mercoledì 28 febbraio 2018

Ada Negri : rieditata la biografia su S.Caterina da Siena

Saggi.
Caterina da Siena, la “più grande scrittrice” di Ada Negri
Le nostre donne della Letteratura “alta” avevano un forte senso spirituale e mistico, cercavano storie profonde, “fabule”, personalità che potessero essere da modello. Le ristampe preziose e meritevoli di alcuni testi ci aiutano a approfondire questo filone: basti pensare a La madonna del topo e altri racconti di Grazia Deledda, edito da EDB (con nota di lettura dell’arcivescovo Ignazio Sanna), con cui la grande scrittrice sarda svela pagine davvero liriche, con al centro storie legate al mondo religioso, alla ricerca spirituale, ai riti collettivi, in un incrocio toccante tra inquietudini personali e slanci corali.
Ada Negri, voce lirica oggi dimenticata, ci offre un suo testo illuminante sulla santa patrona d’Italia e copatrona d’Europa, Santa Caterina da Siena (ediz. La fontana di Siloe-Narrazioni): quasi «un’omelia » narrativa, come la definisce il critico Antonino Sarica, che permette ai lettori di scoprire e riscoprire questa straordinaria mistica e donna del suo tempo, la cui fama e devozione non è riuscita a raggiungere appieno quella dall’altra grande Caterina, la santa martire d’Alessandria.
Nelle sue brevi ma intense pagine, la grande poetessa narra, tappa su tappa, a volo d’uccello, la vita della santa, che «obbedisce all’infallibile istinto che spinge la sua intelligenza verso l’impetuoso dominio delle anime»; Cristo «le è accanto ad ogni passo, in ogni atto della sua vita», e il coraggio della sua carità «non conosce limiti», assistendo i malati di peste della sua Siena, offrendo a un mendico il suo mantello del Terz’Ordine di San Domenico, assistendo un condannato a morte, svelando sempre la sua pietas e la sua forza spirituale: «L’indipendenza di spirito, la dirittura umana e civile di Caterina Benincasa si affermano in special modo» nella capacità di formare un «cenacolo», un «ordine libero» come lo definisce la Negri, capace di alimentare opere e progetti, tra «orazione azione, fraternità e sacrifizio », nel segno del «magnetico fascino» della santa. Analfabeta che riceve in grazia il dono della scrittura, Caterina è capace di elaborare «fiumi di lava incandescente», lettere indirizzate a «personaggi d’ogni classe su argomenti religiosi o politici, sempre nello stesso scopo d’additare la strada giusta verso Dio e verso il prossimo». Ada Negri ci rivela come Caterina da Siena sia «non solo la più grande santa d’Italia», ma anche «la più grande scrittrice», capace di obbedire non alla cultura classica e «libresca» ma «all’imperativo dello spirito». Quello che le fa dire, liricamente e in modo illuminato, a Papa Gregorio XI, che il tempo «non dorme, ma passa come il vento». Un «genio poetico e politico femminile» che univa «fede, genio, antiveggenza, abbandono, unità d’atti e di pensieri », in parole povere un «capolavoro di stile».
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Riedita l’ispirata biografia della Santa senese, copatrona d’Italia, realizzata dalla poetessa e pubblicata nel lontano 1946
Fungai, “S. Caterina”

giovedì 22 febbraio 2018

I Colloqui Fiorentini: Montale



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MONTALE
Conquista dell’impossibile
Intervista
I Colloqui Fiorentini sono dedicati quest’anno al grande poeta e premio Nobel. Alla ricerca della trascendenza e del miracolo delle cose: parla lo studioso Costantino Esposito
«Non domandarci la formula che mondi possa aprirti», sembra arrendersi Eugenio Montale nei versi riarsi di
Ossi di seppia.
Tutt’al più può offrire «qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». È in questo gesto di resa che i ricordi scolastici in genere cristallizzano l’immagine del poeta, imprigionato in un fermo immagine tragico e pessimista che ne fa il cantore del vivere impossibile. «Invece per essere veramente compreso Montale va mobilizzato, va letto comprendendo che il senso acuto del disagio e la crisi dell’esistenza sono un percorso sempre in movimento lungo tutta la sua vita e la sua produzione poetica. La memoria scolastica collettiva lo immobilizza, ma se vogliamo conoscere il vero Montale dobbiamo liberarlo da questa stasi artificiosa». Questa mattina sarà Costantino Esposito, ordinario di Storia della Filosofia all’università di Bari, ad aprire i Colloqui Fiorentini, quest’anno dedicati al poeta premio Nobel, e a guidare i 3.500 studenti di scuole superiori oltre gli stereotipi.
Partiamo dal titolo della sua relazione, Questi silenzi in cui le cose sembrano tradire il loro ultimo segreto, un verso tratto da “I limoni” che già da solo lascia intravvedere uno spiraglio di speranza...
«È vero che nel 1962 Montale scrive che “ogni grande poesia nasce da una crisi individuale, da una insoddisfazione”, e io penso abbia ragione. Ma sempre Montale in “Xenia I”, rivolgendosi alla moglie morta, scrive: “Tu sola sapevi che il moto non è diverso dalla stasi, che il vuoto è il pieno, e il sereno è la più diffusa delle nubi. Così meglio intendo il tuo lungo viaggio”. Per lui, dunque, l’esistenza come la poesia sono un lungo viaggio, un continuo movimento creato dai tanti “fermo- immagine”. Movimento che nell’opera di Eugenio Montale individuo in tre passaggi principali, non successivi uno all’altro ma tutti e tre sempre presenti in ogni sua composizione. Il primo è “la vita come disagio”... ».
Ed è il passaggio più noto, quello che la memoria scolastica ci tramanda cristallizzata...
«Giusto. Montale in “Intervista con se stesso” del 1951 descrive questo suo disagio “fin dalla nascita”, parla di “una totale disarmonia con la realtà che mi circondava”. E di ce che quindi “la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia”, quel suo “inadattamento psicologico e morale” tipico di “tutte le nature poetiche”. In quell’intervista spiega così il fatto che, pur essen- do contrario al fascismo, l’argomento della sua poesia non sia mai stata la lotta politica ma la condizione umana: “Come poeta il combattimento avveniva su un altro fronte. Ciò non significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo, significa solo volontà di non scambiare l’essenziale col transitorio”. A questa fase appartengono i versi più noti e pessimisti, quel “Non chiederci la parola”, o “Meriggiare pallido e assorto”...».
Che fa intravvedere la speranza nelle “scaglie di mare” o nel “tremulo” canto di cicale, ma subito richiude il varco descrivendo la vita come una muraglia «che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia». Non si passa.
«Ma contemporaneamente esiste anche il secondo passaggio, che chiamo “la realtà come miracolo”. Per esempio cito la bellissima cartolina che Montale scrive a Piero Gadda Conti nel 1934, nella quale rivela quali sono i suoi temi poetici e tra gli altri “l’evasione, la fuga dalla catena ferrea della necessità”, addirittura “il miracolo, diciamo così, laico”. In altre parole, la “maglia rotta nella rete che ci stringe”. Insomma, la condanna alla disarmonia di cui parlavamo nel primo passaggio trova un varco nel rompersi di questa rete, e questo è il miracolo. Attenzione, nella “Intervista immaginaria” del 1946 Montale dichiara che già all’inizio della sua produzione poetica, all’epoca di Ossi di seppia (1920-1925), “il miracolo era per me eviden-te”, già allora gli era chiaro che “immanenza
e trascendenza non sono separabili”».
Ancora più esplicita è la poesia “I limoni”, quella che dà il titolo al suo intervento.
«“Le cose sembrano vicine a tradire il loro ultimo segreto...”, per un attimo pare ci svelino la verità, “ci si aspetta di scoprire uno sbaglio di Natura”, la maglia rotta nel disagio esistenziale...».
A una lettura attenta scopriamo in Ossi di seppia una luce nuova, molto lontana dalle solite interpretazioni...
«Montale si spinge anche oltre: sempre nella “Intervista immaginaria” dice che scrivendo Ossi di seppia sentiva di “essere vicino a qualcosa di essenziale”, al punto che “un velo sottile, un filo appena mi separava dal
quiddefinitivo”. Stiamo sfiorando altezze vertiginose, se finalmente quel velo si fosse rotto sarebbe stata la fine dell’inganno... Ma, conclude Montale, questo era un limite irraggiungibile. La stessa vertigine metafisica la troviamo ancora più esplicita in “Forse un mattino andando in un’aria di vetro”: quel giorno, scrive il poeta, “vedrò compirsi il miracolo” e, anche se l’inganno consueto cercherà di imprigionarlo, “sarà troppo tardi; ed io me ne andrò zitto tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto”».
Veniamo al terzo passaggio.
«“La libertà di fronte all’impossibile”, ovvero la libertà del poeta di aderire al richiamo creato dal miracolo, di seguire l’invito della nuova realtà appena scoperta attraverso la smagliatura nella rete. È la libertà della conoscenza. Montale lo spiega in modo lampante in un’intervista alla “Gazette de Lausanne” del 1965: “Sono un poeta che ha scritto senza cessare di battere alle porte dell’impossibile. Nella mia poesia c’è il desiderio d’interrogare la vita. Agli inizi ero scettico, influenzato da Schopenhauer. Ma nei versi della maturità ho tentato di sperare, di battere al nuovo, di vedere ciò che poteva esserci dall’altra parte della parete, convinto che la vita ha un significato che ci sfugge”. Altro che stasi!».
Ciò che poteva esserci dall’altra parte della parete... C’è un’ansia di trascendenza che è già trascendenza essa stessa. Avrà mai squarciato, anche solo per un istante di fede, quel velo sottile che lo separava dal quid definitivo?
«Non lo so, entrerei in punta di piedi in questo ambito e non darei risposte. Ci ha provato il grande critico Contini, secondo il quale la poesia montaliana scopre sempre la salvezza “nel sospetto d’un altro mondo”, nell’“indizio di grazia”, anche se – continua Gianfranco Contini, rischiando però di cristallizzare il poeta – “l’istante buono” non si potrà mai ripetere e questa impossibilità “prevale sempre sull’indizio di salvezza”. D’altra parte lo stesso Montale scrive che già ai tempi di Ossi di seppia voleva che la sua parola fosse “più aderente”... poi si chiede: “Aderente a che? A qualcosa di essenziale”».
Montale parla una lingua ancora attuale, ha ancora molto da dire ai giovani di oggi, qual è il segreto della sua modernità?
«La sua poesia li aiuta a guardare in faccia il disagio, a capire che la crisi non è mai una sconfitta, non ha nulla del fallimento, ma è l’unica vera possibilità di conquistare l’impossibile. Di sperare che accada un “imprevisto” ».
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NOBEL
Sotto, il poeta Eugenio Montale (1896-1981), sul quale si tengono da oggi i Colloqui Fiorentini 2018

mercoledì 14 febbraio 2018

Padre Lepori: intervista al giornale "El Mundo"

Lepori: «È disumano vivere senza domanda dell'infinito»

La vocazione, la vita monastica e la responsabilità. In un'intervista a El Mundo, l'abate generale dei cistercensi, padre Mauro-Giuseppe Lepori parla di sé. E della bellezza «capace di rigenerare il mondo»
María Serrano
L’ordine cistercense segue la regola di san Benedetto. La parola “regola” sembra oggi opporsi alla presunta libertà senza limiti che crediamo di aver conquistato in Occidente. Perché vivere obbedendo ad una regola?
La Regola di san Benedetto, come le Regole di altri padri o madri della vita religiosa, esprime fondamentalmente il desiderio di trasmettere ad altri un’esperienza di vita, l’esperienza di un cammino che ha condotto san Benedetto a vivere con pienezza la sua umanità, seguendo Cristo, ascoltando il Vangelo e facendo tesoro di una tradizione monastica che risale ai padri del deserto. Benedetto cioè esprime un amore per la pienezza di vita degli altri. Una Regola, se è appunto il frutto di un’esperienza, non mortifica ma esalta la libertà. Quello che l’uomo contemporaneo ha perduto è la coscienza che la libertà non è grande quando può fare quello che vuole, ma quando sceglie il bene, il bello, il vero, anche quando questa scelta comporta un sacrificio di sé per un bene più grande della vita e della stessa libertà. In fondo, l’obbedienza ad una Regola è libera se è vissuta nel desiderio di ciò che vale più della vita. La sorpresa è che proprio questo ci fa vivere con pienezza.

martedì 13 febbraio 2018

Vita di Josef Kalinowski

«Possono togliermi tutto ma non la preghiera»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 12/02/2018

Josef Kalinowski nasce il 1 settembre a Vilnius (attuale Lituania) da nobile famiglia polacca (all’epoca Polonia e Lituania facevano parte dell’Impero russo). Nel 1857 si laurea in ingegneria all’Accademia Militare di San Pietroburgo col grado di tenente dell’esercito. Nel 1863, scoppiata l’insurrezione in Polonia, si congeda dall’esercito russo e, seppur convinto che “la Patria ha bisogno di sudore, non di sangue”, accetta l’incarico di Ministro della Guerra del governo rivoluzionario.
Fallito il tentativo di indipendenza della Polonia, il 24 marzo 1864 viene arrestato e condannato a morte, però grazie alla sua popolarità non viene fucilato ma la pena gli è commutata con dieci anni di prigionia in Siberia. Porta con sé il Vangelo, il libro di Giobbe i Salmi, l’Imitazione di Cristo e un Crocifisso.

sabato 10 febbraio 2018

Julia Kristeva: Il perdono nell'opera di Dostoevskij

KRISTEVA
Il perdono? Si rivela nell’arte
Idee
È il tema che attraversa tutta l’opera di Dostoevskij. E può aiutarci a comprendere il male e le paure che assediano la vita nelle nostre società e si riflettono nelle immagini e nella letteratura, da Bacon a Céline
Dire che l’opera d’arte è un perdono suppone già l’uscita dal perdono psicologico (ma senza misconoscerlo) verso un atto singolare, quello della «messa in forma», attraverso la nominazione e la composizione, nel linguaggio o in un altro «segno » (suono, colore, gesto, impronta, materia…). La pratica dello scrittore opera con la parola: una costruzione simbolica, fatta di termini, assorbe e sostituisce il perdono quale movimento emozionale, misericordia, compassione antropomorfica.
Allo stesso modo, si riuscirebbe a comprendere in che cosa l’arte sia un perdono solo aprendo tutti i registri specifici di questa tecnica in cui il perdono opera e si esaurisce. Per il romanzo si inizierà dall’identificazione psicologica, soggettiva, con la sofferenza e la tenerezza degli altri, dei “personaggi” e di se stessi, desunti in Dostoevskij dalla fede ortodossa. Il lettore apprenderà pure le opzioni filosofiche dell’autore, più o meno discrete. Infine, si osserverà l’oscillazione di questo perdono – al di là della polifonia dell’opera e dell’urto dei giudizi – nella sola performance estetica, nel godimento della passione come bellezza. Vale a dire, nella bellezza al di là, attraverso o addirittura malgrado il giudizio? Potenzialmente immorale, quest’ultimo tempo del perdono-riassorbito nella prestazione ritorna al punto di partenza del movimento circolare: alla sofferenza e alla tenerezza per l’altro, per lo straniero, addirittura per il criminale... ormai in me, perché è in me che la bellezza li ha impiantati. Pensiamo alle donne diaboliche di Willem De Kooning, alla macelleria di Francis Bacon, alla Pantomima per un’altra volta di Louis-Ferdinand Céline... io li accompagno.

venerdì 9 febbraio 2018

giornata nazionale del Banco farmaceutico: Manfredonia







GIORNATA NAZIONALE DEL BANCO FARMACEUTICO 2018

FARMACIE A MANFREDONIA: S.RITA, DUOMO, SERRATI

sabato 3 febbraio 2018

Omelia di Papa Francesco ai consacrati

«Siete chiamati a una esistenza controcorrente»
Francesco ai consacrati: lasciatevi incontrare dall’abbraccio di Cristo
ROMA
Laddove la vita contemporanea chiude le porte, la vita consacrata, «alba perenne della Chiesa », è chiamata a tenerle aperte. Laddove il mondo tende ad accaparrare, la vita consacrata dona. E dove gli altri cercano ricchezza, piacere e potere, i consacrati si fanno poveri, casti e obbedienti, guardando gli occhi del fratello, più che lo schermo del cellulare. Papa Francesco tratteggia così l’identità dei religiosi e delle religiose del 2000. E 'svela' loro un 'segreto'. «Tenere il Signore tra le braccia». In pratica «in ogni cosa che facciamo: nella preghiera, al lavoro, a tavola, al telefono, a scuola, coi poveri, ovunque. Avere il Signore tra le mani – sottolinea il Pontefice – è l’antidoto al misticismo isolato e all’attivismo sfrenato, perché l’incontro reale con Gesù raddrizza sia i sentimentalisti devoti che i faccendieri frenetici». Papa Bergoglio tiene l’omelia della Messa per i consacrati, in occasione della XXII Giornata mondiale a loro dedicata, celebrata ieri nella Basilica Vaticana, come in tutto il mondo. In precedenza aveva fatto pervenire tramite l’elemosiniere vaticano, Konrad Krajewski, una primula a ogni religiosa che lavora in Vaticano. «È il fiore che dispensa gratuitamente bellezza e che cresce verso l’alto guardando il Signore, ha spiegato l’arcivescovo». Un chiaro riferimento alla realtà della vita consacrata. Durante la celebrazione eucaristica, il Papa commenta la presentazione di Gesù al tempio e l’incontro con i vecchi Simeone e Anna, che è anche e soprattutto un incontro tra generazioni, intorno al Signore. Francesco cita Gioele: «I vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni». E perciò raccomanda: «Mai lasciare indietro, mai fare scarti generazionali, ma accompagnarsi ogni giorno, con il Signore al centro. Perché se i giovani sono chiamati ad aprire nuove porte, gli anziani hanno le chiavi. Non c’è avvenire senza questo incontro tra anziani e giovani». «Non c’è profezia senza memoria» e viceversa.

venerdì 2 febbraio 2018

Julian Carron in udienza da Papa Francesco

Julián Carrón ricevuto in udienza da papa Francesco

Il presidente di Comunione e Liberazione spiega a VaticanNews i temi del colloquio: «Ci ha incoraggiato a continuare con il nostro impegno, perché lo ritiene molto importante in questo momento in cui i giovani vivono in una “società liquida”»
Adriana Masotti
Udienza stamattina di papa Francesco con il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, una delle realtà ecclesiali post conciliari più diffuse nella Chiesa in Italia e nel mondo. Dopo don Luigi Giussani, fondatore di CL negli anni Sessanta, a guidare la Fraternità dal 2005, è il sacerdote e teologo spagnolo, don Julián Carrón. Al termine dell’incontro, don Carrón ci racconta com’è andato il colloquio con il Papa e quali sono stati i temi di cui hanno parlato insieme: «Era semplicemente un desiderio che avevo: quello di poter condividere con il Papa i passaggi ed il cammino che abbiamo fatto dopo l’udienza che abbiamo avuto con lui in Piazza San Pietro; con alcuni suggerimenti per la nostra strada, insieme con quella lettera sulla povertà che ci aveva mandato; e quali passi ci siamo impegnati a fare nella sua sequela con tante iniziative che abbiamo preso in questo senso. È stata semplicemente una condivisione di questi punti, oltre al Sinodo dei giovani che ci sta molto a cuore, perché è una nostra preoccupazione, così come ho visto che è una preoccupazione del Papa: il desiderio di ascoltare i giovani e di essere veramente disponibili ad un dialogo a tutto campo con loro».

Il Papa vi ha chiesto, raccomandato qualche cosa come Fraternità di Comunione e Liberazione?
No, mi ha semplicemente ringraziato per tutto quello che gli ho raccontato riguardo le iniziative di risposta ai bisogni dei migranti o ancora all’accompagnamento dei ragazzi, e la nostra preoccupazione per quanto riguarda l’educazione dei giovani. Ci ha incoraggiato a continuare con il nostro impegno, perché lui lo ritiene molto importante in questo momento particolare in cui i giovani vivono in una “società liquida”, affinché possano trovare dei punti di riferimento che li accompagnino nel loro cammino.

Qual è il contributo che il magistero di papa Francesco sta dando a Comunione e Liberazione? Si sa che anche i movimenti e le associazioni nella Chiesa “risentono” di tutto ciò che avviene nella Chiesa universale, e quindi anche degli indirizzi che il Papa offre…
Mi sembra che il più grande contributo è quello di renderci consapevoli di questo cambiamento d’epoca, che lancia una sfida a tutti noi: quella di vedere le modalità concrete con cui la Chiesa si pone oggi di fronte al mondo e alle sfide che ci riguardano tutti. Tutto ciò con la sua spinta costante ad uscire e ad entrare in rapporto con gli altri, e portare questo sguardo pieno di tenerezza e di misericordia, che ci ha portato Cristo nella storia, e prendersi cura dei bisogni degli uomini. E questo noi lo sentiamo come qualcosa di particolarmente significativo anche per noi, dal momento che è ciò rientra anche nel nostro Dna.

Prima accennava all’accoglienza e ai giovani: vuole dirci solo qualche titolo delle frontiere su cui voi siete particolarmente impegnati oggi?
Il nostro impegno è prima di tutto con i giovani, perché noi riteniamo che questa sia una frontiera fondamentale per tutti. E quindi è dove ciascuno di noi e tutta la Chiesa verifica se la proposta che il cristianesimo fa all’uomo moderno, si fa spazio nel cuore dei giovani, e si fa spazio quando è proposta e trovata come una esperienza che c’entra con la vita, i bisogni, la solitudine e i disagi che loro portano. Questa è per noi una verifica della fede. L’altro fronte è tutto il grande mare di bisogno della società adesso: noi vogliamo veramente rispondere a questo con tante iniziative: dal Banco alimentare fino all’accompagnare, per esempio, i ragazzi che hanno delle difficoltà con lo studio o ancora i carcerati, e le persone che vivono nelle grandi città dell’America Latina e hanno grandi bisogni. Possiamo mettere lì un piccolo seme e questa novità cristiana per noi è fondamentale.

da www.vaticannews.va
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