie di Mtv ucraina. Sui tavoli di legno grezzo del Puzata Kata si mangia borsch e pollo “alla Kiev”. Il ristorante si trova di fronte all’austero Museo di Storia di Kar’kov, presidiato da due carri armati della Seconda guerra mondiale. Il grande termometro alto come un palazzo, simbolo della città, segna zero gradi. La birra non è ancora finita quando Aleksandr Filonenko introduce la Giornata di inizio anno di quella che si autodefinisce la “comunità volante”: «È bello iniziare, la nostra comunità passa da inizio a inizio».

Quello che si è svolto il weekend di Ognissanti è un momento sui generis rispetto ai gesti di CL che conosciamo. Per diversi motivi. Il primo è che in realtà si tratta di una vera e propria tre-giorni. Il secondo è che i partecipanti non sono solo ucraini (di Kar’kov, Kiev, Odessa e Chernivtsi), ma arrivano anche da Russia, Bielorussia e Italia. Il terzo è che oltre i due terzi dei partecipanti (120, l’anno scorso erano 70) sono ortodossi. Ai tavoli del Pazata Kata è seduto anche Ilarij, vescovo ausiliare del Metropolita di Kiev. Ormai è un amico. E non è per niente scontato.

GUSTAVO ZAGREBELSKY - Unicuique suum. Radici, condizioni ed espressioni ...

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domenica 8 novembre 2015

Cristiani e clown: intervista a Mauro Magatti

L'intervista integrale a Mauro Magatti
La bellezza che fa l'io più io
di Paolo Perego
Docente di Sociologia alla Cattolica di Milano, è stato chiamato a parlare al tavolo del quinto convegno ecclesiale della Cei, “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, dal 9 al 13 novembre a Firenze. A pochi giorni da questo appuntamento, Mauro Magatti si confronta con le parole di don Carrón alla Giornata di inizio anno di CL.

Professore, il cristiano rischia davvero di essere un clown nel mondo di oggi? L’uomo è un essere dinamico e ancora di più lo è lo sviluppo della società moderna, sempre in continua metamorfosi. Oggi, in questa metamorfosi, vediamo pulsioni contraddittorie. Di secolarizzazione, da un lato, ovvero di perdita di rilevanza dell’esperienza religiosa, soprattutto in Occidente. Dall’altro troviamo spinte che vanno nella direzione di aprire spazi nuovi per la religione. Questa immagine, il clown, in qualche modo coglie bene il nostro tempo: per come la vita quotidiana e l’esperienza ordinaria di chiunque si costruiscono e per le certezze che il mondo contemporaneo tende ad offrire, la sensazione è che parlare di religione sia qualche cosa che non ha senso. Clownesco, appunto. Non c’entra con la vita.

Lei al Meeting, facendo eco a papa Francesco, pur riferendosi ai cattolici nella società negli ultimi trent’anni, parlava di una perdita del legame con il cuore della fede... Carrón usa l’espressione “crollo delle evidenze”. Una cosa che, nel nostro tempo, avvertiamo in maniera molto forte. E questa, nel senso pieno del termine, è una grande sfida per i cristiani. È il venire meno di tanti riferimenti a cui siamo abituati e su cui anche lo stesso cristianesimo è potuto fiorire, perché nascevano anche da esso. Vero, questo potrebbe suscitare preoccupazione, se non ansia o paura. Ma è anche una sfida avvincente. Quelle evidenze stanno crollando perché l’esperienza umana contemporanea, pur nella sua contraddizione, cerca punti di sintesi più alti e avanzati. Questo si vede in economia, in politica, nella scienza. Piuttosto che, per rimanere nel quotidiano, nella vita famigliare. Viviamo nella scomoda situazione di non potere dare per scontate tante cose, ma di essere dentro un processo di distruzione creatrice.

sabato 7 novembre 2015

"La bellezza disarmata", presentazione a Roma del libro di don Julián Ca...

Roma: la Bellezza disarmata, presentazione

LA PRESENTAZIONE A ROMA DE "LA BELLEZZA DISARMATA"

Un nuovo inizio, una strada affascinante

di Paolo Rodari
06/11/2015 - "La bellezza disarmata" di Julián Carrón protagonista della serata di ieri all'auditorium di via della Conciliazione. A dialogare con la guida di CL, il cardinale Jean-Louis Tauran e Luciano Violante. Online anche il video dell'evento
Qual è il contesto in cui viviamo oggi? Dove ci troviamo a vivere la fede? Il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e camerlengo di Santa Romana Chiesa, se l’è chiesto ieri sera aprendo a Roma, all’auditorium di via della Conciliazione, l’incontro di presentazione de La bellezza disarmata, il primo libro di Julián Carrón, guida del movimento di Comunione e Liberazione. Domande, le sue, decisive oggi. Tutto il libro di Carrón, del resto, ruota attorno a quella che è l’evidenza di un contesto nuovo del quale occorre avere consapevolezza: «In un mondo pluralista, nel quale il cristianesimo, e la concezione dell’uomo e della vita che da esso deriva, è diventato un’opzione fra le altre siamo chiamati a vivere la fede senza privilegi, talvolta perseguitati», ha spiegato Tauran, parafrasando una pagina del volume: «Viviamo in un mondo dove sempre più sovente assume forma legislativa una antropologia del tutto opposta a quella che noi riconosciamo come più umana e che fino a non molto tempo fa era condivisa naturalmente da tutti, anche da quanti non avevano la fede cristiana».

venerdì 6 novembre 2015

Famiglie per l'accoglienza: 'Ospitare: perchè?'

MILANO

Otto sì di "ordinaria" accoglienza

di Maria Luisa Minelli
06/11/2015 - Una serata con le testimonianze di Famiglie per l'Accoglienza. Da Raffaella e Marco, che hanno preso con loro tanti stranieri, a Stefania e Paolo, che hanno adottato Michele, affetto da sindrome di Down. Ecco il loro racconto
«Non dimenticate l’ospitalità. Alcuni, praticandola, senza saperlo, hanno accolto degli angeli». Monsignor Francesco Braschi, Dottore della Biblioteca Ambrosiana di Milano, parte dalla citazione di san Paolo, nella Lettera agli ebrei, per rispondere alla domanda che dà titolo all’incontro "Ospitare, perché? Storie di (ordinaria) accoglienza", organizzato dall’associazione Famiglie per l’Accoglienza, giovedì 5 novembre.

Ma per capire meglio queste parole occorre fare un passo indietro, e osservare innanzitutto il tavolo dei relatori dell’auditorium della parrocchia di Santa Maria Nascente di Milano. Un banco "sovraffollato": ad occuparlo, da lato a lato, sono Marco, Raffaella, Paolo, Stefania, Roberto, Angela, Ercole e Adriana, quattro coppie provenienti da Milano e Provincia. Non tutti prendono la parola, ma ognuno vuole essere presente, raccontare, anche solo con gli occhi, quello che ha cambiato la sua vita.

Tarkoskij, l'infanzia di Ivan

L'INFANZIA DI IVAN

E Tarkoskij gridò: «Basta»

di Luca Marcora
06/11/2015 - Sul fronte a Est, durante il Secondo conflitto, si snoda la storia di un orfano unito ai sovietici nella lotta ai nazisti. Un film accusato di tradimento al realismo socialista. E che punge «come una puntura d'ago», nascondendo il segreto di una speranza
Durante la Seconda guerra mondiale il dodicenne Ivan (Burlyayev), la cui famiglia è stata sterminata dai nazisti, compie missioni esplorative per conto dell’esercito russo sul fronte con i tedeschi. Quando il comando decide di mandarlo alla scuola militare, gli viene affidato un ultimo incarico…

Alla sua uscita il primo lungometraggio di Andrej Tarkovskij suscita grandi polemiche, soprattutto in Italia. La critica comunista rimprovera al giovane regista russo di avere tradito il realismo socialista: dalle colonne de l’Unità, Ugo Casiraghi definisce l’opera un «poemetto» rimpolpato «con un linguaggio calligrafico, con preziosismi formali» (2 settembre 1962), ovvero quell’estetica piccolo-borghese che è l’esatto opposto di ciò che normalmente si dovrebbe produrre in Unione Sovietica. Sempre sul quotidiano del Pci, però, addirittura Jean-Paul Sartre scrive al direttore Mario Alicata una calorosa lettera in difesa del film, per il quale conia la definizione di «surrealismo socialista». «In mezzo alla gioia», scrive in un passaggio il filosofo francese «di una nazione che ha pagato duramente il diritto di proseguire la costruzione del socialismo, c’è - tra tanti altri - questo buco nero, una puntura d’ago irrimediabile: la morte di un bambino nell’odio e nella disperazione. Nulla, neppure il comunismo avvenire (questa la traduzione pubblicata su l’Unità, ndr) riscatterà questo» (9 ottobre 1962).

Svetlana Aleksievic: «Cerco il soggetto dell'anima»

FAMIGLIA Alle radice della Generazione

giovedì 5 novembre 2015

Kenia: amicizia e teatro nello slum

KENYA

Il teatro nella bidonville

di Riccardo Bonacina
05/11/2015 - In uno slum di Nairobi, da 15 anni c'è una scuola speciale. Dove, ora, i ragazzi vanno anche in scena. Grazie a una «cascata» di amicizia, che arriva da lontano. Viaggio nella Little Prince e nel laboratorio teatrale dedicato ad Emanuele Banterle
Bisognava sentirlo Anthony Maina, l’elegantissimo preside con la sua giacca bianca, raccontare la storia della Little Prince: la scuola primaria con 300 bambini, dai 4 ai 14 anni, che sorge «come un castello», ha scritto una delle piccole alunne, all’inizio del più grande slum di Nairobi e dell’Africa intera, Kibera. Qui vivono, dicono le agenzie internazionali misurando “a spanne”, almeno 800mila persone in condizioni inaccettabili, in tuguri di lamiera o fango, senza fogne, in mezzo ai rifiuti; e spesso i bambini dormono, in piedi o accovacciati, in un angolo dei pochi metri quadrati a disposizione per 8-10 persone.

Anthony racconta: iniziata nel 2000, come doposcuola, per sette bambini, è diventata «come un castello» nel 2005, e oggi ospita l’intero ciclo della scuola primaria. Snocciola orgogliosamente davanti ad una platea di genitori, ragazzi e ospiti importanti, tra cui l’ambasciatore italiano in Kenya, Mauro Massoni, fatti e numeri (come quello che segnala che in una delle zone più complicate del Paese c’è un tasso di abbandono dell’8%, contro il 35% del resto del Kenya), che si sviluppano intorno a due parole. Parole che nel racconto di Anthony sostengono e danno senso e direzione ai tanti passi fatti in quindici anni: amicizia e teatro.

mercoledì 4 novembre 2015

Sunniti e sciiti: l'origine dell'antica frattura

Sunniti e sciiti: le differenze e l'origine dell'antica frattura

Per disarmare il conflitto all'interno del mondo islamico occorre rinunciare all'identificazione tra sfera secolare e religiosa


I numeri non sono ancora certi. Le cifre ufficiali rilasciate dal regno saudita parlano di 769 morti, eppure report della stampa internazionale e i conti dei Paesi islamici che hanno riportato vittime gonfiano il tragico bilancio: oltre 2.100. A settembre, una ressa durante il pellegrinaggio islamico alla Mecca ha portato alla morte di centinaia di persone. L’Iran sarebbe il Paese più colpito: il governo di Teheran, nazione sciita, parla di oltre 450 morti accertati. La strage ha creato un’ulteriore frattura nella storica rivalità regionale tra sunniti e sciiti. Riyad, dove regna la casa dei Saud, monarchia sunnita, “deve assumersi le responsabilità per questo grave incidente porgendo scuse alla nazione islamica e alle sue famiglie in lutto, e agire come necessario”, ha detto la Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei. L’Iran è arrivato fino a richiedere una trasformazione nella gestione dell’Hajj, il pellegrinaggio rituale islamico, da parte delle autorità saudite. La storica rivalità regionale si declina oggi in conflitti indiretti in Yemen, dove l’Arabia Saudita porta avanti una campagna militare in favore delle forze del presidente Ali Abdullah Saleh contro i ribelli sciiti Houthi appoggiati dall’Iran. Anche nel conflitto in Siria e Iraq, Arabia Saudita e Iran si trovano su fronti opposti: Teheran sostiene da sempre il regime di Bashar al-Asad mentre Riyad appoggia militarmente e finanziariamente alcuni dei gruppi armati che combattono contro Damasco. Le tensioni e l’annosa rivalità tra sunniti e sciiti che oggi dà forma a tanta politica regionale in Medio Oriente hanno origini lontane nella storia dell’Islam. Chi sono dunque sunniti e sciiti e perché gli equilibri della regione passano spesso attraverso le loro difficili relazioni? Lo spieghiamo rispondendo ad alcune semplici domande che in questi mesi ci è capitato di ascoltare o leggere.

di Martino Diez

lunedì 2 novembre 2015

La festa di tutti i Santi

La radice della vocazione alla santità

Angelus di papa Francesco (Piazza San Pietro, domenica 1 novembre 2015)
02/11/2015
Cari fratelli e sorelle, buongiorno e buona festa! Nella celebrazione di oggi, festa di Tutti i Santi, sentiamo particolarmente viva la realtà della comunione dei santi, la nostra grande famiglia, formata da tutti i membri della Chiesa, sia quanti siamo ancora pellegrini sulla terra, sia quelli – immensamente di più – che già l’hanno lasciata e sono andati al Cielo. Siamo tutti uniti, e questo si chiama “comunione dei santi”, cioè la comunità di tutti i battezzati.
Nella liturgia, il Libro dell’Apocalisse richiama una caratteristica essenziale dei santi e dice così: essi sono persone che appartengono totalmente a Dio. Li presenta come una moltitudine immensa di “eletti”, vestiti di bianco e segnati dal “sigillo di Dio” (cfr 7,2-4.9-14). Mediante quest’ultimo particolare, con linguaggio allegorico viene sottolineato che i santi appartengono a Dio in modo pieno ed esclusivo, sono sua proprietà. E che cosa significa portare il sigillo di Dio nella propria vita e nella propria persona? Ce lo dice ancora l’apostolo Giovanni: significa che in Gesù Cristo siamo diventati veramente figli di Dio (cfr 1 Gv 3,1-3).
Siamo consapevoli di questo grande dono? Tutti siamo figli di Dio! Ci ricordiamo che nel Battesimo abbiamo ricevuto il “sigillo” del nostro Padre celeste e siamo diventati suoi figli? Per dirlo in un modo semplice: portiamo il cognome di Dio, il nostro cognome è Dio, perché siamo figli di Dio. Qui sta la radice della vocazione alla santità! E i santi che oggi ricordiamo sono proprio coloro che hanno vissuto nella grazia del loro Battesimo, hanno conservato integro il “sigillo” comportandosi da figli di Dio, cercando di imitare Gesù; e ora hanno raggiunto la meta, perché finalmente “vedono Dio così come egli è” (continua a leggere sul sito della Santa Sede)