venerdì 5 febbraio 2016

Turchia: Intervista al nuovo Vicario apostolico

l’altra faccia della Turchia

di Andrea Avveduto
MEDIORIENTE/2
Chi lo ha preceduto è stato ucciso, cinque anni fa. «Ma gli estremisti, qui, sono pochissimi. Mentre ci sono tanti giovani che vorrebbero sapere di più del cristianesimo...». PAOLO BIZZETI, nuovo vicario apostolico in Anatolia, racconta cosa vuol dire testimoniare la fede oggi, in una delle terre dove il cristianesimo è nato

«Quei cristiani hanno diritto ad avere un pastore. In quei luoghi ci sono le radici del cristianesimo». Parla con una certezza incrollabile Paolo Bizzeti, nuovo vicario apostolico dell’Anatolia. Sessantasette anni, fiorentino, cinquant’anni fa è entrato nella Compagnia di Gesù. Appassionato di Bibbia e di Medioriente, succede a monsignor Luigi Padovese, morto da martire nel 2010 (fu assassinato dal suo autista). «Vengo a voi con il sincero desiderio di servirvi e di imparare dalla vostra coraggiosa vita di cristiani in situazioni spesso difficili», aveva dichiarato, appena nominato dal Papa. Monsignor Bizzeti, prima di ricoprire questo ruolo di grande responsabilità, ha fatto la guida in Terra Santa e Turchia. Conosce bene la realtà di quei luoghi, e negli anni precedenti ha curato anche la pubblicazione di una guida dedicata proprio alla terra ampiamente raccontata negli Atti degli Apostoli. Sa bene che «le Chiese di oggi arrivano da tante vicende, e hanno imparato a vivere da piccola minoranza. Vanno sostenute, anche nella linea di avvicinare le Chiese d’Oriente a quelle d’Occidente».

Eccellenza, è stato nominato Vicario apostolico in una regione dove i cristiani sono appena il 2% della popolazione. Una bella sfida...
Sono diventato Vescovo in un luogo dove il panorama religioso è estremamente variegato. La maggior parte delle persone ha una religiosità bella, e sono uomini di buona volontà. Ci sono delle piccole frange di estremismo, naturalmente, ma la realtà ha davvero tante facce, e molti non sono praticanti.

Ed è un vantaggio?
Ho riscontrato subito un dato: i giovani - anche per via di internet - sono molto curiosi sul cristianesimo, lo vogliono conoscere meglio. E così tutte le Chiese cristiane hanno elaborato un piccolo libro - parliamo di un centinaio di pagine - uscito proprio qualche settimana fa, firmato da tutte le confessioni, per presentare la nostra fede. È un fatto di estremo interesse ecumenico: in quali altre parti del mondo potrebbe avvenire? E non dimentichiamoci che si tratta di uno strumento richiesto esplicitamente dal Ministero degli Affari religiosi della Turchia.

Che cosa significa, secondo lei?
Vuol dire che c’è una curiosità diffusa. Se da una parte - è vero - c’è la tentazione di una deriva estremista, dall’altra ho visto un mondo molto aperto e dove tantissimi, ormai, hanno studiato e hanno avuto modo di conoscere anche i valori dell’Occidente. Per questo non vogliono rinunciare a una Turchia laica, anche se non nel senso in cui intendiamo noi questa espressione, ovvero un luogo dove la religione è relegata solo alla sfera privata.

Questo ci aiuta a ridimensionare anche il fenomeno dell’estremismo islamico?
Le famiglie intransigenti sono davvero poche. Questa piccolissima minoranza riceve una pubblicità estrema, e questo fa il gioco dei terroristi. Ciò che loro desiderano è di essere considerati un avversario importante. E in questo senso i nostri media sono grandi alleati. E poi - mi permetta - dobbiamo stare anche molto attenti agli interventi che si stanno facendo in Siria. Parliamoci chiaro: la lotta contro lo Stato islamico è stata condotta fino a oggi “per modo di dire”, quando addirittura l’Isis non è stato sostenuto direttamente o indirettamente...

In questo contesto, qual è la testimonianza che possono dare i cristiani?
I cristiani dell’Anatolia stanno facendo innanzitutto un lavoro molto valido nei confronti dei loro fratelli rifugiati dall’Iraq e dalla Siria. Le nostre strutture sono piene di persone, che vengono accolte in modo molto generoso. E poi, nei villaggi o nelle città dove c’è una buona presenza di cristiani, diventano un fattore di equilibrio sociale.

Perché, allora, vengono perseguitati?
Perché la loro presenza viene associata - spesso in modo confuso - ai comportamenti di quelle nazioni occidentali che sino a ieri si definivano cristiane e che oggi stanno rovinando tutta la regione. E papa Francesco ha perfettamente ragione quando arriva a dire che ci sono enormi interessi in gioco anche dalla nostra parte. Per cui queste guerricciole alla fine sono in qualche modo addirittura sostenute. Cosa c’è di cristiano in questo?

E cosa significa la testimonianza cristiana in un Paese come la Turchia?
Vuol dire avere quel rispetto dell’altro, della diversità, che a volte può costare anche la vita, ma è il Vangelo. Quando il Papa, all’inizio dell’Anno Giubilare, dice che oggi è in gioco lo specifico del cristianesimo, cioè l’amore gratuito e il perdono, è vero: questa è la testimonianza che noi cristiani siamo chiamati a dare in questi luoghi e che ci differenzia certamente da altre religioni, islam incluso.

La paura, però, a volte alza le barriere, più che favorire l’incontro...
Tirare su i muri è facilissimo, ma non risolve i problemi. Anzi, li radicalizza. Ma dobbiamo essere chiari: la pace e la convivenza con i diversi non è riservata ad alcuni particolarmente buoni o bravi: è l’unica soluzione sostenibile. Nel breve periodo ci si può illudere che con la violenza e i muri si risolva qualche problema, ma nel lungo periodo mettiamo in moto o alimentiamo processi che avranno una ritorsione anche su di noi. Paolo Dall’Oglio diceva qualche anno fa, poco prima di essere rapito: «Se non sostenete questo moto iniziale di Primavera araba che vede uniti cristiani e musulmani, un moto veramente popolare e genuino, verranno altre forze che prima o poi attaccheranno anche l’Europa». Purtroppo è stato tragicamente profetico, così come lo è stato Giovanni Paolo II quando diceva che le guerre del Golfo sarebbero state un autogol per tutto l’Occidente. Purtroppo, anche in questo caso, è andata così.

I cristiani stanno scappando dal Medioriente, e visto quello che sta succedendo non verrebbe da dargli tutti i torti...
La vocazione dei cristiani in Medioriente è eroica; difficile, ma indispensabile alla Chiesa universale. È la testimonianza di una minoranza che - come all’inizio del cristianesimo - è capace di testimoniare i valori specifici anche in un contesto difficile. E il cristianesimo è cresciuto da sempre sul sangue dei martiri, non sui libri dei teologi.

A Giubileo appena iniziato, che valore ha per lei la misericordia? E cosa significa per la terra che oggi l’accoglie come suo pastore?
La misericordia esiste per chi si riconosce peccatore. E visto che nessuno al mondo è senza peccato, dobbiamo cominciare a capire che tirare le pietre all’altro non ha senso. Per la gente della mia Diocesi, credo che il primo passo da fare sia proprio questo: riconoscerci tutti in qualche modo complici del male che avviene anche in quella regione. E poi invocare la misericordia del Signore, che è il modo migliore - se non l’unico - per cercare di spegnere il fuoco della guerra, dell’odio e dell’estremismo.