martedì 29 aprile 2014

I due santi pontefici uniti nella missione alle genti

ITALIA - VATICANO

I due Santi Pontefici uniti nella missione alle genti
di Piero Gheddo

Già nella messa di inizio del pontificato Papa Giovanni, che da giovane voleva entrare nel Pime, affermava che la qualità più importante del Papa è lo zelo apostolico verso le pecorelle che non sono nell'ovile di Cristo. E Giovanni Paolo II scriveva "I miei viaggi in America Latina, in Asia ed in Africa hanno una finalità eminentemente missionaria".


Milano (AsiaNews) - Ho provato grande gioia per i due nuovi Santi della Chiesa, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Come Vicari di Cristo nella Chiesa universale la loro azione era a tutto campo, in tutti i settori della vita cristiana e del rapporto con il mondo. Come missionario li vedo uniti in una linea di continuità nell'aver promosso la missione fino agli estremi confini della terra; e non solo per proclamare il primo annunzio di Cristo ai popoli, ma perché la spinta ad uscire dall'ovile di Cristo per evangelizzare i non cristiani e i non credenti riporta la Chiesa d'oggi allo spirito delle prime comunità cristiane che erano animate dal fuoco dello Spirito Santo, il protagonista della missione.

Il Cardinal Roncalli e il Pime

Ho conosciuto bene e da vicino i due nuovi Santi. Il 3 marzo 1958, il Patriarca di Venezia card. Angelo Roncalli venne a Milano per portare al Pime le spoglie del nostro Fondatore (nel 1850), il Servo di Dio mons. Angelo Ramazzotti, suo predecessore a Venezia, oggi tumulate nella chiesa di San Francesco Saverio. Roncalli diceva che avendo studiato la vita dei Patriarchi veneziani: "Si è fatta profonda e schietta in me la convinzione che davvero a mons. Ramazzoti il titolo di Santo gli convenga e di Santo da Altare". Ed esortava il Pime ad introdurre la sua Causa di beatificazione, cosa che il nostro istituto, essendo non religioso ma di clero secolare fondato dalle diocesi lombarde, non aveva mai pensato di fare. In quei giorni del card. Roncalli a Milano c'è un episodio curioso. Era venuto a Milano il 2 marzo per mezzogiorno. Nel pomeriggio, visita al Pime e al seminario teologico, poi  chiama me e padre Mauro Mezzadonna nel suo ufficio (accanto alla camera da letto) e ci dice: "Voi siete preti giovani e giornalisti, vi leggo su "Le Missioni cattoliche" e "L'Italia". Vi leggo il discorso che farò domani quando saranno presenti tutti i vescovi lombardi, ditemi cosa vi pare". E ci legge il discorso, gli dico di "scrivere frasi più brevi come si usa oggi". Poi chiedeva notizie della rivista e sul Pime, la sua semplicità era commovente. Il giorno dopo, prima di ripartire per Venezia, mi consegna una lettera in busta chiusa, nella quale lodava la rivista del Pime "che leggevo da giovane e ancor oggi leggo con piacere".
Il 18 marzo 1963, tre mesi prima di morire (3 giugno 1963), dona la sua casa natale di Sotto il Monte al Pime e benedice, in Vaticano, la prima pietra del seminario (l'avevo portata a Roma in una Topolino d'anteguerra, non c'era ancora l'Autostrada del Sole, l'auto andava al massimo a 70 km l'ora!), che è stato poi costruito accanto alla casa natale, oggi conservata come era in passato e meta di tanti pellegrinaggi. Una cerimonia intima fra il Papa e una ventina di missionari del Pime. Giovanni XXIII parlava in bergamasco e diceva: "Se fate in fretta a costruire, vengo io a inaugurare il seminario". E poi aggiungeva che nel seminario di Bergamo si leggevano le riviste missionarie, diversi chierici erano entrati nel Pime e venivano a parlarci delle missioni. "Io stesso - aggiungeva - ero innamorato delle missioni e ho chiesto al mio vescovo di poter entrare nel vostro istituto. Lui mi rispose di continuare gli studi teologici in seminario per essere ordinato sacerdote diocesano, poi potevo andare con i missionari. Però, quando mi ordinò sacerdote, mi nominò suo segretario particolare e ho seguito la santa obbedienza della volontà di Dio".
E poi, negli anni venti, come direttore delle Pontificie Opere missionarie, aveva avuto stretti rapporti col Beato Padre Paolo Manna, da lui definito "il Cristoforo Colombo dell'animazione missionaria". Un segno di questa sua vicinanza alle missioni e al Pime è quando, nel settembre 1962, mi nominò uno dei "periti" del Concilio per il Decreto Ad Gentes e il direttore dell'Osservatore Romano, Raimondo Manzini, mi chiamò come redattore delle pagine dedicate al "Concilio", col compito di seguire il tema missionario e intervistare i vescovi delle missioni.

domenica 27 aprile 2014

Canonizzazione dei due Papi: Omelia di Papa Francesco

Omelia del Santo Padre.
Al centro di questa domenica che conclude l’Ottava di Pasqua, e che Giovanni Paolo II ha voluto intitolare alla Divina Misericordia, ci sono le piaghe gloriose di Gesù risorto. Egli le mostrò già la prima volta in cui apparve agli Apostoli, le sera stessa del giorno dopo il sabato, il giorno della Risurrezione. Ma quella sera non c’era Tommaso; e quando gli altri gli dissero che avevano visto il Signore, lui rispose che se non avesse visto e toccato quelle ferite, non avrebbe creduto. Otto giorni dopo, Gesù apparve di nuovo nel cenacolo, in mezzo ai discepoli, e c’era anche Tommaso; si rivolse a lui e lo invitò a toccare le sue piaghe. E allora quell’uomo sincero, quell’uomo abituato a verificare di persona, si inginocchiò davanti a Gesù e disse: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28).
Le piaghe di Gesù sono scandalo per la fede, ma sono anche la verifica della fede. Per questo nel corpo di Cristo risorto le piaghe non scompaiono, rimangono, perché quelle piaghe sono il segno permanente dell’amore di Dio per noi, e sono indispensabili per credere in Dio. Non per credere che Dio esiste, ma per credere che Dio è amore, misericordia, fedeltà. San Pietro, riprendendo Isaia, scrive ai cristiani: «Dalle sue piaghe siete stati guariti» (1 Pt 2,24; cfrIs 53,5). Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II hanno avuto il coraggio di guardare le ferite di Gesù, di toccare le sue mani piagate e il suo costato trafitto. Non hanno avuto vergogna della carne di Cristo, non si sono scandalizzati di Lui, della sua croce; non hanno avuto vergogna della carne del fratello (cfr Is 58,7), perché in ogni persona sofferente vedevano Gesù. Sono stati due uomini coraggiosi, pieni della parresia dello Spirito Santo, e hanno dato testimonianza alla Chiesa e al mondo della bontà di Dio, della sua misericordia.
Sono stati sacerdoti, vescovi e papi del XX secolo. Ne hanno conosciuto le tragedie, ma non ne sono stati sopraffatti. Più forte, in loro, era Dio; più forte era la fede in Gesù Cristo Redentore dell’uomo e Signore della storia; più forte in loro era la misericordia di Dio che si manifesta in queste cinque piaghe; più forte era la vicinanza materna di Maria.
In questi due uomini contemplativi delle piaghe di Cristo e testimoni della sua misericordia dimorava «una speranza viva», insieme con una «gioia indicibile e gloriosa» (1 Pt 1,3.8). La speranza e la gioia che Cristo risorto dà ai suoi discepoli, e delle quali nulla e nessuno può privarli. La speranza e la gioia pasquali, passate attraverso il crogiolo della spogliazione, dello svuotamento, della vicinanza ai peccatori fino all’estremo, fino alla nausea per l’amarezza di quel calice. Queste sono la speranza e la gioia che i due santi Papi hanno ricevuto in dono dal Signore risorto e a loro volta hanno donato in abbondanza al Popolo di Dio, ricevendone eterna riconoscenza.
Questa speranza e questa gioia si respiravano nella prima comunità dei credenti, a Gerusalemme, di cui ci parlano gli Atti degli Apostoli (cfr 2,42-47). E’ una comunità in cui si vive l’essenziale del Vangelo, vale a dire l’amore, la misericordia, in semplicità e fraternità. E questa è l’immagine di Chiesa che il Concilio Vaticano II ha tenuto davanti a sé. San Giovanni XXIII e San Giovanni Paolo II hanno collaborato con lo Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria, la fisionomia che le hanno dato i santi nel corso dei secoli. Non dimentichiamo che sono proprio i santi che mandano avanti e fanno crescere la Chiesa. Nella convocazione del Concilio Giovanni XXIII ha dimostrato una delicata docilità allo Spirito Santo, si è lasciato condurre ed è stato per la Chiesa un pastore, una guida-guidata. Questo è stato il suo grande servizio alla Chiesa; è stato il Papa della docilità allo Spirito. In questo servizio al Popolo di Dio, Giovanni Paolo II è stato il Papa della famiglia. Così lui stesso, una volta, disse che avrebbe voluto essere ricordato, come il Papa della famiglia. Mi piace sottolinearlo mentre stiamo vivendo un cammino sinodale sulla famiglia e con le famiglie, un cammino che sicuramente dal Cielo lui accompagna e sostiene. Che entrambi questi nuovi santi Pastori del Popolo di Dio intercedano per la Chiesa affinché, durante questi due anni di cammino sinodale, sia docile allo Spirito Santo nel servizio pastorale alla famiglia. Che entrambi ci insegnino a non scandalizzarci delle piaghe di Cristo, ad addentrarci nel mistero della misericordia divina che sempre spera, sempre perdona, perché sempre ama.
[Testo originale: Italiano]

Canonizzazione Papi: Carron, testimoni dell'essenziale

http://www.ilsussidiario.net/News/Cronaca/2014/4/27/CANONIZZAZIONE-PAPI-L-articolo-di-Juli-n-Carr-n-testimoni-dell-essenziale/print/494710/

"Occorrerebbe riandare alla situazione della Chiesa degli anni Cinquanta per capire la portata storica dei due Papi che oggi vengono canonizzati. Una Chiesa che rischiava di rimanere chiusa in se stessa, con una grande difficoltà a stabilire un rapporto adeguato con il pensiero moderno, era bisognosa di una svolta epocale per tornare ad annunciare Cristo in modo convincente ed attraente agli uomini del nostro tempo(...)" 


sabato 26 aprile 2014

Bergoglio e Giussani, le affinità elettive

La riflessione
Bergoglio e don Gius, le affinità elettive


"Da molti anni gli scritti di monsignor Giussa­ni hanno ispirato la mia riflessione. (...) Il senso religioso non è un libro ad uso esclusivo di coloro che fanno parte del movimento; neppure è solo per i cristiani o per i credenti. È un libro per tutti gli uomini che prendono sul se­rio la propria umanità. Oso dire che oggi la questione che dobbia­mo maggiormente af­frontare non è tanto il problema di Dio, l’esi­stenza di Dio, la cono­scenza di Dio, ma il problema dell’uomo, la conoscenza dell’uo­mo e il trovare nell’uo­mo stesso l’impronta che Dio vi ha lasciato per incontrarsi con Lui. (...) Non si può i­niziare un discorso su Dio se prima non ven­gono soffiate via le ce­neri che soffocano la brace ardente dei ’per­ché’ fondamentali. Il primo passo è creare il senso di tali domande che sono nascoste, sotterrate, forse soffe­renti, ma che esisto­no».

Correva l’anno 1999 quando l’arcive­scovo di Buenos Aires, Jorge Maria Bergoglio, pronunciava queste parole in occasione della presentazione di El sentido religioso , traduzione in lingua spagnola dell’opera fondamentale di Lui­gi Giussani, Il senso religioso. Le ragioni di una con­sonanza ideale tra i due, che non si sono mai incontrati diretta­mente, vengono sot­tolineate anche due anni più tardi in occa­sione della presenta­zione di un’altra ope­ra del leader di Comu­nione e liberazione, L’attrattiva Gesù: «La prima, più personale, è il bene che negli ul­timi dieci anni que­st’uomo ha fatto a me, alla mia vita di sacer­dote, attraverso la lettura dei suoi li­bri e dei suoi articoli - ebbe a dire l’ar­civescovo - . La seconda ragione è che sono convinto che il suo pensiero è profondamente umano e giunge fino al più intimo dell’anelito dell’uomo. Oserei dire che si tratta della fenome­nologia più profonda e, allo stesso tempo, più comprensibile della no­stalgia come fatto trascendentale».

venerdì 25 aprile 2014

GIOVANNI XIII: PER SEMPRE PARROCO

GIOVANNI XXIII

Per sempre parroco

di Paola Bergamini
24/04/2014 - Non il «Papa buono», ma della bontà. Della tradizione e non del tradizionalismo. Monsignor Gianni Carzaniga, già direttore della fondazione dedicata a Roncalli, ripercorre vita e Pontificato di un pastore «accanto alla gente» (da Tracce)
«Questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede. Miei cari amici e fratelli, stiamo in guardia dai vani simulacri che oggi ingombrano il mondo e lo terrorizzano. Tutti i tempi si rassomigliano». Così concluse la sua omelia, il 26 agosto dell’Anno Santo 1950, monsignor Angelo Roncalli, nunzio apostolico a Parigi, nella chiesa di Sant’Alessandro in Colonna, a Bergamo. Il futuro Giovanni XXIII, che il 27 aprile sarà canonizzato insieme a Giovanni Paolo II, ha avuto un legame particolare con questa parrocchia. Qui nel 1898, giovane seminarista, ascoltò l’omelia del patriarca di Venezia, Giuseppe Sarto, poi Pio X, e, nel 1906, fece la sua prima predica importante come prete, su san Francesco di Sales. Altre saranno le occasioni che lo riporteranno in questa chiesa. «Giovanni XXIII è l’espressione più bella di un clero, quello bergamasco, vicino alla gente, dedito alla cura pastorale. Lui si sentirà sempre parroco», spiega monsignor Gianni Carzaniga, rettore del seminario di Bergamo e per otto anni direttore della Fondazione Giovanni XXIII, dove sono raccolti e studiati gli scritti del Pontefice. Ha lasciato l’incarico quando è diventato parroco di Sant’Alessandro. «L’impegno era inconciliabile con la cura d’anime».

Cosa significa che Giovanni XXIII si sentiva parroco, lui che non lo è mai stato?
Il primo dono che il Signore gli ha fatto è stato di incontrarlo. Angelo Roncalli è diventato prete perché voleva fare il prete, cioè annunciare Gesù Cristo in qualunque situazione. Non è una cosa che si impara sui libri, ne aveva fatto esperienza guardando il suo parroco: vicino alla gente con una cura pastorale, capillare. In questo sarà sempre parroco. Penso agli anni trascorsi nelle periferie d’Europa.

In che senso?
Prima in Bulgaria, accanto agli oltre 160mila immigrati cattolici macedoni scappati durante la guerra, e poi nei dieci anni in Turchia, lui sarà il delegato apostolico, cioè il rappresentante del Papa presso i cattolici: un Vescovo missionario, accanto alla gente. Il suo ruolo diplomatico presso quei Governi è di poco valore, quasi nullo. In Turchia si trova persino costretto a vestire gli abiti borghesi. Ma questo non gli impedisce di creare relazioni, rapporti, di bussare alle porte di servizio. È l’uomo del dialogo attento. Un episodio forse può chiarire questa sua posizione intelligente e furba, nel senso della furbizia evangelica.

GIOVANNI PAOLO II:IL TUO NOME NACQUE DA CIO' CHE FISSAVI

GIOVANNI PAOLO II

Nacque il tuo nome da ciò che fissavi

di Julián Carrón
24/04/2014 - Lo speciale di Tracce sul Pontificato di papa Wojtyla, del maggio 2005. Lo riproponiamo in occasione della canonizzazione. Qui, le parole introduttive del presidente della Fraternità di CL
È impossibile esprimere tutto il nostro dolore per la morte di Giovanni Paolo II. La sua scomparsa ci riempie di un silenzio pieno di gratitudine e di una devozione appassionata alla sua persona e alla sua vita. Questo dolore è alleviato solo dalla certezza della sua compagnia perenne e dell’aiuto che, dalla casa del Padre, continuerà a dare alla sua amata Chiesa, intercedendo per essa davanti a Cristo.

Non potremo mai dimenticare la sua appassionata testimonianza di Cristo, data con tutta l’energia di cui è stato capace, senza risparmiarsi assolutamente nulla. Come san Paolo, ha riempito tutto il mondo del vangelo di Cristo (cfr. Rm 15,19), nell’unico modo possibile: incarnandolo, facendo vedere a tutti che cos’è il cristianesimo.

Nella commovente omelia durante il funerale, il cardinale Ratzinger ha ricordato a tutti che «il nostro Papa ha voluto dare se stesso senza riserve, fino all’ultimo momento, per Cristo e così anche per noi», e in questo modo «ha dato nuova attrazione all’annuncio del Vangelo».

Noi abbiamo visto coi nostri occhi che cosa vuol dire una persona tutta investita dalla presenza di Cristo, qual è il livello che raggiunge l’umano quando l’uomo - come il Papa ci ha invitato a fare dal primo istante del suo pontificato - apre le porte a Cristo. Così abbiamo imparato da vicino - come ha scritto don Giussani per il venticinquesimo di pontificato di Giovanni Paolo II - che «il cristianesimo tende a essere veramente la realizzazione dell’umano», e perciò «è la strada per il compimento della felicità dell’uomo».

giovedì 24 aprile 2014

Roma: iniziative in vista della canonizzazione dei due papi

Iniziative, orari, trasporti, copertura media: la canonizzazione dei due papi in pillole

La canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II è un grande evento spirituale ma anche una – l’ennesima - prova logistica per la città di Roma, invero abituata a gestire imponenti raduni di carattere religioso (e non solo). Può essere utile fornire un po’ di dettagli sia delle iniziative spirituali in preparazione dell’evento sia dei piani per far sì che quante più persone possibili possano partecipare fruttuosamente alla giornata.
Innanzitutto per partecipare alla canonizzazione dei due papi non saranno necessari biglietti di alcun genere, ma la partecipazione sarà libera per tutti i fedeli che vorranno e potranno trovare posto in piazza San Pietro e zone limitrofe (via della Conciliazione). I fedeli attesi alla celebrazione sono alcune centinaia di migliaia, secondo quanto previsto dal Vaticano.
Iniziative spirituali
Sabato 26 aprile, a partire dalle 21, ci sarà una “notte bianca” di preghiera. Le chiese del centro di Roma saranno aperte e sarà possibile pregare e confessarsi. Verrà proposto uno schema, elaborato dall’ufficio liturgico del Vicariato di Roma, per la veglia con brani biblici e testi tratti dagli scritti dei due papi che offrono spunti per la meditazione e la preghiera. L’animazione liturgica sarà garantita in diverse lingue: a Sant’Agnese in Agone a Piazza Navona in italiano, a San Marco in Campidoglio in italiano e inglese, a Sant’Anastasia in portoghese, al Santissimo Nome di Gesù all’Argentina in italiano e spagnolo, a Santa Maria in Vallicella in italiano, a S. Giovanni dei Fiorentini in italiano, a S. Andrea della Valle in francese, a S. Bartolomeo all’Isola Tiberina in italiano e arabo, a S. Ignazio di Loyola in Campo Marzio in italiano, alla Chiesa delle S.S. Stimmate in italiano, alla Chiesa dei XII Apostoli in italiano. 
La celebrazione del 27 aprile si terrà in quella che proprio Giovanni Paolo II aveva ribattezzato la “domenica della Divina Misericordia” (la prima domenica dopo Pasqua), come fu pure il primo maggio del 2011, giorno della beatificazione di Karol Wojtyla. La messa presieduta da papa Francesco comincerà alle 10 in piazza San Pietro e verrà preparata dalla recita cantata della coroncina della Divina Misericordia, con la lettura di testi dei due papi. Circa mille i concelebranti tra cardinali e vescovi, almeno settecento i sacerdoti che amministreranno la comunione in piazza San Pietro, centinaia di diaconi lungo via della Conciliazione. Gli arazzi saranno gli stessi usati per le beatificazioni; anche il reliquario di Giovanni Paolo II sarà lo stesso della beatificazione e ne verrà realizzato uno gemello per Giovanni XXIII, per il quale alla beatificazione del 2000 (avvenuta assieme a quella di papa Pio IX) non vi era reliquiario perché il cadavere non era stato ancora esumato. Alla celebrazione saranno presenti le due donne miracolate da Karol Wojtyla: la suora francese Marie Simon-Pierre e la costaricana Floribeth Mora Díaz, (mentre per la canonizzazione di Roncalli, papa Bergoglio ha dispensato dall'accertamento di un miracolo). Dopo la messa i fedeli potranno venerare le tombe dei due nuovi santi nella basilica di San Pietro. Alcuni maxischermi consentiranno a coloro che non hanno avuto accesso all’area del Vaticano di seguire la celebrazione a distanza: tre in via dei Fori Imperiali, uno a Piazza Navona, uno a Piazza del Popolo, uno a Castel Sant’Angelo e uno in Piazza S. Maria Maggiore.  
Gli aspetti logistici
Sabato 26 aprile le 14 linee di bus che servono San Pietro e il centro storico e le 6 linee di tram seguiranno l’orario dei giorni feriali. Le metropolitane A e B effettueranno servizio no-stop per tutta la notte tra sabato e domenica, mentre l’Unitalsi  assicurerà l’accesso alle funzioni religiose prevedendo un servizio di accompagnamento di persone con disabilità da attivarsi al numero verde 800 062026. Saranno presenti tre punti di presidio: Sant’Uffizio, Trasportina, Piazza Risorgimento. La discesa dei disabili dai pullmini avrà luogo in Via Porta Cavalleggeri. Via dei Fori Imperiali (da Piazza Venezia a Piazza del Colosseo) resta zona esclusivamente pedonale (lo sarà fino al 4 maggio).
I pellegrini saranno assistiti dai volontari della Protezione Civile, dagli agenti della Polizia locale e presso i numerosi presidi medici allestiti dall’Ares 118 nelle aree interessate dai vari eventi, in base a un piano sanitario che entrerà a pieno regime proprio nel giorno della canonizzazione. Anche i Punti Informativi Turistici estenderanno il proprio orario di servizio nelle zone di maggior affluenza. E altri 3 punti temporanei saranno allestiti nell’area  della Basilica di S. Maria Maggiore, a Piazza del Popolo e a Piazza Risorgimento.
La comunicazione dell’evento
Infine, per chi non vuole perdersi nulla della canonizzazione dei due papi- sul posto o a distanza - molte sono le possibilità informative online. Innanzitutto il sito ufficiale , che offre ai pellegrini e ai fedeli la possibilità di accedere alle notizie, alle informazioni utili riguardanti le celebrazioni e alle riflessioni spirituali relative alla vita e all'insegnamento dei due papi. Sarà fruibile in cinque lingue: italiano, inglese, francese, spagnolo e polacco. Al sito ufficiale delle canonizzazioni dei due papi si aggiungono l'account Twitter ufficiale: @2popesaints e l'applicazione intitolata "Santo Subito", scaricabile gratuitamente sia nel formato Android che nel formato Ios (in lingua italiana, inglese, spagnola e polacca), che consentirà di avere informazioni logistiche, di accedere alle principali notizie sulla canonizzazione e di scaricare il materiale previsto per i diversi eventi liturgici.

La paura della libertà uccide il futuro della Russia

RUSSIA

La paura della libertà uccide il futuro della Russia

di Marta Allevato

Serghei Chapnin, direttore della "Rivista del Patriarcato di Mosca" racconta ad AsiaNews le sfide della società contemporanea russa e il contributo che il cristianesimo può dare a un vero "cambiamento morale" del Paese.


Mosca (AsiaNews) - La necessità di dare un "giudizio morale" sul passato sovietico, recuperare il rispetto per la persona, insegnare ai giovani la libertà di pensiero cristiana e dare maggiore impulso alla "missione interna" della Chiesa, spiegando ai fedeli il significato vero del magistero. Sono queste alcune delle sfide più grandi che la società e la Chiesa ortodossa in Russia devono affrontare in questo momento, secondo il giornalista Serghei Chapnin, direttore della "Rivista del Patriarcato di Mosca" (17mila copie di tiratura su abbonamento in tutto il Paese), il mensile che racconta la vita pastorale della Chiesa e rilancia gli interventi dei vertici ecclesiastici.
Autore di un recente saggio dal titolo "La Chiesa nella Russia post-sovietica", Chapnin sostiene che il problema della Russia oggi - dalla società alla politica, fino alla fede - è non essersi ancora liberata della mentalità sovietica: guarda con preoccupazione a un "ritorno dell'Urss" tra le nuove generazioni, ai pressanti richiami al "rispetto dei valori tradizionali" lanciati dalla leadership del Paese e al progetto del Cremlino di fondare una "politica culturale di Stato", che rischia di diventare ideologia di regime.
E' convinto che un cambiamento possa arrivare, ma solo dal basso, partendo dal singolo cittadino. Per questo è importante, a suo dire, l'esempio che può offrire il cristiano, vivendo in coerenza con la sua fede.
Chapnin - che cura anche le pubblicazioni del Patriarcato - ha già iniziato una piccola rivoluzione, avviando una rivista mensile "Il tempio russo nel XXI secolo" che per la prima volta affronta la questione dell'architettura della chiese ortodosse moderne.  "E' un progetto avviato a inizio 2014 sulla base della constatazione che si stanno costruendo molte chiese, ma per lo più di cattiva qualità e gusto estetico", racconta in una conversazione con AsiaNews, nel suo ufficio a due passi dal monastero di Novodevichy a Mosca. La spiegazione, secondo il giornalista, è teologica: "Finché non capiamo cosa significa per noi la liturgia oggi, non capiremo di che tipo di chiese abbiamo bisogno".
Si tratta di una riflessione profonda, che livelli coinvolge e cosa riguarda in particolare?
Se ne parla da un anno e mezzo anche ai vertici ecclesiastici e si sta preparando un documento ufficiale. Non si tratta solo di pensare a strutture che vadano incontro alle esigenze dei parrocchiani (parcheggi gratuiti, guardaroba per i cappotti nelle regioni fredde...), ma anche alla forma stessa dell'altare: l'iconostasi deve coprirlo completamente o lasciarlo aperto in modo da far capire meglio la liturgia? Dal fatto che l'altare sia aperto o chiuso, dipende molto la percezione che hanno i fedeli della liturgia e penso che in futuro si andrà sempre di più verso la costruzione di altari aperti. La liturgia è oggi incomprensibile alla maggior parte dei fedeli: non solo per il fatto che si usa la lingua ecclesiastica antica, ma anche perché la gente non capisce cosa succede. Quello che manca è un lavoro serio di catechesi.

mercoledì 23 aprile 2014

Saluto di don Carron a conclusione del Triduo di GS

Saluto di Julián Carrón
a conclusione del Triduo pasquale di GS

Rimini, 19 aprile 2014

Cari amici,
il desiderio di essere felice, prima o poi, si affaccia sulla vita di ciascuno. Da quel momento la
vita è diversa. E uno capisce che è una cosa seria. «La vita è mia, irriducibilmente mia», diceva
don Giussani. Niente è così serio come la vita. Perché è in gioco la felicità. Cioè la ragione del
vivere.
E allora la vita diventa drammatica.
Perché?
Perché non si può vivere più come se un desiderio così struggente non si fosse reso presente.
Per il fatto stesso di avvertirlo, io sono già diverso. Dal momento in cui l’ho presentito, ho
smesso di essere un bambino.
Inizia così l’avventura del vivere. E la lotta.
È la lotta tra il prendere sul serio questo desiderio e il fare finta di non averlo avvertito.
Ma c’è un inconveniente: occorre volersi veramente bene per ingaggiare questa lotta a cui tutto
il mio essere, tutta la mia umanità, mi spinge senza sosta.
La vita è, alla fin fine, un problema di affezione. Di affezione a sé.
Proprio per ridestare questa affezione, «Uno morì per tutti». E risorgendo ha vinto. Come
documentano le facce di Pietro e Giovanni nella corsa verso il sepolcro la mattina della
resurrezione.
Chi non desidera una affezione così?

Buona Pasqua, amici.

Julián Carrón



giovedì 17 aprile 2014

«Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti». Quando diciamo che questo annuncio è «il primo», ciò non significa che sta all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano. È il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare. È l’annuncio che risponde all’anelito d’infinito che c’è in ogni cuore umano. Tale convinzione, tuttavia, si sostiene con l’esperienza personale, costantemente rinnovata, di gustare la sua amicizia e il suo messaggio, convinti, in virtù della propria esperienza, che non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni. Sappiamo bene che la vita con Gesù diventa molto più piena e che con Lui è più facile trovare il senso di ogni cosa.
(Papa Francesco)


Per la mia formazione in famiglia e in seminario prima, per la mia meditazione dopo, mi ero profondamente persuaso che una fede che non potesse essere reperta e trovata nell'esperienza presente, confermata da essa, utile a rispondere alle sue esigenze, non sarebbe stata una fede in grado di resistere in un mondo dove tutto, tutto, diceva e dice l'opposto; Mostrare la pertinenza della fede alle esigenze della vita e, quindi - questo «quindi» è importante per me -, dimostrare la razionalità della fede, implica un concetto preciso di razionalità. Dire che la fede esalta la razionalità, vuol dire che la fede corrisponde alle esigenze fondamentali e originali del cuore di ogni uomo. Per questo dare ragione della fede significa descrivere sempre di più, sempre più ampiamente, sempre più densamente, gli effetti della presenza di Cristo nella vita della Chiesa nella sua autenticità, quella la cui «sentinella» è il Papa di Roma.
(Luigi Giussani)

Come ogni anno, il Movimento di CL propone un'immagine artistica e un testo come aiuto a vivere la Santa Pasqua.
Quest'anno l'immagine è un particolare della Lavanda dei piedi di Giotto (Cappella degli Scrovegni, 1303/1305, Padova).
Il testo è costituito da due brani. Il primo, di papa Francesco, è tratto dalla Esortazione Apostolica Evangelii gaudium,164-165 e 266.
Il secondo brano, di Luigi Giussani, è tratto dal libro Il rischio educativo, Rizzoli, Milano 2005, pp. 20-21.




Gli auguri dell'Associazione Italiana Centri Culturali per una santa e serena Pasqua

«Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti». Quando diciamo che questo annuncio è «il primo», ciò non significa che sta all’inizio e dopo si dimentica o si sostituisce con altri contenuti che lo superano. È il primo in senso qualitativo, perché è l’annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare. È l’annuncio che risponde all’anelito d’infinito che c’è in ogni cuore umano. Tale convinzione, tuttavia, si sostiene con l’esperienza personale, costantemente rinnovata, di gustare la sua amicizia e il suo messaggio, convinti, in virtù della propria esperienza, che non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni. Sappiamo bene che la vita con Gesù diventa molto più piena e che con Lui è più facile trovare il senso di ogni cosa.
(Papa Francesco)

Per la mia formazione in famiglia e in seminario prima, per la mia meditazione dopo, mi ero profondamente persuaso che una fede che non potesse essere reperta e trovata nell'esperienza presente, confermata da essa, utile a rispondere alle sue esigenze, non sarebbe stata una fede in grado di resistere in un mondo dove tutto, tutto, diceva e dice l'opposto; Mostrare la pertinenza della fede alle esigenze della vita e, quindi - questo «quindi» è importante per me -, dimostrare la razionalità della fede, implica un concetto preciso di razionalità. Dire che la fede esalta la razionalità, vuol dire che la fede corrisponde alle esigenze fondamentali e originali del cuore di ogni uomo. Per questo dare ragione della fede significa descrivere sempre di più, sempre più ampiamente, sempre più densamente, gli effetti della presenza di Cristo nella vita della Chiesa nella sua autenticità, quella la cui «sentinella» è il Papa di Roma.
(Luigi Giussani)

Come ogni anno, il Movimento di CL propone un'immagine artistica e un testo come aiuto a vivere la Santa Pasqua.
Quest'anno l'immagine è un particolare della Lavanda dei piedi di Giotto (Cappella degli Scrovegni, 1303/1305, Padova).
Il testo è costituito da due brani. Il primo, di papa Francesco, è tratto dalla Esortazione Apostolica Evangelii gaudium,164-165 e 266.
Il secondo brano, di Luigi Giussani, è tratto dal libro Il rischio educativo, Rizzoli, Milano 2005, pp. 20-21.

 Buona Pasqua a tutti!
                                            

Quando il dolore apre una strada

BOLOGNA


Giacomo, il rivoluzionario

di Francesca Mortaro
16/04/2014 - "Un lampo di vita". Il convegno nazionale all'ospedale Sant'Orsola sul percorso per neonati terminali. È nato dall'esperienza di Natascia, Mirco e di loro figlio, che è vissuto 19 ore trasformando il reparto e il lavoro di medici e infermieri
«Mi avevano detto che sarebbe nato, ma solo per morire qualche istante dopo. Una vita inutile, senza senso». A raccontarlo è Natascia, mamma di Giacomo, al quale, un anno fa, è stata diagnosticata una malattia incompatibile con la vita: anencefalia. «Interrompere la gravidanza mi veniva prospettata come unica via ragionevole. A cosa sarebbero valsi quei nove mesi di attesa che sarebbero poi terminati con una morte certa?». Quello che è accaduto dopo lo trovate raccontato qui. Giacomo nasce all'ospedale Sant'Orsola di Bologna e invece di morire subito, piange, si muove, è pieno di energie. Vive per diciannove ore. Intense e potenti.

Chiara Locatelli è la neonatologa che lo ha curato in quelle ore, lo ha tenuto al caldo, si è assicurata che non soffrisse, gli ha dato da mangiare e soprattutto - con l’aiuto dei suoi responsabili e colleghi, del ginecologo Patrizio Calderoni e di Antonella Graziano, la caposala - ha fatto in modo che Giacomo potesse stare per tutto il tempo in una stanza con la mamma, il papà e i fratellini. Racconta Natascia: «Noi lo abbiamo scoperto solo più tardi che il fatto di avere un posto tutto per noi, dopo il parto, e di avere una stanza per il ricovero, in cui sono potuta stare con Giacomo, è stato fuori dall’ordinario».

"Fuori dall’ordinario" è tutto quello che è successo quel primo di ottobre: ostetriche, neonatologhe, medici ed infermieri hanno lavorato insieme perché Giacomo potesse vivere senza soffrire accanto alla sua famiglia. Alcuni sono andati a ringraziare Natascia e il marito per l’esperienza vissuta. Tanto che, il giorno dopo, Antonella Graziano, la caposala, va dalla Locatelli e le dice di voler pensare ad un percorso, un protocollo da seguire e proporre agli altri medici se si fosse verificato un altro caso come quello.

sabato 12 aprile 2014

Dio mi sceglie sempre

Storia da Haiti
«Dio mi sceglie sempre»

di Davide Perillo

Sherline è di Haiti, dove perfino uscire per pranzo è pericoloso. Lavorando per Avsi ha incontrato Gloria e con lei il "Si può vivere così?" di don Giussani. Da allora si è accorta che Cristo è sempre presente, «anche se non lo cerchi»

«Quello che è bello chiede di continuare. Tutto. Sempre. È per questo che sono qui». Sherline ha 29 anni, vive ad Haiti e lavora per Avsi. È la prima volta che viene all'Aral. «E quello che vedo mi dà ancora più fiducia nel continuare il cammino. C'è gente da tanti posti che vive la stessa esperienza che vivo io. Rendersene conto è bello. Ma soprattutto fa capire di più di che si tratta e ti aiuta a viverlo». Lei ha iniziato a viverlo quattro anni fa, un pomeriggio in cui capitò nella stessa stanza dove Gloria, un'operatrice italiana, stava mangiando con tre amici. «Parlavano di un libro di don Giussani, Si può vivere così?. Avevano già fatto altri incontri, prima che partecipassi. Ma quando sono arrivata stavano parlando della conversione di san Paolo. Dicevano che non è stato Paolo a scegliere Dio, ma il contrario. Era un modo per farci capire che nelle difficoltà che viviamo, Dio ci può scegliere. Sono rimasta colpita». Perché? «Mi sono accorta di colpo che il Signore è sempre presente nella vita dell’uomo. Pensavo lo fosse solo se tu lo cerchi. Invece se Paolo è stato preso anche senza cercarlo, vuol dire che io posso fare la sua stessa esperienza. È cominciato così».

giovedì 10 aprile 2014

E' possibile un nuovo inizio? Il contributo di un'esperienza

È possibile un nuovo inizio? Il contributo di una esperienza


09/04/2014

In vista delle elezioni del 25 maggio 2014 per il rinnovo del Parlamento europeo, mercoledì 9 aprile, alle ore 21, presso Milano Congressi, si è svolto l'incontro dal titolo “È possibile un nuovo inizio? Il contributo di una esperienza”.
Hanno partecipato:
- RICCARDO RIBERA D’ALCALÁ - Direttore Generale delle Politiche Interne del Parlamento europeo
- JULIÁN CARRÓN - Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione
Ha introdotto:
- ROBERTO FONTOLAN - Direttore del Centro Internazionale di CL (Roma)

http://bit.ly/1lM5zw5h

martedì 8 aprile 2014

Giussani: la libertà dell'uomo e il potere

MILANO

Un uomo che si incontra, e che si segue

di Giorgio Vittadini
07/04/2014 - La biografia di don Giussani all'Università Bicocca. Un incontro che ha ripercorso la genialità educativa del fondatore di Cl. Come quella volta in cui fece riappassionare un'allieva ebrea, non più praticante, alla sua tradizione...
La presentazione di Vita di don Giussani di Alberto Savorana, avvenuta il pomeriggio di mercoledì 2 aprile all’Università di Milano Bicocca, per iniziativa dell’associazione studentesca Help Point, è stata molto interessante per il taglio particolare e unitario scelto dagli organizzatori. Il titolo, “Don Giussani, una esperienza educativa”, mostra il filo rosso seguito dai relatori: cosa significa che Giussani sia stato e sia un educatore eccezionale, capace di mobilitare le coscienze di migliaia di giovani e, oggi, anche non più giovani.

Lorenzo Strik Lievers, docente di Scienza della formazione, negli anni in cui insegnava Giussani era studente di matrice radical socialista al liceo Berchet e andava alle lezioni di religione del sacerdote milanese per contestarlo, contrapponendosi ai giessini. Tuttavia don Giussani era ben diverso dall’immagine di prete tipica di quell’Italia dove dominava un oppressivo potere clericale. Anzi, riteneva che quella ricerca del potere nascondesse una gravissima mancanza di ragioni e un vuoto di esperienza reale. Lui proponeva piuttosto a tutti, cattolici e non, di mettersi in gioco, di risvegliare il loro personale senso religioso. La questione educativa che Giussani poneva era l’educazione alla libertà, di cui l’incontro con Cristo era il culmine. Per questo, anche dopo il successo politico-organizzativo pubblico del Palalido (1973), richiamò pesantemente i suoi seguaci al fatto che la strada non era la ricerca di una egemonia politico sociale, ma la presa di coscienza della propria identità, del rapporto con Cristo come avvenimento di vita che cambia la storia per il bene di tutti. È la radice di quella battaglia per la libertà di educazione, punto imprescindibile e condiviso anche da laici del suo movimento.

lunedì 7 aprile 2014

la lunga marcia della maturità

La lunga marcia della maturità

Luigi Giussani
Appunti da una conversazione di Luigi Giussani alla “Scuola quadri” di Comunione e Liberazione. Milano, 27 febbraio 1972. Una sintesi non firmata fu pubblicata su Litterae Communionis n. 17 del giugno 1972 (pp. 3-9)

1. Che cosa cerchiamo
Il momento della storia del movimento che oggi ci tocca guardare in faccia è quello in cui l’esperienza del movimento ha subìto lo scossone più grosso: il ’68.
Forse non è inutile ricordarci che, nella vita di chi Egli chiama, Dio non permette che accada qualche cosa, se non per la maturità, se non per una maturazione di coloro che Egli ha chiamati. Questo vale innanzitutto per la vita della persona, ma ultimamente e più profondamente per la vita della sua Chiesa, perciò, analogamente, per la vita di ogni comunità, si chiami essa famiglia o comunità ecclesiale, in senso più lato. Dio non permette mai che accada qualche cosa, se non per una nostra maturità, per una nostra maturazione. Anzi, è proprio dalla capacità che ognuno di noi e che ogni realtà ecclesiale ha (famiglia, comunità, parrocchia, Chiesa in genere) di valorizzare come strada maturante ciò che appare come obiezione, persecuzione, o comunque come difficoltà, è dalla capacità di rendere strumento e momento di maturazione questo, che si dimostra la verità della fede. Non per nulla il Signore dice, quando parla della fine del mondo - ma la fine del mondo è ogni risvolto della storia -, che «il male espliciterà molta suggestività, ci saranno molti pseudo-cristi e pseudo-profeti, e allora si raffredderà la carità di molti»1.
È questo, potremmo dire, il sintomo della verità, della autenticità o meno della nostra fede: se in primo piano è veramente la fede o in primo piano è un altro tipo di preoccupazione, se ci aspettiamo veramente tutto dal fatto di Cristo, oppure se dal fatto di Cristo ci aspettiamo quello che decidiamo di aspettarci, ultimamente rendendolo spunto e sostegno a nostri progetti o a nostri programmi.
La legge dello sviluppo spirituale, questa legge dinamica della vita della nostra fede cui abbiamo accennato adesso, è realmente d’estrema importanza per gli individui, come per le collettività; per le collettività, come per gli individui. Resta sempre vero che, per chi capisce Dio e vuole Dio, tutto coopera al bene; e resta sempre vero che, nella difficoltà, viene a galla il fatto se tu voglia Dio o no. È l’eterno dilemma che sta in capo a ogni pronunciamento dell’uomo, a ogni azione dell’uomo, a ogni espressione dell’uomo, è l’alternativa che denuncia l’ambiguità possibile alla radice di ogni flessione umana.
Il mondo è una grande ambiguità per lo spirito non chiaro. Lo spirito dell’uomo ha la tentazione dell’ambiguità sopra ogni altra cosa. Non per nulla Cristo parlava in parabole, «affinché vedendo possano non vedere e udendo possano non udire»2. E tutto il mondo è come una grande parabola: dimostra Dio, come una parabola dimostra il valore cui vuole richiamare, e «chi ha orecchi per intendere, intenda!»3. Di fronte alla parabola, viene a galla il pensiero segreto del cuore. Ciò che l’uomo ama viene a galla di fronte all’interrogativo, al problema, alla domanda, alla difficoltà.
Ma questa legge strutturale per la creatura, per il rapporto tra la creatura e il suo creatore (l’esistenza stessa di Dio viene percepita, afferrata, affermata solo attraverso il passaggio d’una eliminazione di questa ambiguità), vale per qualunque tipo d’esperienza autenticamente religiosa, perciò vale anche per la vita cristiana e la vita della Chiesa: di fronte all’ostacolo, viene a galla ciò che vuoi. Se vivendo la comunione, se facendo la comunità, se lavorando da mattina a sera per la comunità, tu volevi Cristo, intendevi Cristo o intendevi te stesso, lo si vede nel momento in cui la difficoltà, l’obiezione viene a galla e tenderebbe a suggerirti: «Pianta lì», o tenderebbe a suggerirti: «Che cosa mi hanno detto fino adesso? Mi hanno ingannato!», oppure: «Non mi capiscono, non mi valorizzano». È proprio e solo di fronte all’obiezione e nella prova che si vede se è oro o se è «pula»4 l’atteggiamento del nostro spirito, per dirla con un paragone di san Paolo.
Mi premeva, in capo a quello che dovremo rievocare oggi, richiamare questa norma spirituale, questo cribro spirituale inconfondibile, preciso. Del resto, è un’altra imitazione di Cristo che ci si impone, perché è attraverso la morte, attraverso la Sua agonia e la Sua morte, che s’è visto che Cristo era veramente il Figlio del Padre: «Non la mia, ma la Tua volontà sia fatta»5, o «consummatum est»6, ho obbedito fino in fondo. Ciò che noi vogliamo, dando tutto il nostro tempo, la nostra energia, il nostro cuore, la nostra preoccupazione al movimento, secondo qualunque flessione, se vogliamo Cristo o se cerchiamo noi stessi, viene a galla nella prova. Se insisto è perché, dalle funzioni segretariali o “manovali” più semplici alle funzioni più alte, è realmente questo il punto che noi dobbiamo sempre tenere presente. Se non lo teniamo presente, noi, prima di tutto, non riusciamo a essere contriti minimamente (la contrizione può avvenire solo a questo livello) e, in secondo luogo, quando avremo la difficoltà, decideremo noi se tale difficoltà è sufficiente per farci andare fuori oppure non è sufficiente, e stiamo dentro ancora. Capite? Riteniamo in mano nostra il criterio ultimo per decidere se quel che facciamo è giusto o no!
Se quello che cerchiamo è Cristo oppure è il nostro amor proprio, è l’affermazione di noi, sotto qualunque flessione, secondo qualunque versante, lo si vede, viene a galla, nel momento esatto della prova e della difficoltà: quando non ci si vede più o quando non ci dà più gusto quello che facciamo. È allora l’istante in cui il fascino mondano, e perciò la diabolicità, la menzogna, secondo la sua maschera attraente, si pone di fronte a noi e crea alternativa: «È meglio fare altro, è più giusto altro» e, come dice la canzone di Claudio Chieffo su Giuda7, sentiamo di essere stati traditi da ciò per cui ci siamo sacrificati. Mentre non ci eravamo sacrificati per quello, ma ci eravamo sacrificati per noi stessi, per l’amor proprio. Comunque, soltanto questa annotazione getta una luce che può fare leggere con esattezza ciò che è accaduto.

intervista di Papa Francesco con alcuni giovani del Belgio

Intervista di Papa Francesco con alcuni giovani del Belgio (31 marzo 2014), 05.04.2014


Intervista di Papa Francesco con alcuni giovani del Belgio (31 marzo 2014)
Di seguito pubblichiamo la trascrizione di un’intervista rilasciata lunedì scorso dal Santo Padre ad alcuni giovani delle Fiandre (Belgio), accompagnati dal Vescovo di Gent, S.E. Mons. Lucas Van Looy.
I giovani hanno posto le loro domande in inglese e il Papa ha risposto in lingua italiana:
Trascrizione dell’intervista
D. – Loro fanno parte di un gruppo di giovani, nato durante la GMG di Rio, perché a Rio hanno voluto comunicare anche agli altri giovani fiamminghi cosa hanno fatto lì; e sono un gruppo di 12 – gli altri sono qui fuori, tra l’altro – sono venuti anche con…
R. – (Papa Francesco)
…ma io voglio salutarli, gli altri, dopo, sì!
D. – Allora lo possiamo organizzare … E loro fanno veramente questo lavoro di entrare, penetrare nei media come giovani, partendo dalla loro ispirazione cristiana. E’ anche in quel senso che vogliono porle delle domande. Lei, invece, non è credente - loro sono quindi quattro, di quel gruppo – lei non è credente, ma ci sembrava anche importante, perché siamo una società molto laica, nelle Fiandre, e sappiamo che abbiamo un messaggio per tutti. Quindi lei era molto contenta…
R. - (Papa Francesco)
Ah, mi piace! Tutti siamo fratelli!
D. – Veramente, sì.
La prima domanda è: grazie per avere accettato la nostra richiesta; ma: perché l’ha accolta?

R. - (Papa Francesco)
Quando io sento che un giovane o una giovane ha inquietudine, io sento come mio dovere di servire questi giovani, di dare un servizio a questa inquietudine, perché questa inquietudine è come un seme, e poi andrà avanti e darà frutti. E io in questo momento sento che con voi sto facendo un servizio a quello che è più prezioso, in questo momento, che è la vostra inquietudine.

Admeto e Alcesti: l'amore degli uomini fa invidia agli dei

http://www.ilsussidiario.net/News/Cultura/2014/4/7/LETTURE-Admeto-e-Alcesti-l-amore-degli-uomini-fa-invidia-agli-dei/489122/

Libertà di religion in Marocco


Il Marocco approva una convenzione internazionale per la libertà di religione

Una decisione che segna la fine dei processi per apostasia
Il Marocco approva una convenzione internazionale per la libertà di religione

1 Voto

Alif Post (03/04/2014). Traduzione di Maryem Zayr.
Il Marocco è tra i Paesi arabo-islamici che hanno approvato il progetto di risoluzione del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite sulla libertà di credo religioso. L’accettazione da parte del Regno marocchino segna la fine dei processi per apostasia verificatisi nel Paese negli ultimi decenni, suscitando forti critiche internazionali.
Oltre al Marocco, il Consiglio ha visto l’adesione di numerosi altri Paesi musulmani al testo del nuovo progetto, che sottolinea “la necessità di tutelare il diritto di ogni individuo di scegliere la sua confessione religiosa, potendo così praticarla liberamente”, garantendone inoltre l’insegnamento. Di fatto, tutti i Paesi musulmani presenti alle votazioni hanno confermato la loro approvazione della risoluzione. Nel testo di legge anche che ”ogni individuo è libero di avere o non avere una propria religione e di cambiarla senza timore di essere giudicato o condannato”.
La votazione ha comunque fatto emergere posizioni contrastanti: se da un lato ha trovato approvazione negli ambienti politici e umanitari, la parte più conservatrice si è astenuta da qualsiasi commento, eccezion fatta per il salafita Mouhammad al-Fizazi, il quale ha espresso il suo rifiuto per la libertà di apostasia; altri attivisti hanno invece pubblicato commenti negativi sui loro profili Facebook.
La decisione del Marocco comporta un punto di svolta nella vita religiosa dei marocchini, dopo che il Paese è stato testimone di diversi processi giudiziari per “cambiamento di dottrina” o “conversione al cristianesimo”: anche se le sentenze fossero limitate e leggere, esse hanno però creato molte polemiche sia dal punto di vista religioso che politico, suscitando il forte imbarazzo del Regno nelle sedi internazionali, compreso il Parlamento europeo.
Il Marocco è sempre stato molto indulgente circa la conversione di un individuo a un’altra confessione religiosa, purché avvenisse in maniera discreta e non pubblica, per timore di non far circolare voci su casi di proselitismo all’interno di una società conservatrice e non avere conseguenze negative. Tuttavia, oggi gli Stati non possono più controllare le singole conversioni dei loro cittadini a causa dello sviluppo delle interazioni tra i vari soggetti della comunità internazionale. Ciò è facilmente visibile nel caso del Marocco, che conta circa 5 milioni di emigrati, di cui quasi l’84% dei quali si trovano in Paesi che garantiscono la libertà di culto.
Allo stesso tempo, con lo sviluppo tecnologico e mediatico i marocchini sono diventati bersaglio di numerosi programmi a stampo religioso – sciiti, wahhabiti, ma anche cristiani – che lo Stato non ha modo di controllare o di fermare.
Di fronte a questi sviluppi, il Marocco ha quindi sentito l’esigenza di un nuovo emendamento costituzionale e di altri strumenti legali per garantire ai suoi cittadini una piena libertà di credo.
Vai all’originale

Ucciso ad Homs Padre Van del Lugt

SIRIA
Homs: ucciso p. Frans Van del Lugt, che sfamava cristiani e musulmani
I motivi dell'agguato non sono chiari. Alcune fonti di AsiaNews accennano al fatto che il sacerdote era impegnato nella ricerca di una mediazione fra ribelli e l'esercito che salvasse la popolazione locale, segnata da fame e continui bombardamenti.


Damasco (AsiaNews) - Stamane a Homs, nella parte della città occupata dai ribelli e assediata dall'esercito regolare siriano, è stato ucciso il sacerdote gesuita p. Frans Van der Lugt (v. foto), 75 anni di cui circa 50 passati in Siria.
Un comunicato della Curia provinciale gesuita del Medio oriente e Maghreb dà notizia che il sacerdote "è stato rapito da uomini armati che lo hanno picchiato e poi giustiziato con due proiettili alla testa" davanti alla residenza gesuita a Homs.
Questa residenza era diventata il rifugio per molte persone la cui casa era stata distrutta dai bombardamenti incessanti in questi due anni di assedio, e un luogo dove condivider e il poco cibo e acqua rimasti nella città.
In febbraio AsiaNews aveva diffuso il suo appello sulla situazione della popolazione di Homs, segnata dalla fame, da turbe psichiche dovute ai bombardamenti e all'insicurezza, dalla mancanza di medicine.
Il sacerdote informava anche che di tutta la comunità cristiana una volta presente ad Homs - circa 60mila persone - ne erano rimaste solo 66.
P. Van del Lugt non ha mai voluto lasciare Homs. In un'intervista alcuni mesi fa aveva detto: "Il popolo siriano mi ha dato così tanto, così tanta gentilezza, ispirazione e ogni cosa che essi hanno. Se adesso il popolo siriano soffre, io voglio condividere con loro il dolore e le difficoltà".
I motivi dell'agguato non sono chiari. Alcune fonti di AsiaNews accennano al fatto che il sacerdote era impegnato nella ricerca di una mediazione fra ribelli e l'esercito che salvasse la popolazione di Homs.
Il sacerdote gesuita era giunto in Siria nel 1966, dopo aver passato due anni in Libano a studiare la lingua araba. P. Frans Van der Lugt era rimasto ad Homs anche dopo che grazie all'Onu, 1400 persone hanno potuto uscire dalla città, facendo entrare pure viveri ed acqua.
Alcuni giorni prima di questa tregua, il sacerdote aveva diffuso un video in cui raccontava la drammatica situazione della popolazione di Homs.
"Cristiani e musulmani - dice nel messaggio video - viviamo in condizioni difficili e dolorose, e soffriamo soprattutto per la fame". "Noi amiamo la vita - continua - e non vogliamo morire o annegare in un oceano di morte e sofferenze". Un cartello giallo al suo fianco riporta: "morire di fame è più doloroso che morire di armi chimiche".

giovedì 3 aprile 2014

Cara mamma...


Sotto il cuscino di un giovane appena deceduto…''Cara mamma, da alcuni giorni riesco a stare seduto sul letto solo per mezz’ora e per il resto della giornata sono immobilizzato. Il cuore non vuole più battere. Stamattina presto il professore ha detto qualcosa che suonava come “essere pronto”. Per che cosa? Certo è difficile morire giovani! Devo essere pronto al fatto che all’inizio della settimana sarò un “trapassato”; e non sono pronto.
I dolori scavano in modo quasi insopportabile, ma ciò che mi sembra davvero insopportabile è che non sono pronto. La cosa peggiore è che, quando guardo il cielo, è buio. Diventa notte, ma non brilla sopra di me nessuna stella, nella quale io possa immergere lo sguardo. Mamma, non ho mai pensato a Dio, ma ora sento che esiste ancora qualcosa che non conosciamo, qualcosa di misterioso, un potere nelle cui mani cadiamo, al quale dobbiamo dare delle risposte. E la mia pena è che non so chi è. Se solo lo conoscessi! Mamma, ricordi come tu, con noi bambini, camminavi nel bosco, nell’oscurità che stava calando, incontro al papà che tornava dal lavoro? A volte ti correvamo davanti e ci vedevamo improvvisamente soli.
Avanzavano dei passi nell’oscurità: che paura dei passi sconosciuti! Che gioia quando riconoscevamo che quel passo era quello del papà che ci amava. E ora, nella solitudine, sento ancora dei passi che non conosco. Perché non li conosco? Mi hai detto come mi devo vestire e come mi devo comportare nella vita, come mangiare, come cavarmela. Ti sei occupata di me e non ti sei mai stancata di tutta questa preoccupazione. Ricordo che tu, la notte di Natale, andavi a Messa con i tuoi bambini.
Mi ricordo anche della preghiera della sera, che qualche volta mi suggerivi. Ci hai sempre indirizzati all’onestà. Ma tutto questo ora per me si scioglie come neve al sole. Perché ci hai parlato di tante cose, e non ci hai mai detto nulla di Gesù Cristo? Perché non mi hai fatto conoscere il suono dei suoi passi, in modo che fossi in grado di accorgermi se è lui che viene da me in quest’ultima notte e nella solitudine della morte?»… ♥♥♥



FONTE: liberofb.altervista.org

Il futuro dei cristiani d'Oriente e le responsabilità dell'Occidente

FRANCIA - IRAQ
Patriarca caldeo: il futuro fosco dei cristiani d'Oriente, ricchezza in via di estinzione per Occidente e Islam
di Mar Louis Raphael I Sako
Le guerre in Iraq, Libia e Afghanistan hanno peggiorato la condizione dei popoli, in particolare le minoranze. Le politiche fallimentari promosse dall'Occidente. Cresce il fondamentalismo, la Primavera araba svuotata dagli estremismi. Il ruolo delle autorità musulmane nella tutela di diritti e libertà religiosa. La presenza dei cristiani in Medio oriente è fondamentale per i musulmani.


Lione (AsiaNews) - Il Medio Oriente si sta svuotando dei cristiani. Ciò avviene a causa di fondamentalismi regionali, di impaccio delle autorità locali, di inerzia della comunità internazionale e dell'Occidente. La fuga dei cristiani causerà impoverimento sociale, economico e culturale alla regione e instabilità per il mondo intero. E' l'appello accorato che Mar Louis Raphael I Sako ha lanciato nei giorni scorsi in un seminario promosso dall'università cattolica di Lione, in Francia, sulla "Vocazione dei cristiani d'Oriente". Il Patriarca caldeo invita a "non considerare" i cristiani come una "minoranza, ma come cittadini a tutti gli effetti". Nel suo lungo intervento Sua Beatitudine illustra la situazione generale dei cristiani in Medio oriente, sottolineando l'importanza della loro presenza, spiegando il ruolo delle autorità musulmane e delle Chiese orientali. Egli invita a esercitare pressioni sui governi perché siano riconosciuti e garantiti pari diritti, rilanciando ancora una volta la richiesta di fermare l'esodo dalle loro terre di origine. Ecco, di seguito, l'intervento integrale di Mar Sako (Corsivi e grassetti sono dell'originale. Traduzione a cura di AsiaNews).
I cambi di regime che hanno avuto luogo in diversi Paesi hanno aperto un abisso al loro interno; gli interventi in Afghanistan, in Iraq, in Libia non hanno affatto contribuito a risolvere il problema dei loro popoli ma, al contrario, hanno determinato situazioni caotiche e conflitti che non permettono affatto di immaginare un avvenire migliore, in particolare per i cristiani! Le divisioni confessionali divengono sempre più marcate e forti, soprattutto fra sciiti e sunniti. Diversi partiti politici di carattere settario si stanno organizzando e tutto viene a essere suddiviso in base alla confessione religiosa. Credo che in Iraq il cammino finirà con una divisione del Paese, perché il terreno è già preparato tanto dal punto di vista psicologico, quanto sotto il profilo geografico. La pulizia [etnico-religiosa] dei quartieri e delle città tra sunniti e sciiti va proprio in questa direzione.

mercoledì 2 aprile 2014

Le ultime ore di Giovanni Paaolo II raccontate dal suo medico

Spogliato di tutto attendeva l’incontro con Dio». Le ultime ore di Giovanni Paolo II raccontate dal suo medico

aprile 2, 2014 Redazione
L’aggravarsi della malattia, gli ultimi gesti deboli e la richiesta: «Lasciatemi andare dal Signore». A nove anni dalla morte del Papa presto santo il suo medico racconta quei momenti
giovanni_paolo_IIÈ il bollettino ora per ora di un uomo anziano sfinito dalla malattia, ma che vive quegli ultimi momenti di vita con grande dignità mista ad attesa, sapendo che presto potrà andare ad abbracciare il Padre. A nove anni dalla morte di Giovanni Paolo II Libero pubblica alcuni stralci dell’intervista al medico personale di papa Wojtyla, Renato Buzzonetti, raccolta da Wlodzimierz Redzioch nel libro appena uscito per Ares Accanto a Giovanni Paolo II, dove il dottore cita gli appunti degli ultimi momenti critici trascorsi a fianco del pontefice polacco, che il 27 aprile prossimo verrà proclamato santo.
MORI’ ALLE 21.37. La cronaca comincia con la messa di giovedì 31 marzo 2005, durante la quale il Papa «viene colto da un brivido squassante, cui segue una grave elevazione termica e un gravissimo shock settico. Grazie alla bravura dei rianimatori in servizio, la situazione critica viene dominata e controllata ancora una volta». Seguono ore di stallo, al Santo Padre viene somministrata l’unzione degli infermi, in una celebrazione in cui non si tira indietro dal suo ruolo di officiante nonostante le condizioni fisiche precarie: «Alla consacrazione, il Papa solleva debolmente il braccio destro due volte, per il pane e per il vino. Accenna a battersi il petto con la mano destra al momento dell’Agnus Dei». Trascorre in quelle condizioni tutto il venerdì e il sabato pomeriggio: attorno alle 16 di quel 2 aprile, poi, si addormenta e perde conoscenza, per poi entrare in coma profondo e morire alle 21.37: «Dopo pochi minuti di stupito dolore, viene intonato il Te Deum in lingua polacca e dalla piazza, d’improvviso, si vede illuminata la finestra della stanza da letto del Papa».

L'eugenetica in Svezia

Torna alla luce il segreto inconfessabile del mitico welfare svedese. La sterilizzazione delle zingare

aprile 2, 2014 Lucetta Scaraffia
zingaraArticolo tratto dall’Osservatore Romano – La Svezia, se pure con ritardo e un pezzo per volta, sta facendo i conti con il suo passato eugenista. Se negli anni Novanta era finalmente emersa la realtà degli aborti e delle sterilizzazioni praticate prevalentemente sulle donne povere e sole, che avrebbero avuto difficoltà ad allevare i figli, oggi si comincia a parlare delle persecuzioni contro quella che veniva considerata una razza inferiore, gli zingari. Il premier Fredrik Reinfeldt (foto sotto) infatti ha chiesto scusa per le discriminazioni e le sterilizzazioni esercitate nei confronti degli zingari nel periodo 1934-1974.
Non deve stupire che ciò sia accaduto proprio in quello che si può considerare il periodo d’oro dei governi socialdemocratici svedesi, quelli che hanno costruito il mito del welfare svedese, che assicurava un benessere sociale collettivo. Proprio quei socialdemocratici che hanno contato nelle loro file ben due premi Nobel, Gunnar e Alva Myrdal, autori di una complessa utopia sociale. I due Myrdal, infatti, sostenevano gli ideali eugenetici — se pur senza alcun richiamo a una retorica razziale — come crudo calcolo di risorse e mezzi di produzione.
Il risultato è stato che, anche dopo la caduta del regime nazista che aveva fatto dell’eugenetica una bandiera ideologica, poi esecrata dal mondo intero e condannata nel processo di Norimberga, in Svezia sono continuate le sterilizzazioni degli irregolari, i marginali, i poveri — soprattutto, all’ottanta per cento, donne — che avevano difficoltà a inserirsi nella nuova e ordinata società industriale che l’“ingegneria sociale” predicata dai Myrdal stava realizzando per il Paese.
Fredrik ReinfeldtGli scienziati, le teorie eugenetiche elaborate per anni grazie a cospicui finanziamenti statali, servivano alla fine a garantire la buona riuscita del welfare, alleggerito grazie all’eliminazione di possibili cittadini deboli e bisognosi di assistenza. Non solo, quindi, qui come in altri Paesi, si sono verificate sevizie su esseri umani in base a teorie scientifiche completamente errate, ma addirittura è stata utilizzata la scienza per fare piazza pulita di futuri cittadini che avrebbero potuto creare problemi a un modello di welfare conosciuto e apprezzato in tutto il mondo.
Per questo, in Svezia, si fa tanta fatica a parlare di questo oscuro passato. A rendere noti i primi scottanti documenti è stata una coraggiosa archivista, Maija Runcis, che ha aperto così la fase delle ricerche, alla quale hanno contribuito anche due storici italiani. Oggi a riaprire il problema è un governo di centro-destra, che probabilmente in questo modo cerca di screditare gli avversari, i socialdemocratici, che avevano addirittura proibito agli zingari di entrare in Svezia, anche quando Hitler aveva scatenato una persecuzione contro di loro, che portò alla morte di circa seicentomila persone nei campi di sterminio.
La Svezia moderna e razionale, tollerante e rispettosa dei diritti individuali nasconde quindi un fondo oscuro che non si può rimuovere tanto facilmente, e in qualche modo è penetrato nella mentalità locale: lo prova il fatto che una delle testimoni rom invitata per l’occasione si è vista negare l’ingresso nell’Hotel Sheraton, dove il primo ministro presentava appunto il rapporto sugli zingari. Ma speriamo che parlarne apertamente, riconoscendo l’errore e chiedendo scusa, serva a un vero rinnovamento della cultura svedese e a tutti suggerisca un ripensamento complessivo delle nuove politiche eugenetiche.

Encuentro Madrid 2014: buone ragioni per la vita in comune

ENCUENTROMADRID 2014

Buone ragioni per la vita in comune


02/04/2014 - Dal 3 al 6 aprile ci sarà l'XI edizione della kermesse spagnola. Presso la Casa de Campo di Madrid. Dal fatto che «l'altro è sempre un bene», molte le sfide in una società sempre più divisa. Ma che chiede di vivere una «vita buona nella città comune»
L’evoluzione di EncuentroMadrid rivela una profonda simpatia per tutto ciò che è autenticamente umano. In questi anni abbiamo cercato di raccontare pubblicamente la nostra esperienza cristiana in dialogo con tutti, e abbiamo verificato la grande ricchezza che scaturisce dal lasciarsi interpellare da chi vive esperienze diverse dalla nostra, condividere le sue domande e accogliere le sue ragioni.

Il Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, Julián Carrón, ha scritto recentemente che «l’altro è sempre un bene». È una affermazione affatto ingenua, ma piuttosto scandalosa per una cultura la cui generica tolleranza nasconde spesso fratture insanabili e un profondo disinteresse per il destino di chi è diverso. In questo senso è molto pregnante l’invito di papa Francesco a costruire una vera “cultura dell’incontro”, un orizzonte nel quale desideriamo collocarci cordialmente. D’altro canto la fede cristiana non è qualcosa che noi possediamo e controlliamo, è sempre in cammino e può maturare solamente man mano che dialoga con la ricerca di tutto l’uomo.

martedì 1 aprile 2014

La sterilizzazione degli zingari in Svezia tra 1934 e 1974
http://vaticanresources.s3.amazonaws.com/pdf%2FQUO_2014_075_0204.pdf

Qualche anno fa, in occasione del giorno della memoria, partecipai alla presentazione di un libro fino allora sconosciuto: 'Lo sterminio dei disabili. Una ragionevole strage' nella sede dell'ANFFAS di Foggia (un bel coraggio da parte degli organizzatori proporlo proprio lì). Il relatore documentò, dati alla mano, che l'operazione eutanasia voluta da Hitler non ebbe origine in Germania, ma nelle roccaforti dell'Europa democratica, nella Svezia, nelle lobbies americane e in altri Paesi che ora non ricordo più, e che iniziò con la sterilizzazione dei dementi (pratica, del resto, che gli inglesi già sperimentavano da oltre due secoli nelle colonie con le schiave, lontano da occhi indiscreti). Il relatore Portò poi il pubblico a una serie di passaggi di mentalità per cui, trattando l'essere umano come oggetto, man mano divenne 'ovvio' arrivare all'idea di sopprimere coloro che si consideravano come scarti. E concluse invitandoci ad osservare la mentalità attuale.

Gemma Barulli

Narrare la storia

Narrare la storia, ben diverso dai soliti manuali 01-04-2014 AA+A++
Domani 2 aprile con inizio alle 16,30 viene presentato a Milano presso l’Istituto dei Salesiani (via Copernico 9) un nuovo manuale di storia per la scuola secondaria di primo grado edito da Itaca Edizioni nella collana “I libri de la cetra”, diretta da Raffaela Paggi. Scritto dagli insegnanti Alessandro Grittini e Luca Franceschini con il contributo e il coordinamento editoriale di Robi Ronza, il nuovo manuale, dal titolo Narrare la storia, è già disponibile per l’adozione nell’anno scolastico 2014-2015. Ronza e Grittini erano già tra gli autori di Alle radici del domani, un analogo manuale di storia edito nel 2004-2005 di cui resta un buon ricordo. Analogo nei criteri di fondo e nell’ispirazione, Narrare la storia molto se ne distingue tuttavia nella struttura e nella stesura, non a caso affidate a docenti esperti di scuola media.
Offrire a insegnanti e studenti un manuale non omologato ai luoghi comuni della cultura oggi predominante; far riscoprire agli studenti la storia, ossia la memoria, come strumento fondamentare di libertà e come mezzo per comprendere e per comprendersi, qualcosa di sempre più necessario nel mondo globalizzato in cui viviamo: sono questi gli obiettivi che si sono posti gli autori di Narrare la storia, che anche avvalsi della consulenza didattica di Maria Silvia Riccardi.

Roma si prepara alla canonizzazione dei due papi

VATICANO
Roma si prepara alla festa della canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II
Numerose le iniziative illustrate oggi in Vaticano, che non fa previsioni sui numeri. Una "notte bianca di preghiera", per la quale saranno aperte 11 chiese del centro di Roma. Possibile la presenza di Benedetto XVI. Prevista una larghissima eco mediatica, sia televisiva che sui social media. Significativi programmi caritativi e sociali.


Città del Vaticano (AsiaNews) - Sarà una "notte bianca di preghiera", per la quale saranno aperte 11 chiese del centro di Roma, ad accogliere sabato 26 aprile coloro che vorranno partecipare alla canonizzazione dei "due papi" di domenica 27 aprile. Un evento che vedrà la partecipazione di moltissimi fedeli - ma il Vaticano non fa previsioni sui numeri - la possibile presenza di Benedetto XVI accanto a Francesco,  che avrà una larghissima eco mediatica, sia televisiva che sui social media e sarà accompagnato da numerose e significative iniziative caritative e sociali.
Sono alcuni dei dati emersi dal "punto" sull'avvicinamento alla canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, compiuto stamani in Vaticano.