venerdì 23 marzo 2018

Mina, l'aliena della musiaca

Pianeta
MINA
l’aliena della musica
Il disco
Esce “Maeba”, nuovo album della cantante Per l’occasione il figlio Massimiliano Pani ci apre gli studi di Lugano
INVIATA A LUGANO (SVIZZERA)
Al di là dello spesso vetro insonorizzato un leggìo, un piccolo tappeto persiano e un lungo pianoforte a coda. E il fantasma di Mina. È al di là di quel vetro, nel suo raccolto studio di registrazione di Lugano, nascosto fra ordinati e anonimi condomini in riva al lago, che la più grande cantante italiana registra i suoi album, compreso l’ultimo Maeba in uscita oggi. Nel 1967 decise di mettersi per conto suo, di diventare una artista indipendente e creò insieme al padre Giacomo Mazzini l’etichetta Pdu, oggi distribuita da Sony. Su quel tappetino ha messo i piedi anche Adriano Celentano con cui Mina ha registrato un paio d’anni fa Le migliori. «Quando canta in diretta si siede qui alla consolle con le cuffie, insieme al fonico e all’arrangiatore che spesse volte sono io – ci racconta il figlio Massimiliano Pani facendoci da Cicerone d’eccezione –. Il pianoforte che vede laggiù è un Grancoda Steinway& Sons costruito apposta più lungo della norma per Arturo Benedetti Michelangeli. Lui toccò un tasto, non gli piacque la nota e lo lasciò alla Basilica, lo studio di registrazione che avevamo a Milano. Lo comprammo noi, un affare». I grandi successi degli anni Settanta, la Tigre di Cremona li registrò infatti nella chiesa sconsacrata di San Paolo Converso, poi nel 1982 il trasferimento nella Svizzera italiana a Lugano, ma in un’altra sede riadattata fino a che nel 2007 l’artista si è fatta costruire una “bomboniera” cucita su misura, acusticamente all’avanguardia, che possiede una gamma completa di attrezzature sia analogiche che digitali. «Ma per i dischi di Mina preferiamo l’analogico, adatto alla registrazione in acustico perché il suono è più caldo» aggiunge Pani, mostrandoci l’alto soffitto dello studio e le pareti coperte di pannelli di legno di pero per un suono perfetto. E ancora perfetta è la voce di Mina che sorprende, alla soglia dei 78 anni (li compirà il 25 marzo) sbizzarrendosi a fare quello che vuole in 12 brani che passano dalle ballate al jazz, dal rock and roll al tango sino all’elettronica.

sabato 17 marzo 2018

Liv Ullman, la musa di Bergmann

ULLMANN
Il senso di Liv per la fede
INVIATA A BERGAMO
Guardando negli occhi azzurro cielo Liv Ullmann, la musa di Ingmar Bergman, sua compagna di vita, amica e collaboratrice, si percepisce a pelle quella che i registi definiscono la sua “aura”. Bionda, snella, ancora bellissima alla soglia degli 80 anni - li compirà il 16 dicembre - , l’attrice e regista norvegese è l’ospite d’onore del 36° Bergamo Film Meeting, che si conclude domani, che le dedica una retrospettiva e una mostra fotografica Liv & Ingmarnel centenario della nascita del grande regista svedese, padre di sua figlia Linn. Liv Ullmann mi accoglie nell’hotel dove alloggia con un largo sorriso e nota il crocifisso dedicato alla Trinità che porto al collo. «Ma è bellissimo!», dice sfiorandolo con le dita. E quando le spieghiamo che Avvenire è il giornale dei cattolici italiani, l’ex ragazza timida, proveniente da una famiglia luterana molto religiosa e interprete di alcuni capolavori di Bergman sul Mistero, esclama felice: «È Dio che ci ha messo in contatto!». L’intervista non può che iniziare da qui.
Signora Ullmann, Ingmar Bergman era figlio di un pastore luterano, lei ha avuto una forte educazione religiosa. Avete mai discusso della fede e di Dio, argomenti presenti in molti suoi film?
«Ingmar ha sempre detto di non credere in Dio. Tanto che fece girare a me nel 1997, era la mia vera prima regia, Conversazioni private, ispirato alla storia dei suoi genitori (Erik Bergman fu vicario della chiesa di Hedvig Eleonora Church a Stoccolma ed anche cappellano reale alla corte di re Gustavo V di Svezia ndr.). Gli chiesi: ma perché non lo fai tu?. “Tu sei la sola persona che conosco che crede in Dio” rispose. Io sono molto credente. Ma anche lui credeva, nonostante dicesse di no. Ha avuto talmente tanti dubbi su Dio, che può averli solo uno che nel profondo crede in qualcosa. La fede è fatta di dubbi. Bergman voleva Dio, e sono convinta che Dio lo abbia aiutato nella sua ricerca».

venerdì 16 marzo 2018

Giovanni Testori: l'editoriale sulrapimento di Aldo Moro (20/3/1978)

Quell'articolo su Moro che segnò l'inizio dell'amicizia tra Testori e CL

Il 16 marzo di venticinque anni fa moriva il grande intellettuale di Novate. Nel 1978, dopo questo commento sul rapimento del leader DC, alcuni universitari del movimento lo andarono ad incontrare. E lo fecero conoscere a don Giussani
Giovanni Testori
Il 20 marzo 1978, a pochi giorni dai fatti di via Fani, esce sul Corriere della Sera un commento di Giovanni Testori sul rapimento di Aldo Moro e l'uccisione degli uomini della scorta. Alcuni studenti universitari di CL, colpiti da quei giudizi, telefonano al grande intellettuale con il desiderio di incontrarlo. Le sue parole sui quei tragici fatti suonavano alle loro orecchie non solo fuori dagli schemi rispetto al dibattito pubblico, ma anche corrispondenti all'esperienza iniziata in università con don Giussani. Poche settimane dopo, come racconta Alberto Savorana in Vita di don Giussani, Testori incontrò per la prima volta il sacerdote. Fu l'inizio di una grande amicizia.

A venticinque anni dalla morte dello scrittore e a quaranta dal rapimento di Moro, riproponiamo quell'articolo




LA REALTÀ SENZA DIO

Quando, lungo la giornata di giovedì, presi nelle dure ombre di un’emozione sotto cui non volevamo che le nostre responsabilità venissero minimamente a cedere, abbiamo letto i giornali e seguito la televisione; e quando, l’indomani, abbiamo aperto le pagine dei quotidiani, la cosa che più ci ha angosciati è che, nelle disamine dell’accaduto e nel mare di contrabbando retorico che quelle analisi ha accompagnato, non ci è stato concesso d’imbatterci in una sola domanda che recasse in sé il disperato bisogno d’una possibile spiegazione totale e, dunque, religiosa del punto in cui è arrivata la vita; e questo ove pure quella spiegazione avesse dovuto risultare veramente e completamente esclusa dalla nostra esistenza; anzi, magari proprio per quella totale e tragica esclusione.
Giovanni TestoriGiovanni Testori

mercoledì 7 marzo 2018

Francescani in Asia prima di Marco Polo

Francescani in Prima di Marco Polo
ASIA
Tutti conoscono la figura di Marco Polo che fece uno storico viaggio in Cina, ma non tutti sanno che 25 anni prima di quell’impresa, due francescani fecero un viaggio altrettanto straordinario nel cuore dell’Asia, per gli Europei la vera terra incognita: Benedetto Polacco e Giovanni da Pian del Carpine percorsero circa 10 mila chilometri in un anno e mezzo (1245-46) per arrivare a Karakorum, allora capitale dell’impero dei mongoli.
Ma cosa ci facevano i frati francescani alla corte dei Khan dei Mongoli? Il viaggio fu voluto da Innocenzo IV, che in quegli anni risiedeva a Lione per il concilio, e fu principalmente una missione politica e religiosa. Il Papa decise d’inviare una legazione a Guyuk Khan, nipote di Gengis Khan, per convincerlo a fermare le invasioni mongole in Europa. Alcuni anni prima, i Mongoli devastarono la parte centro-orientale dell’Europa, comprese le terre polacche. Particolarmente drammatica fu la spedizione del 1241 che culminò con la battaglia di Legnica, dove i cavalieri polacchi sostenuti da un gruppo di Templari subirono una disastrosa sconfitta. Sul campo di battaglia cadde il principe slesiano Enrico II il Pio, figlio di santa Edvige di Slesia. All’inizio, Innocenzo IV volle organizzare una crociata contro i tartari, ma senza successo. Allora decise di stabilire dei contatti con loro inviando quattro delegazioni: a capo di una, che riuscì a raggiungere la capitale mongola, ci fu appunto Giovanni da Pian del Carpine affiancato da Benedetto Polacco. 

martedì 6 marzo 2018

Padre Pernet e le Piccole Suore dell'Assunzione

La prefazione del Papa al libro su padre Pernet

Il commento di Francesco al libro "Il Vangelo guancia a guancia. Vita di padre Pernet" di Paola Bergamini. La storia del fondatore delle Piccole Suore dell'Assunzione, da domani in libreria con Piemme
Papa Francesco
Ero nato da meno di un giorno, quando una giovane novizia delle Piccole Suore dell’Assunzione fondate da padre Stefano Pernet, Antonia, venne a casa nostra, nel quartiere Flores di Buenos Aires, e mi tenne tra le sue braccia. Sono rimasto in contatto con quella suora durante tutta la sua vita, fino a quando è andata in Cielo alcuni anni fa. Ho tanti ricordi legati a queste religiose che come angeli silenziosi entrano nelle case di chi ha bisogno, lavorano con pazienza, accudiscono, aiutano, e poi silenziosamente se ne tornano in convento. Seguono la loro regola, pregano e poi escono per raggiungere le abitazioni di chi è in difficoltà facendo le infermiere e le governanti, accompagnando i bambini a scuola e preparando loro da mangiare.
Padre Stefano Pernet (1824-1889)Padre Stefano Pernet (1824-1889)
Paola Bergamini, ''Il Vangelo guancia a guancia. Vita di padre Pernet'', prefazione di papa Francesco (Piemme)Paola Bergamini, ''Il Vangelo guancia a guancia. Vita di padre Pernet'', prefazione di papa Francesco (Piemme)

lunedì 5 marzo 2018

Placuit Deo

CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
Lettera Placuit Deo
ai Vescovi della Chiesa cattolica
su alcuni aspetti della salvezza cristiana

I. Introduzione
1. «Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà (cf. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura (cf. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). [...] La profonda verità [...] su Dio e sulla salvezza degli uomini, per mezzo di questa rivelazione risplende a noi nel Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione».[1] L’insegnamento sulla salvezza in Cristo esige di essere sempre nuovamente approfondito. Tenendo fisso lo sguardo sul Signore Gesù, la Chiesa si volge con amore materno a tutti gli uomini, per annunciare loro l’intero disegno d’Alleanza del Padre che, mediante lo Spirito Santo, vuole «ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose» (Ef 1,10). La presente Lettera intende mettere in evidenza, nel solco della grande tradizione della fede e con particolare riferimento all’insegnamento di Papa Francesco, alcuni aspetti della salvezza cristiana che possono essere oggi difficili da comprendere a causa delle recenti trasformazioni culturali.