mercoledì 12 dicembre 2018

J. Vanier, L'aldilà

ANTICIPAZIONE
L’aldilà? È la libertà dell’amore
Che cosa succede quando moriamo? Credo che ci addormentiamo, e che poi c’è un risveglio nella luce. Questa luce è così pacifica e piena di gloria che, quando ci svegliamo, è un momento di giubilo incredibile. Questa luce è Dio? Non ne siamo certi. Forse è un riflesso di Dio. Dopo tutto, non siamo ancora pronti per un incontro faccia-a-faccia o cuore-a-cuore. Tuttavia, è chiaro che qui siamo benvenuti e che non siamo soli. Abbiamo la sensazione di essere avvolti da qualcosa di meravigliosamente intimo. È una profonda esperienza di pace interiore.
In mezzo a questa bellezza, a questo sollievo e benessere, sorge una domanda: che cosa succederà adesso? Forse per il nostro desiderio di sapere e di cercare, abbiamo la sensazione che in questa luce vi sia una presenza. Intravvediamo un volto. C’è un incontro. Non è un’unione, ma una relazione. Dio non è soltanto questa luce, ma una presenza, una persona. D’un tratto scopro che sono amato da questa persona.
Mi sembra che sapere di essere amati così profondamente e così semplicemente potrebbe portare ad una profonda tristezza e senso di colpa. Come è possibile che io sia amato? Ho rifiutato così spesso la vita, ho omesso di essere aperto alla vita, ho cercato in tutti i modi di tenere il controllo di me stesso. Spesso ho ferito gli altri, non sono stato capace di riconoscere la loro bellezza, ho omesso di portare loro la stessa sensazione di pace e appartenenza che sento ora. Non posso meritare questo amore! Si tratta di un momento di pena interiore, quasi di strazio. La Chiesa lo ha chiamato purgatorio, che è una sorta di purificazione. Tutti quei momenti in cui abbiamo calpestato la vita omettendo di testimoniare in favore della verità, mancando di accettarci l’un l’altro, ritornano. E siamo pieni di sensi di colpa e di vergogna nel trovarci davanti a questa presenza di Dio, essendo stati così miserabili.

D’un tratto quel volto ritorna, o forse noi guardiamo dagli abissi della nostra umiliazione e vediamo in Dio uno sguardo di tenerezza, di incredibile tenerezza. «Tu sei prezioso ai miei occhi, […] e io ti amo» (Is 43,4). All’improvviso, so di essere amato così come sono, nella mia povertà. Dio sa quanto io sia fragile, quante volte ho fatto del male, quante ho trascurato di amare, quante ho rifiutato l’amore altrui. Ed in qualche modo sono amato non nonostante la mia povertà, ma nella mia povertà. Sono perdonato. Immagino che potremmo anche scoppiare a ridere: è troppo da contemplare, troppo da comprendere. Dio semplicemente ci ama, ci accoglie nella nostra piccolezza, e ci viene incontro nella nostra debolezza e vulnerabilità. Tutto è capovolto; nulla è come ce lo aspettavamo. Di fronte all’infinita misericordia che è Dio, tutto lo scarto della mia vita diventa concime. È un momento di inaudita felicità: felice di essere me stesso, felice di sapere che gli altri sono amati, felice di essere una piccola parte del corpo dell’umanità – un piccolo granello di sabbia nell’immensità della spiaggia di Dio, ma così importante, così prezioso, proprio come è prezioso ogni singolo chicco di grano.
Questo è il momento della libertà: è qui che facciamo esperienza di Dio come perdono. Che cosa significa libertà? C’è la libertà da. Qui, nella misericordia di Dio, siamo liberi dai sensi di colpa e dai tormenti legati al nostro passato. Siamo liberi dall’angoscia perché nella presenza di Dio la nostra identità più profonda è confermata: io sono amato. Ma c’è anche la libertà di. Finché proviamo angoscia, siamo incapaci di darci totalmente all’amore. Ma qui tutto di noi, la nostra forza e la nostra povertà, è ricomposto, e Dio conferma che siamo amati. Qui, nella misericordia di Dio, siamo liberi di accogliere in noi questa identità: siamo amati, siamo liberi di darci totalmente all’amore.
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Nel suo ultimo libro Jean Vanier immagina cosa c’è dopo la morte: l’esperienza di sentirsi amati in modo incondizionato, una tenerezza, una misericordia infinita che supera ogni vergogna e ogni personale povertà. Esperienza del perdono che libera, momento di inaudita felicità
Jean Vanier, 90 anni, ha fondato l’Arche nel 1964