sabato 24 febbraio 2024

Messaggi che bucano i muri

 

Messaggi che bucano i muri






DELFINA BOERO

Secondo fonti indipendenti, in Russia il numero dei prigionieri politici è in aumento. Ma parallelamente cresce un’ampia rete di volontari che visitano le prigioni o scrivono ai detenuti. A volte basta una lettera o qualche notizia per ricordare loro che qualcuno li pensa.

Il volontariato a favore dei carcerati è sempre stato praticato in Russia e più o meno «tollerato» da tutti i regimi a cominciare da quello zarista. Basti ricordare l’aiuto medico e spirituale del dottor Haas ai forzati o la copia del Vangelo donata a Dostoevskij al suo arrivo nel carcere di transito di Tobol’sk.

Dopo la rivoluzione la tradizione è proseguita con alterne vicende: un pacco di indumenti caldi o alimenti diventava un punto di speranza per tanti detenuti dispersi nell’universo concentrazionario sovietico. Oggi quest’opera prosegue con l’aiuto delle nuove tecnologie, e in rete si moltiplicano i gruppi di volontariato che aiutano i prigionieri politici o offrono linee-guida a chi desidera sostenerli. Sarebbe impossibile menzionare tutte le iniziative che negli ultimi anni stanno fiorendo in Russia nonostante le strettoie per cui devono passare.

Ne citeremo solo alcune.

Da dieci anni rosuznik.org («il prigioniero russo») cura la corrispondenza con i detenuti, spiegando come spedire una lettera cartacea o mettendo a disposizione un modulo on line per scrivere loro una mail.

Siccome non tutti i luoghi di detenzione hanno un servizio di posta elettronica per i carcerati, rosuznik stampa le mail dei volontari, e le spedisce per posta normale insieme a un’altra busta e ai francobolli per la risposta.

Il sito presenta brevi biografie dei detenuti a cui scrivere con il loro indirizzo, pubblica brani dalla corrispondenza con i volontari; spiega le motivazioni del gesto, come vanno redatte le lettere, quali argomenti evitare per scansare la censura e quali invece sono accettati e possono piacere a chi sta in carcere. La gestione del sito e le spedizioni sono finanziate solo dalle offerte dei simpatizzanti. Ad oggi i volontari di rosuznik scrivono a 128 prigionieri in tutto il paese, migliaia le lettere inviate, anche attraverso il sistema del Servizio federale per l’esecuzione delle pene (FSIN), nonostante rosuznik non nasconda le proprie posizioni democratiche e spieghi in modo sobrio ma chiaro che in Russia è in atto una «criminalizzazione dell’attività politica», citando dati e fatti.

Nella stessa direzione ma con un taglio diverso lavora il gruppo facebook «Skazki dlja politzaključënnych» («fiabe per prigionieri politici»), un progetto «benefico e apolitico» fondato nel 2015, inizialmente a sostengo delle persone arrestate per le manifestazioni in piazza Bolotnaja a Mosca.

Negli anni successivi, l’attività si è gradualmente estesa ad altri detenuti. Coordinata da Elena Efros, madre del regista Evgenij Berkovič, ha un indirizzario di oltre mille destinatari.

Il progetto non vuole solo far entrare «una boccata d’aria fresca nello spazio angusto della cella, ma anche ricordare ai detenuti e alle guardie che la persona non è dimenticata e lasciata sola faccia a faccia con il sistema». Perché fiabe? «Perché nelle fiabe trionfano sempre la verità, il bene e la giustizia, che vincono anche nella vita reale, magari non subito ma immancabilmente».

Le migliaia di lettere inviate finora dai volontari contengono non solo fiabe in senso stretto, ma anche biografie di personaggi celebri, viaggi virtuali, notizie sulle novità tecnico-scientifiche o racconti di vita vissuta. Interessante la variopinta chat dei volontari, che condividono liberamente notizie sui detenuti a cui scrivono, disegni, racconti sulla vita di ex prigionieri del GULag, come quello apparso di recente sulla pianista Vera Lotar-Ševčenko, che fu aiutata da Marija Judina a reinserirsi nella società dopo anni di lager e di confino.

Una fiaba illustrata da V. Barinov. (facebook)

E se capitasse a me?

L’ultimo frutto di questo fervore creativo è «Tjuremnyj vestnik», letteralmente Il bollettino carcerario, una rivista artigianale, di pochi fogli, che vuole colmare il vuoto informativo dei detenuti e rompere almeno in parte il loro isolamento. Avendo una bassa tiratura, non figura fra i mass media ed è di fatto un samizdat di nuova generazione, ma prodotto e distribuito nel pieno rispetto delle leggi russe.

A pubblicarla ormai da un anno è l’informatico Pëtr Losev, ex coordinatore delle campagne elettorali dell’opposizione. In una recente intervista al portale indipendente «Važnye istorii» ha spiegato com’è nato il progetto: nel 2022 hanno messo dentro un suo conoscente, e Pëtr lo ha saputo solo per caso. «Ho pensato: e se capitasse a me? La gente ha i suoi impegni e i suoi problemi, non ha tempo di pensare anche ai detenuti, è normale.

Non è normale però che i prigionieri politici, che non risparmiano forze e salute per noi, vengano dimenticati da tutti. Quindi ho deciso di dare loro una mano. Se, Dio non voglia, metteranno dentro me o voi, questo giornalino aiuterà almeno un po’ a mitigare la grigia quotidianità del carcere».

Losev spiega che il compito principale del «Vestnik» è dare ai detenuti un’idea di ciò che succede fuori. Non solo la cronaca locale o mondiale, ma anche «il contesto quotidiano, l’aria che tira, quello che si pensa e si dice».

Losev ha testato l’efficacia di questa idea durante uno scambio epistolare con Il’ja Sačkov, direttore di una società di informatica in carcere per presunto alto tradimento. Ha cominciato a raccontargli in due o tre frasi gli avvenimenti del mese: la guerra ma anche «le barzellette su Vkusno i točka» («È buono, punto e basta»), la nuova catena russa di fast food che ha sostituito McDonald’s dopo l’invasione dell’Ucraina, o i meme su Ryan Gosling che interpreta Ken nel film Barbie. Il destinatario gli ha risposto che era proprio questo che gli mancava.

La struttura del «Vestnik» è molto semplice: una cinquantina di notizie di due o tre frasi, la rubrica «Discussioni su twitter» con i temi più dibattuti sul segmento russo del social, la colonna scritta da un prigioniero politico o da un giornalista, brani dalle lettere dei lettori. C’è anche una rassegna dei meme più famosi del mese.

Ma la principale attrazione è la fantastica copertina, in cui il disegnatore della rivista riesce a stipare tutti gli avvenimenti del mese: «Cinquanta rebus su un’unica copertina, e ognuno di questi è una notizia».

vestnikA giudicare dalle centinaia di lettere di risposta a ogni numero, fotografate e pubblicate sul canale Telegram di Losev la rivista è molto apprezzata da detenuti e non. «C’è chi riceveva “Vestnik” in carcere ma ora è in libertà e ha già scritto delle colonne per noi», spiega l’editore.

Come Andrej Borovikov, ex coordinatore del quartier generale di Naval’nyj per la regione di Archangel’sk, condannato a due anni e mezzo di colonia penale, ufficialmente per aver diffuso del materiale pornografico. In effetti aveva ripostato la clip della canzone Pussy dei Rammstein, indubbiamente di contenuto hard, che però, a torto o a ragione, circola liberamente on line in molte parti del mondo. Liberato nel maggio 2023 con una riduzione di pena di tre mesi, ha raccontato che in carcere si sentiva come un mendicante che elemosinava «avanzi di informazione», se non altro per far funzionare il cervello.

«Risposte come queste ci spronano a continuare, perché non lavoriamo per lo stipendio», commenta Losev, consapevole che in carcere c’è gente che aspetta. Alcuni detenuti scrivono che, quando ricevono un numero della rivista, lo danno da leggere a tutta la cella, compresi i delinquenti comuni, che «vanno matti» per tutto quello che succede in Russia.

Nelle risposte dei prigionieri politici, a volte emergono le loro storie: Il’ja Jašin, ex deputato comunale condannato a otto anni e mezzo di colonia penale per «fake news» sull’esercito, ringrazia per la rivista che legge con interesse: «Incrociando le dita, per ora non ho problemi con la censura. Ho il sospetto che anche i censori si divertano a leggere queste cose. Per un prigioniero politico l’informazione indipendente è l’unico habitat possibile, e i vostri invii sono come una boccata d’aria per chi sta per soffocare».

Oggi «Vestnik» ha una tiratura di circa 250 copie, ma i prigionieri politici in Russia sono molti di più. Quando hanno iniziato il progetto, Losev e i suoi collaboratori si sono serviti di data base già esistenti, come quello di «Svobot», letteralmente «il bot della libertà», un bot di Telegram per inviare lettere ai prigionieri politici, ma alla fine hanno deciso di costruire ex novo un proprio sistema di gestione dei dati, basato su criteri più attuali: «Siccome vengo dal mondo degli affari e dell’amministrazione, tutta l’attività operativa di “Tjuremnyj vestnik” è automatizzata fin nei minimi particolari».

Una scelta peculiare di «Vestnik» è che fra i suoi destinatari non ci sono solo i prigionieri politici in senso stretto, ma anche dei detenuti per diserzione e altri reati comuni, il cui orientamento e impegno politico costituiscono però un’aggravante per la giustizia russa.

Tuttavia, la maggior parte dei destinatari della rivista sono persone di cui non si sa nulla o quasi, di cui i mass media non parlano e a cui i volontari non scrivono. «Lavorare con loro è il nostro compito principale», osserva Losev. «Ho mandato delle lettere ad alcuni attivisti contro la guerra dei quali perfino il portale indipendente per i diritti umani “OVD-Info” ha scritto una sola volta e di cui non si hanno più altre notizie. Molti di loro non hanno mai fatto politica: li hanno messi dentro perché sono usciti con un manifesto o per dei commenti su Odnoklassniki».

 Censura e diritto di corrispondenza 

Per passare la censura carceraria, «Vestnik» usa il «linguaggio esopico»: «Da noi c’è la censura, quindi scriviamo le notizie in modo che siano inattaccabili. Ad esempio, ne mettiamo alcune in fila. Una sola non dice niente, ma lette insieme possono significare qualcosa». Sono bandite le parole che irritano le autorità: «Se loro non chiamano per nome alcuni personaggi, non lo facciamo neppure noi. Diciamo ad esempio che “il nemico della corruzione ha dichiarato…”. Oppure, simulando la propaganda russa, scriviamo: “Se la Russia c’entri con l’attacco all’Ucraina, non è dato sapere…”». Chi vuol capire, capisca.  «Per ora nessuno si è lamentato che scriviamo in gran parte per allegorie. È tutto chiaro».

Un terzo delle copie arriva stabilmente ai lettori con allegata una busta per confermare la ricezione della rivista. Gli altri due terzi non rispondono, forse perché il numero non ha passato la censura o forse perché il destinatario non ha voglia di mandare la conferma.

Sicuramente nel 3% dei casi il motivo è la censura. Losev osserva che in alcune colonie penali la mancata consegna delle lettere è dovuta a semplice incuria, perché gli addetti non sono passati a ritirare la posta o l’hanno fatto con due mesi di ritardo. Il penitenziario ha l’obbligo di ricontrollare e consegnare una lettera entro sette giorni dall’arrivo in posta, ma secondo l’editore il 90% delle lettere vengono recapitate fuori tempo massimo. Il disservizio secondo Losev dipende dal fatto che quello del censore in carcere è un mestiere ingrato, poco pagato, e chi lo fa «sta lì a scaldare la sedia». Ma ci sono anche dei censori autoritari che non consegnano certe pubblicazioni perché a loro avviso «contengono delle informazioni eversive».

A volte la consegna della corrispondenza viene usata come strumento di pressione sui detenuti. Tant’è che i redattori di «Tjuremnyj vestnik» hanno messo in atto un secondo progetto, «Svoboda perepiski» (Libertà di corrispondenza), per tutelare il diritto dei detenuti a ricevere posta. Hanno deciso di farlo quando hanno saputo che i censori a volte non solo non consegnano le riviste, ma possono anche non consegnare le lettere personali, perché usano la corrispondenza come arma di ricatto. Se un detenuto secondo l’amministrazione «si comporta bene» gli consegnano la posta, altrimenti no, il che è esplicitamente illegale.

«Grazie a “Vestnik” siamo riusciti a individuare le persone a cui l’amministrazione non consegna nulla, fra questi Vladimir Domnin, che di recente ha battuto il record di permanenza in cella di rigore, 55 giorni». Dopo che Losev e i suoi collaboratori hanno fatto causa al penitenziario di Uglič, dove Domnin è detenuto, l’amministrazione del carcere ha cominciato a consegnargli la posta.

Lo staff di «Tjuremnyj vestnik» è formato da nove persone, ma a lavorarci stabilmente sono solo in tre: lo stesso Losev, il manager e l’impaginatore. Il problema principale sono i finanziamenti: «Porterei volentieri la tiratura a 999 copie, il massimo consentito per legge. E magari ci piacerebbe registrarlo ufficialmente come mass media, perché chiunque in carcere possa abbonarsi, ma per ora il budget non lo permette».

«Mi colpisce quanto sia difficile cercare soldi – si stupisce Losev – Abbiamo un progetto chiarissimo e un obiettivo altrettanto chiaro: aumentare la tiratura. Di gente che ha i soldi ce n’è, ma quando vado a chiedere anche una piccola cifra, mi dicono: “È un progetto fantastico, dovete trovare qualcuno che ve lo finanzi”. Ma io sto chiedendo a voi di farlo!».

Per intanto «Vestnik» va avanti con le offerte della gente comune.

A parte un caso isolato, al momento i lettori di «Vestnik» non hanno mai subito vessazioni per il contenuto della rivista.

(continua su La Nuova Europa)

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