ASIA-UE
La morte del piccolo Aylan e quella di tutto il Medio oriente
di Bernardo Cervellera
Tutto
il mondo si commuove per il bambino morto nel naufragio di un gommone
in Turchia. Ci si dimentica che in Siria sono morti già decine di
migliaia di bambini sotto la guerra. Occorre affrontare il problema dei
profughi, ma anche e soprattutto le cause della loro tragedia: le
guerre in Medio oriente, i finanziamenti allo Stato islamico, le guerre
per procura delle potenze regionali e mondiali.
Roma
(AsiaNews) - Anche noi stiamo piangendo la morte di quel piccolo di tre
anni che nella fuga dalla Turchia alla Grecia è annegato con il suo
fratellino. La marea ha ributtato i loro corpi sulla spiaggia di Bodrum,
dove di solito la gente si diverte a bagnarsi e prendere il sole.
Anche noi seguiamo con dolore – e vergogna – l’attesa delle migliaia
di profughi siriani e non alla stazione di Budapest: sono delle immagini
che ricordano quelle di una guerra, la Seconda guerra mondiale, di cui
abbiamo celebrato l’anniversario della fine in modo trionfale, senza
sensi di colpa di vincitori o di vinti.
Anche noi missionari del Pime, abbiamo messo a disposizione dei posti
di ospitalità – la casa di Sotto il Monte, vicino alla casa natale di
Giovanni XXIII – per decine di rifugiati che hanno attraversato il mar
Mediterraneo, piangendo la morte per acqua di migliaia, annegati nella
rischiosa traversata.
Eppure il pianto per chi è morto, l’ospitalità, le pressioni
sull’Unione europea perché cambi in meglio le sue regole di accoglienza
forse ci soddisfano in modo sentimentale, ma non tranquillizzano la
nostra coscienza, né la nostra intelligenza.
Sembra che il piccolo Aylan provenisse da Kobane, la cittadina curda
quasi al confine con la Turchia. Per mesi Kobane è stata sotto l’assedio
delle milizie dello Stato islamico, che volevano garantirsi un
corridoio fra la zona da loro controllata e il territorio turco, da cui
essi ricevono nuove reclute e smerciano petrolio di contrabbando. I
profughi che – come la famiglia di Aylan – volevano fuggire da Kobane
sono stati ricacciati indietro dai militari turchi; la stessa Turchia ha
bloccato i peshmerga irakeni che volevano aiutare i curdi che
difendevano la città.
Mi domando allora a che serve piangere su Aylan se non si piange su Kobane e sulla collusione fra Ankara e lo Stato islamico?
E come piangere sulle migliaia di rifugiati ammassati nella stazione
di Budapest, senza rendersi conto che la maggioranza di loro sono
siriani e la loro venuta in Europa è causata dalle guerre dello Stato
islamico, delle milizie fondamentaliste internazionali, ma anche dalla
pretesa dei governi occidentali di voler vedere anzitutto la caduta di
Bashar Assad?
E a che serve piangere sui morti nel mar Mediterraneo, gridare contro
gli scafisti se non si riconosce che agli scafisti proprio l’occidente
ha dato una mano intervenendo nell’equilibrio inquieto mantenuto da
Gheddafi?
Accogliamo pure i profughi, cambiamo le regole della Convenzione di
Dublino, ma andiamo a fondo del loro dramma affrontando le cause. Le
cause sono un Medio oriente che va allo sbando, a cui l’occidente ha
dato una mano (Afghanistan, Iraq, Siria,…); gruppi estremisti che i
Paesi della regione (Turchia, Qatar, Arabia saudita, Emirati,…)
sponsorizzano in armi e denaro; grandi potenze che invece di accordarsi a
costruire la pace, combattono una guerra per procura usando chi la
Siria, chi l’Iran, chi l’Arabia saudita.
E’ tempo che si dica basta ai finanziamenti allo Stato islamico da
parte dei governi del Medio oriente; che si attui una pace negoziata in
Siria e in Yemen, che il Consiglio di sicurezza dell’Onu faccia il
lavoro per cui è stato fondato: lavorare per la pace delle nazioni, non
per la supremazia dell’uno o dell’altro.
Qualche giornale, commentando la foto-simbolo del piccolo Aylan ha
gridato “Adesso basta!”. Ben venga questa decisione. Ma cosa dire delle
decine di migliaia di bambini che in questi quattro e più anni di guerra
sono morti in Siria? E quelli morti in Iraq?
Se non c’è un impegno contro le cause di tutte queste morti, quella
di piegarsi sul dolore dei profughi in Europa rischia di apparire come
un volersi nascondere da responsabilità mondiali. Ma intanto tutto il
Medio oriente rischia di deflagrare, producendo non 200mila, ma 100
milioni di probabili profughi. E se il Medio oriente deflagra, né
l’Europa, né tutto il mondo potrebbero salvare se stessi.