lunedì 29 ottobre 2018

Sinodo dei Giovani, Discorso finale di Papa Francesco

Il documento finale dell’Assemblea sinodale

Il discorso di Papa Francesco in chiusura dei lavori della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” (3-28 ottobre 2018): "Anch’io devo dire grazie, a tutti. Al Cardinale Baldisseri, a Mons. Fabene, ai Presidenti delegati, al Relatore, ai Segretari speciali – ho detto che avevano “lasciato la pelle” nel documento preparatorio; adesso credo che lascino a noi le ossa, perché hanno perso tutto! –; grazie agli esperti: abbiamo visto come si passa da un testo martire a una commissione martire, quella di redazione, che ha fatto questo con tanto sforzo e tanta penitenza. Grazie. Grazie a tutti voi, agli uditori e fra gli uditori specialmente i giovani, che ci hanno portato la loro musica qui in Aula – ”musica” è la parola diplomatica per dire chiasso, ma è così… Grazie.
Due cosine che mi stanno a cuore. Primo: ribadire una volta in più che il Sinodo non è un Parlamento. E’ uno spazio protetto perché lo Spirito Santo possa agire. Per questo, le informazioni che si danno sono generali e non sono le cose più particolari, i nomi, il modo di dire le cose, con cui lo Spirito Santo lavora in noi. E questo è stato uno spazio protetto. Non dimentichiamolo, questo: è stato lo Spirito a lavorare, qui. Seconda cosa, che il risultato del Sinodo non è un documento, l’ho detto all’inizio. Siamo pieni di documenti. Io non so se questo documento al di fuori avrà qualche effetto, non lo so. Ma so di certo che deve averlo in noi, deve lavorare in noi. Noi abbiamo fatto il documento, la commissione; noi l’abbiamo studiato, l’abbiamo approvato. Adesso lo Spirito dà a noi il documento perché lavori nel nostro cuore. Siamo noi i destinatari del documento, non la gente di fuori. Che questo documento lavori; e bisogna fare preghiera con il documento, studiarlo, chiedere luce… È per noi, il documento, principalmente. Sì, aiuterà tanti altri, ma i primi destinatari siamo noi: è lo Spirito che ha fatto tutto questo, e torna a noi. Non bisogna dimenticarlo, per favore.
E una terza cosa: penso a nostra Madre, la Santa Madre Chiesa. Gli ultimi tre numeri sulla santità [nel documento] fanno vedere cosa è la Chiesa: la nostra Madre è Santa, ma noi figli siamo peccatori. Siamo peccatori tutti. Non dimentichiamo quell’espressione dei Padri, la “casta meretrix”, la Chiesa santa, la Madre santa con figli peccatori. E a causa dei nostri peccati, sempre il Grande Accusatore ne approfitta, come dice il primo capitolo di Giobbe: gira, gira per la Terra cercando chi accusare. In questo momento ci sta accusando fortemente, e questa accusa diventa anche persecuzione; può dirlo il Presidente di oggi [il Patriarca Sako]: il suo popolo [la Chiesa in Iraq] è perseguitato e così tanti altri dell’Oriente o di altre parti. E diventa anche un altro tipo di persecuzione: accuse continue per sporcare la Chiesa. Ma la Chiesa non va sporcata; i figli sì, siamo sporchi tutti, ma la Madre no. E per questo è il momento di difendere la Madre; e la Madre la si difende dal Grande Accusatore con la preghiera e la penitenza. Per questo ho chiesto, in questo mese che finisce tra pochi giorni, di pregare il Rosario, pregare San Michele Arcangelo, pregare la Madonna perché copra sempre la Madre Chiesa. Continuiamo a farlo. È un momento difficile, perché l’Accusatore attaccando noi attacca la Madre, ma la Madre non si tocca. Questo volevo dirlo di cuore alla fine del Sinodo. E adesso, lo Spirito Santo regala questo documento a tutti noi, anche a me, per riflettere su ciò che vuole dire a noi. Grazie tante a tutti, grazie a tutti!
"

domenica 14 ottobre 2018

Santa Messa di canonizzazione di Paolo VI, Mons. Romero e altri...

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Piazza San Pietro
Domenica, 14 ottobre 2018



La seconda Lettura ci ha detto che «la parola di Dio è viva, efficace e tagliente» (Eb 4,12). È proprio così: la Parola di Dio non è solo un insieme di verità o un edificante racconto spirituale, no, è Parola viva, che tocca la vita, che la trasforma. Lì Gesù in persona, Lui che è la Parola vivente di Dio, parla ai nostri cuori.
Il Vangelo, in particolare, ci invita all’incontro con il Signore, sull’esempio di quel «tale» che «gli corse incontro» (cfr Mc 10,17). Possiamo immedesimarci in quell’uomo, di cui il testo non dice il nome, quasi a suggerire che possa rappresentare ciascuno di noi. Egli domanda a Gesù come «avere in eredità la vita eterna» (v. 17). Chiede la vita per sempre, la vita in pienezza: chi di noi non la vorrebbe? Ma, notiamo, la chiede come un’eredità da avere, come un bene da ottenere, da conquistare con le sue forze. Infatti, per possedere questo bene ha osservato i comandamenti fin dall’infanzia e per raggiungere lo scopo è disposto a osservarne altri; per questo chiede: «Che cosa devo fare per avere?».
La risposta di Gesù lo spiazza. Il Signore fissa lo sguardo su di lui e lo ama (cfr v. 21). Gesù cambia prospettiva: dai precetti osservati per ottenere ricompense all’amore gratuito e totale. Quel tale parlava nei termini di domanda e offerta, Gesù gli propone una storia di amore. Gli chiede di passare dall’osservanza delle leggi al dono di sé, dal fare per sé all’essere con Lui. E gli fa una proposta di vita “tagliente”: «Vendi quello che hai e dallo ai poveri […] e vieni! Seguimi!» (v. 21). Anche a te Gesù dice: “vieni, seguimi!”. Vieni: non stare fermo, perché non basta non fare nulla di male per essere di Gesù. Seguimi: non andare dietro a Gesù solo quando ti va, ma cercalo ogni giorno; non accontentarti di osservare dei precetti, di fare un po’ di elemosina e dire qualche preghiera: trova in Lui il Dio che ti ama sempre, il senso della tua vita, la forza di donarti.

venerdì 12 ottobre 2018

 
 
  

Diario dal Sinodo/3. Lo specchio, la libertà e una Chiesa al lavoro

Dagli auguri e la foto con papa Francesco agli incontri con Vescovi e Cardinali: «Vedo uomini che si domandano sinceramente come si possa riguadagnare la fiducia dei cuori». Continua il racconto di Matteo, direttore di una scuola ugandese
Matteo Severgnini
Il 4 ottobre ho compiuto 37 anni e mi sono concesso un regalo: sono andato a fare gli auguri di buon onomastico, di persona, a papa Francesco. Anche lui mi ha fatto un regalo: ha permesso che ci facessimo un selfie insieme. Lo so: non sono il primo e non sarò l’ultimo. Ma l’ho mandato subito ai ragazzi di Kampala, perché in fondo sono anche qui per loro.

Ma a parte le note di colore: il Sinodo è una bella faticaccia. Si lavora sodo. Ho perso il conto di quanti interventi ho ascoltato. Finora, nell’assemblea plenaria, abbiamo lavorato sul primo punto dell’Instrumentum Laboris: “Riconoscere”. Poi ci siamo divisi in circoli minori. Io partecipo al gruppo “Inglese A”. Siamo in 30 da cinque Continenti. Oltre a me e altri cinque uditori ci sono, tra i vescovi, il cardinale Nichols di Londra, il cardinale Njue di Nairobi, il cardinale Gracias di Bombay e il cardinale Turkson, Prefetto del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale.

mercoledì 10 ottobre 2018

Sigov: la Chiesa e l'Ucraina

UCRAINA
Libertà per la Chiesa
La Chiesa ortodossa ucraina chiede l’indipendenza totale, o autocefalia, dal Patriarcato di Mosca, crede che sia una necessità reale per il suo paese?
«L’autocefalia viene richiesta già da molto tempo. Si è cominciato a chiederla molto prima di Porošenko, molto prima del Majdan e anche della Rivoluzione arancione del 2004. Parliamo del momento in cui l’Ucraina ha acquistato l’indipendenza nel 1991, dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Se alla Chiesa ortodossa Ucraina l’autocefalia fosse stata data in quel momento non ci sarebbero stati scismi. E invece, milioni di persone, uomini, donne e bambini si sono sposati, battezzati, hanno celebrato le esequie ai propri morti in Chiese non canoniche, ricevendo dei sacramenti che, secondo il parere del Patriarcato di Mosca, sono inefficaci. L’esperienza degli ultimi 25 anni ha mostrato che Mosca non cerca possibilità di dialogo in Ucraina, ormai è chiaro che non c’è speranza di ottenere nulla in questo senso. Eppure parliamo di milioni di persone, non di decine di migliaia, ma di milioni considerati scismatici, anche se tra noi e loro non ci sono differenze dogmatiche, di rito, di fede, i santi sono gli stessi... L’unico punto sul quale non c’è unità sono i rapporti con Mosca. Tutta l’Ucraina è rimasta scioccata quando una madre ha chiesto il funerale per il suo bambino e il prete si è rifiutato perché il piccolo era stato battezzato nel patriarcato di Kiev scismatico. È una questione politica? No, è una questione spirituale. Come si fa a mancare di misericordia in questo modo verso le persone solo perché non sono, tra virgolette, “canoniche”? Vuol dire che il “canone” diventa strumento di segregazione, di isolazionismo, viene usato per rinchiudere in un “ghetto” milioni di persone solo perché non vogliono sottomettersi al Cremlino. È una questione spirituale, morale, etica, una questione della Chiesa in fin dei conti. Se oggi si offre la possibilità che questa situazione venga sanata - e la cosa riguarda noi tutti uomini di fede - questa situazione deve essere sanata. Certo, bisogna ancora capire “come”. È una questione difficile che non può essere risolta in modo leggero, perché qualsiasi semplificazione può fare solo del male, ma d’altra parte non dobbiamo nemmeno lasciarci prendere dal panico e temere di muoverci per non provocare mali peggiori. Non sarebbe una posizione cristiana, sarebbe una posizione fatalista. Invece tutto dipende da come lo Spirito opererà, dalla nostra apertura e da quanto riusciremo ad agire insieme, tramite il dialogo, usando la conciliarità. Del resto, c’è sempre il grosso rischio di interferenze. Le autorità della Chiesa ortodossa russa non sono libere di esporre il loro punto di vista personale rispetto alle questioni ecclesiastiche. È assolutamente chiaro che la Chiesa ortodossa russa subisce la fortissima influenza del Cremlino; il quale esercita una forte pressione sulle varie strutture sociali, e sulla Chiesa in modo particolare, perché è la maggiore istituzione esistente che non appartenga allo Stato».

domenica 7 ottobre 2018

Lettera aperta del card. Ouellet a Carlo M.Viganò

Lettera aperta del Prefetto della Congregazione per i vescovi, Cardinale Marc Ouellet, sulle recenti accuse alla Santa Sede

Caro confratello Carlo Maria Viganò,

Nel tuo ultimo messaggio ai media, in cui denunci Papa Francesco e la Curia romana, mi esorti a dire la verità su dei fatti che tu interpreti come un’endemica corruzione che ha invaso la gerarchia della Chiesa fino al suo più alto livello. Con il dovuto permesso pontificio, offro qui la mia personale testimonianza, come Prefetto della Congregazione per i Vescovi, sulle vicende riguardanti l’Arcivescovo emerito di Washington Theodore McCarrick e sui suoi presunti legami con Papa Francesco, che costituiscono l’oggetto della tua clamorosa pubblica denuncia così come della tua pretesa che il Santo Padre si dimetta. Scrivo questa mia testimonianza in base ai miei contatti personali e ai documenti degli archivi della suddetta Congregazione, che sono attualmente oggetto di uno studio per far luce su questo triste caso.

Consentimi di dirti innanzitutto, in piena sincerità, in forza del buon rapporto di collaborazione esistito tra noi quando eri Nunzio a Washington, che la tua attuale posizione mi appare incomprensibile ed estremamente riprovevole, non solo a motivo della confusione che semina nel popolo di Dio, ma perché le tue accuse pubbliche ledono gravemente la fama dei Successori degli Apostoli. Ricordo di aver goduto un tempo della tua stima e della tua confidenza, ma constato che avrei perso ai tuoi occhi la dignità che mi riconoscevi, per il solo fatto di essere rimasto fedele agli orientamenti del Santo Padre nel servizio che mi ha affidato nella Chiesa. La comunione con il Successore di Pietro non è forse l’espressione della nostra obbedienza a Cristo che l’ha scelto e lo sostiene con la Sua grazia? La mia interpretazione di Amoris Laetitia che tu lamenti, si inscrive in questa fedeltà alla tradizione vivente, di cui Francesco ci ha dato un esempio con la recente modifica del Catechismo della Chiesa Cattolica sulla questione della pena di morte.

martedì 2 ottobre 2018

Alce Nero, capo Sioux, sciamano e cristiano, verso la santità

Il personaggio
 
Spirituale e profetica, la «visione» di Alce Nero tradita dal biografo, che omise la conversione
«Questo dunque non è il racconto di un grande cacciatore, né di un grande guerriero, sebbene ai miei tempi io abbia cacciato molta carne e lottato per la mia gente(…) Lo stesso hanno fatto molti altri, e meglio di me». Il vecchio sciamano Alce Nero lo ricorda nel suo racconto, «ma ora che posso vedere tutto dall’alto, so che era la storia di una potente visione»… un albero sacro, apparizioni, un popolo che morì nella neve insanguinata… «Ma se la visione era vera e potente, come io so, essa è vera e potente ancora, perché simili cose sono dello spirito, ed è nell’oscurità dei loro occhi che gli uomini si perdono».
La vera visione è quella dello spirito, la vista degli occhi è ingannevole. Una concezione presente in tutti mistici e visionari in ogni tempo e cultura. Che Alce Nero vive in quanto sciamano, guaritore della tribù Lakota Sioux. Lo stregone è leggendario nel mondo degli indiani: lui era cugino di Cavallo Pazzo, amico del grande capo Sioux Nuvola Rossa, passato di grande guerriero nella lotta di resistenza contro i bianchi invasori Giovanissimo, a 12 anni Alce Nero aveva partecipato alla battaglia di Little Big Horn (1876), in cui i Sioux, guidati da Toro Seduto, avevano trionfalmente sgominato un corpo dell’esercito degli Stati Uniti comandato dal generale Custer. Nel 1887, a 24 anni, aveva seguito in Inghilterra Buffalo Bill, col suo spettacolo circense. Un’esperienza deludente, per lui, come scrisse nell’autobiografia a cui facciamo riferimento. Finita la tournée ritornò negli Stati Uniti. Nel 1890 era presente a Wounded Knee, dove rimase ferito nell’eccidio compiuto dall’esercito degli Stati Uniti.
Alce Nero era vecchio e semicieco quando lo scrittore John G. Neihard andò a trovarlo sulle montagne del Big Horn. Lo accolse come un predestinato a raccogliere la storia di un popolo, ma soprattutto un evento che precedeva e superava la storia, la sua Grande Visione.