mercoledì 27 maggio 2015

Vive come l'erba

Vive come l’erba...Storie di donne nel totalitarismo

E' in libreria "Vive come l’erba...Storie di donne nel totalitarismo" edito da La Casa di Matriona, scritto da Marta Dell'Asta, Giovanna Parravicini, Angelo Bonaguro. Questo libro raccoglie otto storie di donne vissute in anni e contesti diversi nel periodo dei regimi totalitari di tipo sovietico. A unirle è un senso profondo dell’umano, che ha ridestato in loro e intorno a loro il gusto della bellezza, dell’amicizia, il desiderio di vivere una vita autentica che non censuri la pietà, il dolore, il dovere, la responsabilità.

Mogli, madri, monache, artiste, insegnanti, hanno dalla loro la forza vitale dell’esperienza, dell’amore, che come un esile filo d’erba, è in grado di bucare l’asfalto di ogni cortina ideologica. Testimonianze vere, in grado di ridestare anche in noi – uomini e donne oggi sballottati da un profondo vento di crisi –
un moto di speranza.

GLI AUTORI
Marta Dell’Asta è direttore della rivista «La Nuova Europa».
È autrice della biografia del gesuita Pietro Leoni, e della storia
del dissenso Una via per incominciare.
Giovanna Parravicini ha curato varie pubblicazioni sulla storia
della Chiesa in Russia e la storia dell’arte bizantina e russa.
Tra le opere: Lituania popolo e Chiesa; Ave Gioia di tutto il
creato; Julija Danzas; Vita di Maria in icone; Icona: immagine di
fede e arte; Liberi; Marija Judina la pianista che commosse Stalin.
Angelo Bonaguro si occupa della storia del dissenso dei paesi
centro-europei. Ha al suo attivo numerosi articoli apparsi su
vari organi di stampa.
Gli autori sono ricercatori presso la Fondazione Russia Cristiana

Scheda del Libro

«Vive come l’erba»
Scheda del libro

Mentre l’uomo in situazioni di costrizione e illibertà possiede «la tragicità di un leone catturato e umiliato», la donna si trasforma «in un piccolo roditore furioso», capace di «rodere e raspare con la complicità dei propri simili – cioè, fuori metafora, di ritagliare per sé e gli altri spazi impensabili di libertà. Sono parole di Dagmar Šimková, cecoslovacca, una delle protagoniste delle storie presentate nel nuovo libro scritto da Angelo Bonaguro, Marta Dell’Asta e Giovanna Parravicini, ricercatori della Fondazione Russia Cristiana.
Perché solo storie di donne, e perché proprio queste donne? E che cosa hanno da dire al nostro oggi?
L’Unione Sovietica è stata, nel quadro del gigantesco esperimento di creazione dell’homo sovieticus, anche il primo paese dell’emancipazione totale della donna – dirigente, astronauta, spazzino, imbianchino, muratore. Un’emulazione pressoché totale (esclusa la politica) del maschio, che ha comportato l’esautorazione della famiglia, del suo ruolo educativo, e più in generale dei vincoli familiari: l’URSS si concepiva come un’unica grande famiglia, dove troneggiava il «padre dei popoli», mentre la «madre» era la patria, da amare, onorare e difendere al di sopra di ogni altra cosa. Dopo la procreazione, padri e madri divenivano ormai superflui.


I risultati? Donne indurite, uomini sempre più latitanti e privi di virilità, una famiglia inesistente, una catastrofica crisi della natalità, giovani generazioni sradicate e allo sbando.
Accanto a questa diffusa realtà registrata dai sociologi, lungo tutto l’arco dei decenni sovietici e nella nuova Russia la donna è stata protagonista di un immenso processo di resistenza spirituale: quelle che si incontrano nelle pagine di questo libro sono donne, non sempre e necessariamente sorrette da una fede esplicita e praticata (sebbene la maggior parte delle figure qui presentate sia profondamente credente), ma strenuamente, coraggiosamente in lotta per difendere la propria essenza più intima, la propria femminilità, un’umanità che non si lascia rinchiudere nelle logiche del potere. Un’umanità, che si identifica inanzitutto con la maternità – di cui fisicamente, molto spesso, queste donne sono state crudelmente private dalle repressioni, dalla detenzione in lager, dalle prove della vita… Una maternità che si esprime nell’aiuto offerto a chi soffre, nell’educazione di chi ti sta accanto, nella pietà che arriva ad abbracciare anche un criminale come Feliks Dzeržinskij (l’inventore dell’odierno KGB), nella trasmissione del proprio sapere e dei propri valori (magari di nascosto, nelle latrine del campo di concentramento che si trasformano in aula universitaria).
Le donne qui presentate hanno storie molto diverse: c’è chi è felicemente sposata oppure ha vissuto travagliati rapporti coniugali, alcune hanno sofferto a causa dei figli che hanno messo al mondo, c’è chi ha scelto la via monastica oppure si è viste chiudere in faccia le porte del mondo dell’establishment sociale e culturale; c’è anche chi, quasi miracolosamente, ha potuto mettere a frutto i propri talenti. Ma nessuna ha mai «fatto carriera», ha mai strappato qualcosa a qualcuno: anche la cattedra universitaria o la posizione di privilegio di moglie di grande scrittore l’hanno vissuta come possibilità di donare, di donarsi, l’hanno vissuta come una maternità allargata, trasfigurata.
In un mondo di violenza, di paura come il nostro, la libertà della donna si esprime nell’impeto materno, che riempie di coraggio, che non lascia spazio a calcoli o viltà ma genera la «tenerezza combattiva» di cui parla Papa Francesco: «Maria è colei che sa trasformare una grotta per animali nella casa di Gesù, con alcune povere fasce e una montagna di tenerezza» (Evangelii Gaudium, 286). La «grotta per animali» è, trasportata nell’oggi, la vita disumana che sovente si conduce, nelle periferie materiali ma anche spirituali di oggi, quando tra persone che vivono gomito a gomito, che condividono perfino gli aspetti più intimi del vivere si erigono barriere insormontabili di indifferenza, risentimento, estraneità. Queste figure di donna (ne abbiamo scelte otto dal contesto dell’Est Europa, ma avremmo potuto aggiungerne tante altre…) hanno dato e danno un volto alla tenerezza di Dio, offrendo una casa all’umanità che le circonda, che muore sulla strada, senza patria, senza dimora, creando luoghi dove chi sta loro interno, anche nella baracca di un lager, anche nel chiuso di un sistema ideologico, possa sentirsi finalmente a casa propria.