ANTICIPAZIONE
L’aldilà? È la libertà dell’amore
Che cosa succede quando
moriamo? Credo che ci addormentiamo, e che poi c’è un risveglio nella
luce. Questa luce è così pacifica e piena di gloria che, quando ci
svegliamo, è un momento di giubilo incredibile. Questa luce è Dio? Non
ne siamo certi. Forse è un riflesso di Dio. Dopo tutto, non siamo
ancora pronti per un incontro faccia-a-faccia o cuore-a-cuore. Tuttavia,
è chiaro che qui siamo benvenuti e che non siamo soli. Abbiamo la
sensazione di essere avvolti da qualcosa di meravigliosamente intimo. È
una profonda esperienza di pace interiore.
In mezzo a questa bellezza, a questo sollievo e benessere, sorge una
domanda: che cosa succederà adesso? Forse per il nostro desiderio di
sapere e di cercare, abbiamo la sensazione che in questa luce vi sia
una presenza. Intravvediamo un volto. C’è un incontro. Non è un’unione,
ma una relazione. Dio non è soltanto questa luce, ma una presenza, una
persona. D’un tratto scopro che sono amato da questa persona.
Mi sembra che sapere di essere amati così profondamente e così
semplicemente potrebbe portare ad una profonda tristezza e senso di
colpa. Come è possibile che io sia amato? Ho rifiutato così spesso la
vita, ho omesso di essere aperto alla vita, ho cercato in tutti i modi
di tenere il controllo di me stesso. Spesso ho ferito gli altri, non
sono stato capace di riconoscere la loro bellezza, ho omesso di portare
loro la stessa sensazione di pace e appartenenza che sento ora. Non
posso meritare questo amore! Si tratta di un momento di pena interiore,
quasi di strazio. La Chiesa lo ha chiamato purgatorio, che è una sorta
di purificazione. Tutti quei momenti in cui abbiamo calpestato la vita
omettendo di testimoniare in favore della verità, mancando di
accettarci l’un l’altro, ritornano. E siamo pieni di sensi di colpa e
di vergogna nel trovarci davanti a questa presenza di Dio, essendo stati
così miserabili.
D’un
tratto quel volto ritorna, o forse noi guardiamo dagli abissi della
nostra umiliazione e vediamo in Dio uno sguardo di tenerezza, di
incredibile tenerezza. «Tu sei prezioso ai miei occhi, […] e io ti amo»
(Is 43,4). All’improvviso, so di essere amato così come sono, nella mia
povertà. Dio sa quanto io sia fragile, quante volte ho fatto del male,
quante ho trascurato di amare, quante ho rifiutato l’amore altrui. Ed
in qualche modo sono amato non nonostante la mia povertà, ma nella mia
povertà. Sono perdonato. Immagino che potremmo anche scoppiare a ridere:
è troppo da contemplare, troppo da comprendere. Dio semplicemente ci
ama, ci accoglie nella nostra piccolezza, e ci viene incontro nella
nostra debolezza e vulnerabilità. Tutto è capovolto; nulla è come ce lo
aspettavamo. Di fronte all’infinita misericordia che è Dio, tutto lo
scarto della mia vita diventa concime. È un momento di inaudita
felicità: felice di essere me stesso, felice di sapere che gli altri
sono amati, felice di essere una piccola parte del corpo dell’umanità –
un piccolo granello di sabbia nell’immensità della spiaggia di Dio, ma
così importante, così prezioso, proprio come è prezioso ogni singolo
chicco di grano.
Questo è
il momento della libertà: è qui che facciamo esperienza di Dio come
perdono. Che cosa significa libertà? C’è la libertà da. Qui, nella
misericordia di Dio, siamo liberi dai sensi di colpa e dai tormenti
legati al nostro passato. Siamo liberi dall’angoscia perché nella
presenza di Dio la nostra identità più profonda è confermata: io sono
amato. Ma c’è anche la libertà di. Finché proviamo angoscia, siamo
incapaci di darci totalmente all’amore. Ma qui tutto di noi, la nostra
forza e la nostra povertà, è ricomposto, e Dio conferma che siamo
amati. Qui, nella misericordia di Dio, siamo liberi di accogliere in
noi questa identità: siamo amati, siamo liberi di darci totalmente all’amore.
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Nel suo ultimo libro Jean Vanier immagina cosa c’è dopo la morte:
l’esperienza di sentirsi amati in modo incondizionato, una tenerezza,
una misericordia infinita che supera ogni vergogna e ogni personale
povertà. Esperienza del perdono che libera, momento di inaudita felicità

Jean Vanier, 90 anni, ha fondato l’Arche nel 1964