VERSO LA GMG
di Isabella Alberto
18/07/2013 - Nella sua visita a Rio, papa Francesco visiterà anche la favela di Varginha. Siamo andati a vedere come lo stanno attendendo Everaldo, Dilza, Amara... Fino agli evangelici. (da Tracce.it)
Dal centro di Rio arriviamo in treno alla stazione di Manguinhos.
Sono venti minuti di viaggio in un convoglio precario che durante la
settimana corre stracarico di lavoratori. La favela, a nord, è
molto povera. Di lontano si vede ancora il Cristo Redentore a braccia
aperte, ma la parte più bella della città è a chilometri di distanza.
Nell’aria c’è un cattivo odore che viene dal rio Jacaré, il
fiume inquinato che attraversa la regione. Sul lato destro della linea
ferroviaria si vede un ammasso di case senza intonaco, con vicoli
ovunque, resti di demolizioni e molta sporcizia. È la parte conosciuta
come favela di Manguinhos. Alla sinistra, un po’ più ordinata, con
strade più larghe e case migliori, ci sono le favelas di Varginha e di
Mandela.
A Varginha, dal 1971, funziona una cappella molto semplice dedicata a San Girolamo Emiliani. È stata costruita da padri italiani dell’ordine dei Somaschi, che negli anni Settanta cercavano di evangelizzare le comunità povere della città e passando in quei luoghi si sono fermati per occuparsi dei residenti di Varginha. La cappella si trova all’ingresso del quartiere, in rua José Carlos Chagas, ed è frequentata nei fine settimana. È aperta il sabato mattina per la catechesi dei bambini e la sera per un gruppo di preghiera. Le messe sono celebrate la domenica da padre Márcio Queiroz, che è anche direttore del settore Comunicazione della Diocesi. È stato tra i primi a sapere che qui, a luglio, sarebbe venuto il Papa.
La visita del Santo Padre qui sarà giovedì 25 luglio, alle 11. «È una gioia che la GmG si svolga a Rio de Janeiro, ed è una gioia ancora più grande ricevere qui papa Francesco», dice Everaldo Oliveira, che lavora come installatore elettrico ed è uno dei coordinatori della parrocchia e membro del team responsabile della visita del Papa a Varginha: «Vederlo passare nella mia comunità e nella mia strada è come dire che verrà nel cortile di casa mia. Quindi stiamo preparando i cuori della comunità».
Everaldo ha 42 anni, è nato e cresciuto a Varginha. Ricorda che per tutta la vita ha frequentato la chiesa, perché suo padre serviva come ministro dell’Eucaristia, e da quando aveva tre anni lo ha sempre accompagnato nelle celebrazioni. «La mia vita nella chiesa è molto lunga. È da quando avevo 16 anni che servo i movimenti pastorali».
Dietro l’altare, ma non può ancora essere fotografata, si trova la nuova immagine del santo patrono della cappella, donata dai padri Somaschi di São Paulo. «Il quadro non ha il volto di un santo, come potremmo immaginare. È un uomo dal viso sofferto che accoglie i bambini. San Gerolamo Emiliani è il patrono degli orfani e dei bambini di strada», spiega Everaldo. L’immagine è stata donata da poco alla comunità e sarà collocata nella chiesa quando Papa Francesco celebrerà il rito della benedizione del nuovo altare in una cerimonia riservata a 50 persone, visto che la cappella non ne può contenere di più.
Percorrendo la strada della cappella, abbiamo trovato una vetrata con l’immagine di Nostra Signora di Aparecida, patrona del Brasile, e una targa di ringraziamento ai residenti che hanno contribuito alla sua costruzione, con la data di inaugurazione, nel 2005. Ogni settimana un gruppo di devoti si riunisce davanti a questa immagine per recitare il Rosario. «Un sacco di gente vuole vedere il miracolo», dice Everaldo, che partecipa al gruppo di preghiera: «Ma qual è il più grande miracolo che Cristo opera nella nostra vita? È la nostra trasformazione spirituale, la nostra conoscenza, la nostra capacità di imparare a donarsi agli altri. C’è anche chi è stato guarito dalla tossicodipendenza, ma il miracolo più grande è che Lui mi ha chiamato e mi ha dato la possibilità di seguirlo. La vita della comunità cambia quando le persone cominciano ad accettare Cristo vivente».
Andiamo ancora più avanti e arriviamo a un campo di calcio, vicino a due chiese evangeliche con cui è iniziato un dialogo perché la visita del Papa sia un momento ecumenico. «Papa Francesco infatti è molto aperto verso le altre chiese, verso tutti coloro che cercano Cristo», dice ancora Everaldo: «Il pastore di questa chiesa evangelica di fronte al campo è un mio amico d’infanzia: mi ha detto che accoglierà il Papa a braccia aperte e inviterà tutta la sua comunità a partecipare. E quindi aspettatevi un incontro ecumenico, quel giorno».
Da una pedana sopra lo spogliatoio del campo di calcio, il Papa saluterà la gente e farà un discorso alla comunità. Si spera che durante questo incontro saranno presenti anche i residenti delle comunità vicine. «Stiamo facendo la pulizia della zona dietro il campo, dove c’era una discarica, e quello sarà il luogo da cui i giornalisti seguiranno l’evento. Ci sarà anche uno spazio riservato ad anziani e disabili, ma non investiremo molto denaro per le strutture, visto che siamo una comunità povera e il Papa stesso richiede questa parsimonia», conclude Everaldo.
I 200 metri che separano la cappella dal campo di calcio, il Santo Padre li percorrerà a piedi. I residenti della strada si aspettano uno sguardo, un cenno del capo, e anche una benedizione. C’è grande attesa perché ha accettato di entrare in una di quelle umili case per benedirla. Amara Marino Oliveira, di 82 anni, è una delle persone più ansiose di vivere questo evento. Il suo viso è rugoso, segnato dall’età e da una vita molto difficile. Ci ha chiesto di aspettare un poco prima di parlare con noi: ha indossato il suo vestito migliore, si è messa il rossetto e si è aggiustata i capelli. Vive in una casa semplice, al pianterreno, con macchie di umidità sulle pareti, perché quando piove molto il fiume straripa e l’acqua entra nelle case, come dappertutto in quella regione. Ha un bel crocifisso appeso all’ingresso della casa e in sala l’immagine luminosa di Nostra Signora di Aparecida sopra la televisione. Non appena ha saputo della visita, ha comprato un grande poster di papa Francesco, ma non è ancora riuscita a farlo incorniciare, perché è una spesa troppo grande per il suo modesto reddito. «È una benedizione, è un miracolo che il Papa abbia scelto la nostra comunità per la sua visita», dice Amara: «Noi siamo molto umili, non abbiamo nessuna protezione, e Dio ci manda questo dono. È una grande felicità».
Si è trasferita cinquant’anni fa da Pernambuco, nel nordest del Brasile, a Rio de Janeiro. Era partita a malincuore, per accompagnare José Roberto, il marito «sognatore». «Sono stata trascinata qui e ho pianto quando sono arrivata a Rio. Qui ho sofferto molto. A Pernambuco mio marito, che era un giornalista, era un uomo importante, conosciuto e rispettato. Molti gli avevano detto che qui sarebbe stato solo uno dei tanti. E lui non ci aveva creduto. Laggiù avevamo delle proprietà, una casa, del terreno. Ha venduto tutto, non abbiamo avuto fortuna e siamo finiti in una favela, nemmeno sapevo che esistessero. Dopo che ci hanno dato lo sfratto: questa casa ci è stata donata dalla Confraternita della Candelaria, e io rispetto molto la mia baracca e i benefattori che mi hanno sostenuto».
Amara è rimasta lì a combattere a fianco del marito, lavorando come cassiera in un cinema, e allevando cinque figli. E prova il dolore di aver perso uno dei suoi ragazzi, morto da giovane a causa della droga. Nella sua camera tiene un grande quadro della Madonna di Fatima, cui Amara è devota fin dall’infanzia. «La amo, è la mia madrina celeste. Parlo ogni giorno con lei, ma a volte mi metto a recitare il Rosario e mi addormento». Dopo la morte del marito, è rimasta sola per qualche anno, poi per due anni è andata a vivere lontano, dalla figlia. Ma ha voluto tornare a casa sua, e attualmente sua figlia Dilza abita qui con lei e cerca di aiutarla, perché l’età si fa sentire e la salute non è più quella di una volta. «Era un po’ demoralizzata, ma la notizia della visita del Papa l’ha rimotivata e le ha dato una gioia che sta contagiando tutta la famiglia», racconta la figlia: «Tutti si stanno organizzando per stare qui con lei quel giorno. E viverlo è già una benedizione. Ha anche sognato il Papa, sperando che venga in casa sua». E la madre aggiunge: «Sono molto fiduciosa che accadrà qualcosa di buono nella mia vita, a 82 anni. Chiedo la grazia che questa terra sia benedetta».
Poiché Manguinhos è un quartiere lontano dalla costa, l’aria è calda e afosa; non fa per niente freddo, nonostante sia appena iniziato l’inverno carioca. È sabato e alcuni uomini a torso nudo bevono birra nei bar. I bambini scalzi giocano correndo per strada. Ci sono anche molte persone che usano la bicicletta come mezzo di trasporto. Nella drogheria di José Luiz Ribeiro c’è ancora poco movimento questa mattina. Viene dal Sud dello Stato di Minas, da 14 anni vive nella favela e con la moglie gestisce il suo piccolo negozio. «Questa visita del Papa sarà molto positiva perché la nostra comunità è povera. Oggi la violenza è diminuita e non vediamo più persone armate per strada, ma il traffico continua e ci preoccupa». E aggiunge: «La presenza del Papa qui da noi è importante anche il confronto con gli evangelici. Dà forza specialmente ai giovani».
Mentre ce ne stiamo andando, vediamo passare due suore della carità che camminano frettolose nei loro abiti bianchi e blu. Sono missionarie di questa regione, e continuano l’opera di Madre Teresa di Calcutta iniziata con la sua visita in quello stesso quartiere nel 1972. Dal gennaio di quest’anno il Dipartimento di Sicurezza ha istituito un’unità di polizia “pacificatrice” nella favela e andandocene vediamo una macchina della polizia circolare per le strade. Vediamo anche la sede di Fiocruz, un istituto di ricerca che fornisce servizi sanitari gratuiti ai residenti della regione.
La comunità di Varginha è molto piccola, si compone di circa 1.100 abitanti, diversamente dalla comunità limitrofa, dove in ogni strada abitano fino a 2.000 abitanti, e la violenza è più forte.
José Luiz sta chiamando la famiglia, figli e nipoti, e anche i genitori che sono già anziani, perché vengano a Varginha il giorno della visita del Santo Padre. «Ho partecipato poco alla vita della Chiesa, più che altro sono devoto alla Madonna. Ma ho deciso che il giorno del Papa non aprirò il negozio. Chiuderò tutto. E aspetterò il suo passaggio».
18/07/2013 - Nella sua visita a Rio, papa Francesco visiterà anche la favela di Varginha. Siamo andati a vedere come lo stanno attendendo Everaldo, Dilza, Amara... Fino agli evangelici. (da Tracce.it)
- Amara Oliveira, 82 anni, una degli abitanti della
favela di Varginha.
A Varginha, dal 1971, funziona una cappella molto semplice dedicata a San Girolamo Emiliani. È stata costruita da padri italiani dell’ordine dei Somaschi, che negli anni Settanta cercavano di evangelizzare le comunità povere della città e passando in quei luoghi si sono fermati per occuparsi dei residenti di Varginha. La cappella si trova all’ingresso del quartiere, in rua José Carlos Chagas, ed è frequentata nei fine settimana. È aperta il sabato mattina per la catechesi dei bambini e la sera per un gruppo di preghiera. Le messe sono celebrate la domenica da padre Márcio Queiroz, che è anche direttore del settore Comunicazione della Diocesi. È stato tra i primi a sapere che qui, a luglio, sarebbe venuto il Papa.
La visita del Santo Padre qui sarà giovedì 25 luglio, alle 11. «È una gioia che la GmG si svolga a Rio de Janeiro, ed è una gioia ancora più grande ricevere qui papa Francesco», dice Everaldo Oliveira, che lavora come installatore elettrico ed è uno dei coordinatori della parrocchia e membro del team responsabile della visita del Papa a Varginha: «Vederlo passare nella mia comunità e nella mia strada è come dire che verrà nel cortile di casa mia. Quindi stiamo preparando i cuori della comunità».
Everaldo ha 42 anni, è nato e cresciuto a Varginha. Ricorda che per tutta la vita ha frequentato la chiesa, perché suo padre serviva come ministro dell’Eucaristia, e da quando aveva tre anni lo ha sempre accompagnato nelle celebrazioni. «La mia vita nella chiesa è molto lunga. È da quando avevo 16 anni che servo i movimenti pastorali».
Dietro l’altare, ma non può ancora essere fotografata, si trova la nuova immagine del santo patrono della cappella, donata dai padri Somaschi di São Paulo. «Il quadro non ha il volto di un santo, come potremmo immaginare. È un uomo dal viso sofferto che accoglie i bambini. San Gerolamo Emiliani è il patrono degli orfani e dei bambini di strada», spiega Everaldo. L’immagine è stata donata da poco alla comunità e sarà collocata nella chiesa quando Papa Francesco celebrerà il rito della benedizione del nuovo altare in una cerimonia riservata a 50 persone, visto che la cappella non ne può contenere di più.
Percorrendo la strada della cappella, abbiamo trovato una vetrata con l’immagine di Nostra Signora di Aparecida, patrona del Brasile, e una targa di ringraziamento ai residenti che hanno contribuito alla sua costruzione, con la data di inaugurazione, nel 2005. Ogni settimana un gruppo di devoti si riunisce davanti a questa immagine per recitare il Rosario. «Un sacco di gente vuole vedere il miracolo», dice Everaldo, che partecipa al gruppo di preghiera: «Ma qual è il più grande miracolo che Cristo opera nella nostra vita? È la nostra trasformazione spirituale, la nostra conoscenza, la nostra capacità di imparare a donarsi agli altri. C’è anche chi è stato guarito dalla tossicodipendenza, ma il miracolo più grande è che Lui mi ha chiamato e mi ha dato la possibilità di seguirlo. La vita della comunità cambia quando le persone cominciano ad accettare Cristo vivente».
Andiamo ancora più avanti e arriviamo a un campo di calcio, vicino a due chiese evangeliche con cui è iniziato un dialogo perché la visita del Papa sia un momento ecumenico. «Papa Francesco infatti è molto aperto verso le altre chiese, verso tutti coloro che cercano Cristo», dice ancora Everaldo: «Il pastore di questa chiesa evangelica di fronte al campo è un mio amico d’infanzia: mi ha detto che accoglierà il Papa a braccia aperte e inviterà tutta la sua comunità a partecipare. E quindi aspettatevi un incontro ecumenico, quel giorno».
Da una pedana sopra lo spogliatoio del campo di calcio, il Papa saluterà la gente e farà un discorso alla comunità. Si spera che durante questo incontro saranno presenti anche i residenti delle comunità vicine. «Stiamo facendo la pulizia della zona dietro il campo, dove c’era una discarica, e quello sarà il luogo da cui i giornalisti seguiranno l’evento. Ci sarà anche uno spazio riservato ad anziani e disabili, ma non investiremo molto denaro per le strutture, visto che siamo una comunità povera e il Papa stesso richiede questa parsimonia», conclude Everaldo.
I 200 metri che separano la cappella dal campo di calcio, il Santo Padre li percorrerà a piedi. I residenti della strada si aspettano uno sguardo, un cenno del capo, e anche una benedizione. C’è grande attesa perché ha accettato di entrare in una di quelle umili case per benedirla. Amara Marino Oliveira, di 82 anni, è una delle persone più ansiose di vivere questo evento. Il suo viso è rugoso, segnato dall’età e da una vita molto difficile. Ci ha chiesto di aspettare un poco prima di parlare con noi: ha indossato il suo vestito migliore, si è messa il rossetto e si è aggiustata i capelli. Vive in una casa semplice, al pianterreno, con macchie di umidità sulle pareti, perché quando piove molto il fiume straripa e l’acqua entra nelle case, come dappertutto in quella regione. Ha un bel crocifisso appeso all’ingresso della casa e in sala l’immagine luminosa di Nostra Signora di Aparecida sopra la televisione. Non appena ha saputo della visita, ha comprato un grande poster di papa Francesco, ma non è ancora riuscita a farlo incorniciare, perché è una spesa troppo grande per il suo modesto reddito. «È una benedizione, è un miracolo che il Papa abbia scelto la nostra comunità per la sua visita», dice Amara: «Noi siamo molto umili, non abbiamo nessuna protezione, e Dio ci manda questo dono. È una grande felicità».
Si è trasferita cinquant’anni fa da Pernambuco, nel nordest del Brasile, a Rio de Janeiro. Era partita a malincuore, per accompagnare José Roberto, il marito «sognatore». «Sono stata trascinata qui e ho pianto quando sono arrivata a Rio. Qui ho sofferto molto. A Pernambuco mio marito, che era un giornalista, era un uomo importante, conosciuto e rispettato. Molti gli avevano detto che qui sarebbe stato solo uno dei tanti. E lui non ci aveva creduto. Laggiù avevamo delle proprietà, una casa, del terreno. Ha venduto tutto, non abbiamo avuto fortuna e siamo finiti in una favela, nemmeno sapevo che esistessero. Dopo che ci hanno dato lo sfratto: questa casa ci è stata donata dalla Confraternita della Candelaria, e io rispetto molto la mia baracca e i benefattori che mi hanno sostenuto».
Amara è rimasta lì a combattere a fianco del marito, lavorando come cassiera in un cinema, e allevando cinque figli. E prova il dolore di aver perso uno dei suoi ragazzi, morto da giovane a causa della droga. Nella sua camera tiene un grande quadro della Madonna di Fatima, cui Amara è devota fin dall’infanzia. «La amo, è la mia madrina celeste. Parlo ogni giorno con lei, ma a volte mi metto a recitare il Rosario e mi addormento». Dopo la morte del marito, è rimasta sola per qualche anno, poi per due anni è andata a vivere lontano, dalla figlia. Ma ha voluto tornare a casa sua, e attualmente sua figlia Dilza abita qui con lei e cerca di aiutarla, perché l’età si fa sentire e la salute non è più quella di una volta. «Era un po’ demoralizzata, ma la notizia della visita del Papa l’ha rimotivata e le ha dato una gioia che sta contagiando tutta la famiglia», racconta la figlia: «Tutti si stanno organizzando per stare qui con lei quel giorno. E viverlo è già una benedizione. Ha anche sognato il Papa, sperando che venga in casa sua». E la madre aggiunge: «Sono molto fiduciosa che accadrà qualcosa di buono nella mia vita, a 82 anni. Chiedo la grazia che questa terra sia benedetta».
Poiché Manguinhos è un quartiere lontano dalla costa, l’aria è calda e afosa; non fa per niente freddo, nonostante sia appena iniziato l’inverno carioca. È sabato e alcuni uomini a torso nudo bevono birra nei bar. I bambini scalzi giocano correndo per strada. Ci sono anche molte persone che usano la bicicletta come mezzo di trasporto. Nella drogheria di José Luiz Ribeiro c’è ancora poco movimento questa mattina. Viene dal Sud dello Stato di Minas, da 14 anni vive nella favela e con la moglie gestisce il suo piccolo negozio. «Questa visita del Papa sarà molto positiva perché la nostra comunità è povera. Oggi la violenza è diminuita e non vediamo più persone armate per strada, ma il traffico continua e ci preoccupa». E aggiunge: «La presenza del Papa qui da noi è importante anche il confronto con gli evangelici. Dà forza specialmente ai giovani».
Mentre ce ne stiamo andando, vediamo passare due suore della carità che camminano frettolose nei loro abiti bianchi e blu. Sono missionarie di questa regione, e continuano l’opera di Madre Teresa di Calcutta iniziata con la sua visita in quello stesso quartiere nel 1972. Dal gennaio di quest’anno il Dipartimento di Sicurezza ha istituito un’unità di polizia “pacificatrice” nella favela e andandocene vediamo una macchina della polizia circolare per le strade. Vediamo anche la sede di Fiocruz, un istituto di ricerca che fornisce servizi sanitari gratuiti ai residenti della regione.
La comunità di Varginha è molto piccola, si compone di circa 1.100 abitanti, diversamente dalla comunità limitrofa, dove in ogni strada abitano fino a 2.000 abitanti, e la violenza è più forte.
José Luiz sta chiamando la famiglia, figli e nipoti, e anche i genitori che sono già anziani, perché vengano a Varginha il giorno della visita del Santo Padre. «Ho partecipato poco alla vita della Chiesa, più che altro sono devoto alla Madonna. Ma ho deciso che il giorno del Papa non aprirò il negozio. Chiuderò tutto. E aspetterò il suo passaggio».