martedì 31 marzo 2015

Caravaggio, La vocazione di Matteo

1/03/2015 - La scena della "Vocazione" come soggetto del Volantone. Cristo che entra da un angolo della tela, e Matteo che alza la testa, stranito: storia, dopo oltre 400 anni, di «come si diventa cristiani». Ecco come è nata l'opera di Caravaggio
Il ciclo della Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi a Roma rappresentò un passaggio epocale per la storia della pittura. Per la prima volta, infatti, Caravaggio, che già godeva di un vasto collezionismo privato a Roma, viene chiamato ad una committenza pubblica, nel senso che le opere in una chiesa sarebbero state visibili da tutti.

Siamo nel 1599. È la vigilia del Giubileo e nella chiesa di San Luigi dei Francesi, proprio di fronte a Palazzo Madama, c’era una cappella che, per disposizione testamentaria del cardinale titolare, Mathieu Cointrel (poi italianizzato in Contarelli), avrebbe dovuto essere decorata con storie di san Matteo e che invece, per l’indecisione degli esecutori testamentari, da anni era rimasta spoglia. Ma con l’Anno Santo alle porte ora non si poteva più transigere. Fu il cardinale Del Monte, suo collezionista ed estimatore, a raccomandare il Caravaggio.

Così «per opera del suo Cardinale», il 23 luglio 1599 venne firmato il contratto, che conteneva anche, in termini molto precisi, il programma iconografico. La prima scena doveva rappresentare la Vocazione di Matteo; dovevano poi seguire un San Matteo con l’Angelo da mettere sull’altare (che Caravaggio dipinse in due versioni, una ancora in loco, un’altra invece andata perduta per le bombe alleate su Berlino nel 1945); infine la scena del martirio dell’apostolo.

Quanto alla Vocazione di Matteo, non c’è probabilmente un altro quadro che abbia saputo immaginare con maggiore verosimiglianza il «come si diventa cristiani». Il quadro è dominato compositivamente dal gesto di Cristo che entra da destra nella tela; la vera ripercussione avviene in quell’angolo buio, dove non si intercetta nessuna concitazione, nessun segno da “momento speciale” e ognuno continua a fare quel che stava facendo. Solo Matteo alza la testa, più stranito che stupito, come per chiedere se ha capito bene: cioè che quell’uomo, Gesù, sta chiamando proprio lui. Quindi con una mano indica se stesso, ma con l’altra non ha certo mollato la presa sulle monete che sta contando: una moneta, tra l’altro, la tiene ben visibile nel nastro del cappello. Come ha detto papa Francesco, ancora afferra i suoi soldi. Recentemente è stata avanzata anche l’ipotesi che Matteo sia in realtà il personaggio più giovane che continua a contare i soldi senza neppure alzare la testa. Ipotesi suggestiva, ma inverosimile, in quanto Caravaggio, ovviamente, è attento a garantire una coerenza narrativa e una leggibilità al ciclo, conferendo a Matteo sempre gli stessi connotati somatici, invecchiandolo semplicemente.

Quanto al valore di questo ciclo, nessuno meglio di Roberto Longhi ha saputo coglierlo. Ecco cosa il grande storico dell’arte scrisse nel catalogo della grande mostra milanese del 1951: «Si chiese, per esempio, il Caravaggio: che cosa possiamo sapere, oggi, di come avvenne la vocazione del santo? Di lui non sappiamo altro se non che era un doganiere. E perché alle dogane, dove si cambia moneta, è pacifico che s’intavoli il gioco, nulla vieta che, per più naturalezza, il Cristo, entrando oggi nella stanzaccia della dogana, chiami Matteo distogliendolo da una partita d’azzardo». I corsivi su “oggi” sono proprio di Roberto Longhi: Caravaggio è davvero il genio che porta tutto al tempo presente.

giovedì 19 marzo 2015

Dostoevskij e la libertà di amare

La libertà in Dostoevskij

La libertà in Dostoevskij
A una società impegnata nel dibattito sulla libertà di espressione, Dostoevskij propone il tema della libertà di amare invece che di porsi in termini puramente reattivi.
Martedì 17 marzo 2015 presso Palazzo dei Celestini gli studenti delle classi 5^A, 5^B, 5^C, 5^G e 5^N del Liceo Linguistico e delle Scienze Umane “A. G. Roncalli” hanno avuto l’opportunità di prendere parte alla conferenza intitolata “Dostoevskij: l’enigma della libertà” tenuta dalla studiosa e scrittrice russa Tatiana Kasatkina, esperta a livello mondiale di Fëdor Dostoevskij.
L’incontro con la professoressa Kasatkina si pone a conclusione di un percorso didattico svolto nelle classi incentrato sul tema della libertà, a partire dalla lettura che ne dà Dostoevskij nel poema “La leggenda del Grande Inquisitore” inserito nel romanzo “I fratelli Karamazov”.
La conferenza si è aperta in musica, tra le note di canti popolari inerenti al tema della libertà, a seguire un intervento della professoressa la quale in conclusione ha risposto ad alcune delle nostre domande.
Come ha raccontato in altro contesto, la professoressa Kasatkina scoprì Dostoevskij all’età di undici anni quando, in una Russia in pieno regime sovietico, trovò nei suoi libri, se non delle risposte, almeno qualcuno che, come lei, si poneva domande sulla vita e sulla libertà.
Il fondamento della libertà – ha spiegato la professoressa Kasatkina – sta nel non rispondere in modo reattivo, non comportandosi come l’altro vorrebbe che si facesse, bensì agendo indipendentemente da qualsiasi provocazione, seguendo il bello e il bene che emergono nel proprio cuore.
L’errore sta quindi nel concepire la libertà come libertà di rispondere a qualsiasi sfida, esattamente come il Grande Inquisitore sfida Cristo: “Dì qualcosa, arrabbiati! Io non voglio il tuo amore, perché io stesso non ti amo.” Cristo non ribatte, ma gli dà un bacio.
Rifacendosi al bacio con il quale Gesù Cristo risponde alle provocazioni del Grande Inquisitore, la professoressa Kasatkina ha concluso che non è possibile porre fine alle inimicizie distruggendo la parte in opposizione, il nemico, ma solamente includendola, amandola incondizionatamente.
In aggiunta all’importante esperienza culturale, dunque, l’intervento della professoressa Kasatkina ha fornito agli studenti una nuova prospettiva su se stessi e sul loro modo di comportarci nei confronti di un mondo che ogni giorno li provoca a rispondere in modo reattivo, minando così la libertà di scegliere chi essere e come agire.
Lorenza Foglia



(pubblicato da Manfredonia.news - tutti i diritti riservati)

giovedì 12 marzo 2015

LA CAREZZA DELLA MISERICORDIA

Le parole di Papa Francesco all’Udienza con il movimento di Comunione e Liberazione Piazza San Pietro, 7 marzo 2015
Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Do il benvenuto a tutti voi e vi ringrazio per il vostro affetto caloroso! Rivolgo il mio cordiale saluto ai Cardinali e ai Vescovi. Saluto Don Julián Carrón, Presidente della vostra Fraternità, e lo ringrazio per le parole che mi ha indirizzato a nome di tutti; e La ringrazio anche, Don Julián, per quella bella lettera che Lei ha scritto a tutti, invitandoli a venire. Grazie tante!
Il mio primo pensiero va al vostro Fondatore, Mons. Luigi Giussani, ricordando il decimo anniversario della sua nascita al Cielo. Sono riconoscente a Don Giussani per varie ragioni. La prima, più personale, è il bene che quest’uomo ha fatto a me e alla mia vita sacerdotale, attraverso la lettura dei suoi libri e dei suoi articoli. L’altra ragione è che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo. Voi sapete quanto importante fosse per Don Giussani l’esperienza dell’incontro: incontro non con un’idea, ma con una Persona, con Gesù Cristo. Così lui ha educato alla libertà, guidando all’incontro con Cristo, perché Cristo ci dà la vera libertà. Parlando dell’incontro mi viene in mente “La vocazione di Matteo”, quel Caravaggio davanti al quale mi fermavo a lungo in San Luigi dei Francesi, ogni volta che venivo a Roma. Nessuno di quelli che stavano lì, compreso Matteo avido di denaro, poteva credere al messaggio di quel dito che lo indicava, al messaggio di quegli occhi che lo guardavano con misericordia e lo sceglievano per la sequela. Sentiva quello stupore dell’incontro. E’ così l’incontro con Cristo che viene e ci invita.

martedì 10 marzo 2015

Bergoglio e i movimenti

Home / Chiesa / FRANCESCO E I MOVIMENTI. Preservare la freschezza del carisma e un “pensiero aperto” che non pretende di codificare l’intuizione originaria del fondatore FRANCESCO E I MOVIMENTI. Preservare la freschezza del carisma e un “pensiero aperto” che non pretende di codificare l’intuizione originaria del fondatore Posted on 3 marzo 2015 by Alver Metalli in Chiesa, In evidenza, Società | Papa e CL di Massimo Borghesi filosofo Nel suo discorso a conclusione del III Congresso mondiale dei Movimenti ecclesiali, svoltosi a Roma il 20-22 novembre 2014, papa Francesco ha indicato ai loro rappresentanti tre punti per una vera maturità ecclesiale: la freschezza del carisma, il rispetto della libertà delle persone, il perseguimento della comunione interna ed esterna, con tutta la Chiesa. Se il terzo punto è condizione di ogni autentica missione, il secondo è basilare per evitare i settarismi tipici dei fenomeni comunitari. Nella Chiesa la comunione sorge solo nella libera adesione, non da coercizioni sottili o dalla pressione della consuetudo. E questo tanto più oggi, in un tempo in cui la fragilità psicologica e l’insicurezza soggettiva spingono verso soluzioni non problematiche, protettive. Secondo il Papa: «Bisogna resistere alla tentazione di sostituirsi alla libertà delle persone e a dirigerle senza attendere che maturino realmente. Ogni persona ha il suo tempo, cammina a modo suo e dobbiamo accompagnare questo cammino. Un progresso morale o spirituale ottenuto facendo leva sull’immaturità della gente è un successo apparente, destinato a naufragare». La pazienza degli educatori ha come mira la formazione di personalità libere: né gregari, né funzionari. Il Papa ha qui presente non solo le chiusure asfittiche di certi ambienti religiosi, segnati da un dispotismo interno, ma anche la burocratizzazione che ha contraddistinto la Chiesa nel corso degli ultimi decenni: il doppio clericalismo che vede gli ecclesiastici concentrati sulle loro “funzioni” clericali e il laicato come oggetto passivo di decisioni prese altrove. Rispetto a questa deriva la “stagione dei movimenti”, che ha segnato la Chiesa negli anni ’70-’80, ha costituito, certamente, un valido contrappeso, una sorgente di speranza per tutto il popolo cristiano.

Carron:"Chiediamo che Cristo afferri tutto il nostro cuore"

10/03/2015 - La traduzione dell'intervista radiofonica a Julián Carrón, dopo l'Udienza del 7 marzo. Dalle parole del Papa al motivo per cui, in 80mila, si sono raccolti a Roma: «Chiediamo, come don Giussani, che Cristo afferri tutto il nostro cuore» È oggi con noi il sacerdote spagnolo Julián Carrón, attuale presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, ad appena due giorni da un indimenticabile incontro con papa Francesco in Piazza San Pietro, presenti oltre 80.000 membri di questo movimento giunti da tutto il mondo. Il Papa ha chiesto ai membri del movimento di essere le mani, i piedi, le braccia, la mente e il cuore di una Chiesa in uscita. Come pensa che questa richiesta del Papa possa tradursi nella vita quotidiana del movimento? Fondamentalmente in continuità con quello che è il Dna del movimento stesso. Il movimento è nato proprio nelle periferie, in ambienti come la scuola, l’università, i luoghi di lavoro, rispondendo a tanti bisogni che vediamo nei quartieri: persone senza lavoro, che non arrivano alla fine del mese, che sono in cerca di una speranza, che hanno bisogno di trovare un senso della vita, gli immigrati… Tutto ciò fa già parte del nostro modo di stare nella realtà e di vivere ciò che ci è accaduto. Perciò in questa ulteriore indicazione del Papa recepiamo uno stimolo a vivere quello che già siamo e viviamo, ma con una maggiore consapevolezza.

A proposito dei fatti di Parigi: una questione di ragione. Dialogo con Alessandro banfi e Wael Farouk

Il Portico del Vasaio Appunti e materiali per un lavoro culturale. Una questione di ragioneJE SUIS. UNA QUESTIONE DI RAGIONE A proposito dei fatti di Parigi Dialogo con Alessandro Banfi, direttore TGcom24, e Wael Farouq, docente di Scienze Linguistiche e Straniere, Università Cattolica di Milano Rimini 16 febbraio 2015 – Sala Manzoni Roberto Gabellini Buonasera e benvenuti a tutti. Quando abbiamo pensato a questo incontro erano appena accaduti i fatti di Parigi. Da allora sono successi altri episodi di violenza legati al terrorismo, ma l’attualità di quello di cui parliamo non è legata in realtà al ripetersi di questi episodi: è come se la nostra stessa quotidianità sia interrogata da quello che succede. Abbiamo scoperto che le cosiddette seconde generazioni, che sono cresciute con noi, rifiutano quei valori che per noi sono fondanti; così come abbiamo scoperto che dei ragazzi europei sono disposti a lasciare tutto quello che come padri gli abbiamo dato, per combattere e per cercare la gloria in una guerra di conquista lontano. Tutto questo ha generato in noi ovviamente sgomento, paura, interrogativi che non ci eravamo mai posti. Questi interrogativi costituiscono l’oggetto dell’incontro di questa sera e soprattutto ci fanno interrogare su quale sia la consistenza di quegli ideali che per noi costituiscono l’Europa, la nostra civiltà.