Come molti dei presenti senz’altro ricorderanno, gli anni Settanta sono stati particolarmente difficili nella vita italiana – li si ricorda come “gli anni di piombo”-, e gli eventi più drammatici sono presenti in sordina nelle conversazioni trascritte nel libro, soprattutto nella dichiarata difficoltà da parte dei giovani ad essere se stessi contrastando le opinioni dominanti, spesso diffuse con l’uso della violenza. Don Giussani sfida in continuazione il cuore e la ragione dei ragazzi che dialogano con lui, e il motivo ricorrente della sua sfida è indicato dallo stesso titolo del libro, “dall’utopia alla presenza”.
“La nostra tentazione è l’utopia. Intendo per utopia qualcosa – ritenuto buono e giusto – da realizzare nel futuro, la cui immagine e il cui schema di valori sono creati da noi” (p.62).
Il termine “utopia”, preso in un’accezione evidentemente negativa, indica qui un sogno irrealizzabile che, non potendo mai concretizzarsi, dà luogo ad una posizione piena di lamento, di recriminazione verso la realtà presente, di violenza.
La “presenza” segnala la coscienza della propria identità dentro l’ambiente in cui si è, ed è fattore non solitario, in quanto, come l’autore afferma, “presenza è realizzare la comunione” (p.52).
“Essa può essere definita come la forza di una proposta. Una presenza, come forza di proposta, è perciò avvenimento per la gente e per l’ambiente circostante”.
In anni più recenti don Giussani ha riproposto lo stesso tema parlando di “sogno” e di “ideale”, inconcludente il primo, illuminante e produttivo il secondo.