giovedì 21 giugno 2018

Cassiano, dall'amore terreno all'amore di Dio (e viceversa)

CASSIANO
L’amore nasce dalla carne
Spiritualità
Il grande monaco che fra IV e V secolo portò in Occidente l’esperienza di Pacomio e Antonio spiegava che la castità trasforma l’istinto erotico in «spalancamento cosmico»
Spesso si dice che per educare davvero, come per crescere, bisogna puntare agli ideali più grandi. «Per aspera ad astra» dicevano gli antichi. Un concetto che la pedagogia e la società hanno da tempo abbandonato. Non sono le asprezze che ci interessano. Si ritiene che la felicità sia nel consumare beni per soddisfare bisogni. Così per il sesso: più se ne consuma più la vita sarà piena. Da qui l’idea che l’assenza di attività sessuale porti a squilibri e che sia quindi assurdo che preti e religiosi di entrambi i sessi se ne debbano privare.
In tanti ambienti ecclesiali questo dibattito è di grande attualità, soprattutto alla luce dei recenti scandali. È facile pensare che se i preti si potessero sposare ci sarebbero vocazioni diverse e più equilibrate. Ma se non fosse questo il problema? E se la carenza di vocazioni nella Chiesa (anche alla fedeltà e alla prolificità matrimoniale) dipendesse invece dalla mancata educazione a ideali grandi e quindi alla mancata comprensione che non è soddisfacendo gli istinti che si raggiunge la gioia e la pienezza dell’umanità? Era questa la convinzione di san Cassiano, uno dei padri del monachesimo occidentale e gran maestro d’anime, perché capace di scandagliarle nella loro intimità più profonda. Lo spiega bene un libro di Gianluca Attanasio che rilegge gli scritti di Cassiano per ragioni strettamente spirituali, ma finisce per smontare uno per uno tanti luoghi comuni della contemporaneità.

Il libro si intitola Custodire il cuore. Percorso spirituale sulle orme di san Cassiano (Edizione Messaggero Padova, pagine 197, euro 15). Nato nel 360 nell’attuale Romania, Cassiano compie gli studi classici. Presto sente la vocazione all’ascesi e si reca a Betlemme per conoscere la vita monastica. Quindi va in Egitto, terra in cui il monachesimo orientale, sull’onda di Antonio e Pacomio, è al massimo splendore. Qui si ferma 8 anni. Intorno al 403 è a Roma dove diventa amico di papa Innocenzo e del futuro Leone Magno. Intorno al 415 è in Provenza dove fonda monasteri, scrive le sue opre, fra cui Conferenze ai monaci e muore nel 435.
Cassiano spiega come la scelta del distacco dalle cose della carne e quindi la castità, conduca alla perfetta letizia nell’unione con Cristo, che invece una mente presa dai pensieri del mondo non riuscirebbe a contemplare. Un percorso arduo e costellato di sconfitte, perché la sessualità è un dono grande e imparare a usarlo nel modo migliore, secondo la propria vocazione e senza esserne schiavi (pensiamo alla pornografia o al puro desiderio di possesso), richiede amore, impegno, umiltà e disciplina riconoscendo che nulla si può senza chiedere il sostegno di Dio.
La strada di Cassiano, però, non è solo quella del contenimento esterno. Non è semplicemente reprimere o proibire. Perché se ci si limita a questo, annota Gianluca Attanasio (sulla base della sua esperienza di sacerdote), si dà ragione «alla mentalità corrente quando critica un modo di vivere la religione che è solo frustrante, perché limitarsi a comprimere gli istinti avvilisce la nostra umanità». L’istinto, ci dice Cassiano, non va ingabbiato, ma elevato spiritualmente. Insomma, per lui non si tratta di soffocare il desiderio di intimità e di amore, ma di fare in modo che raggiunga la sua pienezza. L’amore spirituale di un essere umano non può che esprimersi attraverso gli stessi sentimenti che infiammano l’amore carnale. Anzi, è proprio la forza di quei sentimenti che lo rende capace di elevarsi alla sua massima altezza. In questo senso, sottolinea Cassiano parlando ai suoi monaci, il sentimento spirituale non deve essere tiepido, ma occorre che sia «infiammato » da un «amore tanto grande quanto quello di chi brama con tutta l’avidità le ricchezze... e di chi è attirato dall’amore invincibile d’una bella donna». Solo in questo modo chi è rapito dall’amore di Dio può vedere ragionevolmente affievolirsi e svanire la sua brama erotica. E qui accade l’evento capace di condurre alla visione mistica pura, alla gioia piena del cuore. Poiché se in Dio fondano e sono contenute tutte le cose, sentirsi presi «da questo amore per lui» significa immergersi nel tutto. Così la rinuncia all’amore carnale non è un «restringimento di orizzonte, ma uno spalancamento cosmico». Amare Dio con una simile intensità significa essere capaci «di amare in lui» ogni sua creatura per quello che è, senza alcun desiderio di possesso o di piacere effimero. Ecco allora che la castità così educata e vissuta non è una triste schiavitù, ma strada che conduce alla carità, che è liberazione da ogni tristezza.
Questo, però, non significa che chi si è incamminato su questa strada smetta di avere pulsioni sessuali o istinti di possesso carnale. Gianluca Attanasio lo spiega benissimo: «Come nel caso di un uomo e di una donna sposati, in cui l’attrazione erotica è una strada attraverso la quale i coniugi si ricordano di avere bisogno l’uno dell’altro, non potendo compiersi se non in una reciproca donazione, analogamente gli stimoli della carne sono un mezzo attraverso cui Dio attira a sé chi ha scelto la castità». Cassiano annota: «Se le sollecitazioni della carne, col loro insistere, non ci avessero resi solerti e vigili, il nostro amore si raffredderebbe rapidamente». L’istinto sessuale, insomma, non smette di ridestarci dalla tiepidezza in cui rischiamo di cadere e ci invita a rinnovare ogni volta di più il nostro amore. Attanasio lo definisce «un diligentissimo pedagogo» ricordandoci che «non possiamo compierci» senza corrispondere all’amore dell’amato. Come nel Cantico dei Cantici. È dal suo amore che attingiamo la forza di amare. E Cassiano ci dice anche qualcosa di più. Per farlo racconta la storia di un monaco che era riuscito a raggiungere la perfezione liberandosi da tutti gli istinti carnali: gola, lussuria, irascibilità, avarizia e via dicendo. «Fu allora che il demonio ricorse all’orgoglio come all’ultima delle passioni... ricordava che a causa della superbia, proprio lui, Lucifero e molti altri angeli, senza l’istigazione delle passioni carnali, erano precipitati dalle più alte regioni del cielo una volta per sempre». L’orgoglio della perfezione ci fa smarrire l’umiltà, conduce ad ammirare se stessi, ad allontanarsi da Dio e quindi a perdere la capacità di rendersi vicini (prossimi) a chi ci sta accanto. Come fa un prete, si chiede Attanasio, a capire i peccatori che da lui vengono a confessarsi, come fa ad accoglierli senza giudicarli se ritiene di essere libero dalla tentazione o se, aggiungiamo noi, non ha il senso del proprio peccato? La lotta col male che sfrutta la debolezza della carne è propria degli uomini, che in questa possono crescere nell’umiltà e quindi nel desiderio di avvicinarsi a Dio.
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