giovedì 30 marzo 2017

Melazzini: Dignità della vita anche in un corpo malato

Dignità della vita davanti alla fine. Perché un corpo malato può dare salute all'anima (www.avvenire.it)


Mario Melazzini* giovedì 30 marzo 2017
Ancora una volta le storie umane, di grande sofferenza e dolore, ci pongono di fronte a riflessioni importanti sul valore della vita e sul suo significato, sul perché si decida di intraprendere determinati percorsi. Quando si è colpiti da una malattia, una grave disabilità, qualunque essa sia, a prima vista pare impossibile se non insensato coniugarla con il concetto di salute. Ancora di più se si tratta di malattie rare, poco conosciute e di cui, allo stato attuale, non si conoscono terapie efficaci per guarirle, oppure di una patologia oncologica né chemio sensibile, né radio sensibile e neppure proponibile per un approccio chirurgico.
A volte, però, può succedere che una malattia o una grave disabilità che mortifica e limita il corpo, anche in maniera molto evidente, possa rappresentare una vera e propria medicina per chi deve forzatamente convivere con essa senza la possibilità di alternative. Perché la malattia può davvero disegnare, nel bene e nel male, una linea incancellabile nel percorso di vita di una persona. O, ancora meglio, edificare una serie di Colonne d’Ercole superate le quali ci è impossibile tornare indietro, ma se lo si vuole, ci è ancora consentito di guardare avanti. Ed è proprio questo il nocciolo della questione. Quando si ha la fortuna di conservare intatte e inalterate le proprie capacità cognitive, è comunque possibile pensare a ciò che è possibile fare piuttosto che a quello a cui non si è più in grado di ottemperare. Se si ragiona in questi termini, la malattia può davvero diventare una forma di salute. È salutare perché permette di sentirsi ancora utili per se stessi e per gli altri, incominciando dai propri famigliari per proseguire con gli amici ed i colleghi di lavoro.

mercoledì 29 marzo 2017

I ragazzi del Clu e il Papa a Monza

CLU A MONZA

«La comunione intorno a me...»


27/03/2017 - La domanda provocatoria di un amico. La notte in cammino per arrivare a Monza. Nel racconto di un universitario di Milano la scoperta che «quel gesto era per la mia conversione»
Qualche giorno prima della visita del Papa a Milano, un amico mi chiedeva un po’ provocatoriamente perché valesse la pena partecipare alla messa al parco di Monza. Dopotutto, diceva, se il punto è sentire cosa il Papa ha da dire, tutti i discorsi si sarebbero trovati su internet nel giro di poco tempo. «E poi il Papa non viene per incontrare me, io non lo conosco mica personalmente, non è importante per la mia vita».

Un po’ piccato, gli rispondevo che anch’io non ero entusiasta all’idea di andare all’affollata messa di Monza, ma ero certo che l’importante fosse prendervi parte e non soltanto ascoltare le parole del Papa; e che sarebbe stato un gesto di conversione, proprio in un momento come la Quaresima.

Qualche tempo dopo, lo stesso amico mi aveva chiesto se poteva venire con me a Monza, e così con un gruppo di amici venerdì notte ci siamo messi in marcia.

I ragazzi di Gioventù Studentesca e il Papa a Milano

LETTERE (www.tracce.it)

Quel sabato straordinario a Monza


27/03/2017 - La lunga attesa al parco della Villa Reale con gli amici di Gioventù Studentesca della scuola. Poi la messa. «Rallegrati, il Signore è con te», le parole di Francesco entrano nel cuore. E tutto cambia. Anche una pizza...
Sabato 25 marzo sembra quasi un sabato qualunque se non che al posto della cartella con i libri di scuola esco di casa con uno zaino con tre panini, due merendine e tutto il necessario per affrontare una giornata, a in previsione piovosa, al parco di Monza. Con i ragazzi di GS della mia scuola prendiamo il treno e assieme ad altre migliaia di fedeli, tutti spaventati dalla lunga camminata a cui eravamo stati preparati, arriviamo al parco.

Il sole è spuntato e ci accompagna nelle ore di attesa. Gente che canta, gente che studia, gente che gioca a carte o che riposa distesa al sole. Qualcosa è iniziato a cambiare. Io e le mie amiche ridiamo, scherziamo e ci leghiamo in testa le bandane che i volontari stanno distribuendo come se non volessimo togliercele mai più, come a dire io ci sono e sono felice di esserci. Finalmente arriva la notizia che il Papa è partito dal carcere di San Vittore. Agitate ed emozionate corriamo alla transenna per riuscire a vedere quella persona che ha radunato un milione di fedeli, prova del fatto che quel Fatto è avvenuto davvero. La papamobile ci sfreccia davanti, Francesco è arrivato e la gioia si legge sui volti di tutte le persone che mi stanno accanto.

Inizia la messa e sono incredibili il silenzio e la pace che accompagnano la celebrazione. Le parole del Papa durante l’omelia richiamano la mia attenzione. «Rallegrati, il Signore è con te». Ed era proprio quello che stava accadendo. Il Signore era lì in quel momento, attraverso i volti di tutti i presenti. «Una gioia che genera vita, che genera speranza, che si fa carne nel modo in cui guardiamo al domani, nell’atteggiamento con cui guardiamo gli altri. Una gioia che diventa solidarietà, ospitalità, misericordia verso tutti», continua il Papa. Sabato 25 marzo non era più un sabato qualunque. L’annuncio di questo avvenimento ha toccato i cuori di tutti e ancora una volta ha risvegliato in noi il desiderio di incontrarLo sempre e ovunque. Per rendere possibile l’impossibile, per rendere un sabato qualunque, un sabato straordinario. Terminata la messa ci incamminiamo verso la stazione. La coda è lunga, le gambe e la schiena fanno male, ma i cuori sono così pieni di Lui che anche la fatica può essere affrontata con il sorriso stampato sul viso.

Alle 9 di sera varco la soglia di casa, una pizza calda mi aspetta, come d’altronde ogni sabato sera. Ma questa volta è tutto diverso.

Letizia, Milano

lunedì 27 marzo 2017

Il Papa a Milano

CON I CRESIMANDI

San Siro, i bambini che ci guardano (www.tracce.it)

di Luca Fiore
27/03/2017 - Laura fa la catechista da 20 anni in una parrocchia del centro di Milano. Era allo stadio con 170 tra cresimandi e genitori. «I bambini sono stati colpiti dall'invito a guardare alla fede dei nonni». Ma le provocazioni più forti sono per gli adulti
Sansir, l’era ’n cadin d’èrba e culur…, scriveva Franco Loi. Era da qualche anno che allo Stadio Meazza non si vedeva tanto entusiasmo. Tutti gli 80mila posti erano occupati dai cresimandi della Diocesi di Milano, accompagnati da genitori e catechisti. A seconda dei settori le pettorine erano rosse, gialle, azzurre, viola. Le coreografie degne di un derby. Francesco entra con la papamobile accolto da un boato. I bambini scandiscono il suo nome come se fosse un goleador argentino. Il Papa risponde alle domande di uno dei cresimandi, di una coppia di genitori e di una catechista. Il gesto dura quasi novanta minuti.

«All’inizio i maschi erano felici soprattutto perché erano allo stadio. Chiedevano ai volontari a che squadra tenessero e si sentivano rispondere: “Oggi tifiamo tutti per il Papa”». A raccontare è Laura, da 20 anni catechista, in una delle zone più centrali di Milano. È qui con il gruppo dell’unità pastorale Paolo VI, che raggruppa l’Incoronata, San Marco, San Simpliciano e Santa Maria del Carmine: 170 tra bambini e genitori, più dieci catechisti. «I ragazzi attendevano molto questo gesto, erano attentissimi. Ma si vedeva che anche i genitori ci tenevano», spiega. «Siamo stati a San Siro dalle 14.30 alle 19 e temevo che dopo un po’ i ragazzi si stufassero. Ma nessuno si è lamentato. Erano tutti contenti».

Il Papa? «È stato grande: ha detto ai ragazzi di guardare i nonni, come ha fatto lui da bambino. Ha chiesto ai genitori di passare il tempo a giocare con i figli e a noi catechisti di insegnare la fede con la testa, il cuore e con le mani». C’è un passaggio, poi, molto forte del discorso di Francesco ai papà e alle mamme: «Non immaginate l’angoscia che sente un bambino quando i genitori litigano». Prima che scatti l’applauso, ancora nel silenzio, Laura racconta di aver sentito, nel suo settore, una voce di bambino dire ad alta voce: «È vero».

«Tornando a casa ho chiesto a qualche bambino che cosa gli avesse colpiti. Qualcuno ha detto il consiglio di guardare ai nonni. Altri hanno citato l’esempio della famiglia di Buenos Aires che, al povero che bussa alla porta, offre metà delle cotolette che ha nel piatto», spiega Laura: «I bambini hanno capito che quel che si dà a chi ha bisogno, deve essere qualcosa per cui si deve fare almeno una piccola rinuncia».

Il richiamo all’uso del tempo dei genitori, poi, è di certo qualcosa che tocca molto la vita dei milanesi del centro città: «I nostri bambini sono quasi tutti figli di gente benestante. Molti sono accompagnati al catechismo dalla tata, perché entrambi i genitori lavorano. Ma il Papa chiede ai genitori di “perdere” il tempo giocando con i figli: che ci sia un momento in cui gratuitamente danno il loro tempo. E poi mi è sembrato utile che abbia detto che in Argentina le famiglie, dopo la messa, vanno al parco e passano il tempo con le altre famiglie. Spesso viviamo il nostro tempo libero in solitudine».
C’è, nel gruppo di Laura, qualche genitore che, spaventato dall’attentato di Londra, ha scelto di non venire: «Ho saputo che hanno seguito il gesto per televisione».

La giornata è stata lunga. Si torna a casa stanchi ma contenti. Ma il congedo dei bambini sorprende Laura: «Ci vediamo martedì». Di nuovo per il catechismo. Il giorno della Cresima è vicino.

venerdì 24 marzo 2017

Parolin: Europa, populismi, buona politica

Parolin: “Per rispondere ai populismi serve la buona politica”

Intervista con il Segretario di Stato alla vigilia della celebrazione dei Trattati di Roma: «Dai cristiani non ci si aspetta che dicano cosa fare, ma che mostrino con la loro vita la via da percorrere»
Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato

Pubblicato il 22/03/2017
città del vaticano
«I populismi sono il segno di un malessere profondo percepito da molte persone in Europa» . Inquietudini «autentiche» che «non possono essere in alcun modo eluse», alle quali si risponde «con più politica», e con «la buona politica» che non è quella delle reazioni «urlate» o della ricerca immediata del consenso elettorale. Alla vigilia del 60° anniversario dei Trattati di Roma il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano parla alla Stampa delle sfide che l'Europa deve affrontare.
 
Che cosa significa celebrare oggi i 60 anni dei Trattati di Roma, inizio dell'unità europea?
 
Significa affermare che il progetto europeo è vivo. Sappiamo che ci sono difficoltà, tuttavia l’ideale rimane attuale. Alla base dei Trattati di Roma vi era la volontà di superare le divisioni del passato e privilegiare un approccio comune alle sfide del nostro tempo. La pace e lo sviluppo di cui l’Europa ha beneficiato sono un frutto tangibile della firma apposta il 25 marzo 1957. La celebrazione di quell’evento ci ricorda dunque che ancora oggi è possibile lavorare insieme, poiché ciò che unisce è più importante e anche più forte di ciò che divide.
 

martedì 21 marzo 2017

Carron in America Latina

AMERICA LATINA

C'è una terra più in là (www.tracce.it)

di Alessandra Stoppa
21/03/2017 - L'Assemblea dei responsabili di CL con Julián Carrón. In trecento da venti Paesi di tutto il Continente. La loro amicizia. E i dialoghi senza sconti, dalle crisi politiche al gender. «La fede non basta, se non sappiamo cos'è la fede»
«Non plus ultra». Sono le tre parole che la tradizione vuole inscritte sulle colonne d’Ercole, il limite estremo del mondo. Nella facciata della cattedrale di Santo Domingo, la prima delle Americhe, sono scolpite, ma senza il “non”: «Plus ultra», perché ciò che era impensabile esiste. C’è qualcosa - e molto - oltre ciò che si conosce.

Nel Continente dove la fede è arrivata a rompere i limiti del prevedibile, quel motto è stampato sui trecento libretti dell’Assemblea responsabili di CL dell’America Latina (Aral), che compie dieci anni. Non è una suggestione poetica, è sapere che c’è una navigazione ancora più audace: l’ideale della vita è un sogno o si tocca, esiste? Non c’è niente di acquisito nei tre giorni di dialogo (17-19 marzo) tra Julián Carrón e gli amici arrivati a San Paolo da venti Paesi, dopo viaggi a volte più lunghi del soggiorno.

È passato un anno di cammino e le condizioni di vita in molti posti sono più pressanti, ridurrebbero in cenere ogni desiderio. Per alcuni, invece, no. «Amo di più la vita ora di prima». Jenny è una giovane mamma di El Tocuyo, un paesino rurale ai piedi delle Ande, al Nord del Venezuela, dove la crisi non risparmia nessuno: con gli amici ha creato una rete di distribuzione del cibo per le famiglie più bisognose. È troppo felice di poterlo fare. «È troppo quello che ho ricevuto», precisa lei: «Incontrare Cristo è una grazia così grande che per ringraziare abbracci la vita come viene».

lunedì 20 marzo 2017

Intervento del card.Vlk,deceduto da poco, al Meeting di Rimini del 1997

REPUBBLICA CECA

«Quando a Praga lavavo i vetri...»

di Miloslav Vlk
20/03/2017 - È morto il 18 marzo il cardinale Miloslav Vlk, arcivescovo emerito della Capitale boema. Perseguitato dal regime cecoslovacco, ha guidato la sua Chiesa fino al 2010. Qui, brani dall'intervento al Meeting del 1997

All’inizio del comunismo, negli anni Cinquanta, abbiamo aspettato la salvezza dagli Stati occidentali democratici, dalle armi americane, dalle forze umane. Dio ci ha fatto capire pian piano, come Chiesa, che la sua strada, la strada del futuro, era un’altra. Anche alcuni sacerdoti hanno tentato di salvare la Chiesa per altre vie, con il compromesso. Ma in questo modo la strada non si è aperta.

Finita la “primavera di Praga”, l’atmosfera è diventata più dura. Siamo rimasti soli, abbandonati. Ma la cortina di ferro non era così fitta da non lasciar filtrare le nuove correnti spirituali nate in occidente che ci aiutavano a riandare al cuore del vangelo cioè alla notizia sconvolgente della morte e risurrezione del Cristo. Personalmente penso qui in particolare alla spiritualità dei Focolari e alla visione di Gesù crocifisso ed abbandonato.

Paragonando il mio capire la croce con quello di chi viveva questa spiritualità, mi sono accorto ben presto che io vedevo la croce di Gesù soprattutto come un oggetto sacro, come uno strumento della salvezza, come un simbolo di tutti i dolori miei e del mondo, delle sofferenze e persecuzioni che prendevo su di me spiritualmente come croce. A contatto con questa spiritualità ho avvertito che la croce per me, fino a quel momento, era come depersonalizzata: era una cosa, era uno strumento, non era lui, Gesù, una persona.

giovedì 16 marzo 2017

Vittadini nella moschea di viale Padova a Milano

MILANO

Vittadini in moschea: «Siete parte di noi» (www.tracce.it)

di Maurizio Vitali
16/03/2017 - Il presidente della Fondazione per la Sussidiarietà al centro islamico di via Padova, ospite del direttore Benaissa Bunegab. Ragazzi musulmani e cristiani raccontano la loro amicizia. «Dobbiamo costruire insieme il nostro Paese»
«Voi musulmani siete parte di noi nell’impegnarvi e nel sacrificarvi per fare il bene di questa città». Non s’erano udite prima parole così dalle parti di Via Padova.
Via Padova è l’arteria più lunga e più multietnica di Milano. Un caleidoscopio di quattro chilometri, con un’estremità a ridosso della tangenziale e l’altra che si inoltra verso il centro, a piazzale Loreto. Quando qualche banda fa a pistolettate, via Padova balza ai disonori delle cronache come il peggiore dei Bronx. Poi c’è anche la vita quotidiana non raccontata, fatta di bene e di male, di incontri e diffidenze, di mescolanza e distanze. Di condivisione di spazi, tempi e cose. La moschea, cioè il capannone della Casa della Cultura Musulmana, è a metà dell’arteria. La Casa della Cultura è da 40 anni il luogo dove la comunità islamica si incontra per pregare, festeggiare, dialogare, educare (alla religione), insegnare (la lingua araba). La presiede Benaissa Bunegab. Per una sera a togliersi la scarpe all’ingresso non sono solo musulmani ma anche cristiani. Duecento, forse di più, parte accomodati sulle sedie, parte accovacciati a terra tutt’attorno alla sala. Al tavolo dei relatori c’è Giorgio Vittadini, docente universitario e presidente della Fondazione Sussidiarietà. È lui che ha pronunciato quelle parole inaudite, riportate all’inizio. Il tema scelto è “Le sfide dell’educazione in una società plurale”. Parleranno e dialogheranno i due presidenti, per tracciare i sentieri di una convivenza pacifica e operosa; interverranno anche dei giovani, per raccontare con le loro esperienze come su questi sentieri stanno già camminando, anzi correndo.

Stanistlawa Leszczynska, un'ostetrica ad Auschwitz

L’ostetrica che ad Auschwitz salvò tremila bambini dalla morte (Aleteia.it)


Mary O'Hara I Pinterest, Giuseppe Filograsso I Pinterest
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La storia di Stanisława Leszczyńska, che ha aiutato le partorienti nel campo di concentramento polacco.

“Quando una persona viene svegliata di fretta, spesso fa in tempo a trovare soltanto una scarpa. Quando chiamavano mia madre, di notte, spesso andava in giro con una pantofola sola”. Con queste parole Bronisław Leszczyński ricorda sua madre Stanisława Leszczyńska. “E nella stessa maniera pregava anche la Vergine: anche se con una sola scarpa, vieni in mio aiuto. Mamma diceva che la Vergine non è mai venuta meno”.

Con il suo attestato dentro un tubo di dentifricio

Stanisława Leszczyńska è nata nel 1896 nella città polacca di Lodz. Quando aveva 12 anni, i suoi genitori decisero di trasferirsi a Rio de Janeiro. Lì la bambina ha imparato il portoghese e il tedesco, che molti anni più tardi le salvarono la vita.
Nel 1916 si sposò con un tipografo di Lodz, Bronisław Leszczyński. Quattro anni più tardi, la coppia si trasferì a Varsavia, dove Stanislawa iniziò i suoi studi presso una scuola per ostetriche.
Ebbero quattro figli: Silvia, Bronisław, Stanisław ed Henryk. Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale si batterono per aiutare gli ebrei, venendo quindi arrestati dalla Gestapo. Due loro figli furono trasferiti a Mauthausen-Gusen, mentre Stanisława e sua figlia furono mandati ad Auschwitz-Birkenau. Suo marito morì nella rivolta di Varsavia.

Stanisława ebbe molta fortuna. Riuscì a portare con sé, dentro un tubetto di dentifricio, alcuni documenti scritti in tedesco attestanti il suo lavoro come levatrice. Nonostante l’enorme rischio che stava correndo, andò a parlare con il famigerato dottor Mengele, offrendo la sua assistenza alle donne durante il parto.
Scrisse nel “Rapporto di un’ostetrica ad Auschwitz“: “Fino al maggio 1943, i bambini nati nel campo furono uccisi crudelmente: venivano annegati in un barile pieno d’acqua (…). Dopo ogni nascita (…) veniva spruzzata violentemente dell’acqua, a volte per molto tempo. In seguito, la madre vedeva il corpo di suo figlio gettato a terra di fronte al dormitorio, rosicchiato dai topi”.
Stanisława ricevette l’ordine di trattare i neonati come se fossero morti. Era di bassa statura, ma seppe opporsi al medico. Gli rispose: “No! Nessuno può uccidere i bambini!” E… assistette a circa tremila nascite. Neanche un bambino nacque morto. Né morì alcuna partoriente. Di queste statistiche non si potevano vantare nemmeno le migliori cliniche di tutto il mondo.

martedì 14 marzo 2017

Mosca: dialogo e scoperte

MOSCA

Sono gli ultimi arrivati a insegnarci chi siamo (www.tracce.it)

di Luca Fiore
14/03/2017 - A Mosca l'assemblea con don Julián Carrón dei responsabili delle comunità dei Paesi ex sovietici. Le storie di Ramsia e Sonja. Le scoperte di Misha e Anja. Lo stupore di padre Sergij. E le domande, sempre più urgenti, degli ortodossi diventati di CL
Ci sono mattine in cui tutto va storto. I pensieri di Ramsia viaggiano nervosi: «La bambina non obbedisce... Siamo uscite in ritardo. Troppo lungo questo semaforo». L’auto è ferma nel traffico di Astana, Kazakistan. Scatta il verde e, appena ingranata la prima, sente un gran botto e il lunotto posteriore è in pezzi. Un autobus l’è venuto addosso. Non si è fatta nulla, ma i suoi programmi per la giornata sono per terra come le schegge di vetro. Scende. Guarda in faccia l’autista. «Improvvisamente un pensiero mi ha attraversato la testa e ha sgombrato tutte le preoccupazioni di quella mattina: “Guarda cosa fa Dio per farmi ricordare di Lui”. Ho sentito come uno strano senso di gratitudine per quello che era successo, come se in quel modo Dio mi avesse chiesto: “Ma dove corri? Perché corri così?».

Il centinaio di persone riunite in Hotel di Mosca con don Julián Carrón per l’Assemblea responsabili di CL dei Paesi dell’ex Unione Sovietica (10-12 marzo) ascolta il racconto di Ramsia con una curiosità un po’ divertita. Arrivano da Russia, Bielorussia, Lituania, Ucraina, Kazakistan e Azerbaijan. I cattolici sono la maggioranza, 63, ma gli ortodossi sono 44 e i protestanti 4.

Festival di lingua araba a Milano

MILANO

Lo sguardo degli altri (www.tracce.it)

di Davide Grammatica
13/03/2017 - Studiosi, giornalisti e artisti da 8 Paesi arabi e 5 europei, per indagare i legami fra questi due mondi. Il "Festival della lingua araba" all'Università Cattolica: tre giorni di cultura, dibattiti e «dubbi, che smontano gli stereotipi»
Sono molte le ragioni che hanno portato Wael Farouq, professore egiziano di Lingua araba alla Cattolica di Milano, a lanciare, due anni fa, un “Festival della lingua araba”, nella sede milanese di largo Gemelli della sua università. Se da un lato «non si può capire l’islam senza conoscere la musica, il cinema, la poesia arabi», dall’altro è necessario «rispondere all’interesse sempre crescente per questa lingua sviluppato da tanti studenti».

“Gli Arabi e l’Europa: intrecci di lingue e culture” è il tema di questa terza edizione, per la quale l’Università si è trasformata, ancora una volta, in un grande centro di dibattito aperto a tutti, per indagare i legami tra quel mondo e il nostro: in 55 tra studiosi, giornalisti e artisti, provenienti da otto Paesi arabi e cinque europei, hanno preso la parola su scienza, filosofia, matematica, letteratura e, ancora, cinema, fotografia, poesia e musica.

Due i filoni principali che hanno condotto il Festival tra il 9 e l’11 marzo. Salah Fadl, professore emerito di Letteratura e critica letteraria dell'Università Ayn Shams del Cairo, è stato il protagonista del primo, più “accademico”, a pari merito con Mohammed Berrada, padre del romanzo marocchino moderno. Entrambi hanno poi assistito all’inaugurazione del “Salone del libro arabo”, nel Cortile d’onore, con la partecipazione di dieci case editrici arabe e italiane, con un’importante rassegna di traduzioni di classici occidentali in arabo. Presente al Salone anche il presidente della Biblioteca nazionale di Abu Dhabi, che ha donato un migliaio di libri al Centro di ricerca arabo della Cattolica.

venerdì 10 marzo 2017

Intervento di Giovanna a RaiNews24

Banco farmaceutico in Venezuela

L'INIZIATIVA


L'App che dona medicine al Venezuela(www.tracce.it)

di Alessandra Stoppa
06/03/2017 - Il progetto del Banco farmaceutico e di Fondazione Tim per rispondere all'emergenza sanitaria che vive il Sudamerica, dove anche negli ospedali mancano i medicinali. E crescono le morti per mancanza di cure. Basta un click
«L’altro pomeriggio ho fatto due ore di macchina per trovare, in una parrocchia di un prete amico, un antibiotico per l’amica di una delle mie figlie, che ha tredici anni: è in ospedale con un’infezione all’appendice e non ci sono antibiotici. E quello è uno degli ospedali più importanti di Caracas». Racconta Alejandro, padre di famiglia, dalla capitale venezuelana, dove si fa sempre più grave l’emergenza farmaci, che coinvolge tante zone del Sud America.

«La carenza di medicine nel Paese è dell’85 per cento», ha dichiarato il 27 gennaio, Freddy Ceballos, il presidente della Federazione farmaceutica del Venezuela (Fefarven). Tanto che il Parlamento ha dichiarato la «crisi sanitaria umanitaria».
In milioni vivono con pochi dollari al giorno e non hanno accesso alle cure minime. Negli ospedali, in moltissimi casi, manca tutto. Anche le risorse per portare a termine un parto cesareo.

Per questo, la Fondazione Banco Farmaceutico, in collaborazione con la Fondazione Tim, ha realizzato DoLine per rispondere alle tante richieste delle realtà caritative. I farmaci che donerai verranno direttamente consegnati all'ente che ne ha fatto richiesta.
È una possibilità semplice per aiutare: basta andare sul sito www.doline.it o scaricare l’App e acquistare, attraverso le farmacie che aderiscono all'iniziativa, uno o più farmaci. I medicinali vengono dati direttamente all'ente caritativo che ne ha fatto richiesta. L’App ha un sistema di tracciabilità del farmaco, per cui si può essere informati sulla consegna del farmaco.
Si può donare da oggi fino al 6 settembre.

mercoledì 8 marzo 2017

I Colloqui Fiorentini

COLLOQUI FIORENTINI

Un viaggio che è solo all'inizio (www.tracce.it)


08/03/2017 - La sedicesima edizione della tre giorni toscana quest'anno dedicata a Pirandello. Da tutta Italia, 3.600 studenti si sono confrontati sull'autore siciliano, con esperti e compagni. Il diario di alcuni di loro
Tremilaseicento studenti da tutta Italia al Palacongressi di Firenze, dal 2 al 4 marzo, per la XVI edizione dei Colloqui Fiorentini. Un percorso che comincia nelle classi, ogni anno su un autore differente. Per culminare, quest’anno con Pirandello, in seminari e incontri di alto livello e con la premiazione dei lavori migliori. I ragazzi di una classe di un liceo sardo, l’Asproni di Nuoro, raccontano cosa hanno vissuto. La preparazione, il viaggio, i tre giorni in Toscana. E il nuovo inizio che li aspetta.

27 febbraio. Le valige

Le quattro del pomeriggio. Tutti a provare ancora, per l’ultima volta, l’ennesima. Eravamo carichi, ci sentivamo pronti, euforici. Trentasei ragazzi, ciascuno con la sua maschera bianca e il foglio con la citazione di Pirandello che avremmo dovuto leggere. O meglio, interpretare, aiutati dalla prof. Attendevamo solo l’arrivo dei genitori, con un po’ di ansia, in una classe della sede centrale. Ed ecco, una volta che tutti si sono seduti, il nostro ingresso nell’Aula magna del liceo: schierati lungo due file parallele, quando è partita la musica ci siamo alzati e abbiamo tolto la maschera; quindi, uno ad uno, dopo aver letto ciascuno la sua citazione ci siamo disposti di fronte al pubblico, consegnando le nostre opere ai genitori. Una ragazza, Chiara, ha letto un discorso di ringraziamento rivolto non solo alle famiglie ma anche alla nostra insegnante, che ha creduto fino in fondo in noi. Poi, Francesco ha recitato un monologo dell’Enrico IV, celebre opera di Pirandello. Siamo tornati a casa commossi: avevamo una valigia da preparare per la partenza del giorno dopo! E sapevamo che ci avremmo messo dentro anche le emozioni di quel pomeriggio.

mercoledì 1 marzo 2017

Don Vincent Nagle e Fabo

Il prete che ha incontrato Fabo. «La madre ha chiesto una Messa. Lui ha detto sì»


Lucia Bellaspiga mercoledì 1 marzo 2017(www.avvenire.it)
 
Parla don Vincent, il sacerdote che l'ha incontrato prima di morire. «Era disperato»
Il sacerdote don Vincent Nagle
Il sacerdote don Vincent Nagle

L’inizio e la fine. Sono solo due gli incontri che don Vincent Nagle, 58 anni, americano, ha avuto con Fabiano, il dj morto lunedì per suicidio assistito nella clinica svizzera Dignitas. Una prima volta a primavera, quando Fabo ha iniziato a manifestare il desiderio di mollare tutto e farla finita, l’ultima venerdì scorso, il giorno prima della sua partenza per la clinica dei suicidi. Due incontri, dunque, non una frequentazione costante (Fabo aveva rifiutato anche l’assistenza dello psicologo, accogliendo solo fisioterapisti e riabilitatori che potessero restituirgli il corpo, la vita di prima, le sue funzioni ora spente), eppure in due momenti chiave.
Don Vincent, come è entrato in contatto con lui?
Rientrato dalla Palestina, dove ero parroco per la comunità cattolica di lingua araba, sono diventato cappellano della Fondazione Maddalena Grassi per l’assistenza a domicilio ai disabili gravissimi, tra i quali Fabo. In tutto abbiamo un migliaio di pazienti con situazioni come la sua o molto simili, alcuni anche più gravi. 

Intervento di Carron sul Corriere della sera: il Papa a Milano

CARRÓN AL CORRIERE

La speranza in un abbraccio (www.tracce.it)

di Julián Carrón*
01/03/2017 - L'attesa per la visita di papa Francesco a Milano. Con l'augurio, come per l'Innominato di Manzoni davanti al cardinale Federigo, di poter fare un'esperienza di Misericordia. Lettera della guida di CL al Corriere della Sera (1 marzo 2017)
Caro direttore, pensando alla visita di papa Francesco a Milano, mi è tornata alla mente una pagina a cui sono molto affezionato e che i lettori del Corriere conosceranno bene; essa mi sembra descrivere il sentimento di tanti in queste settimane: un’attesa piena di curiosità.

«Al chiarore che pure andava a poco a poco crescendo, si distingueva, nella strada in fondo alla valle, gente che passava, altra che usciva dalle case, e s’avviava, tutti dalla stessa parte, verso lo sbocco, a destra del castello, tutti col vestito delle feste, e con un’alacrità straordinaria. - Che diavolo hanno costoro? (...) Il signore rimase appoggiato alla finestra, tutto intento al mobile spettacolo. Erano uomini, donne, fanciulli, a brigate, a coppie, soli; uno, raggiungendo chi gli era avanti, s’accompagnava con lui; un altro, uscendo di casa, s’univa col primo che rintoppasse; e andavano insieme, come amici a un viaggio convenuto. Gli atti indicavano manifestamente una fretta e una gioia comune. (...) Guardava, guardava; e gli cresceva in cuore una più che curiosità di saper cosa mai potesse comunicare un trasporto uguale a tanta gente diversa. Poco dopo, il bravo venne a riferire che, il giorno avanti, il cardinale Federigo Borromeo, arcivescovo di Milano, era arrivato. (...) Il signore, rimasto solo, continuò a guardar nella valle, ancor più pensieroso. - Per un uomo! Tutti premurosi, tutti allegri, per vedere un uomo! E però ognuno di costoro avrà il suo diavolo che lo tormenti. Ma nessuno, nessuno n’avrà uno come il mio; nessuno avrà passata una notte come la mia! Cos’ha quell’uomo, per render tanta gente allegra? (...) Oh se le avesse per me le parole che possono consolare! se...! Perché non vado anch’io? Perché no?... Anderò, anderò» (A. Manzoni, I promessi sposi). Anche noi siamo presi dai nostri tormenti. Ma proprio la consapevolezza del nostro bisogno sterminato ci può rendere attenti al più piccolo segno che annunci una possibile risposta. Anche noi, come l’Innominato, possiamo rimanere stupiti che sia un uomo, un singolo uomo, la chiave di volta della soluzione dei nostri tormenti.