venerdì 8 novembre 2013

Laica inquietudine - Intervista ad Ezio Mauro, direttore di Repubblica

Quei giorni in redazione «c’era un modo diverso di lavorare». EZIO MAURO, direttore di Repubblica, racconta cos’è accaduto dopo la storica lettera di papa Francesco ad Eugenio Scalfari. Il riconoscimento della «tensione positiva di chi non crede», la presenza storica di Cristo «che interpella anche me». E tutti i segni che vede «di una novità che irrompe»


La gigantografia della prima pagina con il titolo «Il Papa: la mia lettera a chi non crede», è appesa nell’ufficio centrale della redazione. Prima non c’era nulla. «È stata un’idea dei giornalisti. Quel fatto storico ha scosso tutti. Il contenuto della lettera a Scalfari ci ha scosso. Non era una risposta formale. In quei giorni c’era una corrente particolare, una fibrillazione positiva, un modo diverso di lavorare. Avviene raramente. Dopo è stata aggiunta la gigantografia dell’11 settembre 2001», spiega Ezio Mauro, dal 1996 direttore de la Repubblica, all’inizio di questo dialogo che è diventato il racconto leale di qualcosa che è avvenuto a partire da quella lettera. Qualcosa che ha lasciato un segno, da cui difficilmente si torna indietro. Non una riflessione intellettuale. Forse per questo le domande prefissate a un certo punto sono saltate. Si è andati dietro al flusso delle riflessioni su ciò che è accaduto da quella lettera.

La prima volta che un Papa scrive a un giornalista. Poteva rispondere dalle colonne de L’Osservatore Romano o di Avvenire.
Appena Eugenio mi ha letto al telefono la lettera ho capito che avevamo tra le mani un documento storico, straordinario: non era una risposta tecnica, canonica, scritta dalle segreterie e poi corretta dal Papa, bensì una risposta impegnativa, che entra in merito ai problemi e poi, soprattutto, con la promessa di un dialogo. Come poi è avvenuto. E ha scelto il nostro giornale, che ha un’identità fortemente laica, anche se tradizionalmente attenta ai temi della Chiesa. Il Papa ci ha riconosciuti come interlocutori. Molto è dipeso sicuramente dalla figura di Scalfari. Francesco lo ha scelto come simbolo del libero pensiero laico, del non credente. Che è ben diverso dal pensiero dell’ateo.

In che senso?
Il non credente ha l’inquietudine di chi cerca di dare un significato alla propria esistenza ed è convinto che questo sia possibile attraverso ragioni che sono profondamente umane. Il Papa ha riconosciuto la valutazione positiva della coscienza come misura dell’umano. Lui è mosso dalla figura di Cristo, Figlio di Dio che si incarna e ritrova la natura divina nella Risurrezione. Lo ha detto: «Gesù ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza». Eppure, senza voler fare proselitismo, ha riconosciuto dignità morale, spirituale all’inquietudine del laico che si muove dentro la finitezza dell’umano, ma che tende al bene. Una tensione positiva di dare significato all’esistenza pur senza un legame esplicito con il trascendente.

Che cosa l’ha colpita, soprattutto?
L’attenzione all’uomo in quanto uomo, la sua elevazione come figura centrale indipendentemente da come la pensa. E poi che per il Papa Gesù Cristo è amore e verità. Amore e verità, come scrive nella lettera, che sono «relazione» con l’altro. La verità non è qualcosa che i più fortunati, i credenti, possiedono ed elargiscono.

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