Aleppo dilaniata: «Ma noi rimaniamo»
08.02.2016 - aggiornato: 08.02.2016 - 08:12
di Maria Acqua Simi
Della bellissima e antica Aleppo non è rimasto più
niente. Solo macerie, case sventrate, scuole deserte, ospedali privi di
medici ma zeppi di feriti. La situazione è precipitata in questi
giorni, con l’offensiva lanciata dal Governo siriano di Bashar al Assad
per riprendere la città occupata per buona parte dai ribelli islamisti.
Ma il prezzo più alto lo stanno pagando i civili, quelli che negli
scorsi anni e mesi non sono riusciti a lasciare il Paese. O non hanno
voluto. Come il nostro amico padre Ibrahim Alsabagh, per il quale da mesi il GdP sta conducendo una coraggiosa colletta per provare a dare una risposta all’emergenza.
Lo sentiamo al telefono. «Sono cinque giorni ormai
che bombardano senza sosta. Più l’esercito avanza, più i ribelli
lanciano i missili sui civili. Ci sono tanti morti. Nessuno ci dice
cosa fare: se dobbiamo nasconderci in attesa della liberazione, se
dobbiamo fuggire, come comportarci. Sono triste ma rimango qui finché
rimarrà l’ultimo dei cristiani».
Le immagini che le tv passano in queste ore sono
agghiacchianti. Decine di migliaia di civili che fuggono a piedi dalla
città martire della guerra siriana e si ammassano alla frontiera turca -
al valico di Bab el Salam - cercando la salvezza. Ma Ankara, nonostante
ribadisca la «politica della porta aperta», quella frontiera la tiene
serrata. Bruxelles ha chiesto ieri alla Turchia di rispettare la
Convenzione di Ginevra. Una situazione umanitaria disastrosa, tanto che
ieri anche il Papa è intervenuto. Bergoglio all’Angelus ha
parlato del dramma che vive il Paese del vicino oriente dilaniato da
anni di guerra civile: «Con viva preoccupazione seguo la drammatica
sorte delle popolazioni civili coinvolte nei violenti combattimenti in
Siria e costrette ad abbandonare tutto per sfuggire agli orrori della
guerra. Auspico – ha aggiunto Francesco – che con generosa solidarietà,
si presti l’aiuto necessario per assicurare loro sopravvivenza e
dignità, mentre faccio appello alla Comunità internazionale affinché non
risparmi alcuno sforzo per portare con urgenza al tavolo del negoziato
le parti in causa». «Solo una soluzione politica del conflitto – ha
detto ancora Bergoglio – sarà capace di garantire un futuro di
riconciliazione e di pace a quel caro e martoriato Paese, per il quale
invito a pregare molto».
È lo stesso invito che - in una lunga lettera che potete leggere integralmente sul sito del GdP - ci
ha rivolto padre Ibrahim. «Cari amici, non posso nascondere il mio
grande dolore. Ora provo a raccontare quello che stiamo vivendo ad
Aleppo da quando è cominciata l’offensiva dell’esercito per riprendere
la città. Nella notte tra il 3 e il 4 febbraio, due missili lanciati
dagli jihadisti hanno colpito la zona di Soulaymanieh-Ram, dove è
collocata la nostra succursale. Avevo pensato di radunare i Frati, in un
Capitolo locale pastorale, per vedere come potevamo intensificare il
servizio svolto nella zona di Soulaymanieh e di Midaan, quando ci ha
raggiunto la notizia dell’accaduto. Il risultato dei bombardamenti,
incessanti, è sempre lo stesso: morte e distruzione di case. Due
cristiani sono rimasti uccisi; diversi feriti e diverse case
danneggiate. Siamo scoraggiati, perché avevamo appena
finito di riparare i danni dei missili caduti il 12 aprile 2015, quando
sono arrivati queste nuove bombe, distruggendo nuovamente ogni cosa. La
nostra chiesa non è stata per ora danneggiata, ma il tetto delle aule di
catechismo è stato colpito e parzialmente distrutto, le pareti sono
state danneggiate dalle scosse e dalle esplosioni e così i vetri, che
sono andati in frantumi. Un altro missile è caduto dal tetto, colpendo
la statua della Madonna, il campanile e alcuni depositi di acqua,
nuovamente installati. La statua della Madonna è stata ridotta in mille pezzi e potete immaginare il nostro dolore: il volto della Vergine in frantumi in mezzo alla strada, oltraggiato».
Nella lettera non mancano i riferimenti ai morti, alla distruzione, alle
umiliazioni. L’acqua è quasi impossibile da trovare, i prezzi schizzati
alle stelle. «Noi però siamo tribolati ma non schiacchiati», dice il
sacerdote. «Dentro il dolore di questi giorni, mi torna alla mente il
Salmo che dice: “Fino a quando Signore ti scorderai di me?”. La domanda a
volte affiora: il Signore ci ha abbandonato? Ma dove è il Signore? È
un momento dove la fede viene scossa fortemente nelle sue radici per
tutto il “piccolo gregge” che è rimasto ancora ad Aleppo. A Saul, il
Risorto l’aveva chiesto: “Perché mi perseguiti?”, lasciando una conferma
sicura della Sua unione con le membra del Suo Corpo mistico. Gesù è
sofferente e appeso sulla croce e non “guarda da lontano mentre i Suoi
soffrono”. Egli è presente in mezzo al Suo popolo; lo
aiuta e lo assiste attraverso la tenerezza misericordiosa dei suoi
pastori; anche se sono molto affaticati e amareggiati al vedere cosa
succede al loro gregge. Così è per noi frati, che rimaniamo qui».