Cinema.
Arriverà il 15
nelle sale la pellicola “Red Land” del regista italo-argentino
Maximiliano Hernando Bruno: «Il dovere di raccontare»
ROSSO ISTRIA
Il film che rompe il silenzio sulle Foibe
Istria, Italia, settembre
1943. Badoglio, capo del governo italiano, ha firmato l’Armistizio con
gli anglo-americani ed è fuggito insieme al re. L’esercito non riceve
più ordini. Non sa più a chi dovrà obbedire e contro chi dovrà
combattere ora che l’ex alleato tedesco è improvvisamente il nemico.
Il caos regna sovrano in tutta Italia, ma sul confine adriatico diventa
dramma a tinte fosche: i “liberatori” che fanno irruzione in Istria e
Dalmazia non sono inglesi o americani, qui arrivano i partigiani di
Tito, assetati di sangue e determinati a massacrare la popolazione
inerme e confusa. Riassunta oggi nel termine generico di “Foibe”, ha
inizio la pulizia etnica contro gli italiani, culminata con decine di
migliaia di “desaparecidos” e l’esodo biblico di 350mila disperati...
Figura simbolo di tutto ciò è Norma Cossetto, 23 anni, di Visinada
(Pola), studentessa all’università di Padova: catturata per essere
“interrogata”, viene stuprata per una notte intera da diciassette
partigiani, seviziata, mutilata, infine gettata nella foiba di
Surani...
Accadeva 75
anni fa, quanti ce ne sono voluti per avere il diritto di portare alla
luce nel cinema un capitolo di storia troppo scomodo: a rompere oggi il
silenzio è Red Land
(Rosso Istria in italiano), il primo film che osi raccontare ciò che
accadde in Istria, addentrandosi nella complessità di una storia quasi
sconosciuta e mantenendo un perfetto equilibrio di imparzialità.
Prodotto da VeniceFilm «in sette anni di battaglie, prima per rompere i
muri e poi per trovare i fondi, dato che dallo Stato non abbiamo avuto
un euro», sottolinea con orgoglio il produttore Alessandro Centenaro,
arriverà nelle sale cinematografiche giovedì 15 novembre, con
interpreti del calibro di Franco Nero e Geraldine Chaplin, una regia
raffinata che nulla ha a che fare con le fiction all’italiana in salsa
romanesca, fotografia e musica di grande impatto, montaggio affidato a
Marco Spoletini (per intenderci, il candidato all’Oscar con Dogman). L’effetto che Red Landavrà lo si
è visto all’anteprima mondiale di qualche sera fa a Roma, dove un
pubblico da tutto esaurito (presenti anche parlamentari di ogni
schieramento, ed è un bel segno) non ha fiatato per 150 minuti,
catapultato dentro l’azione, travolto da scene che non sono invenzioni
ma avvenimenti reali, fin dalla prima immagine.
Il film si apre e si chiude infatti con le mani di Norma legate ai
polsi dal filo di ferro, protese verso il lontano lembo di cielo che dal
fondo della Foiba riesce ancora a vedere. Ma il regista italoargentino
Maximiliano Hernando Bruno – tra l’altro alla sua opera prima – non
cerca sensazionalismi, anzi li rifugge, e alla storia della Cossetto,
già atroce nei fatti senza bisogno di calcare la mano, non dà più
rilevanza rispetto agli altri personaggi, ognuno rappresentativo di un
aspetto di quei giorni convulsi. Bruno non tralascia niente, via via
“fotografa” ogni cosa: la secolare convivenza pacifica tra italiani e
croati fino a prima della guerra, l’insofferenza della popolazione
slava per l’italianizzazione forzata da parte del fascismo (vietata
anche la Messa in croato), lo spaesamento dei giovani militari dopo l’8
settembre (rimanere fedeli all’Italia, sì, ma chi è l’Italia adesso?
obbedire al re? al duce?) per cui alcuni disertano e non per questo sono
vigliacchi, altri restano fedeli al duce e non per
questo sono belve, altri ancora nella speranza di abbattere il fascismo
si uniscono ai partigiani di Tito e non per questo sono brave persone.
Insomma, spezza i cliché Red Land,
senza incorrere nelle caricature macchiettistiche di troppi film
cosiddetti storici. Così Norma, ragazza come tante, ottimista e piena
di vita, può essere – come davvero era – figlia del segretario politico
del Fascio locale, ma non per questo meritarsi quello che oggi
chiameremmo femminicidio. «Prima di girare il film sono andata a
Visinada, volevo vedere i suoi luoghi», spiega Selene Gandini,
commovente ed energica Norma cinematografica. «Ho sentito la
responsabilità di dover rappresentare non un personaggio, ma una
persona. Ho voluto raccontare soprattutto la sua caparbietà nel
continuare a credere che ci sarebbe stato un futuro migliore».
A consegnarla ai suoi aguzzini è il partigiano istriano Giorgio,
intensamente interpretato dallo stesso regista, passato dalla parte dei
titini e convinto in buona fede che sia la scelta giusta. Finiranno
uccisi anche molti come lui, antifascisti, è vero, ma purtroppo
italiani e per questo condannati. In genere la prospettiva còlta nei
film è quella dei vincitori, qui è quella sfaccettata della popolazione
istriana – italiana o slava che sia – travolta da «una guerra in cui
l’Italia non avrebbe dovuto entrare... non saremmo in questa
situazione», come dice il generale Esposito (Alvaro Gradella), isolata
dall’Italia, stretta tra i due fuochi dei nazisti e dei comunisti
jugoslavi, costretta persino a sperare nel ritorno dei tedeschi
affinché la follia delle Foibe abbia fine. Perché avvenne proprio
questo, come ricorda il capo dei titini Mate, interpretato
dall’applauditissimo attore sloveno Romeo Grebensek: «Torneremo –
minaccia all’arrivo dei tedeschi – ma intanto lasciamo un ricordo...».
Gli esuli istriani, per chi in questi decenni ha voluto ascoltarli, lo
hanno raccontato mille volte: i camion della morte vennero in fretta
caricati di padri di famiglia, donne, vecchi, sacerdoti, medici,
studenti, maestri, negozianti, carabinieri... Se la voce degli esuli
ha parlato invano, quella di Red Land urla: c’è anche Norma su quel camion, è già stata stuprata dal branco, a due a due vengono
legati con il filo di ferro, condotti a piedi sul bordo della Foiba, si
spara solo al primo, il secondo cadrà trascinato giù vivo.
La regia non indulge neanche qui al sensazionalismo, non ce n’è
bisogno. Nel film non si vede, ma il corpo di Norma, riesumato nel
dicembre del ’43 dai Vigili del Fuoco di Pola, verrà trovato sopra agli
altri, ultimo a precipitare, proprio come nel film. Giuseppe Comand, 98
anni, è l’unico di quei pompieri ancora vivo e ad Avveniredi
recente ha raccontato che «Norma era quasi seduta, la schiena
appoggiata alla parete di roccia, gli occhi aperti verso l’imbocco
della Foiba»... «Se Satana crede di poter peggiorare l’uomo è davvero
ingenuo», è una delle battute del professor Ambrosin, un grande Franco
Nero che ai giornalisti spiega: «Il professore è l’intellettuale della
storia, non combatte con le armi ma con la parola, e infatti è la
persona più pericolosa per i titini».
«Sono stanco che mi si chieda per quale motivo ho girato questo film»,
si stupisce Maximiliano Hernando Bruno, «sembra che per raccontare
questa storia serva un motivo. La vera domanda dovrebbe essere perché
finora nessuno lo aveva fatto. Il cinema è un mezzo potentissimo, deve
dar voce a queste grida di morte e gridare insieme a loro. Fare questo
film non è stata una scelta, ma un dovere».
Unanime e bipartisan il plauso dei politici. «È un film duro ma molto
bello, capace di raccontare la storia con obiettività notevole – nota
il vicepresidente della Camera, Ettore Rosato (Pd) –. La ricostruzione è
ottima e la recitazione finalmente a livelli altissimi, spero che Red Land
abbia il successo che merita». «È un’opera di verità di alto valore
storico e morale », conferma Maurizio Gasparri (senatore Fi), «ora va
sostenuta dal pubblico e utilizzata come strumento nelle scuole, in
edizione ridotta ». Essendo prodotta in collaborazione con Rai Cinema,
possiamo persino sperare che arrivi in tivù e non alle due del
mattino... Per Paola Binetti, senatrice Udc e neuropsichiatra, «è un
film che unisce una grande delicatezza, ad esempio nel raccontare lo
stupro, e una grande potenza di linguaggio. Magistrale per come rende
lo smarrimento di tutti, anche dei generali, in contrasto con la
crudeltà del titino, descritta come fosse una tipologia psichiatrica,
una violenza patologica. La colonna sonora è originalissima, spesso
fatta più di rumori che di suoni». Il senatore Pd Roberto Cociancich è
figlio di esuli istriani: «Da Red Land
emerge bene che l’antifascismo è stato utilizzato per operazioni che
in realtà erano anti italiane. È grave la responsabilità della sinistra
italiana che in passato ha agevolato una lettura negazionista,
riduzionista, giustificazionista. Il film è intenso dall’inizio alla
fine, e fa meditare: l’Istria era una piccola Unione europea di
secolare convivenza tra popoli molto diversi, ma era anche un
ecosistema fragile, visto cos’è successo... Se oggi lasceremo
riemergere i nazionalismi, tratto saliente di quei tempi, e rinunceremo
al grande progetto di un’Europa dei popoli, ne faremo una grande arida
Terra Rossa e coloro che gettavano nelle Foibe i nostri cari avranno
davvero vinto».
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Quello che avviene sul confine adriatico all’indomani dell’armistizio
nel settembre del 1943, la pulizia etnica dei partigiani di Tito e
l’esodo dei 350 mila disperati, scorre crudo nel lavoro presentato a
Roma Figura simbolo è Norma Cossetto (interpretata da Selene Gandini),
studentessa dell’università di Padova seviziata per una notte intera e
mutilata prima di essere gettata nella foiba di Surani

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