martedì 13 febbraio 2018

Vita di Josef Kalinowski

«Possono togliermi tutto ma non la preghiera»

Posted by fermenticattolicivivi@gmail.com su 12/02/2018

Josef Kalinowski nasce il 1 settembre a Vilnius (attuale Lituania) da nobile famiglia polacca (all’epoca Polonia e Lituania facevano parte dell’Impero russo). Nel 1857 si laurea in ingegneria all’Accademia Militare di San Pietroburgo col grado di tenente dell’esercito. Nel 1863, scoppiata l’insurrezione in Polonia, si congeda dall’esercito russo e, seppur convinto che “la Patria ha bisogno di sudore, non di sangue”, accetta l’incarico di Ministro della Guerra del governo rivoluzionario.
Fallito il tentativo di indipendenza della Polonia, il 24 marzo 1864 viene arrestato e condannato a morte, però grazie alla sua popolarità non viene fucilato ma la pena gli è commutata con dieci anni di prigionia in Siberia. Porta con sé il Vangelo, il libro di Giobbe i Salmi, l’Imitazione di Cristo e un Crocifisso.


In carcere organizza la sua vita sul modello di quella dei religiosi. Scrive nelle sue memorie: «Mi ero fatto un orario preciso per tutte le ore; mi alzavo alle cinque del mattino. Il mio primo pensiero era quello della preghiera, poi la meditazione e, quando ottenni i libri di devozione, ebbi una grande consolazione. Potevo sentire ogni giorno la Messa, ma da lontano”.
Ai suoi scrive: «Possono togliermi tutto ma non la preghiera!».
L’esilio diventa un tempo di grazia strordinaria. Si dona con generosità ai bisognosi, prodigandosi in ogni occasione per consolare e aiutare tutti senza distinzione di religione o di nazione. Si adopera per l’evangelizzazione soprattutto dei più giovani.
Scontata la pena, nel 1874 si trasferisce a Parigi come precettore di Augusto Czartoryski, adolescente di famiglia principesca (beatificato da Giovanni Paolo II ). Grazie alla guida del suo precettore scoprirà la vocazione religiosa e nel 1887, accolto da San Giovanni Bosco, entrerà nei Salesiani.
Giuseppe Kalinowski invece nel 1877 era già entrato nell’ordine dei Carmelitani Scalzi (a Graz, in Austria) col nome di Fra’ Raffaele di San Giuseppe. Proprio accompagnando il principe Czartoryski, scopre il carisma teresiano e ne rimane conquistato.

Il 15 gennaio 1882, all’età di 47 anni, riceve l’ordinazione sacerdotale a Czerna presso Cracovia. Diveta un confessore molto apprezzato; come direttore spirituale guida le anime verso Dio, Cristo, la Madonna, la Chiesa e il prossimo.
Sempre raccolto nella preghiera, sempre unito a Dio, sempre pronto alla rinuncia, al digiuno, alla mortificazione per la salvezza dei fratelli. Lo chiameranno “il martire del confessionale”. E’ comprensivo, prudente e buono, spicca in lui un altissimo senso di umanità.
Scopre, soprattutto attraverso la lettura di “Storia di un’anima”, di Santa Teresa di Gesù Bambino, che l’amore misericordioso è l’amore del Padre che comprende la sua creatura, la ama, la solleva, la perdona come un padre il proprio figlio. La spiritualità dell’abbandono diventa sua e cerca di viverla superando la sua formazione severa e austera.
L’appartenenza a un ordine nato in oriente e trapiantato in occidente lo confermerà nel desiderio di unificazione delle chiese. Scriverà: «L’unità sacra! L’unità santa! Questa parola riempie già il cuore di dolore, ma accende anche il fuoco della speranza». Molto quindi ha fatto per l’ecumenismo, lasciando questa missione come testamento ai fratelli e sorelle carmelitane.
Era convinto che l’unione con i cristiani ortodossi sarebbe stata possibile solo in Maria. Sul letto di morte ripete incessantemente: «Padre, che tutti siano una cosa sola!».
Muore il 15 novembre 1907 nel convento carmelitano da lui fondato nella cittadina polacca di Wadowice. Qui tredici anni dopo nascerà Karol Woitila che, divenuto papa Giovanni Paolo II, lo ha beatificato nel 1983 e canonizzato nel 1991 e che, con incisive parole, ci ha offerto il ritratto spirituale di San Raffaele Kalinowski:
«Dà la vita agli altri nello svolgimento del ministero sacerdotale spingendo tutti alla perfezione, alla santità. Egli diventa preghiera e lavoro volendo essere “proprietà degli altri”». (Omelia della canonizzazione).
(Tratto dalla rivista “Aggancio” dell’11/12/2012, n. 11-12, pagg.9-11)