martedì 2 ottobre 2018

Alce Nero, capo Sioux, sciamano e cristiano, verso la santità

Il personaggio
 
Spirituale e profetica, la «visione» di Alce Nero tradita dal biografo, che omise la conversione
«Questo dunque non è il racconto di un grande cacciatore, né di un grande guerriero, sebbene ai miei tempi io abbia cacciato molta carne e lottato per la mia gente(…) Lo stesso hanno fatto molti altri, e meglio di me». Il vecchio sciamano Alce Nero lo ricorda nel suo racconto, «ma ora che posso vedere tutto dall’alto, so che era la storia di una potente visione»… un albero sacro, apparizioni, un popolo che morì nella neve insanguinata… «Ma se la visione era vera e potente, come io so, essa è vera e potente ancora, perché simili cose sono dello spirito, ed è nell’oscurità dei loro occhi che gli uomini si perdono».
La vera visione è quella dello spirito, la vista degli occhi è ingannevole. Una concezione presente in tutti mistici e visionari in ogni tempo e cultura. Che Alce Nero vive in quanto sciamano, guaritore della tribù Lakota Sioux. Lo stregone è leggendario nel mondo degli indiani: lui era cugino di Cavallo Pazzo, amico del grande capo Sioux Nuvola Rossa, passato di grande guerriero nella lotta di resistenza contro i bianchi invasori Giovanissimo, a 12 anni Alce Nero aveva partecipato alla battaglia di Little Big Horn (1876), in cui i Sioux, guidati da Toro Seduto, avevano trionfalmente sgominato un corpo dell’esercito degli Stati Uniti comandato dal generale Custer. Nel 1887, a 24 anni, aveva seguito in Inghilterra Buffalo Bill, col suo spettacolo circense. Un’esperienza deludente, per lui, come scrisse nell’autobiografia a cui facciamo riferimento. Finita la tournée ritornò negli Stati Uniti. Nel 1890 era presente a Wounded Knee, dove rimase ferito nell’eccidio compiuto dall’esercito degli Stati Uniti.
Alce Nero era vecchio e semicieco quando lo scrittore John G. Neihard andò a trovarlo sulle montagne del Big Horn. Lo accolse come un predestinato a raccogliere la storia di un popolo, ma soprattutto un evento che precedeva e superava la storia, la sua Grande Visione.

Il lunghissimo racconto di Neihardt, registrato e scritto nel 1931, fu pubblicato l’anno seguente e divenne un caso editoriale: non so- lo la storia della guerra dei grandi capi e della sconfitta di un popolo, ma le rivelazioni di uno sciamano e l’esperienza della Grande Visione avuta a nove anni. Pagine indimenticabili che ancora oggi colpiscono come quando le lessi appena edite in Italia, nel 1968, nel libro Alce nero parla, edito da Adelphi e da allora sempre presente nelle librerie.
Una visione seguita dalla guarigione di una improvvisa malattia paralizzante ed enfiante: uomini che si precipitano dal cielo con lance, come fulmini, cavalli al galoppo che divengono uccelli, una popolazione di nuvole da cui parlano gli antenati. Visione delle sfere, vapori e voci, più densa e dinamica di quella che ebbe Platone nella sua ascesa alle Muse e alle Sirene. Attorno a questa visione, che Alce Nero ha sempre confermato, un libro di forza, spiritualità e compassione. Minato però da un’omissione grave: tutto quanto Neihardt, con stile pregnante, riporta, è vero, è stato dettato dallo sciamano anziano nel suo villaggio, tradotto in simultanea da suo figlio che parlava inglese e stenografato dalla figlia dell’autore. Tutto vero ed esatto, come Alce nero ribadirà, tranne un particolare: l’autore non scrive, tace, nasconde un fatto: il racconto che sta ascoltando è quello di una parte della vita di uno sciamano che però, in età relativamente giovane, si era convertito al cristianesimo. Il vecchio saggio indiano cugino di Cavallo Pazzo, il medico semicieco che sta rievocando la sua infanzia, la gioventù, le battaglie e le visioni, è cristiano cattolico praticante, rispetta i sacramenti pur non avendo abbandonato le pratiche di guarigione sciamaniche. È un’omissione moralmente grave. Alce Nero, quando lo seppe, se ne indignò. I Gesuiti, che compresero benissimo la situazione, e che consideravano naturale, in quel caso, la coesistenza di fede cristiana e spiritualità sciamanica (lo sciamanesimo infatti, pur avendo sacerdoti dotati di sapienza sacra, non è una religione, ma una disciplina spirituale) da un lato manifestarono una comprensione realmente cristiana, adattando anche la ritualità a elementi della cultura dei nativi, dall’altro però sacrosantamente rivendicarono l’appartenenza del grande sciamano alla religione cattolica.
Ora si è giunti al parere favorevole della conferenza episcopale americana per l’avvio della causa di beatificazione. Tra qualche tempo, quindi, potremmo avere un santo Sioux, combattente al fianco di Cavallo Pazzo e nuvola Rossa, coraggioso e mite lottatore per la libertà del suo popolo, un medico guaritore indiano immerso nella tradizione sciamanica da sempre (sciamani anche il nonno e il padre).
E, nonostante la grave faziosità dell’autore del racconto (che è, sia chiaro, un bellissimo libro), le pagine restano vive, lo spirito brilla di luce e amore: il fatto che assume una nuova direzione, in Cristo, cambia la storia e la fa più piena e bella: Alce Nero, convertendosi alla religione cristiana, sceglieva una diversa visione della vita e della morte. Che ha al suo centro il perdono. Ma la sua anima non aveva nulla da rinnegare, nulla di cui pentirsi.
Roberto Mussapi
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La sua storia di capo e di sciamano, col racconto dell’immagine mistica che ebbe a 9 anni, venne pubblicata da John Neihard che non scrisse che era cattolico. Nel 2017 il via libera alla causa di beatificazione