venerdì 1 maggio 2015

L'intervista al custode di Terrasanta

I FATTI

«Aleppo, la solidarietà resiste»

L'intervista al Custode di Terra Santa (da Avvenire, 1 maggio)
di Andrea Avveduto
«La situazione umanitaria, in particolare ad Aleppo, è straziante. Mancano elettricità e acqua, la gente vive continuamente sotto i bombardamenti». Fra Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, appena tornato dalla Siria conserva negli occhi tutte le atrocità di una guerra assurda giunta ormai al quarto anno.

Padre Pizzaballa, quali zone ha potuto visitare e quali sono le più colpite dal conflitto?Sono stato a Latakia, Damasco e Aleppo. Non ho potuto andare nei villaggi del Nord perché c’erano dei combattimenti in corso per prendere Jisr al-Shugur, una cittadina che era sotto il controllo governativo e adesso è stata conquistata da al-Nusra. I jihadisti hanno distrutto in poco tempo anche tutte le nostre proprietà, ma non è il problema principale. Sono le tante famiglie sfollate che bussano alla nostra porta a preoccuparci. La città più colpita è Aleppo, dove la popolazione vive in condizioni disastrose e le uniche forme di lavoro che sopravvivono sono le piccole attività commerciali.

Quali sono le principali difficoltà della popolazione?Il costo della vita è aumentato drasticamente, non si può nemmeno quantificare con esattezza. La lira siriana poi non viene più utilizzata e – anche se è proibito – si impiega il dollaro. Il sistema sanitario è insufficiente per rispondere con tempestività ai bombardamenti, e tanti medici sono scappati. C’è un profondo senso di frustrazione, di disorientamento e di angoscia. Ad Aleppo tutti si chiedono se l’Is riuscirà – presto o tardi – a entrare in città.

Cosa significa la vostra presenza per la popolazione?È fondamentale, perché la gente non ha solo bisogno di pane. A volte conta di più una parola di conforto, un abbraccio o una stretta di mano. Non abbiamo la pretesa di cambiare le sorti della guerra, ma in questo conflitto abbiamo davvero la possibilità di cambiare noi stessi, di rimboccarci le maniche e darci da fare, di continuare a credere che l’uomo sia fondamentalmente buono perché creato a immagine di Dio, e non permettere che la logica della guerra diventi anche per noi il criterio con il quale guardare a tutta questa violenza. Anche nella paura, che è grande e innegabile.

C’è spazio per sperare in Siria?Tanti piccoli segni ci dicono che sperare è possibile e – aggiungerei – doveroso. I poveri si aiutano tra loro, in particolare chi ha perso la casa. C’è chi ha ricavato uno spazio nel suo appartamento per accogliere gli sfollati. Ho assistito a un funerale di una madre morta con le due figlie: c’erano tante donne musulmane con il velo che partecipavano alla Messa per piangere assieme ai vicini cristiani. È un grande segno di solidarietà. Le relazioni non si sono spezzate, come vorrebbero farci credere. Sono piccole cose, ma restano segni importanti, in questo mare di odio.

Che cosa chiede all’Occidente e a ciascuno di noi?Chiedo di non dimenticare i nostri fratelli che continuano a morire in Medio Oriente. E poi chiedo di aiutare economicamente le realtà che sono ben radicate nel Paese e che nonostante questa guerra atroce continuano a lavorare per costruire. È importante e necessario non arrendersi, continuare a credere che sia possibile fare qualcosa e conservare quel patrimonio unico che il Medio Oriente ha preservato fino ad oggi.

È possibile sostenere l’attività dei frati francescani in Siria dal sito www.proterrasancta.org

Da AVVENIRE, 1 MAGGIO 2015