lunedì 1 dicembre 2014

Papa Francesco e il Patriarca di Costantinopoli

Bartolomeo e Francesco: l’unità è necessaria

Divina liturgia di Bartolomeo di fronte al Papa
(©Reuters)
(©Reuters) Divina liturgia di Bartolomeo di fronte al Papa

Dal Fanar, la supplica unanime del Papa e del Patriarca di Costantinopoli per la piena comunione tra cattolici e ortodossi

Gianni Valente Istanbul
«L’unica cosa che la Chiesa cattolica desidera e che io ricerco come Vescovo di Roma» dice Papa Francesco nella tappa cruciale della sua visita in Turchia «è la comunione con le Chiese ortodosse». Una comunione che «non significa né sottomissione l’uno dell’altro, né assorbimento, ma piuttosto accoglienza di tutti i doni che Dio ha dato a ciascuno». Sotto le volte della cattedrale di San Giorgio, nella sede del Patriarcato di Costantinopoli, la divina Liturgia celebrata per la festa patronale di Sant’Andrea trasmette per osmosi la bellezza dei misteri della fede cristiana con le sue forme di sempre: preghiere e litanie cantate anche dal coro venuto dall’America, luci e candele, incenso e segni della croce. Parole e silenzi. Ma oggi, al Fanar, a riempire i cuori di stupore sono state soprattutto le parole di carità fraterna che il Papa e il Patriarca si sono rivolti davanti all’assemblea. Come presagio di una comunione piena tra cattolici e ortodossi che i due vescovi pastori,  successori di San Pietro e di suo fratello Andrea, anticipano come precursori, mostrando al Popolo di Dio la via da seguire, passo dopo passo. «L’amore raffreddato sì è riacceso» dice Bartolomeo «e si è ritemprata la nostra volontà di fare tutto ciò che possiamo, affinché spunti di nuovo la nostra comunione, nella stessa fede e nel Calice comune».

Il Patriarca ecumenico ha riservato al «Fratello in Cristo, vescovo della Prima Roma», espressioni non protocollari: soprattutto, gli ha riconosciuto di aver riacceso tra «i fratelli Ortodossi la speranza che durante il Vostro tempo, l’avvicinamento delle nostre due grandi antiche Chiese continuerà a edificarsi sulle solide fondamenta  della nostra comune tradizione».

Poi il Pontefice e Bartolomeo si sono scambiati il bacio della pace, prima della consacrazione dei santi doni eucaristici.

Papa Francesco ha risposto subito e in maniera sovrabbondante alla speranza espressa dal Patriarca ecumenico a nome di «tutti i fratelli ortodossi». Nel suo intervento, letto davanti ai Metropoliti del sinodo del Patriarcato ecumenico e all’assemblea di fedeli presenti – che comprendeva anche diplomatici, rappresentanti fraterni di altre Chiese,  benefattori del Patriarcato e leader politici, compreso il ministro degli esteri greco Evangelos Venizelos – il vescovo di Roma ha detto che «il ricchissimo patrimonio delle Chiese d’Oriente» va riconosciuto e custodito «non solo per quello che riguarda le tradizioni liturgiche e spirituali, ma anche le discipline canoniche, sancite dai santi padri e dai concili, che regolano la vita di tali Chiese». Poi, il Papa ha dichiarato che «per giungere alla meta sospirata della piena unità, la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune»: parole chiare e inedite, per dire che si è pronti a mettere da parte pretese e rivendicazioni di supremazie.

Nei loro interventi, sia il Papa che il Patriarca hanno riproposto l’unità vissuta dalla Chiesa d’Oriente e d’Occidente per tutto il primo millennio come esperienza a cui conviene guardare per trovare vie efficaci al ristabilimento della piena comunione tra cattolici e ortodossi. Uno sguardo al passato sollecitato non per fomentare archeologie teologiche e dottrinali: «a cosa serve la nostra fedeltà al passato» si è chiesto Bartolomeo» se questo non significa nulla per il futuro?». I capi delle due Chiese hanno anche ripetuto all’unisono che l’ecumenismo  non è fine a se stesso: l’unità dei cristiani d’Oriente e d’Occidente va ristabilita per permettere alla Chiesa di compiere meglio la sua missione a vantaggio degli uomini e delle donne di oggi. Le urgenze, le tragedie e le miserie del tempo presente fanno percepire come ancora più scandalosa e intollerabile la divisione tra quelli che portano il nome di Cristo. «Per tutto il tempo che noi siamo impegnati nelle nostre dispute» ha detto Bartolomeo «il mondo vive la paura per la sopravvivenza e l’ansia del domani». Papa Francesco gli ha fatto eco, ha indicato i poveri, e le vittime dei conflitti e i giovani tra coloro che con più forza «domandano alle nostre Chiese di vivere fino in fondo l’essere discepoli del Signore Gesù Cristo». «Penso con profondo dolore - ha affermato Francesco - alle tante vittime del disumano e insensato attentato, che in questi giorni ha colpito i fedeli musulmani, che pregavano nella moschea di Kano, in Nigeria». Anche la scelta di farsi arruolare dal terrorismo – ha fatto notare il Vescovo di Roma – può essere favorita dalla disoccupazione e dalla mancanza di lavoro per i giovani. Quei giovani – ha aggiunto il Papa prendendo come esempio i raduni della comunità di Taizè -  «che oggi ci sollecitano a fare passi in avanti verso la piena comunione. Non perché ignorano il significato delle differenze che ancora ci separano, ma perché sono capaci di cogliere l’essenziale che già ci unisce».

Sulla strada verso l’unità, il Patriarca Bartolomeo ha indicato i nuovi  martiri cristiani come l’avanguardia che precede tutti gli altri battezzati, praticando quello che anche Papa Bergoglio ha definito come «l’ecumenismo del sangue». «Non abbiamo più il lusso» ha ripetuto Bartolomeo «per agire da soli. Gli odierni persecutori dei Cristiani non chiedono a quale Chiesa appartengono le loro vittime. L’unità, per la quale ci diamo molto da fare, si attua già in alcune regioni, purtroppo, attraverso il martirio. Tendiamo dunque insieme la mano all’uomo contemporaneo, la mano del solo che è in grado di salvarlo per mezzo della Croce e della Sua Resurrezione».