venerdì 28 dicembre 2018

Adua, l'ospedale di suor Laura

REPORTAGE
Suor Laura, una speranza per Adua
Adua
«Li vedevo morire sotto i miei occhi, tra le mie braccia. Non potevo continuare a commuovermi per la sorte di quei bambini e rimanere inattiva, dovevo fare qualcosa per loro. Io sono fatta così». È fatta così Laura Girotto, suora salesiana, donna infaticabile, un vulcano di idee, una fucina di opere. L’ultima in ordine di tempo verrà inaugurata tra poche settimane, il 31 gennaio, in occasione della festa di San Giovanni Bosco: un ospedale ad Adua – nella regione del Tigrè, Etiopia – che si va ad aggiungere ad altre attività nate in questi anni nella missione salesiana di Kidane Mehret, da lei fondata nel 1994 con l’aiuto dell’Associazione Amici di Adwa-Onlus. Si comincerà con pronto soccorso, sala parto, ambulatori e un reparto di degenza con 27 posti letto. È opera quanto mai necessaria un ospedale da quelle parti, dove la mortalità infantile miete 50 vittime ogni mille nati, e dove le strutture sanitarie statali sono gravemente deficitarie. L’ospedale nasce nello spirito che anima tutte le attività della missione: formare personale che nel tempo diventi capace di far crescere la struttura in maniera autonoma. «Devono imparare a farcela da soli, gestendo con strutture e metodi adeguati quello che in questi anni abbiamo costruito insieme. Il nostro obiettivo è renderci superflui. Il futuro dell’Etiopia devono costruirlo gli etiopi, altrimenti si rischia un neocolonialismo mascherato dalle buone intenzioni», osserva suor Laura, che ha alle spalle un “curriculum missionario” comprendente India, Siria, Egitto, Zaire e Libano. 

giovedì 13 dicembre 2018

Inediti: Robert Spaemann

Spaemann: «O Dio è, o l’uomo è illusione»
Fissione nucleare, così iniziò l’era atomica / 24 Klimt e De Chirico: filosofia a colori / 25 La musica di Diodato contro le mafie / 26 Sport invernali, un test per l’Italia / 27
INEDITI
Signori e signore, cari amici: o Dio c’è oppure l’autocomprensione dell’uomo in quanto essere di ragione, vale a dire in quanto persona, è un’illusione. Il razionalismo dell’Illuminismo da lungo tempo si è abbandonato alla fede nella impotenza della ragione umana, alla fede nel fatto che noi non siamo ciò che pensiamo di essere: esseri liberi, autodeterminati. La fede cristiana non ha mai considerato l’uomo tanto libero come ha fatto l’idealismo, ma nemmeno lo considera così privo di libertà come fa oggi invece lo scientismo. Ragione, ratio, significa tanto ragione quanto fondamento.
La visione scientista del mondo considera il mondo e dunque anche se stessa come priva di un fondamento. La fede in Dio è la fede in un fondamento del mondo, che lui stesso non è senza fondamento, dunque irrazionale, ma 'luce', trasparente a se stessa e così suo proprio fondamento. La prima domanda che vorrei discutere è: che cosa crede colui che crede in Dio? Egli crede in una fondamentale razionalità della realtà. Egli crede che il bene sia più fondamentale del male. Egli crede che ciò che è inferiore debba essere compreso a partire da ciò che è superiore e non viceversa. Egli crede che il non senso presupponga il senso e che il senso non sia una variante dell’assurdo. Questo però significa che, contrariamente a quanto afferma David Hume, secondo il quale ' we never really advance a step beyond ourselves', colui che crede in Dio crede che nell’incontro con gli altri noi abbiamo a che fare con la realtà. Non possiamo amare un uomo senza credere che l’altro è reale. Nel concetto di 'Dio' noi pensiamo l’unità di due predicati, che nel nostro mondo esperienziale solo qualche volta e mai in modo necessario risultano connessi l’uno all’altro: l’unità dei predicati 'potente' e 'buono', l’identità del potere assoluto e del bene assoluto, l’unità di essere e senso. Questa unità non è per noi una verità analitica. Essa non si comprende da se stessa [...].

mercoledì 12 dicembre 2018

J. Vanier, L'aldilà

ANTICIPAZIONE
L’aldilà? È la libertà dell’amore
Che cosa succede quando moriamo? Credo che ci addormentiamo, e che poi c’è un risveglio nella luce. Questa luce è così pacifica e piena di gloria che, quando ci svegliamo, è un momento di giubilo incredibile. Questa luce è Dio? Non ne siamo certi. Forse è un riflesso di Dio. Dopo tutto, non siamo ancora pronti per un incontro faccia-a-faccia o cuore-a-cuore. Tuttavia, è chiaro che qui siamo benvenuti e che non siamo soli. Abbiamo la sensazione di essere avvolti da qualcosa di meravigliosamente intimo. È una profonda esperienza di pace interiore.
In mezzo a questa bellezza, a questo sollievo e benessere, sorge una domanda: che cosa succederà adesso? Forse per il nostro desiderio di sapere e di cercare, abbiamo la sensazione che in questa luce vi sia una presenza. Intravvediamo un volto. C’è un incontro. Non è un’unione, ma una relazione. Dio non è soltanto questa luce, ma una presenza, una persona. D’un tratto scopro che sono amato da questa persona.
Mi sembra che sapere di essere amati così profondamente e così semplicemente potrebbe portare ad una profonda tristezza e senso di colpa. Come è possibile che io sia amato? Ho rifiutato così spesso la vita, ho omesso di essere aperto alla vita, ho cercato in tutti i modi di tenere il controllo di me stesso. Spesso ho ferito gli altri, non sono stato capace di riconoscere la loro bellezza, ho omesso di portare loro la stessa sensazione di pace e appartenenza che sento ora. Non posso meritare questo amore! Si tratta di un momento di pena interiore, quasi di strazio. La Chiesa lo ha chiamato purgatorio, che è una sorta di purificazione. Tutti quei momenti in cui abbiamo calpestato la vita omettendo di testimoniare in favore della verità, mancando di accettarci l’un l’altro, ritornano. E siamo pieni di sensi di colpa e di vergogna nel trovarci davanti a questa presenza di Dio, essendo stati così miserabili.