sabato 26 maggio 2018

Festa a Portofranco

Milano. Portofranco, uno splendido diciottenne

Il Centro di aiuto allo studio diventa maggiorenne. Una festa per ringraziare volontari e sostenitori e ricordare, con un Premio, il fondatore don Pontiggia. «Un grande mare di gratuità», che è sempre più al servizio di tutti. Parla Alberto Bonfanti
Luca Fiore
Portofranco diventa maggiorenne. Ha voluto una festa degna di quest’occasione, invitando amici vecchi e nuovi nella sede di Milano. Il diciottesimo compleanno, per un centro di aiuto allo studio, è davvero un’occasione particolare. C’erano il provveditore Marco Bussetti, il direttore di sede della Cattolica di Milano Mario Gatti, il rappresentante dell’arcivescovo monsignor Luca Bressan e il presidente di Portofranco Emmanuele Forlani. C’erano anche amici come il comico Giacomo Poretti e il presidente della Sea, Pietro Modiano.
Ma alla festa c’erano soprattutto i volontari e gli ex studenti, qualcuno venuto con i figli piccoli o mandando un video messaggio, magari da Londra, dove oggi gestisce un ristorante alla moda, o da Nottingham dove frequenta l’università (dopo essere arrivata a Portofranco perché era «un caso perso…»). Ma non si festeggia soltanto chi “ce l’ha fatta”, non è nello stile di Portofranco: c’è tempo anche, tra gli altri riconoscimenti (tra cui l’assegnazione del primo “Premio don Giorgio Pontiggia”), per quello scherzoso a chi ha disdetto più appuntamenti per le lezioni. Quel che conta qui non è essere per forza bravi a scuola, ma esserci ognuno per come è. «Se siamo arrivati fino qui, vuol dire che siamo nati da un’idea vincente», spiega Alberto Bonfanti, insegnante e tra i fondatori di Portofranco, insieme a don Giorgio Pontiggia: «Il nostro obiettivo era rispondere a un bisogno reale».

E qual è questo bisogno?
Un luogo in cui i ragazzi potessero essere aiutati nello studio in modo gratuito. Rispondere a questa necessità è stata un’occasione d’incontro. In diciotto anni abbiamo conosciuto, uno a uno, quasi 19mila ragazzi. E siamo riusciti a farlo grazie ai tremila volontari che sono passati da qui.

giovedì 24 maggio 2018

S.Tommaso d'Aquino, l'immortalità dell'anima

Tommaso & Aristotele Le ragioni dell’ANIMA
Filosofia
Le speculazioni dell’Aquinate sulla verità metafisica, radicate nel pensiero dello Stagirita, fissano l’idea sull’uomo dal Medioevo ai nostri giorni
San Tommaso d’Aquino era un fine conoscitore di Aristotele. Discepolo prediletto di sant’Alberto Magno e commentatore di eccezionale valore delle opere dello Stagirita. [...] Conosceva bene le opere degli antichi e i commenti a esse relativi e fu il suo amore per la filosofia a spingerlo a proporsi come fedele interprete di Aristotele. Riteneva anche che nessuno fosse ancora arrivato (sei molti commenti rivolti allo Stagirita e in particolare sulla
Metafisica) a conclusioni filosofiche precise. [...] Il suo progetto di costruire una nuova sintesi del pensiero cristiano, comprendente tutti i contenuti essenziali propri della tradizione teologica insieme all’uso di un rigoroso metodo di indagine di tipo aristotelico che potesse consentirgli di dimostrare l’esistenza di Dio come Ipsum Esse subsistens, non aveva precedenti. [...] Nel pensiero tomista, l’anima permane intesa ancora aristotelicamente come la forma sostanziale del corpo che resta comunque autonoma da esso, essendo di per sé spirituale e sussistente. Essa non è corruttibile con la morte, perché ha l’essere in proprio, è dotata di autoscienza e detiene conoscenza. L’anima inoltre, non partecipa soltanto all’essere del singolo come le altre forme dei corpi, perché in tutti gli oggetti inumani, secondo Tommaso, chi esiste è solo l’oggetto. Per esempio, in un albero chi esiste è l’albero stesso e non la sua forma sostanziale. Quest’ultima esiste in quanto vi è l’oggetto di cui è forma. L’anima è quindi la forma dell’uomo.

lunedì 21 maggio 2018

"La bellezza Disarmata" presentata a Cambridge

 
 
 
 
 
 
 
  

Cambridge. "Disarming Beauty" presentato a casa di Rowan Williams

Al Magdalene College il dialogo tra Julián Carrón e il grande teologo e ex capo della Chiesa anglicana. Si parte dal tema dell'educazione e si arriva al ruolo dei cristiani nella società. «Il vero problema è quello di imparare a essere creature»
Giuseppe Pezzini
In un’Inghilterra assolata e presa dai fasti del Royal Wedding, una piccola folla curiosa si raduna nell’auditorium del Magdalene College di Cambridge. Sul palco ci sono lo scrittore e teologo, fino al 2013 arcivescovo di Canterbury (cioè capo della Chiesa anglicana), Rowan Williams e Julián Carrón, autore del libro Disarming Beauty, che ha dato origine alla serata. Un incontro che si rivelerà più una conversazione tra vecchi amici che la solita conferenza su una raccolta di saggi.

Si parte con uno dei temi più cari a Williams: l’educazione. «Come si fa a recuperare un’educazione alla conoscenza, e ridare gioia e significato a ciò che è spesso ridotto a mera trasmissione di informazioni?». «La conoscenza è un avvenimento», risponde Carrón, introducendo quello che sarà il fil rouge della serata: «Il Mistero non ci ha spiegato la verità dell’amore con un trattato sull’eros, ma facendoci fare esperienza dell’amore in una famiglia. Tanta gente non è più interessata alla conoscenza, semplicemente perché non ne fa più esperienza. Ma per poter fare esperienza di qualcosa è necessario innanzitutto sentirne il bisogno. Il compito dell’educatore in questa società è dunque quello di risvegliare l’interesse per quello che vogliamo comunicare».

venerdì 18 maggio 2018

Il Vaticano: contrastare la finanza tossica

«La finanza tossica va contrastata Siano gli Stati a certificare i titoli»
Il Vaticano chiede alla classe politica di non essere subalterna: tassare le transazioni offshore per combattere la fame nel mondo
L’iniziativa
Le proposte dei Dicasteri per la Dottrina della fede e lo Sviluppo umano integrale in un documento sul discernimento etico in economia. Siamo tutti «chiamati a vigilare» e a renderci «interpreti di un nuovo protagonismo sociale»
ROMA
Di fronte «all’imponenza e pervasività degli odierni sistemi economico-finanziari », siamo tutti «chiamati a vigilare come sentinelle della vita buona» e a renderci «interpreti di un nuovo protagonismo sociale», improntando la nostra azione «alla ricerca del bene comune e fondandola sui saldi principi della solidarietà e della sussidiarietà». È questo l’appello lanciato da un documento vaticano, approvato da papa Francesco, preparato con l’intento di aiutare ad «elaborare nuove forme di economia e finanza, le cui prassi e regole siano rivolte al progresso del bene comune e rispettose della dignità umana, nel sicuro solco offerto dall’insegnamento sociale della Chiesa».
Il documento è titolato ' Oeconomicae et pecuniariae quaestiones. Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario'.
Firmato dai vertici della Congregazione per la dottrina della fede (Cdf) e del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, vuole rispondere alla necessità «di intraprendere una riflessione etica circa taluni aspetti dell’intermediazione finanziaria, il cui funzionamento, quando è stato slegato da adeguati fondamenti antropologici e morali, non solo ha prodotto palesi abusi ed ingiustizie, ma si è anche rivelato capace di creare crisi sistemiche e di portata mondiale». Il cuore del documento è articolato in due capitoli, dedicati a enucleare «elementari considerazioni di fondo» per poi formulare alcune ben dettagliate «puntualizzazioni nel contesto odierno».

"Dov'è Dio?" a Bergamo

"Dov'è Dio?" a Bergamo. Il bisogno di un percorso umano

La presentazione del libro-intervista di Julián Carrón con Andrea Tornielli nel capoluogo orobico. Con il sacerdote spagnolo, sul palco anche Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale
Carlo Dignola
Le certezze contro il dubbio. Un’identità cattolica chiara contro la dispersione del mondo di oggi. Sono queste le contrapposizioni che Julián Carrón ha messo in discussione nell’incontro di mercoledì 16 a Bergamo, proponendo, piuttosto, un altro genere di dicotomie: il reale contro i ricordi e i sogni; la società plurale come “occasione” di nuovi incontri e non di costruzione di nuovi muri.

È, spiega Carrón, da «una provocazione del giornalista Andrea Tornielli» che nasce questo libro-intervista dal titolo shock: Dov'è Dio? (Piemme). Dietro non ci sono sottili dispute di teologia, ma questioni concrete: la secolarizzazione e la scristianizzazione dell’Occidente sono segno della fine dei tempi, come pensa un certo cattolicesimo identitario e tradizionalista? La fine della civiltà cristiana e la difficoltà a trovare un comune denominatore nei “valori” e nella morale “naturale” rendono impossibile un dialogo tra credenti e non credenti?
La presentazione di "Dov'è Dio?" nella ex-chiesa di Sant'Agostino a Bergamo.La presentazione di "Dov'è Dio?" nella ex-chiesa di Sant'Agostino a Bergamo.

giovedì 17 maggio 2018

Paul Ricoeur: l'ermeneutica della comunità ecclesiale

Idee.
Raccolta in volume una conferenza del filosofo protestante del 1967 sul senso e la funzione di una comunità ecclesiale: è sempre necessaria una costante reinterpretazione
RICOEUR
«La parola non sia reliquia»
Riflettere sulla funzione specifica di una comunità ecclesiale, le sue aspirazioni e istanze di senso, il suo linguaggio, il ruolo nella Chiesa e nella società, è quello che Paul Ricoeur – come raramente troviamo nei filosofi – prova a fare in queste pagine nate alla vigilia del Sessantotto, già girate parecchio come fotocopie di dispense fra gli studiosi di questo maestro dell’ermeneutica: mai però arrivate in un’edizione al grande pubblico. Registrate nel gennaio 1967 alla Gerbe, una sala della parrocchia protestante di Amiens, durante un incontro teologico di due giorni, le parole di questa lunga conferenza di Ricoeur – scandita in tre parti con interlocutori cattolici, protestanti e comunisti e trascritte dal pastore Ennio Floris – furono pubblicate l’anno dopo nei “Cahiers d’études du centre protestant de recherche et de rencontres du nord” con il titolo Senso e funzione di una comunità ecclesiale al quale l’editrice Claudiana ha preferito ora Per un’utopia ecclesiale (pagine 100, euro 12,50). L’opera va in libreria a cura di Claudio Paravati, Alberto Romele, Paolo Furia, e con una prefazione di Olivier Abel che considera quest’opera «a un tempo, come militante testimonianza di un periodo di passaggio e come banco di prova, come laboratorio di temi filosofici sviluppati, altrove o in seguito, in modo indipendente», dove «viene alla luce un aspetto del pensiero di Ricoeur troppo spesso trascurato, in cui i lettori potranno cogliere un approccio filosofico nuovo, radicale». Approccio dove – insieme ai non pochi spunti elaborati in opere successive – si comprende il del ruolo del filosofo nella Chiesa riformata francese.

martedì 15 maggio 2018

Incontro responsabili CL ad Avila

Da tutta Europa ad Ávila: «Abbiamo già tutto»

Da Oslo, Londra, Bucarest... C'erano centocinquanta responsabili di CL alla tre giorni con don Carrón, nel cuore della Spagna. Per mettere a tema la vita partendo da quello che accade: «Perché ci conviene fare un cammino? Che utilità ha per noi?»
Davide Perillo
«Abbiamo tutto. Ma cosa sia questo tutto, lo comprendiamo solo nell’incontro con le circostanze, le persone, la vita». Torna più volte, questa citazione di don Giussani nei tre giorni di Ávila. L’ultima, domenica mattina, nella sintesi di Julián Carrón davanti ai centocinquanta responsabili di CL arrivati in Spagna da tutta Europa; dal Portogallo ai Balcani, da Malta a Oslo. Sono riuniti nella stessa sala del Seminario diocesano in cui proprio don Giussani, nel 1985, tenne un incontro decisivo nella storia del Movimento, se è vero che pochi mesi dopo le sue parole («noi siamo ciò che voi siete: la nostra storia e la vostra hanno le stesse radici…») tanti dei presenti, aderenti a Nueva Tierra, un movimento creato da un gruppo di sacerdoti spagnoli, confluirono in CL.

giovedì 10 maggio 2018

Don Zeno e Don Giussani

Don Zeno e don Giussani. Due Lottatori per Cristo

Il fondatore di Nomadelfia fu molto amico del sacerdote brianzolo. In occasione della visita di papa Francesco alla comunità in provincia di Grosseto, pubblichiamo le pagine di "Vita di don Giussani" che raccontano una misteriosa affinità di carismi
Alberto Savorana
Il primo incontro di don Zeno con Giussani avviene a metà degli anni Sessanta. Tre cartelle dattiloscritte del 9 marzo 1965 riferiscono di una conferenza di don Saltini su «Nomadelfia: tentativo di comunità cristiana». Il sacerdote modenese racconta: «Ho avuto alcuni mesi fa l’occasione di parlare con don Giussani e gli ho detto che nella Chiesa siamo troppo divisi, troppe opere diverse per un fine ultimo che è Cristo. […] Pio XII disse che in questo secolo dobbiamo passare dal selvaggio all’umano e dall’umano al divino. Siete voi giovani che potete salvare la Chiesa che è molto in pericolo. Bisogna incominciare a fare i conti. Che si possa dire ancora che voi siete la stirpe eletta e che prima eravate nonpopolo e ora siete un popolo di Dio».

Ma è soprattutto nell’autunno-inverno 1970 che gli incontri tra i due si intensificano. A febbraio don Zeno parla al Centro Péguy di Milano dell’esperienza di Nomadelfia, raccontando come è iniziato tutto: «Io celebrai la prima messa nel Duomo di Carpi – fu nel ’31 – a patto che mettessero tra le autorità un giovane diciottenne uscito dal carcere in quei giorni, vestito elegante. Mi dicono: “Cosa ne fai?”. “Me lo prendo come figlio. Un ragazzo abbandonato non ha bisogno di assistenza, ha bisogno del padre”». Comincia così a raccogliere ragazzi in difficoltà: «Ne abbiamo tirati su, dal ’31 a oggi, circa quattromila e ottocento». Il 10 e 11 ottobre 1970 Giussani e don Zeno organizzano a Milano, presso i padri del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere), un congresso dei nomadelfi (come sono chiamati gli aderenti all’opera del sacerdote modenese) e dei gruppi milanesi di cl (che stanno muovendo i primi passi in città). Introducendo i lavori, Giussani dice che l’origine del raduno va ricercata «nella stima profonda e nella “nostalgia” che tutti noi di Milano avevamo e abbiamo per Nomadelfia, che sentiamo come un paradigma, cioè una cosa che dobbiamo cercare di imitare […]. Il riconoscere in altri una giustezza di criteri significa possedere quegli stessi criteri, o […] quello stesso discorso». È una parola, quest’ultima, che in quel periodo Giussani utilizza di frequente, secondo tutta la profondità del suo significato. «Ci sentivamo dentro questo discorso giusto, e ci era nello stesso tempo evidente la debolezza e la fragilità dei nostri passi. Siamo della povera gente, ma vorremmo davvero fare di più; vorremmo amare di più il discorso che Dio ci ha messo nel cuore; vorremmo realizzare di più quei criteri di cui Dio ci ha fatto grazia.» Per questo Giussani confessa: «Siamo pieni di gioia di fronte ad un esempio autentico come quello di Nomadelfia e ci sentiamo da esso sollecitati secondo i tempi che Dio chiede alla nostra storia e alla nostra vocazione. La stima che noi di Milano abbiamo sempre portato a Nomadelfia ha avuto quest’anno come una presa di coscienza improvvisa».

mercoledì 9 maggio 2018

Benedetto XVI: Liberare la libertà

Prefazione di Papa Francesco a un’antologia di testi del suo predecessore ·
  
Anticipiamo la prefazione, firmata da Papa Francesco, a un’antologia di testi del suo predecessore ( Liberare la libertà. Fede e politica nel terzo millennio , Siena, Cantagalli, 2018, pagine 208, euro 18). In libreria dal 10 maggio, il libro verrà presentato il giorno successivo alle 18 a Roma, nella sala Zuccari di palazzo Giustiniani con interventi della presidente del senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, dell’arcivescovo Georg Gänswein, di Antonio Tajani e dell’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, moderati da Pierluca Azzaro, che con Carlos Granados ha curato il libro. L’antologia comprende testi scritti tra il 1971 e il 2014 ed è il secondo volume di una collana in sei lingue iniziata nel 2016 con una raccolta dedicata al sacerdozio. Sono previsti altri titoli su scienza e fede, Europa, minoranze creative, università, eucaristia. Al rapporto tra fede e politica Ratzinger aveva dedicato nel 1971 il libro, poco conosciuto, L’unità delle nazioni. Una visione dei Padri della Chiesa, da cui è tratto il quarto dei testi della nuova antologia. Già nel 1961 e nel 1963 il giovane teologo bavarese aveva comunque anticipato le linee fondamentali della sua visione della politica — ispirata soprattutto a Origene e ad Agostino — in due ampi articoli, poi rielaborati nel libro che fu subito tradotto in spagnolo, italiano, portoghese ed è stato riedito nel 2009 dalla Morcelliana di Brescia. (g.m.v.)

Il rapporto tra fede e politica è uno dei grandi temi da sempre al centro dell’attenzione di Joseph Ratzinger / Benedetto XVI e attraversa l’intero suo cammino intellettuale e umano: l’esperienza diretta del totalitarismo nazista lo porta sin da giovane studioso a riflettere sui limiti dell’obbedienza allo Stato a favore della libertà dell’obbedienza a Dio: «Lo Stato — scrive in questo senso in uno dei testi proposti — non è la totalità dell’esistenza umana e non abbraccia tutta la speranza umana. L’uomo e la sua speranza vanno oltre la realtà dello Stato e oltre la sfera dell’azione politica. Ciò vale non solo per uno Stato che si chiama Babilonia, ma per ogni genere di Stato. Lo Stato non è la totalità. Questo alleggerisce il peso all’uomo politico e gli apre la strada a una politica razionale. Lo Stato romano era falso e anticristiano proprio perché voleva essere il totum delle possibilità e delle speranze umane. Così esso pretende ciò che non può; così falsifica ed impoverisce l’uomo. Con la sua menzogna totalitaria diventa demoniaco e tirannico».
Successivamente, anche proprio su questa base, a fianco di San Giovanni Paolo II egli elabora e propone una visione cristiana dei diritti umani capace di mettere in discussione a livello teorico e pratico la pretesa totalitaria dello Stato marxista e dell’ideologia atea sulla quale si fondava; perché l’autentico contrasto tra marxismo e cristianesimo per Ratzinger non è certo dato dall’attenzione preferenziale del cristiano per i poveri: «Dobbiamo imparare — ancora una volta, non solo a livello teorico, ma nel modo di pensare e di agire — che accanto alla presenza reale di Gesù nella Chiesa e nel sacramento, esiste quell’altra presenza reale di Gesù nei più piccoli, nei calpestati di questo mondo, negli ultimi, nei quali egli vuole essere trovato da noi» scrive Ratzinger già negli anni Settanta con una profondità teologica e insieme immediata accessibilità che sono proprie del pastore autentico. E quel contrasto non è dato nemmeno, come egli sottolinea alla metà degli anni Ottanta, dalla mancanza nel Magistero della Chiesa del senso di equità e solidarietà; e, di conseguenza, «nella denuncia dello scandalo delle palesi disuguaglianze tra ricchi e poveri — si tratti di disuguaglianze tra paesi ricchi e paesi poveri oppure di disuguaglianze tra ceti sociali nell’ambito dello stesso territorio nazionale che non è più tollerato».

domenica 6 maggio 2018

E' morto Mons. Castoro, Arcivescovo di manfredonia, S.Giovanni e Vieste


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È morto Castoro, pastore della gioia pure nella malattia
Guidava l’arcidiocesi di Manfredonia Vieste-San Giovanni Rotondo dal 2009