mercoledì 31 gennaio 2007

Mostra su "La Rosa Bianca": le nuove date

Continua la presentazione della mostra "La Rosa Bianca" nelle scuole del territorio. Grazie alla disponibilità dei Dirigenti delle Istituzioni scolastiche interessate la mostra sarà presente
dal 2 al 3 febbraio presso il Liceo classico "Moro"
dal 6 al 9 febbraio presso l'Istituto Nautico "Rotundi"
dal 12 al 14 febbraio presso l'I.T.I.S. "Fermi".

Ulteriori informazioni ai post http://fontanavivace.blogspot.com/2007/01/la-rosa-bianca-anna-maria-vitulano.html e http://fontanavivace.blogspot.com/2007/01/la-rosa-bianca-unamicizia-resistente-al.html

martedì 30 gennaio 2007

La Giornata nazionale di raccolta del farmaco: sabato 3 febbraio 2007


C’è qualche cosa che veramente deve cambiare nella nostra sensibilità quotidiana. Deve diventare abituale una nobiltà che ci è ancora ignota, ma che presentiamo e di cui presentiamo la necessità, perché sia degna, e piena di fascino, di gusto, la vita: la gratuità. (Luigi Giussani)

Ogni anno, nel mese di febbraio, ha luogo la Giornata nazionale di raccolta del farmaco: migliaia di volontari presidiano le farmacie aderenti, spiegando l’iniziativa ai cittadini e invitandoli a donare un farmaco per gli enti assistenziali della propria città. Ciascuna farmacia ha la responsabilità di raccogliere le tipologie di farmaci necessarie all’ente assistenziale ad essa ‘associato’ e di consegnare successivamente i farmaci raccolti a tale ente, secondo le indicazioni del Banco Farmaceutico. L’iniziativa ha consentito di raccogliere, in 6 anni, oltre 780.000 farmaci per un valore economico di circa 4.3 milioni di euro.

Il Banco Farmaceutico sostiene gli enti assistenziali che operano in prima linea, fornendo loro gratuitamente farmaci di cui hanno bisogno. Ad oggi sono circa 1.000 gli enti convenzionati (un numero questo in continua evoluzione) e 250.000 i bisognosi soccorsi.
Aderiscono all'iniziativa
  • Farmacia MANZO MICHELE Via Giuseppe Di Vittorio, 3/5 - Manfredonia
  • Farmacia DI STEFANO DR.SSA ERSILIA ANNA Via Martiri di Cefalonia, 61 H/B - Manfredonia

Solo lo stupore conosce: primo appuntamento con... la letteratura europea moderna

Un giorno Alberto Moravia rispose ad un amico che gli chiedeva: ”Perché scrivi?” - “Per sapere perchè scrivo!”… Mah!?!
Il prof. Enzo Arnone, docente di letteratura contemporanea a Torino, ha spiegato questa curiosa risposta a più di 250 persone fra studenti e docenti delle scuole superiori e universitari, convenuti in gran numero nell’Aula Magna della Facoltà di Giurisprudenza al primo appuntamento del ciclo di incontri “Solo lo stupore conosce”. Titolo: “La metamorfosi del Romanzo tra Ottocento e Novecento” .
Il professore ci ha introdotti al cambiamento delle forme e della struttura di questo particolare genere letterario citando numerosi scrittori: dal classico Alessandro Manzoni (I Promessi Sposi) a Fedor Dostoevskij (I fratelli Karamazov) a Oscar Wilde (Il ritratto di Dorian Grey), passando per Marcel Proust (Alla ricerca del tempo perduto), citando G. Flaubert, soffermandosi su J. Joyce (Ulisse), F. Kafka (Il processo) e infine I. Svevo (La coscienza di Zeno).

Ma qual è il punto di svolta? In cosa consiste questa metamorfosi?
La dissoluzione della struttura tradizionale del romanzo corrisponde ad una mutata coscienza di sé da parte dell’artista, del significato del mondo e del significato dell’esistenza.
“Il romanzo dell’800 è denotativo, si costituisce attorno ad una precisa definizione della realtà, espressa esaurientemente. L’autore intrattiene con la sua opera un rapporto consapevole delle strutture del mondo, del ruolo degli eventi e ne offre la sua personale interpretazione. Il romanziere si comporta come il proprietario che va in giro a perlustrare la sua tenuta, a inventariare, a dettagliare, a prendere atto del mondo che gli appartiene magari svelandone le contraddizioni. Il romanzo, quindi, è l’offerta di un sapere già posseduto, già conosciuto.
Ad un certo punto in una parte lontana dell’Europa, la Russia, questo sereno rapporto tra romanziere e romanzo si incrina e l’opera d’arte si ribella al suo creatore. Il primo a farne esperienza è Dostoevskij. Il romanzo diventa allusivo, non è esaurito da ciò che dice, bensì nasconde, sotto la superficie del linguaggio, un contenuto inesplorato. Vuole dirci ciò che il mondo nasconde e ciò che si cela negli aspetti più segreti e più profondi della personalità umana: le sue angosce, le sue paure, il suo bisogno di vita che, per affermarsi, deve fare i conti con le misteriose e infinite irradiazioni di significati che provengono dalle cose. E’ il presentimento che l’essere umano è definito da una potenzialità senza fine, che è un’apertura all’infinito. C’è una domanda forte. Di senso. Lo scrittore non spiega più la realtà al lettore, ma con lui ne ricerca il senso”.
A questa fase della letteratura ne subentrerà un’altra: quella della risalita dell’uomo da questa estraneità rispetto a se stesso e al mondo portata avanti dal romanzo neorealista.
Ma noi ci fermiamo qui… con dentro la certezza che aveva Ludwig Wittgenstein nel dire: "A cosa servono i libri, se non per rimandarci con più gusto alla vita?”

Paola Lepore

sabato 27 gennaio 2007

La Rosa Bianca. Un'amicizia resistente al nazismo

Dal 22 gennaio alla fine di febbraio sarà allestita la mostra "La Rosa Bianca. Volti di un'amicizia" in alcune scuole di Manfredonia e dintorni: nell'Istituto Superiore "Roncalli", nell'Istituto Nautico, nel Liceo Classico, nel Liceo Scientifico di Manfredonia, nel Liceo Classico di Monte S.Angelo.
La mostra, promossa dal Centro Culturale Sipontino "Fontana Vivace", presenta l'esperienza di un gruppo di giovani studenti tedeschi i quali, diventati amici in forza della stessa passione di vita, si opposero al nazismo, diffondendo tra l'estate del 1942 e il febbraio del 1943 sei volantini in cui incitavano il popolo tedesco a ribellarsi ad Hitler. Molti di loro pagarono con la morte questo gesto di resistenza al nazismo. Inoltre la
mostra cerca di approfondire le figure dei sei protagonisti più rilevanti. Ne presenta i percorsi di vita dando la parola a loro - attraverso citazioni da lettere e diari - ma anche ai loro amici e ai testimoni viventi. Ne emergono ritratti di persone cui il senso religioso permise di vivere la realtà intensamente, di fare incontri incisivi e di crescere nella certezza e nella speranza.
La mostra è indicata per gli studenti delle scuole medie superiori come occasione per conoscere l'esperienza della Rosa Bianca e per trovare in quei giovani l'itinerario interiore per vivere con protagonismo e intensità l'oggi.
Essa rappresenta anche un contributo alla celebrazione della Giornata della Memoria per i contenuti di giudizio sul nazismo che sono ivi proposti.
Sullo stesso argomento vedi anche il comunicato su Manfredonia.net magazine

mercoledì 24 gennaio 2007

Educazione. Prima emergenza per 6 italiani su 10


E 1 su 2 chiede docenti più qualificati. La gestione del sistema scolastico? Meglio se mista, con Stato e privato sociale. Lo pensa più della metà degli italiani.


Altro che debito pubblico, inflazione o parametri europei da rispettare. Per gli italiani la prima emergenza nazionale è quella dell'educazione. Un'emergenza, che rischia di condizionare lo sviluppo e il futuro del Paese. E' un vero e proprio grido d'allarme quello che emerge dal primo rapporto nazionale sullo stato dell'educazione italiana, promosso dalla Fondazione per la Sussidiarietà. Ben 61connazionali su 100 indicano come prioritaria l'emergenza educativa, ma un altro 35% la colloca ai primi posti. Cifre che fanno riflettere e chiedono risposte, che in parte sembrano emergere dallo stesso rapporto.
Infatti il 55% delle famiglie coinvolte nel rapporto indica nella "preparazione e nella capacità degli insegnanti" il fattore primario per dare vita a una scuola di qualiità, l'unica che può invertire la rotta.
Insomma docenti più capaci di "essere dei maestri", nel senso più alto del termine. Uno scenario condiviso anche dal mondo delle imprese e da quello delle Istituzioni, le altre due realtà coinvolte nel rapporto della Fondazione per la sussidiarietà, che sarà presentato questa mattina nell'Aula convegno del Cnr a Roma alla presenza anche del ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni. Il 55% delle imprese e il 60% delle Istituzioni indicano nella preparazione dei docenti il fattore vincente per una scuola di qualità.
Ma cosa dovrebbe far prevalere questa scuola di qualità, tra istruzioni ed educazione? Anche in questo caso le famiglie non sembrano avere dubbi: l'82% è convinto che la scuola serva innanzitutto a "istuire ed educare", cioè a formare la personalità e insieme fornire conoscenza. Decisamente minoritaria la posizione che sostiene che la scuola debba "limitarsi semplicemente ad addestrare a un lavoro" (il 13%). Una posizione, quella delle famiglie, condivisa anche dall'84% delle imprese italiane, che affidano il doppio incarico all'istruzione scuola. Un segnale forse inatteso dal mondo imprenditoriale, che ci si immagina più preoccupato di avere futuri lavoratori addestrati.
Al contrario l'educazione viene indicata come un valore imprescindibile, relegando all'11% la quota delle imprese che punta solo all'addestramento.
Interessante anche il capitolo sulla gesitone e il finaziamento del sistema scolastico, in cui emerge una sostanziale indicazione per una formula mista (Stato-privato sociale) in entrambi i campi, segno anche di una progressiva assimilazione del concetto di sussidiarietà, introdotto cinque anni fa nella Carta Costituzionale che regola il nostro Paese.
Il rapporto nazionale della Fondazione per la sussidarietà non dimentica di analizzare anche la situazione attuale del sistema scolastico italiano.
E i giudizi espressi non sono affatto lusinghieri. Se per una scuola di qualtià è la preparazione dei docenti il punto di forza, la stessa cosa avviene nell'analisi degli attuali difetti della scuola italiana. Il 43% delle famiglie indica nella "scarsa qualificazione dei docenti" il maggior difetto dell'attuale sistema, seguito (con il 20,6%) dallo scarso coordinamento tra gli insegnanti" e (con il 19,1%) dalla "assenza di incentivi".
Stesso ordine nei difetti della scuola italiana nelle risposte date dalle imprese, anche se quest'ultime salgono al 55,9% nell'indicare "gli insegnanti poco qualificati". Più vicino all'andamento delle famiglie, le posizioni espresse dalle istituzioni.
Insomma, guardando all'oggi, la scuola italiana viene ritenuta sostanzialmente "inadeguata alle esigenze dei giovani e della società". Parole pesanti, soprattutto se si tiene conto che negli ultimi dieci anni l'intero sistema scolastico è stato sottoposto a un processo di riforma. Eppure l'ultima riforma varata, quella del Ministro Moratti, sembra destinata a dividere le famiglie, che per il 51% si schiera con un giudizio negativo, mentre il 49% la giudica positivamente. Unico punto di convergenza quello dell'introduzione della scuola professionale all'interno del sistema scolastico, apprezzato dal 95% delle famiglie. Un aspetto sostenuto anche dal 58% delle imprese.
Resta, dopo la lettura di questi dati - contenuti insieme ad analisi e contributi di Bonomi, Donati, Grassi, e Vittadini nel volume "Sussidiarietà ed educazione", edito da Mondadori Università - la forte preoccupazione per il futuro del sistema scolastico. Timori a cui cercheranno di dare risposte i partecipanti alla tavola rotonda promossa dalla Fondazione: il ministro Fioroni, il presidente dell'Istat Luigi Biggeri, il presidente di Unionecamere Andrea Mondello e il presidente della fondazione, Giorgio Vittadini. L'emergenza educazione, di certo, richiede risposte. In tempi rapidi
La ricetta ideale: mix pubblico-privato
La gestione del sistema scolastico? Meglio se mista, con Stato e privato sociale. Lo pensa più della metà degli italiani.
Il dato emerge dal primo rapporto nazionale sullo stato dell'educazione in Italia. E così per il 56 % delle famiglie intervistate la formula preferita appare quella "mix". Resta consistente anche il fornte di chi predilige una gestione prettamente statale: è il 40% del campione.
Davvero residuale, invece, la percentuale di chi punta a una gestione esclusivamente privata: si supera di poco il 3%.
Insomma a sette anni dal varo del sistema scolastico pubblico integrato e paritario, la compresenza di un gestore statale e di altri gestori del privato sociale sembra essere entrata nel patrimonio culturale degli italiani.
Passaggio di non poca importanza, vista la lunga battaglia ideologica che ha caratterizzato i quasi 50 anni precedenti il varo della legge 62 del 2000, nota come legge della parità scolastica.
E la formula mista sembra conquistare le famglie anche dal punto di vista del finanziamento. Il 51% del campione sostiene infatti che la scuola paritaria debba essere finaziata in parte anche dallo Stato, pur mantenendo una quota a carico dei gestori e delle famiglie. Ma quasi un quinto degli intervistati (il 19,5) ritiene che il finaziamento pubblico debba essere a completo carico dello Stato. Poco meno del 29% indica al contrario nella famiglia l'unica su cui far ricadere l'onere del finaziamento, come sostanzialemente avviene in questo momento.
Anche dal fronte delle imprese e quello delle Istituzioni (le altre due realtà coinvolte nel primo rapporto) arrivano segnali nella stessa direzione, sia della gestione sia del finaziamento del sitema scolastico in Italia. Anche se le percentuali si diversificano. Sul tema del finanziamento la formula mista raccoglie il consenso del 48,8% delle imprese e bel il 61 % tra le istituzioni, mentre il segmento che assegna allo stato l'intero onenre dei costi è del 13,8% tra le imprese e precipita al 7% tra le istutizioni. Per il 37% delle imprese spetta invece alle famiglie il compito di sostenere i costi precentuale che scende al 31 tra le istutizioni.
Ma globalmente la formula mista (sia gestionale sia finziaria) appare raccogiere un consenso sempre più vasto nell'opinione pubblica.
Enrico Lenzi
Avvenire 24/1/2007

domenica 21 gennaio 2007

LUIGI GIUSSANI, Dall'utopia alla presenza (1975-1978)


Rizzoli - Collana: BUR - I libri dello spirito cristiano
Pagine 402 - Formato 15,3x19,6 - Anno 2006 - ISBN 8817011398 - € 10.80

Prefazione di Julian Carron

Non dipende dallo stato d'animo, da quel che hai sentito, da quel che non hai sentito, dal tuo parere, da quel che è lucido o da quel che è oscuro in te. E un fatto, il cristianesimo... un uomo che si dilata nella storia attraverso l'assimilazione a sé degli uomini che lui si afferra... questa è la presenza della salvezza dell'uomo all'uomo, del significato della storia.Il libro riproduce lezioni e dialoghi di don Giussani con i responsabili degli universitari di Comunione e Liberazione, tenuti nei periodici incontri chiamati Equipe a partire dalla metà degli anni Settanta. A tema, continuamente, le domande che bruciano. Che destino ha la vita? Che cos'è il cristianesimo? Che cos'è la fede? Dov'è Cristo oggi? La stupefacente potenza di una proposta di contenuto e di metodo. Lo spaccato di una storia in cui l'esperienza della persona e l'urgenza del mondo sono unite e rilanciate, in quella modalità "sovversiva e sorprendente" di vivere le solite cose che è la fede come don Giussani l'ha concepita e vissuta.

Parla il sociologo Ivo Colozzi: Ma l'incubo del '77 partorì il «no global»

La contestazione, sfociata negli anni di piombo, brandiva speranze che sono state deluse. Perché?
«Anche sulla cultura ha inciso poco e male: alimentando il nichilismo e combattendo i cattolici che portavano un pensiero alternativo. Molti storici leader del movimento oggi dominano tristemente i media e le istituzioni»

Senza Radio Alice, uno dei simboli del '77 di cui quest'anno ricorre il trentennale, non ci sarebbe, forse, neanche Mediaset. Lo sostiene il sociologo Ivo Colozzi. «L'irruzione innovativa del movimento nella comunicazione» spiega «fu una necessità: nacque dalla preclusione del monopolio pubblico a diffondere prese di posizione critiche nei confronti delle istituzioni. Una circostanza che spinse il movimento a dotarsi di mezzo auto-gestiti. Con un esito sorprendente e certamente non voluto: aprire la porta ad una liberalizzazione da cui entrerà anche Berlusconi con le sue tv».
Che cosa ha rappresentato il '77 nella storia italiana?
«L'ultima prova di forza per verificare se, da parte del movimento studentesco, era possibile con una spallata cambiare la società. Di fronte al suo fallimento si è abbandonata la strada delle grandi manifestazioni e si è avviata la strategia terrorista in maniera decisa e ormai senza remore».
Quale profilo sociale avevano i militanti?
«Quasi tutti erano figli del ceto medio. Anche perché la stratificazione sociale in Italia era caratterizzata già allora dal modello a cipolla: un'enorme pancia costituita dal ceto medio, una minoranza abbastanza piccola di ricchi e una minoranza abbastanza piccola di poveri. Il movimento studentesco, il '77 in particolare, è nato dentro questo ventre molle. Da quelli, soprattutto, provenienti da famiglie della sinistra storica, che, dopo aver respirato in casa la delusione nei confronti della deriva presa dalla sinistra istituzionale sempre più allineata allo schema partitico, avevano cercato un nuovo modo per realizzare gli ideali dei padri».
Una critica che a Bologna divenne rivolta contro il partito comunista che governava la città…
«Causata dalla percezione che il partito aveva tradito. Si era troppo istituzionalizzato. Il sindaco era Zangheri, un professore universitario, quanto di più lontano dal personaggio popolare rappresentato da Dozza. La dista nza tra Dozza e Zangheri è la distanza che c'era tra il Pci in cui avevano militato i reduci della Resistenza che speravano attraverso il partito di fare la rivoluzione e il partito degli anni Settanta. Un partito ormai totalmente dentro i meccanismi del consenso. Mentre i giovani, come sempre, volevano fare la rivoluzione. Ecco spiegato l'accanimento contro la sinistra democratica».
Sul piano culturale il movimento del '77 ha lasciato delle tracce?
«Se parliamo di cultura profonda ha inciso in maniera molto limitata: sto pensando a Derrida. Ovvero ad alcune tendenze, tuttora presenti a livello culturale, che sicuramente trovano il loro vivaio nel '77. Per esempio la volontà di decostruire tutto il linguaggio del finto progressismo, dei finti diritti umani affermati, del finto senso umano affermato. Una decostruzione che però porterà, non dimentichiamolo, verso un relativismo e un nichilismo tutt'altro che rivoluzionario».
E a livello di cultura diffusa?
«Gran parte dei leader del '77 sono entrati nei giornali e nelle televisioni. Diffondendo una cultura del disagio, di un disagio che non ha trovato lo strumento per cambiare effettivamente la società e che quindi trova la sua espressione essenzialmente nel pensiero negativo. E contribuisce, in buona sostanza ad alimentare il dubbio».
Come si spiega l'intolleranza nei confronti della presenza dei cattolici in Università?
«Le vecchie associazioni studentesche, con l'avvento del '68, avevano reagito ritirandosi. Dopo aver seguito per alcuni anni lo stesso percorso, quella che era la vecchia Gs e che poi diventerà Comunione e Liberazione, inverte questa tendenza e si pone dentro la situazione con un atteggiamento alternativo. Cioè si propone come una proposta capace (a partire da una rinnovata esperienza di fede) di rispondere in maniera più adeguata a tutti i problemi di disagio che caratterizzava gli atenei. La sinistra non poteva accettare una competizione su questo piano o almeno l'ha vissuta come una sfida intollerabile e proprio per questo ha cercato di combatterla in maniera molto forte».
I leader del movimento del '77 sono stati assorbiti dalle istituzioni. Tutti reduci, come cantava Gaber?
«Per molti c'è stato una specie di blocco culturale. Anche perché la formazione nell'età adolescenziale non si cancella più. E continua a segnare questa generazione. Molti hanno scelto il riflusso ma lo sguardo con cui guardano ancora oggi la realtà è fortemente condizionato da quell'esperienza giovanile. Ed è uno sguardo non positivo perché ritiene la realtà di per sé traditrice. Con una conseguenza: se questo Paese conosce una crisi di depressione molto lo si deve a questa generazione che controlla i media e la produzione della cultura».
Ci sono eredi del fenomeno di trent'anni fa?
«I no global, certamente. In quanto proseguono l' atteggiamento, tipico del'77, assolutamente antagonista nei confronti della realtà occidentale. Le espressioni sono pressappoco le stesse, così come la violenza, molto dura. In questo senso vedo una forte continuità, ma osservo anche la grande differenza. Il paese è cambiato e il movimento no global difficilmente potrà diventare un movimento di massa o produrre quel fenomeno eversivo che è stato il terrorismo».
Hanno ancora un pubblico i vecchi capi come Scalzone?
«Per i giovani sono riferimenti inesistenti. Faranno conferenze ma non troveranno le nuove generazioni ma le stesse facce di allora: appesantite e ingrigite. Provate a parlare di questa gente nelle aule dell'università. Nessuno ha più idea di chi siano questi personaggi. Fanno parte di un passato che non ha nessuna possibilità di tornare».
Stefano Andrini
Avvenire, 20/2/2007

giovedì 18 gennaio 2007

SOLO LO STUPORE CONOSCE

Partono il 24 gennaio i forum di discussione

Un importante iniziativa intitolata ‘Solo Lo Stupore Conosce’, frutto del lavoro degli studenti delle scuole superiori, degli universitari e dell’ufficio scuola e università delle arcidiocesi di foggia-bovino, prenderà il via a partire da mercoledì 24 gennaio.
Si tratta di un’ iniziativa che prevede una serie di incontri per discutere su temi come la motivazione agli studi e l’approccio alle materie da parte degli studenti come esperienza esistenziale interessante e affascinante.
Il ciclo si compone di sette incontri con tematiche che spaziano in tutto l’arco curriculare, un viaggio che induce a contemplare la Bellezza in questo nostro tempo così drammatico. Un viaggio attraverso l’arte (con Van Gogh), la storia (attraverso i volti degli amici della Rosa Bianca), la letteratura (il cammino dantesco e il romanzo), la scienza (il cielo stellato e la realtà che ci circonda) e la filosofia (attraverso autori e correnti del Novecento).
Ogni incontro sarà un appuntamento con la Bellezza, nelle sue varie forme. Il tutto sarà affrontato da docenti esperti, provenienti da diverse città del territorio nazionale, gli incontri si svilupperanno in due ore extra scolastiche per ciascuna conversazione con il supporto di ausili tecnici diversi a seconda dell’ambito.
Per informazioni e prenotazioni:
Dott.ssa Stefania Menduno
Cell. 347/7356439
mail: centroculturalearche@tiscali.it
Fonte: Capitanata.it

mercoledì 17 gennaio 2007

L’amore di Dio per l’uomo nell’arte di padre Marco

Lo scorso 7 gennaio, alle ore 18.00, una folla di bambini e ragazzi accompagnati dalle loro famiglie ha invaso il teatro comunale “Perotto” di Manfredonia per assistere alla rappresentazione teatrale “Marcellino, che spettacolo!” di Padre Marco Finco e di Carlo Rossi.

Tale evento, patrocinato dal CSV Daunia, è stato organizzato dal Centro Culturale “Fontana Vivace” per sostenere i progetti di una Organizzazione Non Governativa, l’AVSI, a favore di bambini e ragazzi che vivono in situazioni di guerra, di fame, di povertà in altri Paesi del mondo.

Il quarto d’ora “accademico” prima dell’inizio dello spettacolo ha fatto registrare un’attesa palpabile e quasi febbrile: gli spettatori più piccoli, infatti, già conoscevano la storia di Marcellino, un bambino abbandonato davanti al convento dei frati che lo accoglieranno e che, con il loro amore, gli consentiranno di mantenere quella freschezza e quella curiosità, unita a una certa bricconeria, che è tipica di tutti i bambini.

Quando Padre Marco è entrato in scena, dopo poche battute e alcuni geniali accorgimenti, come l’aver invitato e interpellato sul palco due piccoli spettatori, il pubblico è stato subito conquistato dai suoi gesti, dalle sue piroette, dalle rare ed efficaci parole con cui man mano andava costruendo la trama della sua storia.

Certo, i primi interlocutori erano i bambini, ma il pubblico adulto era spesso chiamato in causa come all’inizio, quando i bambini sul palco riuscivano con i loro gesti a far suonare l’immaginaria campana del convento, mentre un papà, ugualmente interpellato, pur compiendo i medesimi gesti non faceva suonare niente, perché se si perde la semplicità dei bambini la vita non dice più nulla.

Non si può raccontare tutto, ma occorre almeno segnalare l’ultima affermazione del frate, una volta terminato lo spettacolo.
A chi gli chiedeva come mai si affaticasse tanto per portare il suo spettacolo in tutta Italia, Padre Marco ha risposto che questo era un modo per comunicare ciò che gli sta più a cuore, la compagnia di Dio all’uomo nei termini concreti e familiari con cui il Crocifisso mangiava e beveva con il piccolo Marcellino.
Le feste di Natale non avrebbero potuto concludersi con un richiamo più bello!
Grazie, Padre Marco!
Gemma Barulli

venerdì 12 gennaio 2007

Grazie, padre Marco!

Con pochi simboli raccontare... emozionare... rendere felici...

È quello che ha fatto padre Marco in "Marcellino che Spettacolo!"

Padre Finco ha intensamente recitato, anzi pregato insieme ai grandi e ai piccini con pochi simboli:

che... ARTE! il diabolico separa, il simbolo unisce!

Grazie, padre Marco!
Grazie, Fontana Vivace!




La rappresentazione teatrale "Marcellino (Che spettacolo!)" è stata realizzata nell'ambito delle "Tende di Natale", importante gesto di carità nato nel 1990 per sostenere i primi volontari di AVSI raccogliendo fondi e facendo conoscere il loro lavoro a favore delle popolazioni più fragili per testimoniare che la legge ultima dell’esistenza è la gratuità, la carità, contro ogni possesso egoistico.
Per ulteriori info: www.avsi.org



Il fotografo Angelo Torre testimone dell'arte di padre Marco, 1

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mercoledì 10 gennaio 2007

Il prof. Pasquale Prencipe presenta il "Calendario 2007" di Angelo Torre

Immagine tratta da Manfredonia.net magazine
su cui Antonio Universi ha pubblicato
"Il nuovo calendario ufficiale di Manfredonia"


CALENDARIO 2007 e … l’auspicio per …

… avere il tempo, cercare di ritagliarsi del tempo per guardare le cose belle, significative, che ci stanno intorno…
Questo calendario ci dà il “ritmo” del tempo e ci suggerisce, grazie alle foto realizzate da Angelo Torre, anche un “ritmo” per lo spazio …da esplorare … intorno a noi.
Attraverso le piccole finestre, fotografiche, di questo calendario, noi possiamo affacciarci ad osservare degli scenari intriganti; essi possono essere considerati solo delle vedute estetiche, oppure trasformarsi, per noi, in luoghi per lo spirito, nei quali recuperare la nostra memoria storica.
L’obiettivo fotografico riesce a portare i nostri occhi lontano dalla realtà consueta; permette di farli approdare sul mare, nei vecchi vicoli o su una sperduta rupe del Gargano; cioè queste foto spronano la nostra curiosità ad addentrarsi maggiormente nella conoscenza delle locali tradizioni, dei luoghi, dei monumenti e, ultima ma non meno importante, della “qualità umana” di quelle persone che, senza clamori, perpetuano in semplicità i lavori tradizionali.
Assicurare che non si generino anelli mancanti nella catena della continuità della nostra storia, ossia puntellare saldamente le sfaccettature della collettiva identità storico-culturale, sembra siano i valori di cui si fa carico il fotografo Angelo Torre: riuscire a far arrivare il nostro sguardo oltre la selva delle immagini leziose e folcloristiche, oltre gli orizzonti (soprattutto mentali) che normalmente schermano la nostra vita quotidiana.
Queste fotografie catalogano spesso dei semplici momenti di vita, solo apparentemente, “ordinaria”; in realtà queste scene/scenari evocano quel bisogno che l’Arte appaga: individuare la bellezza, il “valore”, nel caos indistinto (o nell’ordinarietà) delle immagini, dei suoni e delle idee.
Il tempo che trascorre può essere vissuto come il frastuono di un rumore continuo. L’Arte può aiutare ad attenuare ed allontanare quel rumore di fondo, portandoci ad apprezzare cose prima trascurate. Analogamente la ricerca fotografica di Torre, come spesso succede alle reti dei pescatori, riporta alla luce piccoli frammenti di storia, che il tempo aveva inghiottito negli abissi. Con il suo lavoro, il fotografo, ci propone delle immagini frutto di questa attenta opera di “ricupero” del nostro, spesso trascurato, bagaglio storico-antropologico-culturale.
Queste fotografie ci permettono di esplorare ciò che normalmente è solo sottofondo silenzioso, scenografia “lontana” del nostro quotidiano: il mare, la costa, le paludi, la pianura coltivata, la montagna, il bosco. Attraversare questi luoghi con una visione nuova, più consapevole, che ci consenta di scorgere la bellezza arcaica di questa natura, sicuramente aiuta a ridonarci qualcosa di importante, da cui la vita moderna ci allontana.
Il calendario, la mappa del tempo corrispondente ad una rivoluzione terrestre, può rappresentare una buona metafora per ribadire questo concetto: il tempo è prezioso e la realtà che ci circonda è ricca di meraviglie; incastonare dentro questo registro del tempo, del 2007, dei bellissimi stralci (fotografici) delle cose che vivono, crescono o semplicemente “stanno” intorno al nostro spazio, ci può sollecitare (o anche solo solleticare!) a guardare con uno sguardo più attento alla bellezza, quindi ai valori, che ci circondano.

Firenze, 13 dicembre 2006
Prof. Pasquale Prencipe
Libera Accademia delle Belle Arti di Firenze

sabato 6 gennaio 2007

Marcellino sulla Gazzetta del Mezzogiorno

Clicca per leggere l'articolo Teatro/Con padre Finco e Marco Rossi
C'è «Marcellino»
domani al «Perotto»
MANFREDONIA - Uno spetta­colo nato dalla riduzione teatra­le del film "Marcellino", sarà portato in scena domani al tea­tro Perotto (ore 18). Ne sono interpreti Padre Mar­co Finco e Carlo Rossi, che è anche regista.
Il protagoni­sta, come si sa, è un piccolo trovatello, cre­sciuto dai frati di un conven­to. In questa co­munità il bim­bo trova la sua famiglia, il luo­go dove l'affet­to dei frati non gli consenti­ranno di cadere nel vuoto della solitudine.
In un epoca in cui le domande presenti nel cuore del bambino (e dell'adulto) spesso restano senza risposta o vengono soffo­cate sul nascere dalla società dei consumi, la storia di Marcellino mantiene tutta la sua attualità. Grazie all'esperienza teatrale di Padre Marco Finco, la storia di Marcellino giunge al cuore dei bambini, come degli adulti, in maniera fresca e diretta.
«Marcellino» farà tappa a Manfredonia su iniziativa del Centro Culturale Sipontino "Fontana viva­ce". La manife­stazione ha ri­cevuto il patro­cinio del C.S.V. Daunia, ed è fi­nalizzata alla raccolta di fon­di da destinare ai progetti e al­le attività cari­tative dell'Avsi "Tende di Na­tale" in quanto proprio nel pe­riodo natalizio tornano ad ani­mare i "cuori" delle città ita­liane e da quest'anno, anche all'estero, con spettacoli, cene, mostre, cori, tavole rotonde ed altre iniziative culturali.
La Fondazione Avsi è una or­ganizzazione non governativa.
Anna Maria Vitulano

giovedì 4 gennaio 2007

Marcellino su Manfredonia.net magazine

Su Manfredonia.net magazine, a firma di Antonio Universi, è stato pubblicato Sul palcoscenico la storia di Marcellino pane e vino, articolo di presentazione dello spettacolo teatrale "Marcellino (Che spettacolo!)" organizzato dal C.C.S. "Fontana vivace" con il patrocinio del C.S.V. Daunia, in programma Domenica 7 Gennaio 2007 presso il Teatro Comunale Perotto alle ore 18,00.

martedì 2 gennaio 2007

Intervista a Claudio Chieffo - Cantare la vita per dare voce al Mistero presente - «La malattia? Non è disgrazia»

Voce affaticata ma decisa, parole dense di vita. Si è fatta più dura la vita di Claudio Chieffo, uno dei cantautori più amati e conosciuti dalla gente, che da qualche mese deve fare i conti con un male contro il quale sta lottando con tutte le forze, sue e dei suoi cari. È una vita dura, ma colma di presenze amiche, di tanti che scrivono, pregano per la sua salute e gli stanno vicino in questo momento difficile. E quando lo senti parlare, hai la sensazione fisicamente percepibile che quel Mistero che da anni canta, lui lo veda e lo senta, lo chiami per nome: Gesù. Spesso, durante la lunga e intensa conversazione che ci ha concesso nella sua casa di Forlì, il suo sguardo si fissa su un poster che si è fatto appendere davanti al letto: è il «manifesto di Natale» stampato come ogni anno da Comunione e liberazione, che riproduce un particolare della Natività di Gesù dipinta da Giotto nella Cappella degli Scrovegni di Padova. Riporta una frase di Benedetto XVI: «Dio non ci lascia brancolare nel buio; si è mostrato come uomo. Egli è tanto grande da potersi permettere di diventare piccolissimo. Dio ha assunto un volto umano. Solo questo Dio ci salva dalla paura del mondo e dall'ansia di fronte al vuoto della propria esistenza». Parole che Chieffo sente particolarmente «sue» in questo momento, anche per la singolare coincidenza con una canzone composta nel '95, (In questa notte splendida), che descrive bene il senso del Natale: «Un bimbo piccolissimo le porte ci aprirà/ del cielo dell'Altissimo nella Sua Verità».

Sono passati 45 anni dalle sue prime composizioni. Tremila concerti, 113 canzoni. Molti suoi brani appartengono a tutti: Il seme, Io non sono degno, Lasciati fare, Ballata dell'uomo vecchio, La nuova Auschwitz, Ave Maria splendore del mattino…. Tanti sono stati tradotti in varie lingue e cantati in tutti i continenti. E per etichettarla si è fatto ricorso alle definizioni più diverse: autore religioso, cantautore cattolico, menestrello di Cl. Chi è Claudio Chieffo?

Le etichette sanno di colla, appiccicano uno schema sulla persona. E ogni persona è molto più di un aggettivo. Ho sempre cercato di cantare la vita in tutte le sue manifestazioni: la gioia, il dolore, l'amicizia, l'esigenza di giustizia, la sete di felicità, il bene e il male. Mi è accaduto di incontrare una faccia della Chiesa che si chiama Cl, che a sua volta aveva il volto prima di un prete di Forlì, don Francesco Ricci, poi di un brianzolo come don Giussani. E proprio loro mi hanno educato a guardare sempre oltre la siepe, ad abbracciare il mondo. A essere, cioè, come la Chiesa: cattolici, universali, desiderosi di incontrare tutti, di cantare al cuore di ognuno.

Anche di quelli che non sono cristiani?

Certo! Uno dei ricordi più belli risale agli anni Ottanta. Ero andato a Perugia per un concerto, invitato dalla comunità di Cl. Nel pubblico c'erano anche dei musulmani, che alla fine mi chiesero di andarli a trovare. E così, a notte fonda, andai da loro e cantai alcuni brani che furono molto graditi. Facevano lo sciopero della fame contro Khomeini che era al potere da qualche anno. Ogni tanto qualcuno sveniva e lo portavano via. (Ride: «Ma non credo fosse per le mie canzoni…»).

Ha cantato con colleghi «distanti» come Guccini e Ivan Della Mea. Tra i suoi amici c'è anche Giorgio Gaber. Vi siete esibiti insieme in più di un'occasione. Lui si definiva l'uomo del dubbio e guardava a lei come all'uomo delle certezze, con un misto di invidia e scetticismo.

È il cantautore italiano che stimo di più per la schiettezza della sua posizione. Ha avuto il coraggio di dire in faccia al «suo» pubblico cose scomode e politicamente scorrette, attirandosi anche critiche e opposizioni. E in più di un'occasione mi difese con coraggio in un'epoca in cui se non cantavi col cuore rivolto a sinistra rischiavi l'impopolarità e l'emarginazione dai circuiti musicali. (Sogghigna: adesso è un po' diverso, ma mica troppo…). Lui si diceva certo che ciò che manda avanti la ricerca umana è il dubbio. E io gli rispondevo: a parte che non capisco come fai a essere certo basandoti su un dubbio, la molla della ricerca non è il dubbio ma la domanda, perché lascia aperta la possibilità che ci sia una risposta.

Lei ha tenuto concerti in luoghi significativi, Mosca, Gerusalemme, ma anche in luoghi atipici come un gulag del Kazakhstan. Come è arrivato fin laggiù?

Le mie canzoni sono arrivate in tutto il mondo prima di me. In Kazakhstan venni invitato in occasione del Giubileo del 2000, unico artista straniero. Dovevo tenere sei concerti, ne feci il doppio perché le richieste si moltiplicarono. Non dimenticherò mai quello nel gulag di Kocsun, davanti a 800 detenute comuni, primo spettacolo dentro un carcere di quel Paese. Leggevano le mie canzoni, che parlavano di libertà e felicità, tradotte nella loro lingua, e dopo un po' si misero a battere ritmicamente con le mani sui tavolacci di legno per accompagnarmi cantando semplicemente la-la-la-la. Presto si unirono a loro anche le guardie, e alla fine del concerto mi si avvicinò la direttrice, conosciuta come atea convinta, chiedendomi di pregare perché suo figlio di 16 anni potesse trovare una buona strada.

Ha cantato anche davanti a Giovanni Paolo II, per undici volte.

È stato quasi sempre in occasione di incontri di popolo, come lui amava fare. Più che un solista che doveva farsi apprezzare per le sue qualità canore, mi sentivo la voce della gente che gli stava davanti. E lui ad ascoltare e talvolta a partecipare al canto, con quello sguardo che ti penetrava fino al cuore e ti faceva sentire abbracciato da un grande padre.

Cosa ha significato l'incontro e l'amicizia con un maestro della pittura contemporanea come Bill Congdon?

Ho avuto la fortuna di conoscerlo quando ero giovanissimo, nel 1963. Era uno che spalancava gli orizzonti, e dipingendo le terre della Bassa lombarda, dove si era ritirato a vivere e lavorare, ti faceva intravedere l'infinito. Un giorno mi disse: se una canzone non è una finestra aperta sul Mistero, è solo il rumore del nulla. Alcuni giorni fa è venuto a trovarmi in ospedale il mio vecchio maestro delle elementari: ricordo che in quinta ci leggeva la Divina Commedia, aprendo una finestra sulla Bellezza a bambini di dieci anni. È grazie a gente così che le mie canzoni hanno sempre cercato di evocare ciò che tiene in piedi l'esistenza. Partendo da episodi apparentemente banali della vita, aiutano a capire che c'è Qualcosa dentro qualcosa. (Con la mano indica il poster di Natale appeso davanti al suo letto. Riporta anche una frase di don Giussani: «Cristo arriva proprio qui, al mio atteggiamento di uomo, di uno cioè che aspetta qualcosa perché si sente tutto mancante, si è messo insieme a me, si è proposto al mio bisogno originale»).

Giussani diceva che molte sue canzoni esprimono con la musica ciò che lui affermava con le parole. Si sente onorato da un simile riconoscimento?

Il «Gius» è stato maestro in umanità. Nella sua bontà mi chiamava «il poeta». Personalmente non ho mai avuto incarichi nel movimento di Cl, ma ho sempre cercato di seguire quello che lui mi diceva: sii te stesso fino in fondo, così aiuterai tanta gente. Spero di esserci riuscito. Gli sono grato per come ci ha guidato a scoprire Gesù presente nella realtà. Mi dicono che davanti alla sua tomba, al Cimitero Monumentale di Milano, c'è una bacheca con tanti ex voto e messaggi di gente che scrive per ringraziare e per chiedere. Credo che adesso che sta lassù, vicino al Principale, continui a darsi da fare come quando era tra noi. E personalmente non smetto di chiedergli di intercedere per la mia guarigione. Sul suo sito c'è una lettera scritta in giugno in cui, a proposito della sua malattia, racconta agli amici che «questo è un momento anche di grazia». Come si fa a parlare di grazia nelle sue condizioni? Nella mia vita ho avuto mo do di toccare con mano tante volte e con tanta evidenza la presenza di Dio: l'amore di mia moglie e dei miei figli, i volti degli amici, l'appartenenza a un popolo, e tante cose che mi sono accadute. La prima percezione che ho avuto quando i medici mi hanno dato notizia del mio male, è che non mi sia venuta addosso una disgrazia, ma che anche questo è un modo - certo dolorosissimo - di far emergere e di testimoniare la gloria di Dio. Altrimenti sarei un dis-graziato, uno che non riconosce ciò che la Grazia ha operato e opera nella sua esistenza. Non si può campare da dis-graziati, sarebbe come negare che la Grazia possa arrivare. Sarebbe come smettere di sperare. E io non smetto.


Giorgio Paolucci
Avvenire 30/12/2006