L'analista Enrich Juliana, vice-direttore de "La Vanguardia", afferma a proposito della recente crisi catalano-spagnola che " da una parte c'è un catalanismo allucinato, dall'altro un potere centrale incapace di affrontare la questione nella sua complessità"
"L’autonomismo nella
regione ha profonde radici storiche. La crescita dell’indipendentismo,
però, riguarda l’ultimo decennio. A che cosa si deve?
Alla somma di diversi fattori. Primo, il malcontento seguito
all’abrogazione del nuovo statuto autonomista catalano che aumentava le
prerogative dell’amministrazione locale, da parte della Corte suprema
nel 2010. A questo si è aggiunto un elemento
decisivo: la crisi economica. La recessione ha fatto da moltiplicatore
ai movimenti di protesta contro una classe politica considerata
incapace di amministrare la cosa pubblica. L’indipendentismo è stata la
risposta delle classi medie catalane. Il loro modo di 'indignarsi'. Il
separatismo ne ha catalizzato la rabbia, la frustrazione, divenendo il
simbolo della protesta politica. Un fenomeno che il potere centrale
non ha saputo o voluto vedere.
Che cosa intende?
A lungo Madrid ha ignorato il problema, limitandosi a ripetere, come un disco rotto: «Bisogna rispettare la legge». È vero. Però la legge va applicata nella realtà. E questo è compito della politica. Ciò che, ripeto, è mancato." (intervista completa su avvenire.it)
Dal 6 all’11 settembre 2017 papa Francesco si è recato
in Colombia, compiendo così il suo ventesimo viaggio apostolico. Nel
corso della sua visita, il 10 settembre 2017, è andato nella città di
Cartagena de Indias, la capitale del Dipartimento di Bolívar che si
affaccia sul Mar dei Caraibi al Nord della Colombia. Il Papa prima si è
recato nella piazza San Francesco d’ Assisi e quindi, salutando la gente
per strada, si è diretto verso il santuario di San Pedro Claver e, dopo
aver recitato l’ «Angelus» nella piazza antistante, ha fatto il suo
ingresso nel santuario. Ha sostato in silenzio davanti all’altare che
contiene le reliquie del Santo, dove ha deposto fiori offertigli da due
bambini. Nella Chiesa si trovavano circa 300 esponenti della comunità
afroamericana assistita dai gesuiti. Il Papa ha consegnato un dono al
rettore del santuario. Al termine, si è recato nel cortile interno, dove
ha incontrato in forma privata una rappresentanza delle comunità della
Compagnia di Gesù composta da 65 religiosi. Francesco è stato accolto da un canto e da applausi. Quindi si è
seduto e ha ringraziato per l’incontro. Ridendo ha detto, riferendosi
alla Compagnia di Gesù: «Mi piace incontrare la “setta”», provocando una
risata generale. «Vi ringrazio di quello che fate in Colombia», e ha
proseguito: «Ieri sono stato molto contento di incontrare a Medellín
Álvaro Restrepo, che è stato provinciale in Argentina. Lui in Argentina
veniva in arcivescovado a parlare… È un grand’uomo, molto buono, molto
buono. Bene, sono a vostra disposizione. Non voglio farvi un discorso, e
quindi, se avete qualche domanda o qualcosa che desiderate sapere,
ditemi ora, che è meglio: voi mi stuzzicate e mi ispirate». Qualcuno
chiede subito la benedizione, ma il Papa risponde: «Alla fine, quando
darò la benedizione finale, vi benedirò tutti». Carlos Eduardo Correa, provinciale dei gesuiti in Colombia, ha
affermato: «Caro papa Francesco, siamo molto contenti perché il suo
messaggio di questi giorni in Colombia ci ha incoraggiati nell’impegno
per la riconciliazione e la pace. Vogliamo dirle che in tutte le nostre
opere intendiamo continuare a portare avanti questi processi, affinché
nel Paese viviamo la fraternità del Vangelo, e per questo vogliamo
ringraziarla di cuore del fatto che lei ci incoraggia, ci conferma nella
fede e nella speranza. Grazie davvero, e Dio continui a benedire il suo
ministero». Francesco lo ringrazia per le sue parole. Al provinciale fa seguito p. Jorge Humberto Peláez, rettore della
Pontificia Università Javeriana: «Santità, questo è stato un regalo
meraviglioso, perché la Colombia era sprofondata nella disperazione. Con
questa visita faremo non un passo avanti, ma moltissimi, e conti
sull’Università Javeriana e su tutta l’opera educativa e pastorale dei
gesuiti nel lavoro per la riconciliazione. Grazie per questa visita che
ci dà speranza, Santità».
Antonio Spadaro S.I.
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Jorge Iván Moreno pone la prima domanda: «Caro Francesco, sono il
parroco della parrocchia Santa Rita. La gente di là la apprezza e le
vuole molto bene, e le abbiamo scritto una lettera qualche giorno fa.
Vorrei sapere: quando è stato a San Francisco, in quelle comunità del
Pie de la Popa, che cos’è che l’ha colpita di più? Mi
risulta che è la prima volta che viene a Cartagena, e mi piacerebbe
sapere: come Pontefice, che cos’ha visto lei passando da quest’“altra”
Cartagena, come la chiamiamo noi?».
Soffermiamoci sulla domanda, perché credo mi dia occasione per dire
qualcosa che mi interessa molto. Quello che ho avvertito e che mi ha
toccato di più è la spontaneità. Il popolo di Dio non
ha posto limiti alla sua espressione calorosa. Se ci si mettesse a fare
studi di interpretazione, si potrebbero trovare mille modi per
interpretare questo fatto. Ma era semplicemente il popolo di Dio in
uscita per accogliere. Per me, c’è un chiaro segno che non era una cosa
preparata con slogan già fatti: il fatto che la cultura propria di
quelle diverse parti del popolo di Dio, di quelle zone da cui sono
passato, si esprimeva, in tutta libertà, lodando Dio. È singolare:
purtroppo, a volte noi abbiamo la tentazione di fare evangelizzazione per il popolo, verso il popolo, ma senza
il popolo di Dio. Tutto per il popolo, ma niente con il popolo. Questo
atteggiamento, in ultima istanza, risale a una concezione liberale e
illuminista dell’evangelizzazione. E certo, il primo schiaffo a questa
visione lo dà la Lumen gentium: la Chiesa è il santo popolo di
Dio. Per questo, se vogliamo sentire la Chiesa, dobbiamo sentire il
popolo di Dio. Popolo… Oggi bisogna fare attenzione quando si parla di
popolo! Perché qualcuno dirà: «Finirete per diventare populisti», e si
cominceranno a fare elucubrazioni. Ma bisogna capire che quella di
«popolo» non è una categoria logica. Se si vuole parlare di popolo con
schemi logici si finisce per cadere in un’ideologia di carattere
illuminista e liberale oppure «populista», appunto…, comunque si finisce
per chiudere il popolo in uno schema ideologico. Popolo invece è una
categoria mitica. E per comprendere il popolo bisogna starci immersi, bisogna accompagnarlo dall’interno.
La speranza non è virtù per gente con lo stomaco pieno
Il
Papa cita il mito di Pandora e Charles Péguy per spiegare che cosa sia
la speranza e quali sono i suoi nemici. «Avere un’anima vuota è il
peggior ostacolo. Anche quando si percorre il cammino della vita
cristiana»Papa FrancescoCari fratelli e sorelle, buongiorno!
In
questo tempo noi stiamo parlando della speranza; ma oggi vorrei
riflettere con voi sui nemici della speranza. Perché la speranza ha i
suoi nemici: come ogni bene in questo mondo, ha i suoi nemici.
E
mi è venuto in mente l’antico mito del vaso di Pandora: l’apertura del
vaso scatena tante sciagure per la storia del mondo. Pochi, però,
ricordano l’ultima parte della storia, che apre uno spiraglio di luce:
dopo che tutti i mali sono usciti dalla bocca del vaso, un minuscolo
dono sembra prendersi la rivincita davanti a tutto quel male che dilaga.
Pandora, la donna che aveva in custodia il vaso, lo scorge per ultimo: i greci la chiamano elpìs, che vuol dire speranza.
La fotografia di Franco Pagetti: “Tutti i confini ci attraversano"
Torna
al CMC la grande fotografia contemporanea. La mostra, ideata da Camillo
Fornasieri, è curata da Enrica Viganò, fondatrice di MIA Milan Image
Art e si svolge con il patrocinio della Regione Lombardia e del Comune
di Milano, con l’adesione di importanti partner come Arriva.
Per la prima volta a Milano la rassegna di Franco Pagetti
permette di incontrare da vicino la forza e l’originalità di uno dei
fotogiornalisti italiani più autorevoli e stimati nel mondo. L’umanità,
la persona, nel mondo attraversato da “confini” visibili e invisibili,
una nuova fotografia tra ricerca e reportage, dall’Irlanda
all’Afghanistan, passando per Siria, Palestina e Iraq. Alcune immagini
che hanno fatto il giro del mondo e quelle potenti, inedite, di
incontri, attese, di momenti di umanità vivente.
Referendum in Catalogna. Il documento della comunità di CL
Il
clima è teso. Le posizioni inconciliabili. La consultazione per
l'indipendenza della regione sta aprendo una ferita profonda nel tessuto
sociale. Gli amici catalani hanno scritto un documento, intitolato:
"Cosa permette una costruzione comune?"Negli ultimi giorni in Catalogna
si è giunti a una situazione spiacevole, che non avrebbe mai dovuto
verificarsi, frutto di un clima di rottura e di scontro che è andato
crescendo negli ultimi anni.
Le chiavi di lettura con le quali si analizza la situazione attuale sono inconciliabili.
Le letture con cui si interpreta il passato sono opposte. I progetti
per il futuro, incompatibili. Una ferita dolorosa che divide famiglie,
che fa cessare il dialogo tra compagni di studio o di lavoro, che
favorisce la diffidenza verso quanti pensano diversamente. In questo
contesto, cosa permette una costruzione comune?
Il reportage. Le schiave bambine di Firenze. Funzionano i divieti anti-tratta (www.avvenire.it)
Nello Scavomercoledì 20 settembre 2017
Pochi «clienti» sfidano il provvedimento del sindaco
Nardella. Da Scandicci a Prato, anche i Comuni limitrofi si muovono
Le bamboline minorenni barcollano sul tacco 12. Strizzate in
abitini di poche spanne, fasciate in calze autoreggenti scure, le
riconosci non solo dall’espressione. Ma perché sono tra le poche, sotto
ai lampioni, ad attendere l’orco automunito. Le altre, le «donne
grandi», hanno la patente e aspettano dentro alle Smart grigio-azzurre
messe a disposizione dall’organizzazione. A poca distanza, nascosto dal
caseggiato, c’è il parco delle Cascine, ritrovo abituale di minorenni
maschi in attesa di vegliardi imbottiti di viagra e denaro contante.
Dicono sia periferia. Ma succede quasi in centro, sotto al palazzo del
Tribunale, nel quartiere di Novoli, lungo i tre chilometri di palazzi e
strade ben illuminate che separano le serate inconfessabili dai candidi
marmi di Santa Maria Novella. Barbie, la biondina venuta dal freddo
Est, assicura di avere 23 anni. L’ha chiamata così un cliente, uno dei
primi a pattuire con lei «mezz’ora di giochi».
Bologna, primo giorno di scuola con il Patriarca di Costantinopoli
L'arcivescovo
Zuppi ha portato Bartolomeo I al Liceo Malpighi. L'attesa
dell'incontro, le domande degli studenti, le parole del Patriarca. Un
modo "sorprendente" di iniziare l'anno. E un'amicizia che potrebbe
portare a Istanbul...Marco FerrariVenerdì 15 settembre il Liceo Malpighi di Bologna
ha iniziato l’anno scolastico in un modo davvero eccezionale e
inimmaginabile. I 450 allievi del Liceo, insieme a tutto il corpo
docenti, hanno avuto la possibilità di accogliere e ascoltare il saluto
di Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli, invitato e accompagnato nella nostra scuola dall’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi e da una dozzina di sacerdoti ortodossi, segretari e guardie del corpo.
"C’è un disegno nella vita - sottolinea monsignor
Camisasca -, la scoperta che un amore ci precede, che non siamo voluti
dal caso. Per questo, chi non vive l’esperienza del padre e della madre,
dev’essere aiutato a scoprirla attraverso altre persone e poi, infine,
in Dio e nella Chiesa, perché se la persona non scopre di essere amata
non sa amare"
Lo ha affermato ieri monsignor Massimo
Camisasca, vescovo di Reggio Emilia, intervenuto a Pescara per
presentare il libro di don Giussani “Il miracolo dell’ospitalità”
La presentazione del libro di don Giussani "Il miracolo dell'ospitalità"
«L’accoglienza è qualcosa che riguarda la vita di tutti gli uomini e la vita di ogni uomo, perché senza entrare in questa esperienza non si è uomini». Nelle parole di monsignor Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia, la sintesi del concetto di fondo espresso dal libro “Il miracolo dell’ospitalità” – edito da Piemme – scritto dal fondatore di Comunione e liberazione don Luigi Giussani,
presentato ieri al folto pubblico pescarese intervenuto nell’Auditorium
della parrocchia della Beata Vergine Maria del Rosario di Pescara. L’appuntamento, organizzato dall’arcidiocesi di Pescara-Penne e moderato dal giornalista di Rete 8 Luca Pompei, è stato promosso dall’associazione Famiglie per l’accoglienza – in collaborazione con l’associazione Stella del mare e con il Centro culturale di Pescara – che
opera in Italia e a livello internazionale nella promozione e
nell’attuazione delle pratiche dell’affido e dell’adozione fin dal
maggio 1982, quando è nata a Milano dall’esperienza di alcune famiglie le quali – dopo l’incontro con don Giussani da cui è nato il libro stesso – si sono riunite nell’organizzazione attuale.
Testimoni. Schmorell, una rosa sul golgota di Hitler (www.avvenire.it)
Andrea Gallisabato 16 settembre 2017
Con i fratelli Scholl e altri giovani della loro generazione
il "santo della Resistenza tedesca" si oppose alla deriva nazista e
finì sulla ghigliottina. Un libro ne rilegge la figura e la storia
Se c’è una vicenda del ‘900 emblematica di quell’«ecumenismo
del sangue» richiamato più volte in questi anni dal Pontefice, è quella
della Rosa Bianca, vicenda amata e celebrata dal dopoguerra a oggi. Il
gruppo di studenti universitari e alcuni professori – di diverse
confessioni cristiane, in maggioranza cattolici – che tra il 1942 e il
1943 organizzarono una serie di iniziative di resistenza civile al
regime nazista e i cui membri principali finirono sulla ghigliottina. I
nomi più noti restano quelli dei fratelli Hans e Sophie Scholl,
evangelici, ma ce n’è uno, relativamente meno conosciuto, Alexander Schmorell,
particolare per due motivi: fu l’anima orientale, russa, di quella
esperienza e fu colpito nella sua esistenza da due totalitarismi,
comunista e nazista. È anche l’unico a essere stato canonizzato,
dalla Chiesa ortodossa, nel 2002. Oggi avrebbe compiuto 100 anni e sulla
sua affascinante vita è da poco uscito un libro negli Stati Uniti, scritto da Elena Perekrestov e pubblicato dalle edizioni del monastero della Santa Trinità di Jordanville (New York), Alexander Schmorell, Saint of the German Resistance.
Von Balthasar-Giussani. La gara moderna per la libertà
È
in libreria "L'impegno del cristiano nel mondo" (Jaca Book), la
raccolta delle conferenze del teologo Hans Urs von Balthasar e di don
Giussani a un raduno degli universitari di CL della Svizzera a
Einsiedeln nel '71. Un brano dalla prefazione di CarrónJulián CarrónIl compito del cristiano: “essere per”
Don Giussani sottolinea che «tutta la nostra salvezza è nell’accettazione integrale
del Fatto di Dio nella nostra vita. Qui sta ogni nostra giustizia. E la
giustizia, biblicamente, è la situazione dell’uomo liberato dal male,
tolto dalla grettezza della sua misura e riconsegnato alla libertà della
misura di Dio» (p. 123). Perciò la vita cristiana è «cammino dell’uomo verso l’attuazione di una autentica moralità umana, perché poggiata sul riconoscimento di Gesù Cristo» (p. 126).
Dialogo. Il cristiano è ancora sale della terra: la lezione del grande teologo e del fondatore di CL riletta da Carrón Balthasar-Giussani (www.avvenire.it)
LIEVITO
cristiano, speranza di futuro
JULIÁN CARRÓN
Von Balthasar propone una
«Chiesa povera e serva » – sembra di leggere papa Francesco! – «che è
la sola a poter garantire il contatto con il mondo, non per ricerca
di successo ma per missione». Le parole di von Balthasar sono di
un’audacia sorprendente: «Questa Chiesa ha smantellato quei bastioni
che la difendono dal mondo, non si ritiene “solida rocca”, ma piuttosto
costruzione d’appoggio per una meta che la sovrasta». Infatti, «Dio
attraverso la sua mediazione deve agire nel mondo: […] ha bisogno per
avere nuovo lievito da immettere nella pasta, nuovo seme che deve
cadere e morire nel terreno per far spuntare qualcosa d’altro. Il che
comporta un concetto dinamico di tradizione, ben diverso da quello
statico di semplice consegna di ciò che c’è. In quel processo infatti
si ripete la “traditio” originaria di ogni presente, cioè il darsi del
Figlio attraverso il Padre per la salvezza del mondo». E qual è tale
meta? «Forse è proprio la gioia cristiana in
tutte le sue forme ciò di cui gli uomini attorno a me hanno più
acutamente bisogno che io dia loro». Una gioia che l’uomo non si può
dare con le proprie mani, ma che può solo sorprendere in sé come un
dono imprevisto ma reale: «In quanto la fede è più
che una sintesi producibile dalla ragione, come “sapere”, essa è atto
vitale di tutto l’uomo, non solo l’attivazione di una delle sue
funzioni, l’intelligenza, per cui è radicalmente impossibile e
contraddittorio che essa dimostri il suo contenuto».
ALLUVIONE LIVORNO/ La lettera di Comunione e Liberazione: “per chi si può morire?” (www.sussidiario.net)
Alluvione Livorno, la lettera della comunità di Comunione e
Liberazione dopo la tragedia tra il 9 e il 10 settembre. "Per chi si può
morire? Nel dramma una evidenza, siamo fatti per il bene"
Alluvione Livorno, "per chi si può morire?" (LaPresse)
Pubblichiamo la lettera che la
comunità di Comunione e Liberazione di Livorno ha inviato al sito
Clonline.org dopo la tragedia dell’alluvione tra sabato e domenica. “Nel
dramma una evidenza, siamo fatti per il bene”
Al di là di ogni all’erta meteo. Nessuno
poteva immaginare quello che è successo. Nel cuore della notte tra il 9 e
il 10 settembre si è abbattuta sulle nostre case una furia incredibile,
che ha causato il disastro che tante immagini televisive hanno
raccontato. Solo al mattino, dopo aver affrontato e risolto le nostre
urgenze, ci siamo resi conto di tutto. I soccorsi stavano lavorando già
da ore e affioravano qua e là tutte le devastazioni. E già molta gente
si era mobilitata per aiutare. Non era una generosità fine a se
stessa. Ho visto la gente muoversi per il bene dell’altro. Chi aveva
subìto danni e chi no, uno a fianco dell’altro a spalare, rimuovere le
auto, soccorrere le persone. L’abbiamo capito anche davanti
al sacrificio di chi ha dato la vita per la sua famiglia. Come quel
nonno che, mentre l’acqua saliva dentro casa, è riuscito a passare la
nipotina a un vicino. Poi l’acqua è salita ancora, fino al soffitto. E
lui è tornato là sotto, con il figlio, la nuora e un altro nipotino. È
rimasto imprigionato con loro. Quando uno dà la vita per un altro è
qualcosa che non possiamo ridurre solo a un affetto, neppure per
parentela. Poche ore prima, nel giardino di quella casa, avevano
festeggiato il compleanno del bambino. C’erano anche alcuni nostri amici
che erano stati alla vacanza della nostra comunità a Cervinia per la
prima volta, neppure un mese prima. Sono tornati a casa appena qualche
ora prima del disastro.
E ALLA FINE C’É UN INIZIO NUOVO. Bilancio del viaggio di Papa Francesco in Colombia
(www.terredamerica.com)
“Ha conquistato il cuore di più di un ateo” titola la rivista Colombiana SEMANA (Foto Efaim Herrera/SIC)
di Luis Badilla
Per
primo, qualsiasi bilancio della Visita di Papa Francesco in Colombia
deve evidenziare che Jorge Mario Bergoglio ha dato a questa nazione una
visibilità planetaria che sarà di grande aiuto al processo di
pacificazione e riconciliazione. Come si legge sulla stampa locale in
queste ore la Colombia non si sente più sola di fronte al suo dramma e
di fronte alla sfida più decisiva dal giorno della sua indipendenza
nazionale nel 1810. La Colombia agli occhi del mondo non è più solo
violenza, guerriglia e narcotraffico. La Colombia è anche oggi, e
soprattutto, voglia di riscatto, di salvezza nazionale, di futuro. Come
diceva il motto della visita papale: ormai, in questi giorni, è stato
fatto il primo passo!
Pace. Perdono e riconciliazione, la lezione memorabile di papa Francesco in Colombia (www.avvenire.it)
Maurizio Patriciellomartedì 12 settembre 2017
Come un tuono rimbombano per la terra le parole di papaFrancesco. Come un lampo rischiarano le ombre di una notte buia. Parole antiche quanto il Vangelo cui da voce e da cui le ha estratte. Le uniche che riescono a spalancare i cuori, a donare gioia. Parole semplici come la colomba della pace ma tenaci più della morte. Non è facile parlare di riconciliazione
a chi ha sofferto la morte di un figlio, del marito, della mamma; a
chi è rimasto mutilato per il resto della vita dalla cattiveria umana.
Per comprenderlo non occorre andare troppo lontano, basta abbassare lo
sguardo in noi stessi. Quante volte siamo stati incapaci di perdonare
una piccola offesa, uno sgarbo, una scortesia, una mortificazione? Eppure la risposta a tutti i mali del mondo è proprio in quella piccola parola magica: riconciliazione. Riconcilazione che nasce dal perdono. La pienezza del messaggio che da due millenni ha ammaliato e ammalia milioni di seguaci di Gesù di Nazareth
è in quelle parole. Ti perdono, ti chiedo perdono. Non perché non ci
sia stato il danno, non perché sia insensibile al male ricevuto. No, ti
perdono, ti chiedo perdono perché è l’ unica cosa da fare per
continuare a vivere sereno.
L’URAGANO FRANCESCO SULLA
COLOMBIA. Ingrid Betancourt, per oltre 6 anni sequestrata delle FARC:
“Ci ha ricordati che non possiamo restare aggrappati alla vendetta e
all’odio per il nemico” (www.terredamerica.com)
Ingrid Betancourt oggi. Nel riquadro una immagine degli anni del sequestro (2002-2008)
“In questi ultimi giorni
abbiamo visto molti uragani come Irma. Papa Francesco allo stesso modo è
stato un uragano che è passato per la Colombia muovendo le strutture e
interpellato intimamente i colombiani”. Lo ha detto l’ex candidata alle
presidenziali colombiane, Ingrid Betancourt, ospite dello speciale del
‘Diario di Papa Francesco’ sulla televisione italiana Tv2000 commentando
il viaggio del Papa in Colombia. “Francesco – ha aggiunto la Betancourt
– ha toccato i nostri cuori. Ci ha obbligati a guardare noi stessi come
vorremmo essere e come dovremmo guardare chi ci ha fatto del male. E’
come fare un auto analisi e guardare in faccia la nostra umanità a
livello individuale e collettivo. Come colombiana vedendo da lontano ciò
che sta succedendo in Colombia è stato veramente commovente vedere come
si sia accesa una luce di speranza e gioia nei volti sofferenti e
mutilati del popolo colombiano”.
S.E. Mons. Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna.
Moderatore:
Alberto Savorana, Direttore di Tracce
Moderatore: Benvenuti a questo incontro del Meeting 2005 sulla libertà cristiana, la libertà come liberazione. Protagonista di questo di
dialogo è Sua Eccellenza Monsignor Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna. Capirete, ascoltando il suo intervento, perché abbiamo scelto lui per affrontare questo impegnativo tema, così grave ed attuale.
Vi dico solo che in lui noi abbiamo sempre notate ed ammirato uno strenuo, appassionato difensore di una fede ragionevole, che
per questo non ha patito timore, non ha avuto timore nello sfidare i tanti maestri del dubbio della nostra epoca, in una autentica lotta, per mostrare come il valore, il significato delle parole più decisive, fondanti l’esperienza umana, trovano nella fede, nell’avvenimento cristiano, la loro sorgente e il loro compimento, la loro verità più autentica. Per questo è stato naturale rivolgerci a lui: per essere aiutati, per essere aiutati ad approfondire il significato di una parola che sicuramente - e il Meeting di questi giorni lo testimonia in modo
eclatante - dice la situazione della nostra società e dell’uomo contemporaneo.
“L’uomo è condannato ad essere libero”: lo ha scritto Jean Paul Sartre. Ma come “condannato”? Possibile che quello che tutti avvertiamo come il termine di un’esperienza elementare, di una positività, possa essere avvertito e subito come una condanna, come qualcosa che fa violenza alla natura del nostro io? Deve essere successo veramente qualcosa di grave, una mutazione profonda della coscienza dell’io, per sentire come condanna quello che istintivamente avvertiamo come il bene più grande che i cieli abbiano donato agli uomini.
E io credo che per questo, anche per questo, Benedetto XVI vi abbia fatto riferimento, nel suo messaggio con cui abbiamo aperto il Meeting di quest’anno, quando ha scritto che il tema è di straordinaria importanza in un momento storico e culturale nel quale nulla è così frainteso come il termine “libertà”.
Parlando a Rimini, tanti anni fa - era il 1983 e il Meeting muoveva i primi passi, timidi ma sicuri sulla scena italiana -, Don Giussani, che è padre della realtà che ha dato vita a questo fenomeno, a questo avvenimento di popolo, parlando della libertà di Dio esordì il suo intervento con questa frase: “Io ci tengo alla mia libertà. La libertà è un irrinunciabile. Non esiste persona, non esiste un io, se non nella libertà”.
Ecco, io sento di poter dire, assieme a Giussani, che ci tengo, ci teniamo alla nostra libertà. Capiamo che senza di essa non potremmo essere del tutto noi stessi, che non saremmo soddisfatti nelle nostre esigenze elementari di bellezza, di verità, di giustizia, di felicità. Essa, infatti, ispira un sentimento totale di compimento: altro che
condanna, altro che schiavitù della libertà!
Ma allora - ed entriamo nel titolo che Sua Eccellenza ha voluto dare a questo incontro- perché, se sentiamo, a dispetto dei Sartre contem
poranei, la libertà come bene, la liberà come la struttura del nostro io, avrebbe bisogno di essere liberata? Liberata da che cosa? Per che cosa? E questa è la domanda con cui ci prepariamo ad ascoltare
La
morte dello zio per Alessandro. Gli attentati di Barcellona per Agnes.
Uno spettacolo su "I promessi sposi". Dialoghi, giochi insieme e
incontri con un denominatore comune: la vita. Ecco cosa hanno vissuto
500 ragazzi alla tre giorni di La ThuilePaolo PeregoIl primo freddo si fa sentire. Sul pratone dietro l’Hotel Planibel di La Thuile
cinquecento persone, per lo più ragazzi tra i 15 e i 18 anni, sfidano
vento e pioggia ballando e cantando. Un nonna col nipotino non può
evitare di fermarsi a guardare stupita lungo la strada. Dei ciclisti
bloccano le loro mountain bike e osservano sorridendo. «John Brown giace nella tomba là nel pian…», cantano i ragazzi, con alcuni adulti tra loro che provano a stargli dietro.
«Il Mistero canta fra noi. Impariamo ad ascoltarlo». Parlava del fare silenzio don Pigi, guida dell’Equipe di inizio settembre di Gioventù Studentesca,
introducendo l’assemblea di poche ore prima. E anche su quel prato, non
sono solo i ragazzi e i professori che li accompagnano, a cantare.
Da
"Tracce" di luglio-agosto, l’ex terrorista delle Brigate Rosse nel
commando di via Fani racconta il suo cammino: un muro di ideologia
sgretolato da «accenti di umanità». L’abbraccio del figlio di Bachelet,
l’amicizia di Agnese Moro...Paola BergaminiSettembre 1974. In un blitz dei carabinieri vengono arrestati Renato Curcio e Alberto Franceschini, capi delle Brigate Rosse. Un fatto che dà uno scossone all’organizzazione terroristica, al punto che dopo qualche giorno, Mara Cagol, moglie di Curcio, dice a Franco Bonisoli:
«Se vuoi tornare a casa, sei ancora in tempo. Non sappiamo cosa accadrà
domani». Franco ha diciannove anni, ma le parole della brigatista non
scalfiscono la scelta che ha fatto da poco: la clandestinità. La
militanza attiva nel Partito comunista, prima a scuola e poi in
fabbrica, ormai gli sta stretta. È un giovane brillante, i suoi
genitori, operai, di fede comunista, sono orgogliosi di questo figlio,
diplomato a pieni voti alle scuole serali, che fa politica e si batte
per gli ideali del partito. Ma per lui non è sufficiente. Ci vuole di
più. Ci vuole la rivoluzione contro il sistema, contro lo Stato. Per
cambiare definitivamente. Per questo si arruola nelle Brigate Rosse che
ha conosciuto a Reggio Emilia, la sua città. Vuole dare tutto di sé. E
per lui, in quel frangente storico, quel “tutto” ha un nome: lotta
armata.
LA PRESENZA DI FRANCESCO
NELLA PACIFICAZIONE COLOMBIANA. Non garante, non mediatore, bensì un
carisma che ha sostenuto, spinto, incoraggiato (www.terredamerica.com)
Preparativi…
di Luis Badilla Città del Vaticano
Papa
Francesco in Colombia, in quattro importanti città, fra tre giorni, dal
6 al 10 settembre, dirà ai colombiani, cattolici e non, delle cose
molto rilevanti per il loro futuro, che sostanzialmente rientrano in una
sorta di assioma pastorale che già ha spiegato in diverse occasioni: la
vera speranza indica un solo sentiero possibile ed efficace: la pace
nella riconciliazione, per curare le molte ferite e quindi sanare i
cuori. Le vittime, oltre 500mila, dei conflitti degli ultimi 70 anni
devono essere l’icona e il monito di ciò che – con Francesco in testa –
in tutta la Colombia sarà l’urlo più profondo, agognato e atteso: mai
più! mai più!
L’esperienza di Mirko Iezzi e altri studenti di Chieti raccontata all’Assemblea di AIC del 22 agosto 2017Buonasera
a tutti, sono Mirko e sono un amico di Peppe Fidelibus e di Letizia e
sono qui a parlare anche a nome dei miei amici Antonella, Fabiana, Alice
e Valentina, perché senza la loro amicizia sicuramente non sarei qui
oggi al Meeting. Insieme a loro ho vissuto gli anni universitari e
realizzato progetti culturali, crescendo in un’amicizia che dura
tutt’oggi nonostante le distanze. Fin dall’università, o almeno da
quando abbiamo incontrato il movimento, abbiamo sempre avuto il
desiderio di approfondire i temi oggetto del nostro studio e spesso
abbiamo portato in università le mostre del Meeting di Rimini. Oggi
infatti alcuni di noi sono qui a guidare due mostre: Fabiana e Antonella
quella su Pinocchio e Io, Alice e Valentina quella sulla Russia, la cui
passione per noi è nata dall’incontro con la mostra su Solženicyn. Ogni
volta che ci impegniamo nella realizzazione di un progetto siamo sempre
liberi dall’esito e di fronte alle difficoltà non ci arrendiamo
facilmente. Era il nostro ultimo anno di università quando Fabiana ci
mostrò la foto del Vecchio bonefrano, scattata dal
fotografo Tony Vaccaro, originario del suo paese (Bonefro, in provincia
di Campobasso), vissuto in America e che ha partecipato alla Sbarco in
Normandia.
Quella foto ci colpì, e continua a farlo
tuttora, per la sua bellezza e ci provocò a tal punto che iniziammo ad
interessarci alle foto e alla vita di quell’uomo, che volevamo
incontrare e conoscere, essendo lui ancora vivente (oggi
infatti Tony ha 94 anni e vive a New York). Inizialmente non avevamo
alcuna pretesa e l’idea di voler realizzare una mostra nacque mentre
guardavamo le foto.