domenica 29 giugno 2014

Il maestro Abreu e le orchestre popolari


LE ORCHESTRE POPOLARI DEL MAESTRO ABREU. Una originale esperienza musicale made in Venezuela per ragazzi di settori poveri

Il maestro José Antonio Abreu e le sue orchestre popolari
Il maestro José Antonio Abreu e le sue orchestre popolari 

Nel 2015 potrebbe essere presentato a Papa Francesco, molto probabilmente mediante un grande concerto, il famoso sistema di orchestre e cori giovanili e infantili ideato dal carismatico professore venezuelano José Antonio Abreu (“Sistema Nacional de Orquestas y Coros Juveniles e Infantiles de Venezuela”). Si tratta, tuttavia, di un sistema non solo ampiamente diffuso nel Paese d’origine, il Venezuela, ma anche in altre nazioni sia dell’America che dell’Europa che, in non pochi casi, ha donato alla musica sinfonica mondiale eccellenti direttori di orchestra nonché bravissimi solisti.
Giorni fa, il prof. José Antonio Abreu è stato ricevuto dal cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, il quale in qualità di ex Nunzio a Caracas, conosce molto bene l’iniziativa del maestro venezuelano (in più di un’occasione fu ospite in questi concerti giovanili che si eseguono nel Paese durante tutto l’anno). La stampa venezuelana informa che uno di temi dell’incontro con il cardinale Parolin è stato l’avvio dello studio di un’iniziativa che ha molto a cuore: offrire – probabilmente nel 2015 – a Papa Francesco un grande concerto con alcune di queste orchestre e cori giovanili popolari e, soprattutto, illustrare al Pontefice i grandi frutti del “sistema” nel recupero dei ragazzi di strada, con bassa scolarità, disertori del sistema educativo e non poche volte al margine della società e della legalità. Il sistema, come ricorda spesso il Maestro Abreu, è nato proprio per i giovani apparentemente senza futuro e prospettive e come una grande rete dedicata all’educazione comunitaria delle giovani generazioni. Attualmente il “sistema” dipende dalla “Fundación Musical Simón Bolívar” e riceve importanti contributi dallo stato. José Antonio Abreu, in questi giorni era in Italia per ricevere alcuni premi e riconoscimenti poiché suo nonno Anselmi Berti da Livorno anni fa emigrò in Venezuela e formò poi, nello stato di Trujillo, la prima “Banda Filarmónica de Monte Carmelo”.
Il giovane Gustavo Dudamel, uno dei musicisti uscito da quest’esperienza, diresse un concerto dell’Orchestra Simon Bolivar in occasione, e in omaggio ai Benedetto XVI, quando compì 80 anni il 16 aprile 2007

sabato 28 giugno 2014

Omelia di Papa Francesco al Policlinico Gemelli

«Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti» (Dt 7,7).


Dio si è legato a noi, ci ha scelti, e questo legame è per sempre, non tanto perché noi siamo fedeli, ma perché il Signore è fedele e sopporta le nostre infedeltà, le nostre lentezze, le nostre cadute. Dio non ha paura di legarsi. Questo ci può sembrare strano: noi a volte chiamiamo Dio “l’Assoluto”, che significa letteralmente “sciolto, indipendente, illimitato”; ma in realtà, il nostro Padre è “assoluto” sempre e soltanto nell’amore: per amore stringe alleanza con Abramo, con Isacco, con Giacobbe e così via. Ama i legami, crea legami; legami che liberano, non costringono.

Con il Salmo abbiamo ripetuto: «L’amore del Signore è per sempre» (cfr Sal 103). Invece, di noi uomini e donne un altro Salmo afferma: “È scomparsa la fedeltà tra i figli dell’uomo” (cfr Sal 12,2).Oggi in particolare la fedeltà è un valore in crisi perché siamo indotti a cercare sempre il cambiamento, una presunta novità, negoziando le radici della nostra esistenza, della nostra fede.Senza fedeltà alle sue radici, però, una società non va avanti: può fare grandi progressi tecnici, ma non un progresso integrale, di tutto l’uomo e di tutti gli uomini.

L’amore fedele di Dio per il suo popolo si è manifestato e realizzato pienamente in Gesù Cristo, il quale,per onorare il legame di Dio con il suo popolo, si è fatto nostro schiavo, si è spogliato della sua

giovedì 26 giugno 2014

Il cristianesimo in Corea e in Giappone

Perché i coreani si convertono e i giapponesi no di Piero Gheddo26-06-2014 AA+A++
 
Corea del Sud 
Giappone e Corea hanno una storia e una cultura molto diverse, per cui la missione cristiana ha prodotto risultati diversissimi. Parlo prima del Giappone dove, quasi cinque secoli dopo l’ingresso dei missionari cattolici, con san Francesco Saverio nel 1549,
-          i battezzati nella Chiesa cattolica sono 440.000 su 128 milioni di giapponesi (lo 0,35%), e circa mezzo milione di protestanti;
-         in Corea (la Chiesa entra con alcuni laici alla fine del 1700) i cattolici sono circa 5,3 milioni su 50 milioni di sud-coreani, cioè il 5,4%; i protestanti delle varie Chiese e sette si calcolano il 17%, cioè circa 8 milioni. Seul di notte sembra una città cristiana per l’immenso numero di croci sugli edifici cristiani, chiese, scuole, ospedali, ecc.
La fede cristiana è stata accolta con molte difficoltà in Giappone e oggi con le braccia aperte in Corea del Sud. Le due Chiese locali risentono dell’ambiente in cui vivono e perché sono una minuscola minoranza nel Giappone, che va avanti come un treno, mentre in Corea il cristianesimo sta diventando il motore della nazione. Dagli anni sessanta ad oggi circa la metà dei Presidenti della Corea del sud erano cristiani, compreso il famoso Premio Nobel per la Pace nel 2000, Kim Dae-jung (1925-2009), per il suo vigoroso impegno nella riconciliazione fra Nord e Sud della Corea.
Perché i giapponesi si convertono poco? Essenzialmente per un motivo religioso-culturale. Le  religioni del Giappone insegnano, come lo shinto, che l’uomo è uno dei tanti elementi della natura, nella quale si manifesta il Dio sconosciuto; il confucianesimo dà una visione statica della società, dove la suprema norma morale è il rispetto e l’obbedienza per mantenere l‘armonia tra cielo e terra, tra superiori e sudditi, tra politica ed economia. Secondo la morale confuciana ciascuno deve svolgere il proprio lavoro col massimo impegno nel posto che gli è stato assegnato. Il buddhismo, insegnando il distacco da se stessi, il disprezzo delle passioni e delle idee personali, considerate come perniciose illusioni, rende l’individuo disposto a tutto e oltremodo paziente.
Il giapponese è figlio di queste religioni: ottimo lavoratore, sobrio, obbediente alle direttive. In una società dove tutto deve funzionare come una macchina, il giapponese è l’elemento ideale, perché si

mercoledì 25 giugno 2014

Aldo Baldini: "Perchè piangete? Io sono felice"

«Perché piangete? Io sono felice»

di Pieralberto Bertazzi
23/06/2014 - Martedì 17 giugno è morto Aldo Baldini. Memor Domini, era malato di Sla. Nelle parole di chi lo ha conosciuto da vicino, la storia di un uomo semplice e discreto. Grato per la sua vita e innamorato di Cristo
Aldo Baldini. “Baldo” per gli amici (e nella realtà), è stato uno di quegli uomini la cui testimonianza si è svolta soprattutto «davanti agli angeli», secondo l’espressione che don Giussani usava di tanto in tanto per farci capire la vera stoffa del vivere. Non è mai stato “capo” di niente, eppure fu guida e amico autorevole per tantissimi. Mai segretario o presidente di alcuna opera, eppure è stato grande realizzatore in campo educativo, tecnico-scientifico e caritativo. Apparentemente dimesso, in realtà semplice e sempre lieto in volto, viveva intensamente tutte le circostanze, gli incontri e gli accadimenti che gli capitavano sul cammino. I suoi studenti all’Ettore Conti per decenni hanno trovato in lui un uomo appassionato della verità, della realtà da comprendere e della felicità possibile anche per loro; amico leale e affidabile, perciò, non solo nello studio ma nel vivere; la stessa figura che negli ultimi anni hanno incontrato tanti ragazzi a Portofranco. Al Meeting di Rimini realizzò straordinarie mostre didattiche: sulla rivoluzione elettronica nel 1982; sul robot e i suoi antenati nel 1983; e nel 1986, al meeting titolato “Tamburi-Bit-Messaggi”, sul codice binario, illustrando con una serie di geniali trovate (lui che a volte si definiva un Eta Beta…) di cosa si trattasse. Basta andare a rileggere la sua presentazione di quell’anno negli archivi del Meeting per capire. Ma la mostra a cui tenne di più fu quella del 1994 su Giovanna D’Arco, la pulzella che con santa Teresina rappresentava per lui un amore continuamente coltivato.

Forte di questa affidamento alla presenza di Cristo nei volti delle sante più amate, accettò, nel

venerdì 20 giugno 2014

Caso Yara Gambirasio, il papà: pregate per il fermato

ara


Fulvio Gambirasio: pregate per il fermato

di Lorenzo Maria Alvaro

In questa giostra di media «col gusto della lacrima in primo piano» meno male che c’è Fulvio Gambirasio, il papà della bambina. «C’è bisogno di preghiere. È importante ricucire i nostri cuori, la cattiveria ce l’abbiamo tutti dentro»


genitori yara gambirasio

«Io se fossi Dio, maledirei davvero i giornalisti». Così Giorgio Gaber cantava nel 1980 nella bellissima “Io se fossi Dio”.



E il perché Gaber lo spiegava bene: «Compagni giornalisti avete troppa sete e non sapete approfittare delle libertà che avete, avete ancora la libertà di pensare, ma quello non lo fate e in cambio pretendete la libertà di scrivere e di fotografare. Immagini geniali e interessanti di presidenti solidali e di mamme piangenti. E in questa Italia piena di sgomento come siete coraggiosi, voi che vi buttate senza tremare un momento. Cannibali, necrofili, deamicisiani e astuti e si direbbe proprio compiaciuti. Voi vi buttate sul disastro umano, col gusto della lacrima in primo piano».

Un testo che riascoltato e riletto oggi mette i brividi. La descrizione impeccabile di quello che sta succedendo in Italia sul caso di Yara Gambirasio.
Uno sciacallaggio mediatico che non fa prigionieri e non guarda in faccia a nessuno.

Sembrerebbe tutto da buttare se non fosse per una persona, il padre della bimba uccisa: Fulvio Gambirasio. L’unico che ha avuto la forza di prendere una posizione da uomo. Una posizione fuori dal teatrino mediatico.

Fulvio Gambirasio, papà di Yara
«Prega per tutti», ha detto a don Corinno, il parroco di Brembate Sopra, «anche per la famiglia della persona fermata, anche per lui, c’è bisogno di preghiera».

Una posizione che ha risvegliato anche i preti. Gli unici a parlare nei paesi sotto shock. Così Don Corinno spiega ai giornalisti: «c’è bisogno di preghiera, perché è importante ricucire il nostro cuore, la cattiveria ce l’abbiamo tutti dentro».

Poco dopo a parlare è anche don Claudio Dolcini, di Sotto il Monte, parroco della Chiesa frequentata dalla famiglia del muratore arrestato. «Continuo a ripetere loro di pregare e avere fiducia nella giustizia. Io prego per loro».

mercoledì 18 giugno 2014

Sempre obbediente a quel primo amore

ROMA

Sempre obbediente a quel primo amore

di Teresa Succi
18/06/2014 - «Nessuno di noi sarebbe qui senza quel "sì" detto da don Giussani». Parole che risuonano a pochi passi dal Colosseo. Cronaca dell'incontro sulla biografia di un uomo «che si è consegnato istante per istante a quella Presenza che non ti abbandona»
Via delle Sette Sale a Roma è una stradina che fiancheggia il lungo muro degli edifici della facoltà di Ingegneria, da un lato, e il parco del Colle Oppio, dall’altra. Pieno centro, tra il Colosseo e Santa Maria Maggiore. Dietro un cancello un po’ scrostato si apre il vecchio Oratorio Sebastiani, una realtà che opera fin dagli inizi del 1900.

Ora i ragazzi lo chiamano semplicemente “il Centro”: un luogo di aggregazione innanzitutto per i giovani, ma che, nel corso degli anni, ha coinvolto sempre di più anche le famiglie. Un luogo aperto a tutti senza eccezioni e senza differenze d’età, di cultura e di religione, dove i ragazzi attraverso lo studio, il gioco, lo stare assieme possono uscire dalla “vita insulsa” e trovare un’amicizia che li aiuti e li guidi nella scoperta di sé e del gusto dell’esistenza. La festa di fine anno è ormai alla sua XI edizione. Titolo di quest’anno: “Quello che cerca il tuo cuore”.

Venerdì 13 giugno. Questa sera la Roma soffocata dal caldo e dal traffico si risveglia al Ponentino, il cielo assume quelle sfumature d’azzurro così luminose e intense che ogni volta ti fanno fare pace con

Noi e la realtà

Fa' o Signore, che abbiamo presente che la nostra mente è infinitamente piccola e la realtà è infinitamente grande


lunedì 16 giugno 2014

Gli esami, un padre e la vera lezione da apprendere

Gli esami, un padre e la vera lezione da apprendere 
Maturità è avere fiato per la partita più lunga
Davide Rondoni
16 giugno 2014

Ora (mercoledì) iniziano gli esami di maturità. E guardo mio figlio che si avvicina alla scadenza e penso: maturo? Gli voglio un bene dell’anima. E penso che questo sguardo, sperdutamente innamorato e quasi smarrito, ce l’abbiano tanti padri (e madri, ma la mamma, si sa, è sempre la mamma, una veggente) di fronte al ragazzo o alla ragazza che la scuola dovrebbe restituire alla società con un timbro: maturo. Suona quasi strana questa parola, maturità. Fa tornare alla mente la propria giovinezza e anche un po’ di film banalotti. Ma suona strana per altri motivi. Ad esempio, perché nella nostra cultura e nella nostra società stanno finendo sotto i colpi di ideologie banali e irose parole decisive come "madre", "padre" e, invece, altre nel campo dello sviluppo educativo rimangono lì in piedi come monumenti intoccabili. Tipo: "programmi scolastici". E tipo: "maturità".

Siamo in una società in cui sembra che non si abbia più diritto ad avere una persona chiamata madre, ma una cosa-maturità lo Stato si incarica di dartela. E di vidimarla.

E io guardo mio figlio e penso: cosa è maturato in lui ? Oltre al bel corpo, oltre alla bella e un po’ sfrontata simpatia, oltre alla consapevolezza che la vita è fatta di cose dure e di cose belle? Cosa sta davvero maturando oltre a qualche sua passione particolare, e a una idea per quanto confusa di un mestiere futuro? C’è davvero qualcosa che deve maturare? Il senso civico? Il senso critico? La scuola si adopera come può a offrire nozioni, indicazioni, sapere. Basta una verifica di queste cose per vedere se qualcosa di decisivo è maturato in un ragazzo? Forse a maturarlo sono state soprattutto altre cose, le canzoni che ha ascoltato, i dolori che ha patito, le prese di coscienza del proprio carattere. Sì, ecco, il carattere. Parola che indica il modo con cui la natura e il buon Dio ci scrivono. Il suo carattere si sta definendo. Ma il maturare riguarda non solo il carattere.

Resta dunque la domanda: maturità di cosa? Ha compiuto la cosiddetta maggiore età. Ha acquisito diritti, e doveri. Potrei pensare: ormai è grande, si arrangi. E un po’ lo pe

sabato 14 giugno 2014

mercoledì 11 giugno 2014

Siria, il dialogo in tempo di guerra

Siria, il dialogo in tempo di guerra: una testimonianza da Mar Musa
09/06/2014
In occasione di un concerto di solidarietà organizzato da Popoli e svoltosi a Milano domenica 8 giugno, la comunità del Monastero di Deir Mar Musa, in Siria, ha inviato una lettera. Una straordinaria testimonianza su ciò che significa vivere consacrati al dialogo interreligioso, anche in tempo di guerra.

Cari amici,
la pace del Signore sia con tutti voi.
Prima di tutto vogliamo, come comunità, esprimere il nostro ringraziamento e la nostra gratitudine per il vostro gesto di solidarietà con noi e con la nostra Siria. Grazie ad ogni persona che dà del suo tempo e offre la sua preghiera per la Siria. Grazie anche per ogni gesto di solidarietà materiale con noi. Vogliamo condividere con voi alcune delle notizie sulla nostra vita e sulle nostre attività in questo tempo critico per il nostro paese.
La comunità ha deciso di rimanere nel monastero malgrado le difficoltà e la carenza, se non vogliamo dire l’assenza quasi totale degli ospiti. Continuiamo la nostra vita di preghiera, fiduciosi nel Signore che non ci lascia mai. La preghiera è, infatti, la sorgente dalla quale attingiamo forza per andare avanti. La vita del lavoro manuale continua anche se in modo molto limitato, in questo tempo abbiamo potuto fare alcuni lavori di manutenzione del monastero e alcuni lavori di agricoltura.
Il nostro sforzo è stato riversato sugli aiuti umanitari. Il nostro secondo monastero, Deir Mar Elian ha ricevuto quasi 5.000 profughi per diversi mesi. È stato un rifugio per tante famiglie musulmane dei villaggi vicini. La comunità ha sostenuto queste famiglie distribuendo aiuti alimentari e medicinali e vivendo come una grande famiglia. Siamo riusciti a fare questo grazie al sostegno di tanti benefattori e al Jesuit Refugee Service. C’erano quasi 110 bambini, per i quali abbiamo organizzato giornate di attività di gioco con i giovani volontari della parrocchia. Abbiamo insistito anche per mandarli a scuola e provvedere ai loro bisogni. La gioia che ci dava il sorriso di un solo bambino era capace di farci dimenticare ogni fatica! Ora queste famiglie sono tornate nelle loro case e continuiamo ad aiutarle per quanto è possibile per rendere vivibili le loro case semidistrutte.
Nebek, la città più vicina al monastero di Mar Musa, ha subito tanti danni. Non dimenticheremo la commozione di tutti quando, dopo giorni di difficoltà, abbiamo potuto celebrare insieme ad alcune famiglie la Messa di Natale. Adesso proviamo ad aiutare tante famiglie che si trovano in difficoltà o per mancanza di lavoro o per problemi di salute. In collaborazione con un centro musulmano che si interessa delle persone diversamente abili, siamo riusciti a organizzare visite per alcune famiglie in difficoltà nelle città di Nebek e Yabroud (un'altra città molto segnata dalla guerra). Abbiamo soprattutto pensato a quelle famiglie dove ci sono uomini invalidi o donne divorziate o vedove. Queste visite, belle e costruttive, servivano per capire la loro situazione e provare ad aiutare provvedendo ai bisogni più essenziali.
Il contatto con persone che sono in maggioranza musulmane è un’occasione concreta per vivere fino in fondo la nostra consacrazione al dialogo interreligioso. Viviamo questa nostra vocazione in una forma di dialogo non teologico ma vitale e concreto.
Lavoriamo e preghiamo per il futuro della Siria e per il futuro del mondo senza mai perdere la speranza.
Grazie di nuovo!
La comunità di Mar Musa (Al-Khalil)



martedì 10 giugno 2014

COLLETTA ALIMENTARE DEL 14 GIUGNO 2014



GIORNATA  DELLA RACCOLTA  STRAORDINARIA  DEL  BANCO  ALIMENTARE  NELLA  PROVINCIA  DI  FOGGIA  IL  14  GIUGNO:  ELENCO  DEI  SUPERMERCATI

lunedì 9 giugno 2014

La preghiera in Vaticano per la pace

LA PREGHIERA IN VATICANO

Quattro uomini che hanno obbedito a un Altro

di Alessandro Banfi
09/06/2014 - Quello di ieri nei Giardini di San Pietro non è stato un incontro diplomatico. Ma ha la forza di un gesto radicale. In cui c'è tutto il temperamento del Papa. E il nostro bisogno
Quattro uomini si stringono le mani, si abbracciano, si salutano. Rappresentano due Stati, Israele e la Palestina e due Chiese, quella latina e quella orientale. Il terreno del loro incontro è un giardino che ha lo sfondo del Cupolone. La città è Roma. La sera è di prima estate nella luce del tramonto. E l'uomo in bianco, che ha chiamato tutti a casa sua, ha preso il nome, primo successore di Pietro a farlo nella storia, di Francesco, il poverello di Assisi.

L'incontro con Shimon Peres, Abu Mazen e il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I avrebbe dovuto svolgersi durante lo storico viaggio del Papa in terra santa. Ma il primo tentativo fallì perché nella terra martoriata e divisa del Medio Oriente di oggi non si trovava il luogo di quell'incontro. E allora, ha raccontato lo stesso Papa Francesco nel viaggio di ritorno sull'aereo, ha proposto d'impeto ai protagonisti di vedersi da lui, in riva al Tevere. Alla fine è arrivato lo storico appuntamento.

Un incontro di preghiera, dove sono risuonate le parole del Corano e le note dolcissime e profonde della musica klezmér, i Salmi e il Vangelo. Un incontro semplice nei modi, con quel pulmino che ha portato gli illustri ospiti tutti insieme, dalla Casa Santa Marta, alloggio del Papa, ai giardini dove si è svolta la cerimonia, attraversando la Città del Vaticano, dietro l'imponente Basilica di san Pietro.

L'incontro si è svolto in tre tempi, a cui è seguita una conclusione. Preghiere e musica. Poi i discorsi ufficiali. Papa Francesco ha sottolineato che «per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo. La storia ci insegna che le nostre forze non bastano. Più di una volta siamo stati vicini alla pace, ma il maligno, con diversi mezzi, è riuscito a impedirla. Per questo siamo qui, perché sappiamo e crediamo che abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio. Non rinunciamo alle nostre responsabilità, ma invochiamo Dio come atto di suprema responsabilità, di fronte alle nostre coscienze e di fronte ai nostri popoli. Abbiamo sentito una chiamata, e dobbiamo rispondere: la chiamata a spezzare la spirale dell’odio e della violenza, a spezzarla con una sola parola: "fratello". Ma per dire questa parola dobbiamo alzare tutti lo sguardo al Cielo, e riconoscerci figli di un solo Padre».

Il Presidente israeliano Shimon Peres ha detto fra l'altro: «Due popoli – gli israeliani e i palestinesi – desiderano ancora ardentemente la pace. Le lacrime delle madri sui loro figli sono ancora incise nei nostri cuori. Noi dobbiamo mettere fine alle grida, alla violenza, al conflitto. Noi tutti abbiamo bisogno di pace. Pace fra eguali. Il Suo invito a unirsi a Lei in questa importante cerimonia per chiedere la pace, qui nei Giardini Vaticani, alla presenza di autorità Ebree, Cristiane, Musulmane e Druse, riflette meravigliosamente la Sua visione dell’aspirazione che tutti condividiamo: Pace. In questa commovente occasione, traboccanti di speranza e pieni di fede, eleviamo con Lei, Santità, una invocazione per la pace fra le religioni, le nazioni, le comunità, fra uomini e donne. Che la vera pace diventi nostra eredità presto e rapidamente».

E infine Abu Mazen, che ha detto: «Ti chiediamo, Signore, la pace nella Terra Santa, Palestina, e Gerusalemme insieme con il suo popolo. Noi ti chiediamo di rendere la Palestina e Gerusalemme in particolare una terra sicura per tutti i credenti, e un luogo di preghiera e di culto per i seguaci delle tre religioni monoteistiche - Ebraismo, Cristianesimo, Islam - e per tutti coloro che desiderano visitarla come è stabilito nel sacro Corano. O Signore, tu sei la pace e la pace promana da te. O Dio di Gloria e di Maestà donaci sicurezza e salvezza, e allevia la sofferenza del mio popolo nella patria e nella diaspora».

Non un incontro politico, non un colloquio diplomatico e tuttavia che conseguenze politiche e anche diplomatiche di un semplice e radicale gesto di preghiera! C'è in questa iniziativa del Papa, nella sua essenzialità, tutto il suo temperamento.

L'ultimo atto è stato piantare un albero di ulivo. I quattro uomini hanno preso ognuno un badile e hanno smosso la terra. Con umiltà, con praticità, obbedendo a qualcun altro.
La terra ringrazia.

sabato 7 giugno 2014

Ballottaggi: domani al voto in 148 Comuni

Ballottaggi, al voto domenica in 148 Comuni
​Riflettori puntati sui ballottaggi di domenica: c'è da testare naturalmente la prova eccellente del Pd alle Europee e verificare se l'effetto Renzi avrà ancora una coda sul secondo tempo delle amministrative, visto la performance piuttosto deludente del primo turno in città da sempre roccaforti della sinistra (Livorno, Modena e Perugia). Di converso anche l'M5S farà la sua bella prova del nove, se non altro per verificare se continuerà a far vedere i sorci verdi ai candidati democratici in alcuni capoluoghi storicamente rossi, nonostante la delusione cocente archiviata alle europee. Terzo incomodo la Lega Nord, forte di un colpo di reni a livello nazionale, che cercherà naturalmente di dire la sua per insediare lo scranno Pd di Padova.
Proprio a Padova la sfida tra Ivo Rossi, candidato Pd e Sel, e Massimo Bitonci (Lega-Forza Italia) rischia di portare novità clamorose, visto che il primo turno si è chiuso rispettivamente con il 33,8 e il 31,4%. Fiato sospeso quindi, visto che a livello territoriale una possibile vittoria dell'esponente del Carroccio potrebbe fare pendant con il governo della Regione, guidata da Luca Zaia, e un'eventuale sconfitta nella città potrebbe sovvertire il peso del Pd (che governa Padova dal 1993, con un break tra il '99 e il 2004) minando gli equilibri ormai consolidati in molte città e grandi comuni. Naturalmente a far superare la soglia fatidica del 50% peserà l'8,6% di voti presi dal candidato del M5S e ancor di più il 10,6% di Maurizio Saia, che ha già fatto sapere di aver stretto un accordo con Bitonci.   

Sfida diversa a Livorno, città simbolo della sinistra italiana, dove il Pd ha dovuto subire per la prima volta l'onta del ballottaggio, che domenica impegnerà in un serrato faccia a faccia Marco Ruggeri del Pd (39,9%) e Filippo Nogarin del Movimento 5 Stelle (19%). Nessuno dei due fino a pochi giorni fa aveva presentato nuovi apparentamenti rispetto al primo turno. Sicuro in ogni caso Ruggeri, il quale ha già svelato due assessori in caso di vittoria, non senza lanciare un appello agli elettori di 'Buongiorno Livornò (16%), la lista di sinistra nata 6 mesi fa che al primo turno aveva sostenuto Andrea Raspanti e al ballottaggio ha dato indicazione di voto per l'ingegnere aerospaziale M5s, Nogarin. A condizione che il candidato pentastellato riesca a tener lontano dal gioco delle alleanze le liste di centrodestra.   

Stesse dinamiche a Modena, anche se in questo caso la partita appare decisamente meno in salita, visto che il candidato Pd, Giancarlo Muzzarelli, ha sfiorato la vittoria al primo turno col 49,7%. A vedere il distacco inflitto al suo avversario, l'M5S Marco Bortolotti, fermatosi al 16,3%, non dovrebbero esserci patemi d'animo di sorta. Ago della bilancia potrebbe essere l'ex assessore della giunta Pighi (di centrosinistra) Adriana Querzè, che al primo turno con la lista Per me Modena ha ottenuto il 7% di consensi, pescati evidentemente tra gli elettori di sinistra. Ma in aiuto al candidato grillino potrebbero arrivare i voti di Carlo Giovanardi, che con l'Ncd ha incamerato il 4%, e sicuramente quelli di Forza Italia e Fratelli d'Italia-An (12,5%).  

Altro caso emblematico dell'impasse, inaspettato, del Pd è quello di Perugia. Il sindaco uscente, Wladimiro Boccali, al primo turno ha incamerato il 46,6%, contro il 26,3 di Andrea Romizi (con i principali partiti di centrodestra e due liste civiche). E quindi appare evidente che a decidere a chi andrà lo scranno di sindaco sarà Cristina Rosetti, del M5s, che ha incamerato al primo turno il 19,1% e che non ha annunciato apparentamenti. Sono in tutto 148 i comuni che andranno al ballottaggio, perché il 25 maggio scorso nessuno dei candidati alla carica di sindaco ha raggiunto la soglia del 50% dei consensi. I seggi saranno aperti ovunque domenica 8 giugno, dalle ore 7 alle 23, e solo in Sicilia (dove si tornerà a votare in 8 comuni), nelle giornate di domenica 8 e lunedì 9 giugno. Solo l'8 giugno, invece, si voterà per il turno di ballottaggio in un comune del Friuli Venezia Giulia, Porcia, sede della Electrolux. Dei 148 comuni, sono 133 quelli con popolazione superiore ai 15.000 abitanti, tra i quali 17 sono capoluogo di provincia (Bari, Bergamo, Biella, Cremona, Foggia, Livorno, Modena, Padova, Pavia, Perugia, Pescara, Potenza, Teramo, Terni, Verbania, Vercelli e Caltanissetta)

 

messaggio di Carron per il 36 pellegrinaggio Macerata - Loreto

Messaggio di Julián Carrón per il 36° Pellegrinaggio

Data: 
2014
«Afferrati, come il primo tuffo al cuore che ha avuto la Maddalena»
Cari amici, all’inizio del vostro cammino verso la Santa Casa di Loreto vi offro alcune parole di don Giussani che mi fanno tanta compagnia in questi tempi:
«Il più bel pensiero a cui mi abbandono da tanti mesi a questa parte è l’immaginazione del primo tuffo al cuore che ha avuto la Maddalena e questo tuffo al cuore non è stato: “Vado via da tutti i miei amanti”, ma è stato l’innamoramento di Cristo. E per Zaccheo il primo tuffo al cuore non è stato: “Do via tutti i soldi”, ma è la sorpresa innamorata di quell’Uomo. Che Dio sia diventato uno fra noi, un compagno, è la gratuità assoluta, tanto è vero che si chiama grazia».
Ecco di che cosa abbiamo bisogno per vivere: che il Mistero si faccia compagno della nostra vita, come è accaduto a Zaccheo e alla Maddalena. Poveri come noi, fragili come tutti, alle prese con le urgenze del vivere, incapaci di ottenere ciò che desideravano, ma Dio ha avuto pietà di loro, non li ha abbandonati alla paura e alla solitudine.
Anche a noi è accaduto di trovare sulla nostra strada – senza di questo nessuno di voi sarebbe al pellegrinaggio oggi − qualcuno la cui vita ci è apparsa subito più umana, più desiderabile, tanto che ci è venuta l’invidia di vivere come lui. E così nel tempo, seguendo, è diventata nostra quella esperienza che ci ha affascinato all’inizio, la stessa esperienza di Giovanni e Andrea sulla riva del Giordano, come ha ricordato papa Francesco proprio visitando quel luogo: «Venendo qui al Giordano a farsi battezzare da Giovanni, Egli mostra la sua umiltà e la condivisione della condizione umana: si abbassa fino a noi e con il suo amore ci restituisce la dignità e ci dona la salvezza. Ci colpisce sempre questa umiltà di Gesù, il suo chinarsi sulle ferite umane per risanarle» (24 maggio 2014). Trascinati da un incontro, cresceva ogni giorno di più nei discepoli il desiderio di Lui, tanta era la nostalgia di rivedere il volto di Gesù che li aveva afferrati con quella domanda che li aveva incollati a Lui: «Che cosa cercate?» (Gv 1,38).
È lo stesso che hanno sperimentato i discepoli di Emmaus: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino?». Più potente di ogni delusione e sconfitta è la Sua presenza. Da che cosa lo possiamo vedere? Perché rimette in movimento l’io, facendo vivere all’altezza del proprio cuore: «E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”. Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane» (Lc 24,32-35).
Vi auguro di camminare sostenuti nella fatica dalla certezza che ci testimonia papa Francesco: «Ai suoi discepoli missionari Gesù dice: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (v. 20). Da soli, senza Gesù, non possiamo fare nulla! Nell’opera apostolica non bastano le nostre forze, le nostre risorse, le nostre strutture, anche se sono necessarie. Senza la presenza del Signore e la forza del suo Spirito il nostro lavoro, pur ben organizzato, risulta inefficace. E così andiamo a dire alla gente chi è Gesù» (Regina Coeli, 1° giugno 2014). Per questo siamo stati scelti – che grande mistero! −: per la testimonianza, camminando verso Loreto e lungo le strade della vita, dentro le circostanze quotidiane.
Buon cammino
Julián Carrón

14 giugno 2014: 'stracolletta alimentare'

BANCO ALIMENTARE

Quel filo di speranza che passa nei supermercati

di Paola Ronconi
06/06/2014 - Il 14 giugno si avvicina. La "Stracolletta" pure. Per la prima volta in estate, in 6mila punti vendita l'appuntamento con oltre 60mila volontari. Un gesto non solo per l'emergenza degli indigenti, ma per «strapparci dalla nostra indifferenza»
«È un evento straordinario, da tutti i punti di vista». Sono queste le parole di Federico Bassi, responsabile nazionale della Colletta alimentare. Si riferisce alla giornata del 14 giugno, un sabato fuori dal comune per il Banco Alimentare, in cui in molti supermercati d’Italia si potranno comprare e donare generi alimentari per le persone indigenti. Stiamo parlando di una vera e propria emergenza, qualcosa come quattro milioni di persone che oggi, nel nostro Paese, vivono grazie agli aiuti di mense ed enti caritativi. E i numeri sono in continua crescita.

“Straordinario” perché «è una situazione fuori dal comune quella in cui ci ritroviamo oggi, coi magazzini del Banco di molte regioni senza scorte: agli enti che vengono a rifornirsi da noi dobbiamo rispondere: “Mi spiace, non c’è più nulla”».

“Straordinario”, ancora, perché sono finiti i “normali” fondi europei, e nonostante l’Europa abbia messo in pista un nuovo programma di aiuti alimentari, l’Italia è estremamente lenta ad attuarlo. Così fino a ottobre non se ne fa nulla.
E “straordinario” perché «data l’emergenza, abbiamo pensato fosse l’unica via per coprire i mesi tra maggio e ottobre. È la prima volta, infatti, che la Giornata di raccolta fa un doppio turno rispetto a quella tradizionale di novembre».

Sono mesi che papa Francesco parla di povertà alimentare, dicendo che ci troviamo di fronte a una vera e propria carestia. Ognuno deve provare a fare il suo, dice spesso. «Ci siamo detti: cosa aspettiamo?», spiega Bassi: «La realtà urge in una certa direzione, anche il Papa ci invita seriamente... Muoviamoci».

Ma è per un altro aspetto che il responsabile della Colletta è fiero di usare il termine “straordinario”: la risposta sorprendente a questa “chiamata alle armi”, pur messa in piedi in pochissimo tempo. Su 6mila punti vendita che hanno aderito (a novembre 2013 erano 11mila e tanti di questi a giugno sono impegnati in altre iniziative), ci saranno oltre 60mila volontari “reclutati” in meno di tre mesi. «In tanti vedono nella Colletta anche un’occasione per risvegliare se stessi».

«Noi, come molte altre parti d’Italia, stiamo pagando caro il blocco dei fondi europei», dice Gianni Romeo, direttore del Banco Alimentare della Calabria: «È un’emergenza che non ha un volto cruento, che non fa notizia, perché chi ha bisogno si vergogna, chiede con discrezione». A Cosenza, oltre al problema della mancanza di lavoro, c’è anche quello della casa: «In molti stanno occupando case e alloggi vuoti. A loro manca già tutto, togliere pure questo aiuto significa spezzare quel filo di speranza che è un rapporto, un sostegno morale, una compagnia». Per le Giornate di novembre, di solito i punti vendita in Calabria sono 500. E settimana prossima saranno presenti all’appello quasi tutti.

A Fibbiana, frazione del comune di Montelupo, nell’Empolese Valdelsa, i volontari del Banco vorrebbero trasferire il magazzino della raccolta di sabato prossimo in piazza San Rocco, «così facciamo vedere alla gente il lavoro dei volontari», dice Michele Michelucci, responsabile di quella zona del fiorentino. «Riempiamo lì gli scatoloni per i bancali. Poi, come dopo ogni Colletta, si mangerà insieme, e si aspetta Italia-Inghilterra. Ci fosse un megaschermo...». A Montelupo, il supermercato più grande è la Coop, ma il 14 non riesce ad aderire: «Si può fare la spesa lì e portarla in piazza. Noi si ha cinque pani e due pesci. Al resto ci pensa Lui».

Don Julián Carrón, in un recente intervento ha ricordato che o questi gesti strappano dall’indifferenza in cui spesso si vive, oppure non servono: «Sono la modalità con cui riconosciamo ogni volta la pietà verso il nostro niente di Colui che ci genera e che ci dice: “Guarda, se non vuoi finire nel nulla ti offro questo, ti invito a questo”». «Che a migliaia abbiano detto “ci sono” è segno che è proprio così», conclude Bassi.

La Colletta straordinaria da sola non risolverà la carenza di questi cinque mesi. Ma intanto è un grande aiuto. E sul sito www.bancoalimentare.it è ancora possibile iscriversi come volontari nella propria città.

lunedì 2 giugno 2014

testimonianza di Aleksander Filonenko


Testimonianza di Aleksander Filonenko

Venerdì 30 maggio, nell’auditorium della sala V.Vailati, si è svolto l’incontro ‘L’ucraina e noi’ con la testimonianza del prof. Aleksander Filonenko, tradotto dalla pro.ssa Elena Mazzola. Numerosa, attenta e vivace la partecipazione del pubblico, che era composto di persone adulte, giovani e giovanissime, segno dell’attenzione con cui la gente comune e la classe intellettuale seguono gli avvenimenti che hanno scosso il popolo ucraino, dalla rivoluzione del Majdan ad oggi, in particolare dopo l’uccisione del reporter italiano Andrea Rocchelli e del suo interprete russo. Il prof. Filonenko , subito dopo la proiezione di alcuni video, ha documentato perché il popolo ucraino si è ribellato alle violenze sui giovani, come mai le prime manifestazioni siano state a favore della dignità più che manifestazioni politiche in senso stretto; ha spiegato che cos’è stato per tre mesi il fenomeno del Majdan e che tipo di presenza abbiano avuto le Chiese di ogni confessione (in Ucraina le confessioni cattoliche sono cinque, quelle protestanti un centinaio, poi esistono anche gli ebrei e i musulmani oltre alla chiesa ortodossa), infine ha documentato la violenza della polizia nel porre fine al Majdan. Nel corso del dibattito, che si è dovuto limitare per motivi di tempo, si è spaziato dai temi della politica internazionale alla questione del gas e del suo prezzo (con i problemi di ricaduta sull’Europa e sull’Italia) alla credibilità dei politici ucraini. A tutti è parso chiaro che gli uomini non si rassegnano a vivere come marionette, tant’è vero che questo genera ribellione.  
Noi abbiamo avuto davanti un testimone eccezionale dei fatti accaduti, che ci ha lasciato una domanda che  non gli abbiamo formulata: in fondo, egli ha puntato su una ‘parte’ sconfitta dagli avvenimenti; perché, allora, tanta pacatezza nel racconto, nessuna animosità e, soprattutto, una letizia invidiabile da chiunque?

Gemma Barulli