venerdì 29 dicembre 2006

Marcellino (Che spettacolo!)

Centro Culturale Sipontino
"Fontana Vivace"
Manfredonia


Domenica 7 Gennaio 2007 - ore 18,00
Teatro Comunale “Perotto” – Manfredonia

Marcellino
(Che spettacolo!)

Spettacolo per famiglie a sostegno delle "Tende di Natale" dell'A.V.S.I.
info: cell. 3409641791


Come tutti gli anni, dal periodo natalizio le Tende di AVSI tornano ad animare i cuori delle città, in Italia e, da quest’anno, anche all’estero, organizzando eventi, manifestazioni, cene, mostre, cori e tavole rotonde grazie alla passione e all’impegno gratuito di oltre 10.000 volontari.

Spettacolo organizzato in collaborazione con il Centro Servizi Volontariato Daunia.

giovedì 28 dicembre 2006

MARCELLINO

di Padre Marco Finco e Carlo Rossi
Regia : Carlo Rossi


“Ritorna bambino e domanda”, questa era la frase che C.S.Lewis, il celebre autore delle Cronache di Narnia, amava spesso ripetere, perché questa è la struttura fondamentale del cuore dell’uomo, ovvero domande che nascono da una profonda esigenza di verità, bellezza e amore.
Protagonista di questa storia è un bimbo come tanti, un trovatello senza famiglia, che viene accolto e cresciuto da alcuni frati in un convento.
Il vuoto nel quale Marcellino sembra destinato a vivere senza la sua famiglia viene riempito dall’amore dei frati, che, con l’accoglienza o, se vogliamo, l’abbraccio del loro affetto permettono al cuore di questo piccolo trovatello di non perdersi nei meandri della solitudine interiore facendo in modo che il suo cuore mantenga quella freschezza e vitalità che, in un bimbo, si chiamano curiosità e stupore.
L’amore che salva, l’abbraccio che respinge in ogni momento il vuoto della solitudine per un bimbo sono ciò che permette alla sua coscienza di restare desta di fronte al Mistero, ed è proprio con il Mistero di Dio che il cuore di Marcellino si confronta in una maniera per certi aspetti impensabile per un adulto.
Questo confronto inizia con una domanda dettata dalla curiosità, poi prosegue nello stupore, fino alla confidenza intima con il Mistero che sfocia in un abbraccio d’Amore finale.
Questa storia in un epoca in cui le domande presenti nel cuore del bambino (e dell’adulto) spesso restano senza risposta o vengono soffocate sul nascere dalla società dei consumi e dei piccoli desideri, mantiene tutta la sua attualità e, per certi aspetti, Marcellino rappresenta il cuore di ciascuno di noi che attende, nel caos del mondo moderno, un Abbraccio che lo salvi da una solitudine esistenziale che solo l’Amore può spazzare via.
La storia di Marcellino, che si potrebbe definire una favola francescana per la semplicità con cui i contenuti vengono trasmessi, grazie all’esperienza teatrale di Padre Marco Finco, giunge al cuore dei bambini, come degli adulti, in maniera fresca e diretta.
Dott. Demetrio Spanti

Contributo sul Natale


Fede e nichilismo. Non chiudiamo gli occhi

Corriere della Sera, 28 dicembre 2006

Caro Direttore, il contesto umano e culturale in cui viviamo può essere identificato con una parola: confusione. Ce ne rendiamo conto per l’urgenza in noi di una certezza. Tutta la confusione in cui siamo immersi, infatti, non può evitare l’emergere del desiderio di verità, giustizia, felicità che ci costituisce. «Ho cercato me stesso. Si cerca solo questo» (Pavese). Insoddisfazione, inquietudine e tristezza ci dicono che il desiderio del cuore è inestirpabile - come un dato che nessun nichilismo può vincere -. Neanche la nostra menzogna, i nostri tentativi di far finta che non esiste, è in grado di sradicarlo. Tanto è vero che non vediamo altra via d’uscita che odiarlo: «Quando si annebbia, il cuore grava come peso insopportabile. Ed è difficile reggere questo peso senza avere in odio se stessi, senza rimpiangere di essere nati» (Maria Zambrano).

Si capisce questo odio perché, non trovando la presenza che lo compia, il desiderio di felicità è come un impeto impazzito, che non sa più dove andare. Ma neanche può auto-distruggersi perché è costitutivo e chi ci ha costituiti è un altro, è il Destino. Per questo anche nell’abisso della dimenticanza si può riaccendere il desiderio di tornare a casa. Fu così per il figliol prodigo. E lo è per chiunque abbia ancora una briciola di tenerezza verso di sé, «perché alla vita basta lo spazio di una crepa per rinascere» (Ernesto Sábato).

Il cuore resta come baluardo contro il nichilismo. Dare credito al cuore, al desiderio di tornare a casa, è l’inizio della ripresa. Sembra un niente, ma è ciò di cui abbiamo bisogno per riconoscere la verità, se per caso ci viene incontro. Nel cuore, infatti, abbiamo il criterio per giudicare: «L’inferno - scrive Italo Calvino - è già qui. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».

Dare spazio a che cosa, se ogni cosa, ogni volto, anche i rapporti più cari, sembrano non avere forza e consistenza per vincere l’inferno? Ci vorrebbe qualcosa di eccezionale per respirare e vivere. Il Natale di Cristo è l’annuncio di questa eccezionalità che irrompe nei confini chiusi dell’umana esperienza: il Verbo si è fatto carne, Dio diviene uno di noi.

Eppure oggi siamo abituati a parlare del Natale come sentimento, folklore, rito già saputo, piuttosto che come fatto eccezionale, fino al punto che la fede non interessa quasi più a nessuno, nemmeno a tanti che frequentano la Chiesa. Gli interessi della vita sono altrove. «Ma com’è possibile - si domanda Benedetto XVI - che un uomo dica “no” a ciò che vi è di più grande; che non abbia tempo per ciò che è più importante; che chiuda in se stesso la propria esistenza?». E risponde: «In realtà, non hanno mai fatto l’esperienza di Dio; non hanno mai sperimentato quanto sia delizioso essere “toccati” da Dio!». Come possiamo essere “toccati” da Dio? Solo attraverso l’umanità cambiata di testimoni, non perché più buoni, ma perché presi, afferrati da un Fatto che muove tutta la loro vita, come è accaduto, d’improvviso, ai pastori: «Venite a vedere! Per voi un bambino è nato!».

Così il Natale è una speranza per tutti. Basta guardare e lasciarsi “ferire” dalla sua bellezza, così come descrive la liturgia della notte di Natale: «Nel mistero del Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore». Questo stupore riecheggia nelle parole di Pasolini: «L’occhio guarda… è l’unico che può accorgersi della bellezza… la bellezza si vede perché è viva, e quindi reale. Diciamo, meglio, che può capitare di vederla. Dipende da dove si svela. Il problema è avere gli occhi e non saper vedere, non guardare le cose che accadono. Occhi chiusi. Occhi che non vedono più. Che non sono più curiosi. Che non si aspettano che accada più niente. Forse perché non credono che la bellezza esista. Ma sul deserto delle nostre strade Lei passa, rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio». Oggi, come duemila anni fa. È questo infinito desiderio che da allora fa gridare alla Chiesa: «Vieni, Signore Gesù!». Grazie.

Julián Carrón

mercoledì 27 dicembre 2006

DAVIDE RONDONI, Quattro giorni quarant'anni. Con padre Bepi in Sierra Leone

BUR , Milano 2006 pp. 176 € 8,60


Padre Giuseppe Berton, nato a Marostica nel 1932, da quaranta anni è missionario saveriano in Sierra Leone. Laureato a Glasgow in filosofia morale e logica. Dal ’64 al ’66 comincia la missione in Sierra Leone dove dal 1972 si stabilisce definitivamente; nel 1985 inizia a Bumbuna il Family Homes Movement (movimento case famiglia, un gruppo di famiglie locali che ospitano in casa propria o assistono presso due case di prima accoglienza minori di tutte le età) riconosciuto dallo Stato nel 1996; nel 1997 ha aperto a Lakka – nella penisola di Freetown – un centro di accoglienza attivo per il recupero di orfani ed ex-bambini soldato.

martedì 26 dicembre 2006

LUIGI GIUSSANI, Il cammino al vero è un’esperienza

Rizzoli , Milano 2006
pp. 224 € 15,00

Sono qui raccolti i tre scritti che diedero prima forma, organicamente espressa, a ciò che si viveva agli inizi dell’esperienza del movimento di Comunione e Liberazione (allora detto di “Gioventù Studentesca”).

Questi scritti sono «riflessioni sopra un’esperienza». Non a caso, questo è il titolo del primo fondamentale libretto qui riproposto. Allora come oggi, infatti, è evidente che la riflessione anche metodologica nasce dentro l’esperienza in cui si è coinvolti, un’esperienza di appartenenza all’avvenimento cristiano intelligente fino all’impegno affettivo.

Tale esperienza è stata vissuta in modo esistenzialmente nuovo. Nuovo, infatti, si presenta il modo di proseguire ciò che è stato visto nella Scrittura, nell’insegnamento e nella testimonianza di alcuni maestri. Non si tratta di inventare, ma di scoprire come la tradizione riviva in una esperienza presente e adeguata ai giovani.

Le scoperte e le preoccupazioni educative di questi primi scritti hanno avuto coerente svolgimento in tutte le espressioni successive di Comunione e Liberazione e documentano le ragioni e le conseguenti notazioni metodologiche che accompagnarono il formarsi delle prime comunità d’ambiente.

Alla decisione nel gesto è dedicato il primo capitolo del primo testo; e la decisione che spinse a salire quei gradini del Liceo Berchet di Milano, nel 1954, fu quella di impegnarsi in un vero e proprio annuncio del fatto cristiano… L’essenza del fatto cristiano come proposta di vita.

La vivace e ricca storia del movimento lascia inalterato il valore metodologico di questi brevi scritti. La loro forma sintetica è derivata dalla necessità propria di ogni esperienza di fissare i giudizi e le intuizioni che da essa nascevano.