“La condivisione genera fratellanza [...] è duratura [...]
rafforza la solidarietà e pone le premesse necessarie per raggiungere la
giustizia [...] uno stile di vita individualistico è complice nel generare
povertà [...] se i poveri sono messi ai margini il concetto stesso di
democrazia è messo in crisi”. (Papa Francesco)
Dopo una lunga e faticosa giornata… ricca di emozioni,
imprevisti e tanta gioia nel cuore, il totale raccolto nella 25ª GNCA in
provincia di Foggia è stato di 28.099,32 Kg.
Ciò che colpisce è che, in questo periodo di paura e
incertezza, è stato raggiunto un ottimo risultato, considerando che nel 2019 sono
stati raccolti 35.311,00 Kg., ma con 19 supermercati e 400 volontari in più. É evidente che il nostro territorio è generoso e molto attento nei confronti dei
meno fortunati e il risultato di quest’anno testimonia che i cittadini hanno
volontà e desiderio di ritornare alla normalità anche attraverso il semplice
gesto di donare un pacco alimentare.
Senza la disponibilità, la volontà e il desiderio dei volontari
che hanno partecipato, non sarebbe stato possibile realizzare il gesto della
colletta!
In particolare a Manfredonia la Colletta si svolge ormai da
una ventina d’anni e nel corso degli anni, oltre ai volontari stabili, vi è
stata la collaborazione di diverse associazioni, scuole e classi. Quest’anno,
in particolare, ci sono stati volontari dell’Associazione don Bosco, classi del
Liceo Scientifico, dell’Istituto Roncalli Fermi Rotundi e per la prima volta i
volontari di Slow Food Manfredonia.
Naturalmente ogni anno tutti sono invitati ad offrire la loro opera come
volontari o a contribuire nel dono di un pacco alimentare.
I risultati della 25ª #CollettaAlimentare del Banco Alimentare a Manfredonia: - Eurospin, Via G. D. Azzarone 684 Kg - Despar, Via della Croce, 73/A 445 Kg - MD V.le Michelangelo 404 Kg Totale 1.533 Kg
Per chi non fosse riuscito a recarsi in uno dei punti vendita aderenti, sarà possibile donare la spesa on line. Per ulteriori informazioni visitare la pagina del Banco Alimentare.
La Giornata Nazionale della Colletta Alimentare, promossa dalla Fondazione Banco Alimentare, compie 25 anni e torna anche in presenza il prossimo 27 novembre.
I dati mostrano una crescita di anno in anno, non solo di quantità di tonnellate raccolte ma di persone coinvolte. E viene da chiedersi perché? Perché la colletta è un gesto che educa alla carità come legge dell’esistenza; è un’esperienza che non si esaurisce nel fare, ma di cui si sente l’eco in una dimensione ben più grande, quella delle domande sul senso della vita: chi sono io, di cosa ho bisogno, cosa mi fa sentire vivo e contento? La Colletta ha dentro una promessa grandissima per ognuno: quella di scoprire la legge dell’esistenza (anzi di ri-scoprire qualcosa che è scritto nel nostro cuore): che quando diamo, siamo più contenti, che il bisogno dell’altro è il mio stesso bisogno, che da soli non ci si salva. Questo il motivo che ha reso la Colletta un gesto fra i più imitati eppure unico, il gesto di carità di un intero popolo che l’ultimo sabato di novembre si trova unito e prova il gusto di costruire insieme qualcosa di bello e utile e vero a partire dalla scoperta del proprio volto umano.
Ai partecipanti all'Incontro delle Associazioni di Fedeli, dei Movimenti Ecclesiali e delle Nuove Comunità
Aula del Sinodo ore 10:00
Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!
Saluto cordialmente Sua Eminenza il Cardinale Kevin Farrell e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto. E grazie a tutti voi, per essere presenti nonostante i disagi dovuti alla pandemia – e a volte dal “non buon umore” che forse questo decreto ha seminato nel cuore di qualcuno! Ma andiamo avanti insieme. Saluto e ringrazio anche coloro che partecipano in videocollegamento, molti dei quali non hanno potuto viaggiare a causa delle limitazioni ancora in atto in molti Paesi. Io non so come il Segretario sia riuscito a tornare dal Brasile! Poi me lo dovrai spiegare.
1. Ho desiderato essere qui oggi anzitutto per dirvi grazie! Grazie per la vostra presenza come laici, uomini e donne, giovani e anziani, impegnati a vivere e testimoniare il Vangelo nelle realtà ordinarie della vita, nel vostro lavoro, in tanti contesti diversi – educativi, di impegno sociale, e così via, nella strada, nei terminali delle ferrovie, lì stavate tutti voi -: questo è il vasto campo del vostro apostolato, è la vostra evangelizzazione.
Vent'anni fa l'attacco alle Torri Gemelle. E il mondo non sarebbe più stato uguale. Ma da dove ripartire? Le parole di don Giussani in quei giorni, nel racconto tratto dalla sua biografiaAlberto SavoranaMartedì 11 settembre 2001, di prima mattina, un gruppo di kamikaze islamici dirotta alcuni aerei in volo sopra gli Stati Uniti. Due di essi si schiantano sulle Twin Towers, le torri gemelle del distretto finanziario di New York, che crollano causando la morte di quasi tremila persone. Altre vittime sono provocate dall’aereo che si abbatte sull’edificio del Pentagono, a Washington DC, e da un quarto precipitato in Pennsylvania. Gli attentati saranno rivendicati da al-Qaida, il movimento fondamentalista islamico fondato da Osama Bin Laden.
Appena appresa la notizia – a Milano è il primo pomeriggio –, Giussani telefona a Jonathan Fields, responsabile della comunità di CL a New York. La prima cosa che gli chiede è di pregare san Giuseppe per la Chiesa universale e per questi terribili eventi. Mentre Giussani parla, Fields trascrive come può le sue parole, quindi le trasmette immediatamente a tutti gli amici del movimento sparsi per l’America. Sono frasi spezzate, accenni di pensieri che tuttavia lasciano intendere la preoccupazione che ha mosso Giussani a telefonare subito: «Noi dobbiamo tener saldo il nostro giudizio e paragonare tutto con quello che ci è successo, in questo momento grave e grande… Dobbiamo ripetere questo giudizio prima di tutto a noi stessi. Questo momento è almeno grave quanto la distruzione di Gerusalemme. È totalmente dentro il Mistero di Dio… Tutto è segno… Preghiamo la Madonna… L’ultima definizione della realtà è che essa è positiva e la misericordia di Dio è la più grande parola. Questo è certo, occorre rimanere saldi nella speranza. Grazie a ognuno, uno per uno, per essere là». Spedendo la trascrizione della telefonata ricevuta dall’Italia, Fields invita gli amici: «Per favore, fate di tutto per trovarvi insieme per la messa o il Rosario».
Il cardinale e arcivescovo emerito di Milano ripercorre, a trent'anni dalla scomparsa l’eredità del teologo
Da sinistra l’allora don Angelo Scola con il padre Henri de Lubac - Siciliani
Ricorrono proprio oggi i 30 anni dalla morte del cardinale gesuita Henri de Lubac(1896-1991), perito al Concilio Vaticano II e considerato una delle punte di diamante per la sua conoscenza della patristica e non solo della teologia contemporanea. Il cardinale e arcivescovo emerito di Milano Angelo Scola ha voluto per l’occasione ripercorrere la grandezza intellettuale e spirituale del religioso ignaziano. E di come il suo pensiero sia stato un riferimento costante, quasi un punto di incontro, per il magistero degli ultimi tre Pontefici: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco.
Eminenza era il 4 settembre del 1991 quando si spegneva a Parigi a 95 anni padre Henri de Lubac. Quale a suo giudizio è l’attualità di questo pensatore?
È considerevole per tre fattori che, intrecciandosi, determinano la profondità e l’originalità del lavoro scientifico del cardinal De Lubac, e soprattutto del suo esplicito amore alla Chiesa, persino quando dovette subire qualche ingiusta prova. Di quali fattori si tratta? Il primo, legato alla sua competenza di storico e allo stesso tempo di teologo, è l’aver elaborato una messa a punto dell’autentico concetto di soprannaturale; il secondo, aver recuperato una meditazione sulla Chiesa e sull’esegesi medioevale del tutto originale e feconda per gli studi successivi; il terzo - per me decisivo - praticare una teologia aperta alla storia e alla cultura. Penso agli studi importanti sulla “posterità spirituale” di Gioacchino da Fiore, su Pico della Mirandola così come il suo interesse per gli studi sul buddismo e l’aver approfondito il pensiero di Theilard de Chardin. Se è vero che De Lubac fu un teologo, uno studioso, non si può dimenticare il suo impegno - soprattutto all’inizio della II Guerra Mondiale - nel collegio gesuitico di Lyon-Fourvière con i padri Chaillet e Fessard per sostenere i cattolici francesi nel difficilissimo frangente che dovettero attraversare. Aveva una sensibilità pastorale molto acuta.
Lo stand più «audace» del Meeting è quello della Fraternità San Carlo
Nel padiglione C4 i missionari e i seminaristi accolgono i visitatori con la mostra su san Giuseppe "O felicem virum!". «Per rispondere a Dio l'unica prerogativa è essere uomini»
È lo stand più «audace» del Meeting di Rimini e, probabilmente, anche il più affollato. Non ci si può sbagliare: nel padiglione C4 ci sono i missionari e i seminaristi della Fraternità San Carlo Borromeo. Fa da sfondo allo stand un’immagine di Gesù bambino che getta le braccia al collo di san Giuseppe sorridente, toccandogli gioiosamente la barba. L’immagine, stampata anche sulle magliette distribuite ai visitatori, sintetizza l’aria che si respira allo stand: gioia, amicizia, accoglienza.
La mostra su san Giuseppe
Ogni giorno (i nomi e gli orari sono disponibili sul sito Sancarlo.org) seminaristi e missionari raccontano la propria esperienza e spiegano la piccola mostra su san Giuseppe, O felicem virum! San Giuseppe non è solo il patrono della Fraternità, ma anche il modello: silenzioso, obbediente, casto e felice. Della sua vita i Vangeli ci dicono pochissimo e la mostra – sintetica, concisa e profonda – raccoglie le migliori riflessioni fatte sulla sua figura: Benedetto XVI, papa Francesco, san Bernardo di Chiaravalle, Giovanni Paolo II, solo per citarne alcuni.
Il modello della Fraternità San Carlo
San Giuseppe, ci spiega Giorgio Ghigo, seminarista di 28 anni di Cuneo, «ha accettato il sacrificio di non essere padre carnale di Gesù e si è messo al servizio di Dio». E Dio, come sottolineava san Bernardo,
«gli permise di conoscere il mistero che nessuno dei principi di questo secolo conobbe; a lui fu dato di vedere e udire ciò che molti re e profeti, pur desiderandolo, non videro e non udirono; e non solo vedere e udire fu a lui concesso, ma anche portare, accompagnare, abbracciare, baciare, nutrire e proteggere».
San Giuseppe, uomo vero e «audace»
Tutt’altro che un «mutilato» o soltanto un uomo contemplativo, san Giuseppe è un uomo «audace», anche nell’agire: «L’obbedienza a Dio sconvolge la sua vita», continua Ghigo, «ma è proprio quando ti scopri preferito che diventi audace. Non è un caso se san Giuseppe ha il coraggio di lasciare tutto e fuggire in Egitto per proteggere Maria e Gesù».
«Vorrei essere come lui», afferma il seminarista di Cuneo, che l’anno prossimo diventerà sacerdote. «Non so dove sarò inviato in missione l’anno prossimo, ma ho il desiderio di ubbidire e diventare uomo come san Giuseppe. Perché questa è l’unica prerogativa per rispondere a Dio: essere uomini. Veri. Come san Giuseppe». (continua su Tempi)
sto maturando da tempo la mia adesione a CL e credo sia giunto il momento di farvene richiesta. Da quando ho finito di scrivere L’Abbraccio, sto facendo un cammino in cui confido sempre di più nel fatto che la mia rinascita come cristiano sia definitiva, perché si basa sulla mia assoluta accettazione e dedizione a Gesù. Da una parte, ho preso coscienza di essere molto amato da Dio, per non dire troppo amato, visto l’eccesso di perdono che ho ricevuto. E di questo posso solo esserGliene grato con una maggiore dedizione personale. Dall’altra, la lettura meditata di Generare tracce nella storia del mondo - libro che stiamo leggendo anche alla SdC (Scuola di Comunità) - mi spinge a rompere un ultimo e vecchissimo pregiudizio anarchico sul non permettermi di «appartenere» completamente, di restare come un perpetuo gabbiere senza consegnare a nessuno la cabina di vedetta della mia propria navigazione. Ho compreso che il «sì» di Pietro ha generato la nascita di un Popolo, un’unità di gente-in-incontro, una certa «entità etnica», come disse un Papa. Ho capito il significato di «obbedire» come l’unico modo per trascendere il mio io verso l’Altro, così come un calciatore “obbedisce” al suo allenatore. Cioè, che devo “dare retta” a voi pastori che state guidando questa tribù il cui stile di vita mi ha tanto commosso. È passato il tempo di «essere come voi», ora mi propongo di «essere con voi». Devo andare oltre l’essere un vostro compagno di cammino per diventare compagno del vostro cammino. Spero che, con questa consegna del mio orgoglio, una certa povertà di cuore mi incammini di più verso la speranza e a realizzarla nel mio Destino già così prossimo. Ecco, rimango a vostra disposizione con un grato abbraccio. Mikel
Un appuntamento quotidiano, in diretta dalla Fiera di Rimini, con vari ospiti alle prese con dialoghi, storie ed esperienze reali. Viaggio nel programma dei sei "momenti" curati dalla Fondazione per la SussidiarietàPaolo PeregoUn percorso in sei tappe, fatte di dialoghi, numeri, storie, esperienze reali. Protagonista? Il lavoro, quello che, insieme a salute ed educazione, è uno degli aspetti più colpiti dalla pandemia e al momento pieno di incognite sul futuro. E “Il lavoro che verrà”, appunto, è il fil rouge che accompagnerà la presenza quotidiana di Fondazione per la Sussidiarietà al Meeting di Rimini 2021. La formula è quella già sperimentata nella Special Edition del 2020: un talk televisivo in diretta dalla Fiera, guidato dai veterani del piccolo schermo Massimo Bernardini ed Enrico Castelli, arricchito con video-servizi ad hoc, info-grafiche e dibattiti in presenza di esperti e opinionisti. E di pubblico, con tutte le limitazioni del caso.
«Il punto da cui siamo partiti è che la pandemia ha peggiorato condizioni che già c’erano», spiega Giorgio Vittadini, statistico e presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. La fotografia del nostro Paese dice che chi stava male, ora sta peggio: tra blocco dei licenziamenti e cassa integrazione, sono saltati i contratti a termine e i tirocini, per esempio, mettendo in ginocchio chi lavora nei servizi, soprattutto giovani e donne. Ma, dice Vittadini, «uno dei dati più rilevanti e sorprendenti riguarda il tasso di attività, il più basso d’Europa. Tuttavia le offerte di lavoro ci sono». Perché accade questo? E proprio il tentativo di trovare risposte e percorsi di lavoro rispetto a questa domanda animerà i talk, alle 19 live e in diretta streaming dalla Sala Ravezzi della Fiera di Rimini.
Foto Unsplash/Josue Isai Ramos Figueroa
Primo appuntamento, “Lavorare è cambiare”. «Il lavoro non è un meccanismo, ma implica un nuovo e diverso atteggiamento umano», spiega Vittadini. In sala, i ministri Elena Bonetti e Andrea Orlando, Marco Ceresa (Randstad), Renzo Sartori (Assologistica) e Luigi Sbarra (Cisl). «Metteremo a fuoco l’immagine di un lavoro “in movimento”, di un percorso oltre la logica del posto fisso». Un’idea che latita da anni, a favore di un assistenzialismo che non aiuta e che è anacronistico: «Secondo il World Economic Forum, nel 2030 un miliardo di lavoratori farà lavori che oggi non esistono. Occorre muoversi verso il lavoro. Ma questo è un atteggiamento umano. Se manca la spinta a muoversi, anche la ripresa, che già si vede, rischia di essere un’opportunità persa».
Si aggancia qui il tema del secondo talk, “Un lavoro senza frontiere”, con don Antonio Loffredo, parroco a Napoli, Maurizio Martina (Fao) e Alberto Sinigallia (Progetto Arca). «Le migrazioni sono davvero un danno o piuttosto una risposta della gente alla ricerca del lavoro? In Italia, dove nel 2050 ci saranno 5milioni di persone in meno al Sud, l’immigrazione dovrà essere una risorsa, fosse anche per pagare le pensioni…», nota Vittadini: «Guarderemo al mondo, con esempi da Kenya, Venezuela, Polonia… In tutti i continenti ci sono persone che si spostano per andare incontro al lavoro. E se al posto che qualcosa da cui difenderci l’immigrazione fosse una possibilità per vivere?». È una tesi alternativa, ma nella storia è sempre andata così: «Il punto è avere una identità: se sai chi sei, allora assorbi, integri».
Il terzo giorno si apre una parentesi sulla formazione, con il ministro Patrizio Bianchi, Marco Hannappel (Philip Morris Italia), Remo Morzenti Pellegrini (Università di Bergamo) e Begona Villacis (vicesindaco di Madrid). “Parentesi” per dire, perché il tema dell’insegnamento è intrecciato a doppio filo col lavoro: «Se il lavoro ha a che fare non più con le risorse umane, ma con l’uomo come risorsa, come diceva François Michelin, allora anche lo scopo dell’educazione e la formazione, ovvero il luogo dove questo soggetto nuovo si forma, non possono che essere implicate in questo discorso», per Vittadini. Il lockdown e la Dad, in parte, hanno dato l’opportunità di evidenziare ancora di più quanto sia prioritaria l’idea di insegnamento come rapporto, interazione: «È una necessità. Ma perché certe scuole hanno fatto e fanno meglio di altre? Perché hanno capito che il rapporto non si può costruire secondo lo schema di prima. Il punto centrale della formazione non può essere creare un meccanismo diverso, ma un soggetto nuovo. Che è quello che le imprese domandano già oggi».
Nel quarto incontro, sarà l’opportunità della “ripresa” a offrire l’abbrivio al talk dedicato al Recovery Plan, “I soldi dell’Europa”, con Francesco Baroni (GiGroup), Dario Odifreddi (Associazione Consorzio Scuole e Lavoro), Pedro Velasco Martins (Commissione Europea). «Una grande opportunità per il Paese», osserva Vittadini. In termini economici, innanzitutto, con le grandi risorse che arriveranno da Bruxelles: «Ma non solo. Quello che l’Europa ci sta chiedendo, con tutti i suoi vincoli, non sono solo investimenti e infrastrutture, ma anche che tutti cooperino a costruire. È una difficoltà che abbiamo da anni, tanto che abbiamo restituito sempre la maggior parte dei fondi che arrivavano. Si tratta di un cambiamento culturale necessario che deve essere accompagnato anche da riforme che lo sostengano, nell’ottica di quel cambiamento di cui abbiamo detto».
Si arriva quindi alla quinta giornata, dedicata a “I lavori che verranno”, con Francesco Mutti (Centromarca), Sabina Nuti (Sant’Anna di Pisa), Roberto Tomasi, (Autostrade per l'Italia) e, in video, il ministro Roberto Cingolani e il presidente emerito della Camera dei Deputati, Luciano Violante. «Come cambierà il lavoro? Sta già cambiando», per Vittadini: «Un esempio su tutti. Abbiamo visto i medici, abituati a lavorare secondo linee-guida e protocolli, doversi interfacciare con qualcosa come il Covid che esulava da ogni schema. Hanno dovuto sperimentare, provare, tentare. Interfacciarsi e imparare dalla realtà che accadeva. Le malattie del futuro dovranno essere affrontate così, probabilmente». E lo stesso accadrà nel mondo del lavoro. Digitalizzazioni, economia circolare, sostenibilità… «Vedremo cambiamenti nei prodotti, ma anche nella produzione e nei servizi. E questo non potrà che incidere, fin da ora, anche sul tema della formazione, sempre meno nozionistica ma volta a rendere più elastici e pronti al nuovo». Un mercato del lavoro, insomma, che sempre di più piega la ricerca delle competenze alla necessità di portare tra le proprie fila individui curiosi, creativi, intraprendenti, aperti: «È il tema delle non cognitive skills di cui parliamo da tempo», aggiunge Vittadini.
Il Consiglio dei ministri ha approvato all'unanimità la riforma Cartabia sul processo penale. Vediamo tutti i cambiamenti che ci saranno e le differenti misure.
Tempi delle indagini
Nella riforma del processo penale elaborata dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia e approvata dal Consiglio dei ministri, sono rimodulati i termini di durata massima delle indagini rispetto alla gravità del reato. Inoltre, alla scadenza del termine di durata massima delle indagini, fatte salve le esigenze specifiche di tutela del segreto investigativo, si prevede un meccanismo di discovery degli atti, a garanzia dell’indagato e della vittima, anche per evitare la prescrizione del reato associato a un intervento del giudice per le indagini per le indagini preliminari che in caso di stasi del procedimento.
Confermata l’attuale disciplina, che prevede lo stop alla prescrizione dopo la sentenza di primo grado (sia in caso di condanna sia in caso di assoluzione). Inoltre, si stabilisce una durata massima di due anni per i processi d’appello e di un anno per quelli di Cassazione. E' in sintesi l'emendamento al disegno di legge sul processo penale, proposto dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia sul nodo della prescrizione, e approvato dal Cdm. È prevista la possibilità di un'ulteriore proroga di un anno in appello e di sei mesi in Cassazione per processi complessi relativi a reati gravi, come esempio associazione a delinquere semplice, di tipo mafioso, traffico di stupefacenti, violenza sessuale, corruzione, concussione). Decorsi tali termini, interviene l’improcedibilità. Sono esclusi i reati imprescrittibili quelli puniti con ergastolo.
Delega giustizia riparativa
Delega al Governo a disciplinare in modo organico la giustizia riparativa, nel rispetto di una direttiva europea (2012/29/UE) e nell’interesse sia della vittima che dell’autore del reato. Lo prevede uno degli emendamenti al ddl di riforma del processo penale presentati dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia, e approvati dal Cdm. Si prevede l’accesso ai programmi di giustizia riparativa in ogni fase del procedimento, su base volontaria e con il consenso libero e informato della vittima e dell’autore e della positiva valutazione del giudice sull’utilità del programma in ambito penale. Previste inoltre la ritrattabilità del consenso, la confidenzialità delle dichiarazioni rese nel corso del programma di giustizia riparativa e la loro inutilizzabilità nel procedimento penale.
La richiesta di rinvio a giudizio
Il pubblico ministero può chiedere il rinvio a giudizio dell’indagato solo quando gli elementi acquisiti consentono una “ragionevole previsione di condanna”. Lo prevede uno degli emendamenti al disegno di legge di riforma del processo penale presentati dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia, e approvati dal Consiglio dei ministri.
Ricorsi in appello
Confermata in via generale la possibilità, tanto del pubblico ministero, quanto dell’imputato, di presentare appello contro le sentenze di condanna e proscioglimento. E' quanto prevedono gli emendamenti al ddl di riforma del processo penale presentati dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia, e approvati dal Consiglio dei ministri. Il testo recepisce il principio giurisprudenziale dell’inammissibilità dell’appello per aspecificità dei motivi. Si prevedono limitate ipotesi di inappellabilità delle sentenze di primo grado, per esempio in caso di proscioglimento per reati puniti con pena pecuniaria e di condanna al lavoro di pubblica utilità.
Criteri di priorità
Gli uffici del pubblico ministero, per garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, nell’ambito di criteri generali indicati con legge dal Parlamento, dovranno individuare priorità trasparenti e predeterminate, da indicare nei progetti organizzativi delle Procure e da sottoporre all’approvazione del Consiglio Superiore della Magistratura. E' quanto prevedono gli emendamenti al ddl di riforma del processo penale presentati dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia e approvati stasera dal Consiglio dei ministri.
Delega a governo su misure alternative
Delega al governo a effettuare una riforma organica della legge 689 del 1981, prevedendo l’applicazione, a titolo di pene sostitutive, del lavoro di pubblica utilità e di alcune misure alternative alla detenzione, attualmente di competenza del Tribunale di sorveglianza. E' quanto stabiliscono gli emendamenti al disegno di legge di riforma del processo penale della ministra della Giustizia, Marta Cartabia, approvati dal Consiglio dei ministra. Le nuove pene sostitutive, detenzione domiciliare, semilibertà, lavoro di pubblica utilità e pena pecuniaria, saranno direttamente irrogabili dal giudice della cognizione, entro il limite di quattro anni di pena inflitta. E’ esclusa la sospensione condizionale. In questo modo, si garantisce maggiore effettività all’esecuzione della pena.
FEDE E POLITICA/ Cattolici, attenti al rischio dell’autoliquidazione
La storia non è solo archeologia. Presa sul serio, aiuta a rendere più acuto lo sguardo sul nostro presente. Mette in guardia contro il rischio dello schematismo, e soprattutto ci educa a riconoscere le sfumature infinite della diversità, a far emergere le linee di forza dei grandi processi di trasformazione sotto il mantello delle continuità che ci legano al passato da cui deriviamo.
Di queste trasformazioni è poi decisivo cogliere il senso di marcia, insieme agli effetti che producono, sia come perdita e distruzione, sia come guadagno di nuovi orizzonti: una cosa e l’altra insieme, senza scissioni, se non si vuole rinchiudersi in una prospettiva unilaterale.
Partendo da questa premessa, mi sembra utile tornare a riflettere su una questione affrontata sulle pagine del Sussidiario in questi ultimi giorni: l’ipotesi di un’analogia tra la situazione verso cui si trova spinta la coscienza cristiana nella cornice dell’Occidente secolarizzato della più avanzata modernità e le circostanze storiche del suo primo affacciarsi sulla scena del mondo antico, egemonizzato dal pluralismo politeistico dell’imperialismo romano e dalle pretese di totalità del suo ordine politico-legislativo. Mi sembra che si tratti di due condizioni di marginalità radicalmente differenziate, che non è giusto sovrapporre tra loro.