lunedì 25 gennaio 2016

The renevant




​È un film strano, anzi straniante The revenant, arrivato nelle sale cinematografiche lo scorso fine settimana. Si fatica a capire come la macchina hollywoodiana abbia voluto puntare per un ritorno commerciale – vista l’imponente promozione – su un’opera lugubre, a tratti opprimente, dove i temi della lotta per la sopravvivenza e della vendetta sono trattati con faticosa lentezza – l’opposto dell’avvincente libro di Michael Punke, a cui il film si ispira in modo molto esile – sullo sfondo di un maciullamento di carni, neve rosso sangue, fango ghiacciato e desolazione umana.

Film senza luce, con una buona fotografia e buoni effetti speciali – ma che stupiscono ormai pochi – con un ricco soundtrack di gemiti belluini e grugniti. Sono questioni che lasciamo però ai critici cinematografici. La vicenda è ambientata nei primi decenni dell’800, quando, dopo che l’antica e immensa Louisiana fu venduta dai francesi agli Stati Uniti nel 1803, si aprì una fase di spedizioni nel Nord-Ovest americano, fra le migliaia di chilometri quadrati che si aprivano tra St. Louis e le Montagne Rocciose, seguendo il corso del fiume Missouri. Fu un’epoca di avventure nell’ignoto, di pionieri in cerca di fama e commercianti senza scrupoli. Fu anche e soprattutto l’epopea dei trapper, cacciatori estremi, galvanizzati da una richiesta di pellicce da parte di americani ed europei che d’un tratto trasformò gli inermi castori in pepite d’oro ambulanti.

Angelus: "Evangelizzare i poveri"

Angelus

Francesco vatican.va

24/01/2016 - Piazza San Pietro

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel Vangelo di oggi, l'evangelista Luca prima di presentare il discorso programmatico di Gesù a Nazaret, ne riassume brevemente l'attività evangelizzatrice. E’ un'attività che Egli compie con la potenza dello Spirito Santo: la sua parola è originale, perché rivela il senso delle Scritture; è una parola autorevole, perché comanda persino agli spiriti impuri e questi obbediscono (cfr Mc 1,27). Gesù è diverso dai maestri del suo tempo: per esempio, non ha aperto una scuola per lo studio della Legge, ma va in giro a predicare e insegna dappertutto: nelle sinagoghe, per le strade, nelle case, sempre in giro! Gesù è diverso anche da Giovanni Battista, il quale proclama il giudizio imminente di Dio, mentre Gesù annuncia il suo perdono di Padre.

Ed ora immaginiamo di entrare anche noi nella sinagoga di Nazaret, il villaggio dove Gesù è cresciuto fino a circa trent'anni. Ciò che vi accade è un avvenimento importante, che delinea la missione di Gesù. Egli si alza per leggere la Sacra Scrittura. Apre il rotolo del profeta Isaia e prende il passo dove è scritto: “lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio” (Lc 4,18). Poi, dopo un momento di silenzio pieno di attesa da parte di tutti, dice, tra lo stupore generale: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (v. 21).

Evangelizzare i poveri: questa è la missione di Gesù, secondo quanto Lui dice; questa è anche la missione della Chiesa, e di ogni battezzato nella Chiesa. Essere cristiano ed essere missionario è la stessa cosa. Annunciare il Vangelo, con la parola e, prima ancora, con la vita, è la finalità principale della comunità cristiana e di ogni suo membro. Si nota qui che Gesù indirizza la Buona Novella a tutti, senza escludere nessuno, anzi privilegiando i più lontani, i sofferenti, gli ammalati, gli scartati della società.

Domandiamoci: che cosa significa evangelizzare i poveri? Significa anzitutto avvicinarli, significa avere la gioia di servirli, di liberarli dalla loro oppressione, e tutto questo nel nome e con lo Spirito di Cristo, perché è Lui il Vangelo di Dio, è Lui la Misericordia di Dio, è Lui la liberazione di Dio, è Lui chi si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà. Il testo di lsaia, rafforzato da piccoli adattamenti introdotti da Gesù, indica che l'annuncio messianico del Regno di Dio venuto in mezzo a noi si rivolge in modo preferenziale agli emarginati, ai prigionieri, agli oppressi.

Probabilmente al tempo di Gesù queste persone non erano al centro della comunità di fede. Possiamo domandarci: oggi, nelle nostre comunità parrocchiali, nelle associazioni, nei movimenti, siamo fedeli al programma di Cristo? L'evangelizzazione dei poveri, portare loro il lieto annuncio, è la priorità? Attenzione: non si tratta solo di fare assistenza sociale, tanto meno attività politica. Si tratta di offrire la forza del Vangelo di Dio, che converte i cuori, risana le ferite, trasforma i rapporti umani e sociali secondo la logica dell'amore. I poveri, infatti, sono al centro del Vangelo.

La Vergine Maria, Madre degli evangelizzatori, ci aiuti a sentire fortemente la fame e la sete del Vangelo che c’è nel mondo, specialmente nel cuore e nella carne dei poveri. E ottenga ad ognuno di noi e ad ogni comunità cristiana di testimoniare concretamente la misericordia, la grande misericordia che Cristo ci ha donato.


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domenica 24 gennaio 2016

Carron: Diritti tradizionali e valori fondanti

DOCUMENTI

Diritti tradizionali e valori fondanti

di Julián Carrón*
24/01/2016 - «Il disegno di legge Cirinnà approda in Parlamento. Qual è la causa dell’asprezza dello scontro in atto?». La lettera di Julián Carrón al "Corriere della Sera" (24 gennaio 2016)
Caro direttore, dopo mesi di discussioni intorno alle unioni civili, il disegno di legge Cirinnà approda in Parlamento, scatenando una nuova manifestazione di piazza, anzi due, una a favore e una contraria. Chi sostiene il progetto reclama il riconoscimento di nuovi diritti; chi vi si oppone lo fa per difendere diritti tradizionali.

Qual è la causa dell’asprezza dello scontro in atto? Una parte dell’opinione pubblica rivendica questi nuovi diritti come una conquista di civiltà, un’altra li considera un attentato ai valori fondanti la civiltà occidentale. Perciò intorno ad essi si producono fratture sociali e conflitti politici che sembrano insanabili. Perché tanto fascino e tanta avversione?

sabato 23 gennaio 2016

Ciò che si vive si comunica

L’alba di Farhad

di Alessandra Stoppa
ATTUALITÀ - NOI E L'ISLAM
Figlio di un mujaheddin, con un passato immerso nell’odio. Di fronte agli attentati, racconta che cosa ha trasformato la sua vita

Farhad non ha mai visto le gambe di sua madre. Solo in una vecchia foto, quando lui non era ancora nato e lei posava con una gonna corta negli anni della pace e dello sviluppo sotto il re Shah. Ma anche alle foto, concedeva solo un’occhiata veloce. Il giorno che se n’è trovata in mano una di suo fratello vestito all’occidentale, l’ha gettata in terra come se scottasse.
Farhad Bitani è nato musulmano («e lo sarò sempre», dice), in Afghanistan, classe 1986: ultimo di sei figli di un generale dei mujaheddin. Ha vissuto prima immerso nel potere e nei soprusi dei forti, poi da perseguitato sotto i talebani: ma, sempre, in guerra. L’odio per l’Occidente infedele se l’è trovato addosso come la polvere da sparo con cui giocava in giardino, sognando di diventare come quell’uomo che vedeva allontanarsi a cavallo. «Mio padre combatteva tra i guerriglieri di Ahmad Massoud, cioè lo Stato islamico», racconta Farhad: «Dopo essere stato nell’esercito di Mohamad Najibullah, l’ultimo presidente della Repubblica democratica dell’Afghanistan, era diventato fondamentalista».
Era normale respirare la crudeltà necessaria alla “guerra santa”. Era tutto normale: la gente punita per strada, le ragazzine vendute, le decapitazioni e “il ballo del morto”, quando nel corpo senza testa mettevano l’olio bollente per farlo agitare al suono della musica. Toccava le mani appese agli alberi dei colpevoli di furto per capire se fossero di giovani o vecchi.

venerdì 22 gennaio 2016

Le vacanze invernali di Gioventù Studentesca (2)

LETTERE


Milano: «I miei amici come le mura della Sagrada»


22/01/2016 - Terza puntata delle lettere sulle vacanze di Gs. I ragazzi del Sacro Cuore di Milano in visita a Barcellona, con il desiderio di capire che nesso c'è tra il «grande mondo» e la vita quotidiana. Ecco i loro racconti
(www.tracce.it)
«Questa compagnia deve sostituire quelle mura, deve ispirare uno sguardo che faccia percepire almeno in qualche modo l'attrattiva fisica di Dio nella sua realtà dentro il mondo», scriveva Giussani. Alcuni professori che fanno parte insieme a me e ad altri amici della realtà di Gs nella mia scuola, hanno proposto a noi ragazzi una vacanza a Barcellona i primi cinque giorni di gennaio. «Partenza il primo di gennaio alle 7.45 del mattino, lungo viaggio in pullman, sosta di una notte in Francia per poi ripartire alla volta di Barcellona. Cosa ne dite?», ci hanno chiesto.
La proposta, che inizialmente ha scombussolato gli animi di tutti noi perché molto impegnativa, ha subito però trovato riscontro in quelli più audaci ed affezionati della compagnia. Subito ognuno si è messo in gioco in prima persona: chi preparando i gesti concreti della vacanza, chi raccogliendo soldi attraverso iniziative per permettere a tutti di vivere questo gesto, chi semplicemente attendendola.
La mattina dell'1 gennaio in più di duecentocinquanta eravamo pronti per partire. Un libretto accuratamente creato per la vacanza è stato consegnato ad ognuno. Le pagine erano scandite da canti, letture e spiegazioni distribuite ogni giorno. Una volta arrivati in Spagna, trovarsi davanti al monastero di Montserrat e ad un paesaggio mozzafiato, ha subito risvegliato in tutti quella bellezza che spesso è soffocata dalle mille cose da fare durante l'anno scolastico, ma che è sempre desiderata da ognuno. Trovarsi spiazzati davanti alla Sagrada Família per la sua imponenza e la sua portata di significato ha fatto gustare a tutti questi giorni, e mi ha fatto sentire parte delle salde mura di quella Chiesa, tanto da farmi guardare attorno e sentire ogni amico che avevo di fianco come un pezzo necessario della mia persona. Volti di amici si sono rivelati, come ogni elemento presente nella Sagrada, pezzi senza cui non potevo costruire niente. È nato in tutti noi che ci trovavamo davanti a tale grandezza un desiderio di voler bene, di comunicare a tutti quella meraviglia che si mostrava ai nostri occhi. Gli sguardi tesi di ognuno, che era rapito da quello che gli si presentava davanti, erano segno della straordinarietà che è presente dentro alla nostra amicizia.
Questa è stata la forza dei giorni passati insieme: la compagnia con cui li ho trascorsi è diventata per me quelle mura di cui parla Giussani, e senza cui io, che sono un pezzo vivo di Chiesa, non posso reggermi in piedi. La sfida è riuscire a verificare durante la ripresa della quotidianità se quello che abbiamo vissuto a Barcellona può essere possibile sempre.
Maddalena, Gaia, Luca, Milano

giovedì 21 gennaio 2016

Testimonianze dal Medioriente

MEDIORIENTE

Profughi: a Roma parla la speranza

di Alessandra Buzzetti
21/01/2016 - Padre Pizzaballa, Michele Valansise e il teologo musulmano Adnane Mokrani. Sono i tre ospiti dell'incontro organizzato da Avsi e Fondazione Oasis martedì sera alla Sapienza. Schengen, primavere arabe e persecuzione dei cristiani al centro del dibattito
Una ferita profonda ha pericolosamente minato la fiducia tra cristiani e musulmani, in questo Medioriente che non ha più il volto del passato, ma a cui è difficile delinearne uno futuro. Padre Pierbattista Pizzaballa non nasconde timori e preoccupazione nel descrivere la situazione dell’intera regione mediorientale, teatro, negli ultimi cinque anni di un esodo epocale. E non solo di cristiani.

L’ultimo viaggio in Siria del Custode di Terrasanta risale a poco tempo fa, ad Aleppo, dove sono evidenti gli effetti irreparabili della guerra. Se fino all’anno scorso i civili rimasti - cristiani e musulmani - si aiutavano a vicenda, oggi la fiducia reciproca sempre definitivamente rotta.

«Dopo l’ennesimo bombardamento, ho visto che le comunità contavano solo i propri morti. La risposta del parroco cattolico e dell’imam musulmano - entrambi miei amici - è stata praticamente la stessa: ci siamo fatti troppo male», racconta padre Pizzaballa davanti a una platea attenta all’Università La Sapienza di Roma, durante l’incontro promosso da Avsi e Fondazione Oasis.

mercoledì 20 gennaio 2016

La Misericordia è un Volto inedito da scoprire

Alla scoperta del volto della Misericordia

Il Centro Culturale di Milano per l'Anno della Misericordia organizza il ciclo di incontri "Alla scoperta del volto della Misericordia". Una bellezza disarmata entrò nel Mondo Antico. E oggi? Su questa domanda si svolge l'intero ciclo curato da don Francesco Braschi, direttore della Classe di Slavistica dell’Accademia Ambrosiana. "La Misericordia, come scrive Papa Francesco nella Bolla Misericordiae Vultus – è come la sintesi del mistero della fede cristiana, “condizione della nostra salvezza... atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro...” (n.2). Siamo dunque posti davanti a una realtà dalla ricchezza inesauribile tanto quanto la stessa profondità del Mistero. Non è affatto scontato che ci si “accorga” del valore della misericordia, perché siamo abituati a considerare tale realtà – il più delle volte riducendola moralisticamente o sentimentalmente – come “normale”, abituale compagna. Ma davvero è così? Ci accade di pensare che la misericordia possa magari essere esclusa come scelta personale, ma non negata come realtà. Ma non sempre è stato così. Prima della venuta di Cristo, la misericordia non era semplicemente disprezzata o rifiutata: piuttosto, era negata quale principio logico e ragionevole, mediante il quale interpretare la realtà. Ce lo testimonia nel II secolo il pagano Celso, che nel suo Contro i Cristiani così si esprime: “Non sto per nulla rivolgendo ai Cristiani accuse più aspre di quanto la verità richieda. Infatti, tutti coloro i quali invitano ad abbracciare una religione pongono come pregiudiziale necessaria che uno sia puro di mano e saggio di parola e abbia una
vita buona e giusta... Sentiamo ora chi mai i Cristiani invitano. Essi dicono: chiunque sia peccatore, sciocco, stolto e, per dirla in una sola parola, chiunque sia sciagurato, questi sarà accolto nel regno di Dio”. Un tale atteggiamento, secondo Celso, è del tutto contrario alla natura di Dio e irrispettoso nei suoi confronti: “Che è mai dunque questa preferenza concessa ai peccatori? Con questo loro insegnamento i Cristiani bestemmiano Dio e mentono contro di Lui”. La ragione di questo giudizio sta in una concezione ben precisa della realtà e dell’uomo: “In realtà è a tutti chiaro che nessuno, nemmeno con la punizione, potrebbe assolutamente cambiare quegli uomini che sono per natura inclini al peccato e incalliti in esso. Tantomeno lo potrebbe con la compassione. Mutare infatti natura è la cosa più difficile del Mondo.
Quello in cui accade il Cristianesimo è un mondo nel quale la compassione è ritenuta un atteggiamento irragionevole e ingiusto anche per Dio. Infatti, scrive Celso, “se, come essi [= i Cristiani] affermano, alla maniera di chi è schiavo della compassione, Dio si lascia dominare dalla pietà per chi geme e solleva i malvagi e respinge i buoni che non ricorrono a tali mezzi, Egli commette la più grande delle ingiustizie”.
Fu dunque davvero rivoluzionario, sul piano conoscitivo e culturale, poter leggere quello che Paolo scrisse nella prima lettera a Timoteo (1,15): “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna”.
Con il Cristianesimo entra nella storia la possibilità di lasciarsi cambiare dall’amore, e si genera un dinamismo nuovo e inedito."
(dall'Editoriale del Ciclo di Incontri, di don Francesco Braschi)

martedì 19 gennaio 2016

Un incontrro "da cuore a cuore"

LETTERA

Il senzatetto, le Zigulì e il senso della carità


19/01/2016 - Coperto di stracci, barba lunga, e un bisogno che non può essere ignorato. Una semplice caramella, poi una parte del pranzo conservata apposta. Le formalità sono irrilevanti, perché si parla "cuore a cuore", e ci si ricorda dell'origine della gratuità
La XVI Giornata di raccolta del farmaco, organizzata dalla Fondazione Banco Farmaceutico, sarà sabato 13 febbraio 2016. In 3.700 farmacie, distribuite in tutta Italia, si potranno acquistare farmaci da automedicazione che vari enti caritativi distribuiranno a chi non se li può permettere. La generosità dei cittadini dovrà fare i conti con una grande richiesta, aumentata del 6,4% nel 2015, e si dovrà rivolgere ai 14mila volontari sui quali la Fondazione fa affidamento. Un vero e proprio popolo ha deciso di muoversi a beneficio di oltre 400mila assistiti. Per informazioni: www.bancofarmaceutico.org

Era estate e stavo lavorando quando, in farmacia, si è presentato un senzatetto. Alla sua vista, le mie colleghe sono scappate. Il suo odore era insopportabile. Anch’io stavo per essere sopraffatta dallo stesso istinto. Era coperto di stracci, con la barba lunghissima. Solo i suoi occhi profondi e penetranti si scorgevano distintamente. Voleva un farmaco per il mal di gola che, ovviamente, non poteva pagare. Benché la farmacia ne fosse piena, gli ho risposto che non potevamo fare niente per lui; al limite, avrei guardato tra i campioni in omaggio. Ma non c’era nulla. Non me la sono sentita di pagarglielo di tasca mia, temendo di creare un precedente: chi gli avrebbe impedito, in futuro, di sentirsi in diritto di infastidire i miei colleghi?

A quel punto, il senzatetto ha indicato una scatola di Zigulì con la confezione rovinata, aperta probabilmente da un bambino, non più vendibile. Convinto che si trattasse di un medicinale adatto al suo problema, la chiedeva con insistenza. Dopo avergli chiaramente detto che erano semplici caramelle e non curavano il mal di gola, ho lasciato che le prendesse. Era il modo più veloce per sbarazzarmi di lui. La sera, sul treno, durante il viaggio di ritorno verso casa, sono stata assalita dal rimorso. Una ferita profonda: io, che raccolgo farmaci per i bisognosi, avevo ignorato il suo bisogno.

Le vacanze invernali dei ragazzi di Gioventù Studentesca

LETTERE

«Ecco, questa è la nostra compagnia»


18/01/2016 - Una prima tornata di lettere dei ragazzi di Gs della Toscana e della Liguria. Le loro vacanze invernali in Umbria e a Barcellona. Dall'Angelus in riva al lago alla Cattedrale di Gaudí. Ecco i loro racconti
(www.tracce.it)
Dal 2 al 4 gennaio centottanta ragazzi della Toscana hanno trascorso una vacanza studio sul lago Trasimeno. Dopo due giorni di un’intensità e bellezza impensabili, all’assemblea finale tutti siamo stati stupiti dall’intervento commosso di una ragazza che era venuta, con altri amici di Siena, con noi per la prima volta: «Mi ha colpito che c’è qualcosa oltre il vostro cantare, stare insieme, qualcosa che quasi vi invidio. Come si fa a crederci così tanto?». È stato l’inizio di un dialogo che è proseguito al momento dei saluti tra abbracci pieni di gratitudine da parte nostra e sua. Poi l’ho cercata su Facebook: «Ciao Eloisa! Credo, come già ho provato a risponderti, che la tua domanda e vera per tutti, anzi dopo l’incontro, cresce di fronte a una Presenza. Per questo stiamo in questa strada, Gs, il movimento di Comunione e Liberazione. È un dono la tua amicizia». Ed Eloisa ha risposto: «Buongiorno Maura. Credo, invece, che il più grande dono lo abbia ricevuto io. Finalmente le mie infondate convinzioni sono state messe in dubbio, per la prima volta mi sono sentita ascoltata e soprattutto ho capito che le persone buone esistono veramente. Questa strada vorrei intraprenderla anche io, con voi. Grazie mille per questa esperienza, a te e al mio professore che mi ha spinto a venire. Ci vediamo presto».
Maura, Arezzo

lunedì 18 gennaio 2016

New York Encounter 2016

ENCOUNTER 2016

New York: un impatto umano

di Luca Fiore
18/01/2016 - Si è conclusa ieri la tre giorni nella Grande Mela. Un appuntamento ormai fisso per la città, che non smette di sorprendere. Tra incontri, spettacoli, mostre e 360 volontari ecco che cosa è successo
Si scrive "fomo" e nel gergo dei social network sta per: fear of missing out. Secondo urbandictionary.com è «la paura di perdersi qualcosa di importante, una festa o un evento». Sono così tante le cose tra cui scegliere, che il millennial di turno soffre gli effetti collaterali di una libertà che, spesso, fa fatica a gestire. Si tratta di uno dei tanti fenomeni che segnano l'esperienza dei giovani contemporanei e non è un caso che il tema del New York Encouter 2016 girasse proprio attorno a questo problema: il rapporto tra desiderio e paura. Il titolo, che riprendeva il verso di una celebre poesia di Edgar Lee Master, George Gray, recitava "Longing for the sea and yet (not) afraid" (letteralmente: "che anela al mare e che eppure (non) lo teme".

Tre giorni, dal 16 al 18 gennaio, in uno strano inverno newyorkese, a volte troppo mite, a volte pronto a imbiancare di neve i tetti delle auto, è andata in scena al Metropolitan Pavillion una manifestazione che, nonostante sia diventato un appuntamento fisso per la città, non ha ancora smesso di sorprendere chi lo frequenta.

domenica 17 gennaio 2016

La lettera della mamma di Zang

La lettera della mamma di Zhang

Caro Nicola,
sono la mamma di Zhang. Anche se non abbiamo mai avuto l’opportunità di conoscerci personalmente, ho sentito il tuo nome diverse volte da mio figlio: mi ha sempre parlato dei vostri gruppi e delle vostre attività e ogni volta che mi raccontava, mi accorgevo che è molto affezionato a voi. Non l’ho mai visto così tanto affezionato a una persona. Quindi capisco che voi avete qualcosa di speciale. Siete riusciti a insegnargli che cosa sia la responsabilità e, soprattutto, che cosa sia il lavoro. Siete riusciti a fargli capire che la vita è un dono e va vissuta onestamente e dignitosamente, per questo vi vorrei esprimere tutta la mia riconoscenza. Posso affermare che mi avete ridato un figlio più nuovo, più maturo e più buono.

Noi veniamo da una famiglia semplice e normale. Io e suo papà abbiamo sempre lavorato onestamente sia in Cina che in Italia. Eravamo una famiglia felice, almeno così credevo. Ho avuto due figli: Zhang e sua sorella. Sono praticante, credo molto in Buddha. Zhang da piccolo è sempre stato il preferito e lo abbiamo sempre tenuto sottobraccio, non gli abbiamo mai fatto mancare nulla di ciò che chiedeva. Pensavo che questo fosse il modo migliore di amare il proprio figlio, ma mi sbagliavo... Me ne sono resa conto solo quando ha commesso quel grave reato. È stato molto difficile accettare ciò che ha fatto, per questo ho avuto anche problemi con suo papà, perché scaricava su di me tutta la colpa. In questi anni ho sofferto tantissimo, ho pianto tante notti, apparentemente senza un motivo, ma io so coscientemente per cosa piangevo. Non potevo fare altro che piangere, per il dolore che lui ha causato alla nostra famiglia e, soprattutto, a quella della vittima. Tuttavia ho sempre creduto che in fondo lui aveva un cuore buono. Prima o poi avrebbe capito ciò che aveva fatto, per questo in questi anni non l’ho mai abbandonato.

Ora sono contenta che lui viva con piena maturità e coscienza, anche se ha cambiato fede, ma nella vita ho capito che a volte non bisogna chiedere troppo, bisogna anche sapersi accontentare. Vedendo in lui questo cambiamento mi rallegro e mi sento appagata, il resto non ha più nessuna importanza. Sono davvero felice che abbia trovato la sua strada da percorrere e sono sicura che questa strada gli darà sempre più serenità e felicità. Per me oggi quello che conta di più è la sua coscienza. Quando uno ha una coscienza buona, sa agire con buona volontà nella vita: questo mi basta.

Per questo abbiamo voluto partecipare a questo suo rito per fargli capire che gli vogliamo bene. Non volevamo farlo sentire solo. Se non lo abbiamo abbandonato prima, figuriamoci ora che abbiamo trovato il figlio che aspettavamo.

Mi ha detto che qui ha trovato la serenità, perché ci sono tanti amici e fratelli che gli vogliono bene e sanno come aiutarlo a crescere, quindi sono molto grata, per questo colgo anche quest’occasione per ringraziarvi perché siete stati vicini a lui in questi anni.

Vorrei concludere con un augurio sia a mio figlio che a voi tutti presenti. Vi auguro una fede viva, che possa scaldare il vostro cuore e guidarlo sempre nella buona direzione.

venerdì 15 gennaio 2016

Riaperta la Chiesa di S.Leonardo dopo il restauro

San Leonardo di Siponto: riaperta la Chiesa dopo gli interventi di restauro

San Leonardo di Siponto: riaperta la Chiesa dopo gli interventi di restauro
“Qui si racconta di fede e spiritualità, storia e archeologia, arte e architettura, scienza ed astronomia”
Per l’Abbazia di San Leonardo di Siponto questo è stato un Natale davvero speciale: dopo tanti mesi di intenso lavoro di restauro e valorizzazione la chiesa è tornata ad essere disponibile e noi abbiamo potuto celebrare la Messa natalizia della mezzanotte in un’atmosfera carica di emozioni e di sentimenti di ringraziamento. Tanti sono stati i fedeli che hanno partecipato alla Messa insieme alla comunità dei “Ricostruttori nella preghiera”, che risiede in abbazia dal settembre 2011: abbiamo potuto nuovamente ammirare lo splendore di una chiesa antica, tanto bella nella sua semplicità ed essenzialità, ed ora arricchita anche dalla presenza di una copia fotografica in grandezza naturale dell’antico Crocifisso di S. Leonardo (opera lignea datata al XIII sec.), finora custodito nella Cattedrale di Manfredonia, in attesa di un suo ritorno nella originaria collocazione, appunto la nostra chiesa di San Leonardo. I lavori della chiesa sono stati molti: nuova impermeabilizzazione del tetto a gradoni, consolidamento della struttura muraria mediante la sostituzione ed integrazione dei tiranti, pulitura e stilatura di tutte le pareti interne e delle facciate esterne, realizzazione di un nuovo impianto illuminotecnico, scavi archeologici all’interno della chiesa e nella zona esterna circostante, rifacimento della pavimentazione con la realizzazione di un nuovo presbiterio e recupero dell’ex sacrestia ora destinata a cappella per il Santissimo Sacramento. Per ora la chiesa sarà visitabile soltanto durante l’apertura per le celebrazioni liturgiche, poiché si trova ancora dentro un cantiere che sta lavorando a pieno ritmo per ultimare quella serie di opere di recupero che hanno interessato in particolar modo il resto del complesso abbaziale risalente al XII sec. Si tratta di un’idea partita tanti anni fa grazie al lavoro e all’interessamento dell’arch. Nunzio Tomaiuoli con la collaborazione generosa dell’arch. Antonello D’Ardes. Idea che si è trasformata in progetto sostenuto con passione dal nostro arcivescovo mons. Michele Castoro e si sta realizzando in maniera straordinaria con finanziamenti europei e sotto la direzione dei lavori dell’arch. Francesco Longobardi del Segretariato Regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la Puglia. È un progetto di grande respiro, infatti San Leonardo ospiterà anche un museo inserito in un più ampio polo museale archeologico che comprenderà l’antica Basilica paleocristiana di Santa Maria Maggiore di Siponto e il Castello di Manfredonia. Al termine dei lavori, ormai prossimo, la Chiesa garganica avrà ritrovato un importante centro di spiritualità, una testimonianza esemplare dell’epoca medioevale, periodo in cui nella nostra regione si è articolata una fitta trama di vie legate al sacro intorno alla Sacra Grotta garganica e alla Basilica nicolaiana ma anche, indirettamente, agli eventi in Terra Santa. Il desiderio è quello di riportare San Leonardo alla sua primigenia vocazione: luogo di accoglienza nella fede per i tanti visitatori italiani e provenienti da molti paesi d’Europa e del mondo. Qui si racconta di fede e spiritualità, storia e archeologia, arte e architettura, scienza ed astronomia: per la Chiesa garganica potrà essere un’occasione di testimoniare concretamente come le radici profonde della sua spiritualità cristiana siano capaci di generare dialogo e relazione con l’attuale mondo contemporaneo in tutte le sue svariate e talvolta contraddittorie dimensioni, un altro modo per dire che San Leonardo può essere uno dei laboratori in cui sperimentare quella “Chiesa in uscita” auspicata da Papa Francesco.
Don Ciro Mezzogori
rettore di San Leonardo

giovedì 14 gennaio 2016

Le comunità di CL del Nord Europa con Carron

INGHILTERRA

«Un deserto, ma basta poco e trovi l'acqua»

di Gianluca Marcato
14/01/2016 - Più di cinquecento a Reading, per l'assemblea delle comunità del Nord Europa con don Julián Carrón. Il tema, "Back to the Origin". Tante testimonianze di fede, per non dimenticarsi della novità che si vive nel presente: «L'origine è nell'oggi»
Pronti e via: il fine settimana di don Julián Carrón a Reading, tra l’8 e il 10 gennaio, con le comunità del Nord Europa, si apre con una cena con il Vescovo di Portsmouth, la Diocesi locale. Monsignor Philip Egan racconta delle iniziative che propone, perché «in Inghilterra c’è il deserto, ma se uno scava, neanche troppo a fondo, c’è un bacino d’acqua da raggiungere». Don Carrón allora racconta la serie di incontri avuti in Italia con personaggi di estrazione culturale diversa, ma desiderosi di entrare in dialogo. Improvvisamente il Vescovo lo interrompe: «Bello, ho capito! La questione non è fare piani o programmi, ma guardare e seguire ciò che lo Spirito fa accadere».

Back to the Origin, era questo il titolo dell’assemblea a cui hanno partecipato più di 500 persone da Danimarca, Gran Bretagna, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Olanda e Svezia. Ma «origine di cosa?», domanda Carrón nell’introduzione del venerdì sera: «Origine del nostro presente, della novità che viviamo nel nostro presente».

"Il nome di Dio è Misericordia". La presentazione del libro di Papa Fran...

mercoledì 13 gennaio 2016

Londra, i sobborghi, con don Josè Claverìa

Vicino ai lontani

Luca Fiore
PRIMO PIANO - LONDRA
Una giornata nei sobborghi di Londra con don josé ”Pepe“ Clavería. Per vedere come accade che in una società ultrasecolarizzata la fede torni ad essere credibile (e attraente) anche «per i pagani»

Zoe lo dice senza mezzi termini: «Ti prendono per matta. Quando dici che frequenti la parrocchia, che credi in Dio e provi a educare i figli in modo cristiano...». È una giovane mamma, seduta nell’ufficio del parroco della chiesa di St. Edmund Campion, a Maidenhead, sobborgo di centomila anime nella campagna alle porte di Londra, vicino a Windsor. Il sacerdote, missionario spagnolo della Fraternità san Carlo, si chiama José Clavería, ma tutti lo chiamano “father Pepe”. Zoe ha la madre cattolica, si è sposata con un uomo non religioso nella Chiesa anglicana. Da ragazza aveva avuto un’esperienza negativa della Chiesa, ma oggi si è riavvicinata. Anche per merito dei figli, iscritti alla scuola cattolica che sta di fronte alla parrocchia di don Pepe. «I bambini tornano a casa e devono fare i compiti di religione, e iniziano a fare domande a cui io non so rispondere. Così ho pensato che anche io avrei avuto bisogno di saperne di più».
Nell’Inghilterra ultrasecolarizzata, ma potremmo dire nell’Occidente di oggi, c’è una sete di significato che è direttamente proporzionale alla diffidenza verso la Chiesa. Così «chi tenta di diffondere la fede in mezzo agli uomini può realmente avere l’impressione di essere un pagliaccio», come scriveva Joseph Ratzinger nel 1968 nel brano di Introduzione al cristianesimo citato da don Julián Carrón alla Giornata di inizio anno di CL (v. Tracce n.9/2015). Il pagliaccio è quello dell’apologo di Kierkegaard, mandato dal direttore del circo in fiamme a chiedere aiuto al villaggio. Il clown è già vestito per la recita e gli abitanti lo applaudono pensando si tratti di un trucco per attirare la gente al circo. Don Pepe il naso da pagliaccio non vuole metterselo; sa che il rischio di non trovare la strada per farsi capire, di «essere preso per matto» è sempre in agguato. Eppure non rinuncia a provare a portare alla gente quel che ha di più caro.

martedì 12 gennaio 2016

Papa Francesco: il nome di Dio è misericordia

IL LIBRO DEL PAPA/1

Un'altra logica

di Davide Perillo
12/01/2016 - Dalle pagine sulla confessione a quelle su «come vivere il Giubileo». Tutte intrise della sua esperienza. La conversazione di Francesco con Andrea Tornielli affonda nel rapporto con la grazia, il peccato, il mondo. Un «altro mondo», che sorprende
È un libro in cui entri con certe idee, un armamentario di esperienze e di pensieri. E ne esci spiazzato, completamente. Perché ti accorgi che c’è in gioco qualcosa di molto, ma molto più profondo di quello che avevi in mente tu. Addirittura, sembra quasi che si parli di altro. Grazie a Dio.

Il nome di Dio è misericordia (Piemme, 120 pagine, 15 euro), la conversazione di papa Francesco con Andrea Tornielli (vaticanista de La Stampa) in libreria da oggi in 86 Paesi e presentato a Roma dal cardinale Pietro Parolin, da Roberto Benigni e da Zhang Agostino Jianquing, carcerato del Due Palazzi di Padova, è anzitutto un’occasione per approfondire il tema del Giubileo iniziato un mese fa, è chiaro. Ma è anche uno strumento per riprendere un fil rouge potente di tutto il Pontificato, già dalle primissime omelie del marzo 2013. E da prima che quella frase buttata lì da un teologo in un convegno (per riavvicinare la gente alla Chiesa ci vorrebbe «un Giubileo del perdono») e rimasta piantata nel cuore di Bergoglio prendesse forma, appunto, nella decisione di indire un Anno Santo straordinario.

Zhang Agostino Jainquing: dal buddismo alla conversione al cristianesimo

IL LIBRO DEL PAPA

«La Misericordia che mi è accaduta»

di Zhang Agostino Jianqing
12/01/2016 - A Roma, la presentazione del libro-intervista di Andrea Tornielli a papa Francesco. Con l'autore, Roberto Benigni e il cardinale Pietro Parolin c'era anche Zhang Agostino, un detenuto di origine cinese. Ecco la sua testimonianza
Mi chiamo Zhang Agostino Jianqing, ho 30 anni e vengo dalla Cina, più precisamente da Zhe Jiang. Può sembrare strano che un cinese porti anche il nome di Agostino ma più avanti capirete il perché.

La mia famiglia, di tradizione buddista è una famiglia di brave persone che nella loro vita si sono sempre comportate bene ed hanno lavorato sia in Cina che in Italia.

Nel 1997, all’età di 12 anni, sono arrivato in Italia con mio papà, la mia mamma era in Italia già da due anni.

lunedì 11 gennaio 2016

Il Battesimo di Gesù e lo Spirito Santo

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
In questa domenica dopo l’Epifania celebriamo il Battesimo di Gesù, e facciamo memoria grata del nostro Battesimo. In tale contesto, stamattina ho battezzato 26 neonati: preghiamo per loro!
Il Vangelo ci presenta Gesù, nelle acque del fiume Giordano, al centro di una meravigliosa rivelazione divina. Scrive san Luca: «Mentre Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese su di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”» (Lc 3,21-22). In questo modo Gesù viene consacrato e manifestato dal Padre come il Messia salvatore e liberatore.
In questo evento – attestato da tutti e quattro i Vangeli – è avvenuto il passaggio dal battesimo di Giovanni Battista, basato sul simbolo dell’acqua, al Battesimo di Gesù «in Spirito Santo e fuoco» (Lc 3,16). Lo Spirito Santo infatti nel Battesimo cristiano è l’artefice principale: è Colui che brucia e distrugge il peccato originale, restituendo al battezzato la bellezza della grazia divina; è Colui che ci libera dal dominio delle tenebre, cioè del peccato, e ci trasferisce nel regno della luce, cioè dell’amore, della verità e della pace: questo è il regno della luce. Pensiamo a quale dignità ci eleva il Battesimo! «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1 Gv 3,1), esclama l’apostolo Giovanni. Tale realtà stupenda di essere figli di Dio comporta la responsabilità di seguire Gesù, il Servo obbediente, e riprodurre in noi stessi i suoi lineamenti: cioè mansuetudine, umiltà, tenerezza. E questo non è facile, specialmente se intorno a noi c’è tanta intolleranza, superbia, durezza. Ma con la forza che ci viene dallo Spirito Santo è possibile!
Lo Spirito Santo, ricevuto per la prima volta nel giorno del nostro Battesimo, ci apre il cuore alla Verità, a tutta la Verità. Lo Spirito spinge la nostra vita sul sentiero impegnativo ma gioioso della carità e della solidarietà verso i nostri fratelli. Lo Spirito ci dona la tenerezza del perdono divino e ci pervade con la forza invincibile della misericordia del Padre. Non dimentichiamo che lo Spirito Santo è una presenza viva e vivificante in chi lo accoglie, prega in noi e ci riempie di gioia spirituale.
Oggi, festa del Battesimo di Gesù, pensiamo al giorno del nostro Battesimo. Tutti noi siamo stati battezzati, ringraziamo per questo dono. E vi faccio una domanda: chi di voi conosce la data del suo Battesimo? Sicuramente non tutti. Perciò vi invito ad andare a cercare la data, chiedendo per esempio ai vostri genitori, ai vostri nonni, ai vostri padrini, o andando in parrocchia. E’ molto importante conoscerla, perché è una data da festeggiare: è la data della nostra rinascita come figli di Dio. Per questo, compito a casa per questa settimana: andare a cercare la data del mio Battesimo. Festeggiare quel giorno significa riaffermare la nostra adesione a Gesù, con l’impegno di vivere da cristiani, membri della Chiesa e di una umanità nuova, in cui tutti sono fratelli.
La Vergine Maria, prima discepola del suo Figlio Gesù, ci aiuti a vivere con gioia e fervore apostolico il nostro Battesimo, accogliendo ogni giorno il dono dello Spirito Santo, che ci fa figli di Dio.

sabato 9 gennaio 2016

Lettera di Naima

La lettera di Naima
Mio Dio, ricordaci ancora una volta che siamo tutti fratelli

Ho 18 anni, frequento un liceo in provincia di Milano, nella stessa città dove sono nata e cresciuta.
Sono una ragazza musulmana.
Venerdi 13 novembre, l’attacco terroristico a Parigi rivendicato dall'Isis ha scosso molte persone per varie cause: per la brutalità dell’atto, perché è stata colpita quella che da tutto il mondo è considerata la città simbolo d’Europa, per la vicinanza fisica e ideologica al mondo occidentale. È crudele che siano morte persone innocenti e ignare, ma era prevedibile, seppur triste, che una forza armata e in preda al delirio come l’Isis mettesse in atto altra violenza contro un Paese che rifiuta di rinunciare alle proprie libertà.

venerdì 8 gennaio 2016

Orvieto: chi canta prega due volte

LETTERA

A Orvieto, dove una storia si fa musica


08/01/2016 - L'incontro, anni fa, durante la leva. Un rapporto che non si è mai interrotto. E l'inizio dell'anno trascorso insieme. Fino a un concerto per le monache clarisse della città umbra. Un'amicizia in cui «nessuno se ne vuole più andare via»
Premessa: il mio rapporto con Orvieto è iniziato in un tempo così remoto, che si prestava ancora il servizio militare. Sono capitato lì per questo e mi ci sono fermato per tutto l’anno della leva. Sono nati dei rapporti di amicizia che né la distanza, né le differenze di carattere, né gli inevitabili scossoni che la vita dà sono riusciti ad abbattere e cancellare. Anzi con il tempo, i matrimoni, i figli e talvolta i figli dei figli, i legami si sono semmai ulteriormente intrecciati e rafforzati.

Anna Foa all'Osservatore Romano


La storica ebrea Anna Foa sostituisce la giornalista (di sinistra) Ritanna Armeni nell’incarico di co-coordinatrice, con Lucetta Scaraffia, dell’inserto rosa dell’Osservatore Romano “Donne Chiesa Mondo”. Il mensile continua così la sua ricerca di un dialogo assolutamente libero e fuori dagli schemi tra il mondo femminile (la Scaraffia come altre redattrici ha un passato femminista) e la Chiesa Cattolica. Un lavoro culturale iniziato per impulso di Benedetto XVI e che si è sviluppato con Papa Francesco il cui carisma ha un gran seguito anche tra le lettrici del supplemento, che pubblicherà nel 2016, iniziando con Sara, la moglie di Abramo, una serie di approfondimenti sulle donne della Bibbia.
La linea del mensile è ben spiegata dall’editoriale di questo numero, che sottolinea come “l’immagine che riceviamo da ogni cerimonia vaticana, qualsiasi riunione di alto livello che si occupa del futuro, qualsiasi momento di comunicazione con l’esterno, è che siamo di fronte a un mondo rigorosamente maschile, nel quale non esiste collaborazione con donne. Le donne, e ben si sa che sono molte e indispensabili nella vita della Chiesa, non compaiono, non si sente la loro voce, e quindi spesso si deduce un po’ frettolosamente che obbediscano in silenzio”. Ma, si legge nel corsivo firmato dalla Scaraffia, “per fortuna, invece, non e’ cosi’: non solo negli anni più recenti, ma in tutta la millenaria storia della Chiesa la collaborazione fra donne e uomini è stata importante e fruttuosa”. La promessa “delle signore dell’Osservatore” e quella nei prossimi numeri di presentare “altre esperienze vive e oggi in crescita di collaborazione fra i sessi, ma anche storie del passato, importanti perche’ rivelano le antiche radici di questo lavorare insieme, nella Chiesa e per la Chiesa. Prenderne atto è molto importante, perché è il primo passo per pensare a una Chiesa più viva e calda, una Chiesa che non si limiti a difendere la differenza, ma la scopra al suo interno, e decida finalmente di viverla in tutte le sue forme vitali”.


Lettere di don Gnocchi

LIBRI

Don Gnocchi: la santità dell'umiltà

di Stefano Zurlo
08/01/2016 - Interlinea pubblica le lettere del beato milanese a Giorgio Buccellati, allora bambino. Scritti carichi dell'umanità del "papà dei mutilatini". Nella Milano degli anni Quaranta e dela Seconda Guerra mondiale: «La precedenza assoluta è per te»
Lettere. Messaggi. Biglietti. Una corrispondenza affettuosa e a tratti pure ironica. Don Carlo Gnocchi, il papà dei mutilatini, non finisce di stupire. A quasi sessant’anni dalla morte, avvenuta nel 1956, spuntano ancora suoi scritti inediti. Il problema è che il piccolo carteggio che ora Interlinea pubblica non è con un vescovo o con un dotto teologo o con qualche medico, magari impegnato sulla prima linea della riabilitazione. No, l’inesauribile don Carlo dialoga con un bambino di quattro anni e mezzo: sì, uno scricciolo conosciuto solo perché i quattro fratelli, più grandi, frequentavano l’istituto Gonzaga ed erano suoi allievi nell’ora di religione.

Il tutto nella Milano degli anni Quaranta: è qui che don Carlo incontra Giorgio Buccellati che poi da adulto farà carriera come archeologo, scoprirà in Siria l’antica città di Urkesh e diventerà professore a Los Angeles. Ma quella è un’altra storia. Questa è all’apparenza una vicenda piccola piccola ma sorprendente, anzi sbalorditiva: il giovane sacerdote è stracarico di impegni e responsabilità; in quel fatidico 1941 lascia pure Milano e va come cappellano con gli alpini della Julia sul fronte greco-albanese. Insomma, si trova immerso nella tragedia immane della Seconda guerra mondiale.

Eppure, fra battaglie, imboscate e fucilazioni, non dimentica il piccolo Giorgio, figlio di amici carissimi, e gli scrive: «Ti do l’alpino più piccolo del battaglione perché tu gli mandi le tue care parole di conforto - noi qui lo chiamiamo il Balilla. – tu digli chi sei e mandagli se puoi la tua fotografia...».

Si direbbe un’adozione a distanza, fra terra e cielo. Semplicità e limpidezza. Discorsi carichi di umanità, ma senza voli pindarici e gorgheggi retorici. Piuttosto, adatti alla mente fervida e ingenua di un fanciullo. E ancora: «Mio caro Giorgino... La precedenza assoluta è per te. Desidero che appena fatta l’operazione del naso (forse è diventato troppo lungo e devono tagliarne una fetta) ti giunga la mia risposta».

Pagine strepitose. La santità dell’umiltà.

Don Carlo Gnocchi, a cura di Giovanni Santambrogio
Caro Giorgio, tuo don Carlo
Interlinea
pp. 88 - € 12


Cleuza: invidio il bene che è in lui

BRASILE

«Invidio il bene che è in lui»


07/01/2016 - A "Trabalhadores sem Terra", arriva un giovane senza casa e malato ai reni, con un figlio di cinque anni che ha la stessa malattia. Eppure ringrazia sempre Dio. Per Cleuza è la chiave per capire che «la testimonianza non consiste nelle mie buone azioni»
Una mattina, sono arrivata presto in Associazione (Trabalhadores sem Terra; ndr) e ho trovato un ragazzo che voleva parlarmi. Mi presento e lui subito ringrazia Dio di avermi incontrata: mi racconta che un suo fratello è membro dell’Associazione, mentre lui no. In famiglia, sono cinque fratelli, tutti con problemi di salute ai reni: uno è morto, un altro fa l’emodialisi e un terzo sta molto male. Mi racconta che anche lui ha fatto alcuni esami ed è emerso che gli sarebbe servito un rene di sua moglie. Ma quando ha saputo che anche loro figlio, di cinque anni, ha la sua stessa malattia, non ha più accettato che lei gli donasse il rene, perché vuole che sia il bambino a riceverlo.

giovedì 7 gennaio 2016

Un parroco nel campo profughi a Calais

LETTERA DA CALAIS

La strada che rompe i muri da duemila anni


07/01/2016 - Migliaia di profughi. Hanno attraversato Africa ed Europa. E ora sono davanti a un muro, ultimo baluardo verso l'Inghilterra. A un parroco di Londra con alcuni amici hanno aperto le loro baracche. «State con noi, ma non per soldi»
Una strada principale. Anzi, l’unica. Intorno, una giungla di tende e spazzatura.

Fango, ristoranti, negozi. Sono nell’area afghana. Siamo arrivati qui in cinque, dal Sud dell’Inghilterra, per vedere la “nuova giungla” di Calais. È un campo profughi con almeno 5mila rifugiati. La maggior parte sono giovani uomini. Alla fine del loro lungo viaggio, arrivati a pochi passi dal loro obiettivo - l’Inghilterra -, sono fermi davanti a un muro.

Entro in una baracca e ci trovo dentro sei giovani. Marta, una ragazza di 19 anni, sta cucinando per il gruppo. «Ho lasciato l’Eritrea un anno fa. Ho attraversato il mio Paese, il Sudan e l’Egitto, quasi tutti a piedi. Poi, autostop attraverso il Nord Africa. Ho pagato per un “passaggio” in barca fino all’Italia, poi ho attraversato l’Europa in treno fino a qui, al Canale».

Fine del sogno. Perché qui c’è il "muro". Polizia. Barriere. E sempre più gente che arriva ogni giorno. Qualcuno cerca di nascondersi sui camion di passaggio, approfittando del buio. Marta ha tante domande: «Dove posso dormire? Sta diventando freddo. Ho bisogno di vestiti pesanti e scarpe per camminare». C’è molta gente che aiuta: associazioni, medici, gente che porta cibo, persino chi pulisce le poche toilette da campo.

Lei sta mescolando qualcosa in una casseruola. «Marta, perché vuoi arrivare in Inghilterra? Lo vedi anche tu, non è una cosa facile…». «Be’, ho dei parenti che mi aspettano a Londra; e poi, l’inglese è più facile del tedesco». «Vedo che cucini bene: puoi preparare qualcosa anche per noi? Te lo paghiamo…». MI guarda. Sorride: «State con noi, ma non per soldi. Siete nostri ospiti».

Touché! Io pretendevo di essere generoso. Lei mi ha aperto la sua baracca.

Fa un freddo cane, là fuori. C’è bisogno di aiuto e di tutto, come di vede dal sito calaidipedia.co.uk. Si può mandare roba che arriva direttamente a loro.

Ma ai miei parrocchiani ho detto una cosa, al ritorno: se volete davvero rompere il muro, prendete su gli scatoloni e portateli voi. Tre ore da Londra. State con loro, parlate con loro, state lì tra loro per qualche ora. Sarà uno dei giorni meglio usati della vostra vita. Vedrete che cosa è la bellezza disarmata. La strada scelta da un Uomo duemila anni fa per far accadere ciò che molti non osano nemmeno sperare. Romperete davvero un muro. Dentro di voi.

don José Clavería, Londra

martedì 5 gennaio 2016

Un anno nuovo, l'augurio di Papa Francesco

Angelus. Solennità di Maria Santissima Madre di Dio

Francesco vatican.va

01/01/2016 - Piazza San Pietro

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e buon anno!

All’inizio dell’anno è bello scambiarsi gli auguri. Rinnoviamo così, gli uni per gli altri, il desiderio che quello che ci attende sia un po’ migliore. È, in fondo, un segno della speranza che ci anima e ci invita a credere nella vita. Sappiamo però che con l’anno nuovo non cambierà tutto, e che tanti problemi di ieri rimarranno anche domani. Allora vorrei rivolgervi un augurio sostenuto da una speranza reale, che traggo dalla Liturgia di oggi.

Kenia, l'educazione possibile

Buone notizie da Dadaab

di Davide Perillo
AFRICA - KENYA
È il campo profughi più grande al mondo. Con un buco nero: il futuro. Eppure MARIA LEITãO educa i giovani a fare i registi. E qui, dove «la speranza umana non esiste», accade qualcosa

«La prima volta non ci ho dormito per giorni. Mi avevano riempito di domande, e io non avevo una risposta pronta. Mi rigiravo nel letto. E mi chiedevo: che cos’è per loro la speranza? E per me?». Loro sono i profughi di Dadaab, Kenya: quattrocentomila, ammassati nel campo di raccolta più grande del mondo a un’ora di macchina dal confine con la Somalia. Lei, Maria Leitão, detta Bebé, 49 anni, portoghese, ci è arrivata poco più di un anno fa. Lavora per FilmAid, una ong americana. Aveva già vissuto a Timor Est e poi ad Haiti, conosce dolori e grandezze di luoghi dove il bisogno è tutto. Ma non si aspettava di trovare nel deserto una città sospesa nel tempo, senza radici e senza domani.
File di tende e baracche, piantate dal 1990 dall’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati. Sabbia. Caldo. Un recinto intorno. «Arrivano da tutta l’Africa: Sudan, Burundi, Rwanda, Congo, Etiopia...Tutti Paesi con problemi politici o catastrofi naturali». Ci sono povericristi e laureati in Latino, bande criminali e madri di famiglia. «C’è gente che è nata lì, e ha vent’anni. Altri sono appena entrati». Ma per tutti, oggi, la prospettiva è la stessa: restare a lungo, forse per sempre. Perché dai campi non si esce più. Da quando ai guai umanitari si è aggiunto il rischio del terrorismo, degli Shabaab somali e delle stragi come quella dell’Università di Garissa, appena cento chilometri più a ovest, il Kenya ha blindato tutto. Non solo a Dadaab, ma anche a Kukuma, l’altro campo giù verso il Sudan, 180mila ospiti e lo stesso buco nero: il futuro.

lunedì 4 gennaio 2016

Intervista a Luca Doninelli

A che cosa serve la fine del mondo

di Giuseppe Frangi
L'INTERVISTA - LUCA DONINELLI
La storia di un amore mentre tutto collassa. Di un’enfant prodige (simpatica). E di un perdono. Quello che l’uomo può concedere a Dio. Lo scrittore milanese racconta “il” romanzo della sua vita. E perché ha deciso di correre il rischio...

«Io sono felice che Dio mi abbia concesso di scrivere questo romanzo. È il mio libro, quello che ho sempre desiderato scrivere». Luca Doninelli è visibilmente contento. Ha in mano Le cose semplici, non “il suo nuovo romanzo”, ma “il suo romanzo”. Quello a cui stava lavorando da quasi dieci anni, e che Filippo La Porta, sull’inserto della Domenica del Sole 24 Ore, ha definito «uno dei romanzi più belli e spericolati e immaginativi di questi anni».
Le cose semplici racconta una fine del mondo nel suo compiersi. Non c’è nulla di apocalittico nel libro, ma una quotidianità vissuta mentre attorno tutto è collassato e quindi in questa nudità di contesto emerge e preme la domanda di sempre: che cos’è l’uomo? È anche una storia d’amore tra un lui­ - che è l’io narrante - e una lei che il crollo ha sorpreso dall’altra parte dell’Oceano. Quello di Doninelli è un libro affascinante, per i vastissimi orizzonti che spalanca; un libro “grande” in ogni senso, anche in quello delle sue oltre 800 pagine; un libro profondo, ma, come dice il titolo, semplice e quindi immediatamente familiare.

Scrivi ad un certo punto (e sembra quasi una giustificazione delle dimensioni del tuo romanzo): «La follia, la sacra follia dei vecchi scrittori, dei vecchi calciatori». Cos’è questa follia?
Quella di Caravaggio, tanto per fare un nome. O quella di Van Gogh. O di Maradona. Perché dobbiamo continuare a parlare di Caravaggio e non fare niente di nuovo? Abbiamo don Giussani, Benedetto XVI, papa Francesco: che facciamo, ci limitiamo a ripetere i loro discorsi? Ci ammazziamo con le interpretazioni giuste e quelle ancora più giuste? E poi, senza azzardare paragoni: Caravaggio è grande, Dante è insuperabile, ma i nostri canti devono risuonare adesso, devono essere canti di adesso. Va benissimo parlare del passato, che è la nostra grande fonte: però limitiamo le commemorazioni. Oltretutto, a furia di commemorare anziché recuperare la memoria la perdiamo ancora di più. Per recuperare la memoria del passato bisogna fare adesso qualcosa di nuovo. È il presente che alimenta il passato. La verità esige perciò un rischio pazzesco, e per un artista rischiare significa uscire da ogni terreno circoscritto, anche a prezzo del fallimento. Insomma, ero - diciamo così - un discreto scrittore. Mi sono chiesto: che gliene importa, a Dio, di avere un discreto scrittore? Secondo me, niente. La vera scommessa non è riuscire a fare queste cose, ma cercare di capire perché Dio ce l’ha permesso.

domenica 3 gennaio 2016

Uganda: un popolo che si risveglia

«Che io rida o che io pianga voglio stare qui»

di Alessandra Stoppa

In Uganda, tra le tappe del prossimo viaggio di papa Francesco, si nasce con una media di sei figli per donna e ci si contende con il Niger il titolo di Paese più giovane al mondo: il 78% della popolazione è sotto i 30 anni e l’età media è di 15,5 (in Italia 44,5). Ma non basta nascere per vivere, dice Michelle con gli occhi più che a parole. Abita vicino allo slum di fango e tettoie di Kireka, quartiere della capitale. Ventidue anni, i lineamenti fini, sta seduta orgogliosa alla sua scrivania al piano terra della Luigi Giussani Primary School, di cui è la segretaria. «Qui è dove voglio stare: che io rida o che io pianga, voglio stare qui». Qui è il cammino del movimento. E questi sono gli appunti di tre giorni vissuti nella comunità di CL di Kampala, un piccolo popolo che accade come l’acqua che bolle in pentola, dove uno o l’altro o l’altro ancora si risveglia e risveglia chi è vicino.

sabato 2 gennaio 2016

Fly now

MUSICA

Olivia, che ha il coraggio di saltare

di Walter Muto
12/11/2015 - Una voce delicata e un pianoforte ad accompagnarla, tradotti nel linguaggio del jazz. Sono gli ingredienti di "Fly Now", album della musicista Trummer. Che, per le sue canzoni, prende spunto dalle cose più banali. Ma finisce a parlare del cielo
Tedesca, di Stoccarda, trent’anni, famiglia di musicisti. Olivia Trummer si è formata come pianista classica, ma poi è volata oltreoceano per diplomarsi anche in jazz alla Manhattan School of Music, ovviamente a New York. E da quel momento le sue dita hanno cominciato a volare sulla tastiera del pianoforte, mescolandosi dolcemente con la sua voce precisa, intonatissima e cristallina.

In un periodo come questo, in cui i talent show fanno emergere ad una popolarità spropositata fenomeni da baraccone insieme a talenti di breve durata, un talento vero come quello di Olivia è già un valore. Il linguaggio che per lei rappresenta le radici dal punto di vista compositivo è il jazz, ma questo non spaventi. Il suo animo semplice si getta sulla realtà, anche la più apparentemente banale, e da lì prende spunto per inserire le sue liriche in delicati e convincenti bozzetti, per i quali è richiesto un ascolto attento. È interessante vederla in azione in questo video, in cui racconta la genesi del suo ultimo lavoro di canzoni, Fly Now. L’album è uscito circa un anno fa, nell'ottobre 2014, ma se vi è sfuggito come è sfuggito a me, vale la pena darci una ascoltata. È bello sentirla raccontare che il disco nasce dalla canzone con lo stesso titolo, Fly Now, in cui lei immagina un uomo che si sveglia sulla cima di una montagna e che, invece che tornare a casa, resta affascinato dal cielo e dalla scoperta dell’ignoto. La stessa situazione in cui si trova lei, come artista e come essere umano. E, prosegue, il bello è avere il coraggio di saltare, di cercare di più di quello che puoi vedere. Questa è una profonda qualità umana.