Rushkoff: «I nuovi media? Rallentano il pensiero»
Jacopo Guerriero
28 dicembre 2014
Non erano i nostri giorni, il tempo del monopolio. La cronaca insegna: quattro player a spartirsi il mondo, dal virtuale al reale. Google, Apple, Facebook, Amazon.
Sorrideva, il globo, all’idea della rivoluzione digitale, prima della
guerra (tardiva) del Parlamento europeo a Larry Page e Sergey Brin,
contro i lobbisti loro sostenitori al congresso USA, eppure, qualche
anno fa, quando Douglas Rushkoff, teorico dei media fra i più apprezzati
d’Oltreoceano, scriveva il suo capolavoro
Presente continuo – in Italia tradotto da Giovanni Giri e Sergio Orrao per Codice (pagine 228, euro 22,00 ) – già provava a dare risposte ai problemi dei nostri giorni. Tentava di riflettere sul rapporto tra tecnica, libera opinione, pensiero, società. Perché sì, certo, «il futuro che abbiamo rincorso per buona parte del Ventesimo secolo è arrivato». Ma le nostre vite in multitasking, la continua violazione della nostra privacy, l’impatto della tecnologia sull’informazione sembrano avere più colonizzato che liberato le nostre coscienze.
Per quale motivo? Nel libro c’è un punto di partenza: esisterebbe, oggi, un neorelativismo indotto nelle nostre vite dalla tecnica stessa.
«La gente non tiene più il passo, questo è certo. E io non penso neppure che ci si debba provare, a stare dietro alla velocità della tecnica. Se cerchiamo di tenere il passo con ogni notizia che ci passa sotto gli occhi, dall’ultimo attacco di uno squalo segnalato dalle cronache al più recente fenomeno politico o popolare, beh non possiamo più, di fatto, conoscere nulla. Le applicazioni per l’informazione che usiamo oggi, da Twitter a Facebook, creano solo l’illusione di andare di pari passo con le news in tempo reale, quando in effetti ci impediscono di pensare».
Presente continuo – in Italia tradotto da Giovanni Giri e Sergio Orrao per Codice (pagine 228, euro 22,00 ) – già provava a dare risposte ai problemi dei nostri giorni. Tentava di riflettere sul rapporto tra tecnica, libera opinione, pensiero, società. Perché sì, certo, «il futuro che abbiamo rincorso per buona parte del Ventesimo secolo è arrivato». Ma le nostre vite in multitasking, la continua violazione della nostra privacy, l’impatto della tecnologia sull’informazione sembrano avere più colonizzato che liberato le nostre coscienze.
Per quale motivo? Nel libro c’è un punto di partenza: esisterebbe, oggi, un neorelativismo indotto nelle nostre vite dalla tecnica stessa.
«La gente non tiene più il passo, questo è certo. E io non penso neppure che ci si debba provare, a stare dietro alla velocità della tecnica. Se cerchiamo di tenere il passo con ogni notizia che ci passa sotto gli occhi, dall’ultimo attacco di uno squalo segnalato dalle cronache al più recente fenomeno politico o popolare, beh non possiamo più, di fatto, conoscere nulla. Le applicazioni per l’informazione che usiamo oggi, da Twitter a Facebook, creano solo l’illusione di andare di pari passo con le news in tempo reale, quando in effetti ci impediscono di pensare».