CASSIANO
L’amore nasce dalla carne
Spiritualità
Il grande monaco che fra IV e V secolo portò in Occidente l’esperienza
di Pacomio e Antonio spiegava che la castità trasforma l’istinto erotico
in «spalancamento cosmico»
Spesso si dice che per
educare davvero, come per crescere, bisogna puntare agli ideali più
grandi. «Per aspera ad astra» dicevano gli antichi. Un concetto che la
pedagogia e la società hanno da tempo abbandonato. Non sono le
asprezze che ci interessano. Si ritiene che la felicità sia nel
consumare beni per soddisfare bisogni. Così per il sesso: più se ne
consuma più la vita sarà piena. Da qui l’idea che l’assenza di attività
sessuale porti a squilibri e che sia quindi assurdo che preti e
religiosi di entrambi i sessi se ne debbano privare.
In tanti ambienti ecclesiali questo dibattito è di grande attualità,
soprattutto alla luce dei recenti scandali. È facile pensare che se i
preti si potessero sposare ci sarebbero vocazioni diverse e più
equilibrate. Ma se non fosse questo il problema? E se la carenza di
vocazioni nella Chiesa (anche alla fedeltà e alla prolificità
matrimoniale) dipendesse invece dalla mancata educazione a ideali grandi
e quindi alla mancata comprensione che non è soddisfacendo gli istinti
che si raggiunge la gioia e la pienezza dell’umanità? Era questa la
convinzione di san Cassiano, uno dei padri del monachesimo occidentale e
gran maestro d’anime, perché capace di scandagliarle nella loro
intimità più profonda. Lo spiega bene un libro di Gianluca Attanasio che
rilegge gli scritti di Cassiano per ragioni strettamente spirituali,
ma finisce per smontare uno per uno tanti luoghi comuni della
contemporaneità.
Il libro si intitola Custodire il cuore. Percorso spirituale sulle orme di san Cassiano
(Edizione Messaggero Padova, pagine 197, euro 15). Nato nel 360
nell’attuale Romania, Cassiano compie gli studi classici. Presto sente
la vocazione all’ascesi e si reca a Betlemme per conoscere la vita
monastica. Quindi va in Egitto, terra in cui il monachesimo orientale,
sull’onda di Antonio e Pacomio, è al massimo splendore. Qui si ferma 8
anni. Intorno al 403 è a Roma dove diventa amico di papa Innocenzo e
del futuro Leone Magno. Intorno al 415 è in Provenza dove fonda
monasteri, scrive le sue opre, fra cui Conferenze ai monaci e muore nel 435.
Cassiano spiega come la scelta del distacco dalle cose della carne e
quindi la castità, conduca alla perfetta letizia nell’unione con
Cristo, che invece una mente presa dai pensieri del mondo non
riuscirebbe a contemplare. Un percorso arduo e costellato di sconfitte,
perché la sessualità è un dono grande e imparare a usarlo nel modo
migliore, secondo la propria vocazione e senza esserne schiavi (pensiamo
alla pornografia o al puro desiderio di possesso), richiede amore,
impegno, umiltà e disciplina riconoscendo che nulla si può senza
chiedere il sostegno di Dio.
La strada di Cassiano, però, non è solo quella del contenimento
esterno. Non è semplicemente reprimere o proibire. Perché se ci si
limita a questo, annota Gianluca Attanasio (sulla base della sua
esperienza di sacerdote), si dà ragione «alla mentalità corrente quando
critica un modo di vivere la religione che è solo frustrante, perché
limitarsi a comprimere gli istinti avvilisce la nostra umanità».
L’istinto, ci dice Cassiano, non va ingabbiato, ma elevato
spiritualmente. Insomma, per lui non si tratta di soffocare il
desiderio di intimità e di amore, ma di fare in modo che raggiunga la
sua pienezza. L’amore spirituale di un essere
umano non può che esprimersi attraverso gli stessi sentimenti che
infiammano l’amore carnale. Anzi, è proprio la forza di quei sentimenti
che lo rende capace di elevarsi alla sua massima altezza. In questo senso, sottolinea Cassiano parlando ai suoi monaci, il sentimento spirituale non
deve essere tiepido, ma occorre che sia «infiammato » da un «amore
tanto grande quanto quello di chi brama con tutta l’avidità le
ricchezze... e di chi è attirato dall’amore invincibile d’una bella
donna». Solo in questo modo chi è rapito dall’amore di Dio può vedere
ragionevolmente affievolirsi e svanire la sua brama erotica. E qui
accade l’evento capace di condurre alla
visione mistica pura, alla gioia piena del cuore. Poiché se in Dio
fondano e sono contenute tutte le cose, sentirsi presi «da questo amore
per lui» significa immergersi nel tutto. Così la rinuncia all’amore
carnale non è un «restringimento di orizzonte, ma uno spalancamento
cosmico». Amare Dio con una simile intensità significa essere capaci
«di amare in lui» ogni sua creatura per quello che è, senza alcun
desiderio di possesso o di piacere effimero. Ecco allora che la castità
così educata e vissuta non è una triste schiavitù, ma strada che
conduce alla carità, che è liberazione da ogni tristezza.
Questo, però, non significa che chi si è incamminato su questa strada
smetta di avere pulsioni sessuali o istinti di possesso carnale.
Gianluca Attanasio lo spiega benissimo: «Come nel caso di un uomo e di
una donna sposati, in cui l’attrazione erotica è una strada attraverso
la quale i coniugi si ricordano di avere bisogno l’uno dell’altro, non
potendo compiersi se non in una reciproca donazione, analogamente gli
stimoli della carne sono un mezzo attraverso cui Dio attira a sé chi ha
scelto la castità». Cassiano annota: «Se le sollecitazioni della
carne, col loro insistere, non ci avessero resi solerti e vigili, il
nostro amore si raffredderebbe rapidamente». L’istinto sessuale,
insomma, non smette di ridestarci dalla tiepidezza in cui rischiamo di
cadere e ci invita a rinnovare ogni volta di più il nostro amore.
Attanasio lo definisce «un diligentissimo pedagogo» ricordandoci che
«non possiamo compierci» senza corrispondere all’amore dell’amato. Come
nel Cantico dei Cantici. È dal suo amore che attingiamo la forza di
amare. E Cassiano ci dice anche qualcosa di più.
Per farlo racconta la storia di un monaco che era riuscito a
raggiungere la perfezione liberandosi da tutti gli istinti carnali:
gola, lussuria, irascibilità, avarizia e via dicendo. «Fu allora che
il demonio ricorse all’orgoglio come all’ultima delle passioni...
ricordava che a causa della superbia, proprio lui, Lucifero e molti
altri angeli, senza l’istigazione delle passioni carnali, erano
precipitati dalle più alte regioni del cielo una volta per sempre».
L’orgoglio della perfezione ci fa smarrire l’umiltà, conduce ad
ammirare se stessi, ad allontanarsi da Dio e quindi a perdere la
capacità di rendersi vicini (prossimi) a chi ci sta accanto. Come fa un
prete, si chiede Attanasio, a capire i peccatori che da lui vengono a
confessarsi, come fa ad accoglierli senza giudicarli se ritiene di
essere libero dalla tentazione o se, aggiungiamo noi, non ha il senso
del proprio peccato? La lotta col male che sfrutta la debolezza della
carne è propria degli uomini, che in questa possono crescere nell’umiltà
e quindi nel desiderio di avvicinarsi a Dio.
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