domenica 28 aprile 2019

Simone Weil, Le Christ

FILOSOFIA
Simone Weil, la mia fede è tutta ai piedi della Croce
«Quando leggo il Nuovo Testamento, i mistici, la liturgia, quando vedo celebrare la messa, avverto quasi la certezza che questa fede è la mia, o più esattamente sarebbe mia senza la distanza che la mia imperfezione ha posto tra me e lei»: così scriveva Simone Weil a padre Marie-Alain Couturier nella ben nota Lettera a un religioso.
I due si erano conosciuti a New York, dove la famiglia Weil si era trasferita nel luglio 1942 per sfuggire al nazismo. A Couturier l’aveva presentata un confratello domenicano, Joseph-Marie Perrin, che Simone aveva frequentato a Marsiglia a partire dal 1941. Con quest’ultimo, impegnato nella Resistenza, era diventato amico e a lungo avevano discusso del cristianesimo, anche animatamente. Ma la filosofa aveva preferito sempre restare sulla soglia: pur manifestando la sua adesione alla figura di Cristo, rimanevano in lei numerose perplessità sulla Chiesa cattolica. Che emergono in tutta evidenza nel volume Attesa di Dio, pubblicato postumo nel 1949 proprio su iniziativa di padre Perrin. Non sopportava la Chiesa cattolica come organizzazione e collettività, e poi l’incapacità che riscontrava a quel tempo di valorizzare le altre culture e religioni e il mondo dei non credenti (non c’era ancora stato il Concilio!), manifestatasi con la violenza più volte nel corso della storia. Infine, pesava il suo sentirsi inadeguata ad essere accolta dalla Chiesa. Per questo partecipava alla Messa ma non voleva ricevere l’ostia. Così come non cedette mai sul battesimo.

Come ha spiegato nella sua Autobiografia spirituale, una ventina di pagine che portano la data del 15 maggio 1942 e che costituiscono un resoconto preciso del suo percorso di avvicinamento al cattolicesimo, Simone Weil aveva accolto la certezza dell’esistenza di Dio durante un suo viaggio in Portogallo nel 1935, certezza poi confermata ad Assisi, dove nella basilica di Santa Maria degli Angeli si era inginocchiata per la prima volta. E a Solesmes, dove era stata «rapita da Gesù». Ed è al suo rapporto personale con Cristo che è dedicato un volumetto appena uscito in Francia, Le Christ, che riunisce per la prima volta in un’antologia di testi di varia lunghezza, tratti dalle sue opere, tutte le sue riflessioni sulla figura di Gesù (edizioni Bayard, pagine 158, euro 13,90). Come scrive François Dupuigrenet Desrouissilles nella prefazione, «la fede di Simone Weil nel Cristo non è una credenza ma una certezza e un desiderio, definiti non a partire da una rivelazione ma dall’esperienza della condizione umana». La presenza del bene nel mondo, pure in mezzo a tanto male, è segno e manifestazione dell’esistenza di Dio. «Ogni puro bene – scrive la filosofa – procede dal Cristo» e, se è vero che Dio ci ha esposti al male gettandoci nel mondo, ella ha la certezza che il nostro desiderio di bene sarà esaudito: «Se anche Dio fosse un’illusione dal punto di vista dell’esistenza, dal punto di vista del bene Egli è la sola realtà». A differenza di Pascal - cui non guardava con simpatia - che invitava a scommettere sull’esistenza di Dio, Simone sostiene l’identità perfetta di desiderio e realtà.
Il volume raccoglie testi famosi che la Weil ha consacrato alla natura umana e divina di Cristo, nonché sue testimonianze personali e riflessioni storiche a proposito delle intuizioni precristiane che, dalla cultura greca a quella egizia e indiana, hanno prefigurato l’avvento di Cristo. Non solo i personaggi del- l’Antico Testamento (Abele e Noè, Melchisedech e Enoch, Giobbe e Daniele), ma anche Osiride e Krishna rappresentano una profezia dell’Incarnazione. E così Prometeo. Rimane però una forte ostilità verso Israele e Roma, che a suo dire esaltano il culto della collettività nazionale ed esprimono una religione che porta benessere e prosperità al popolo ed è garante di potenza. Tutto il contrario del Dio cristiano, che coincide con la compassione e la misericordia. Ma è ben nota ed è già stata ampiamente rilevata e studiata la radicale diffidenza della Weil verso l’ebraismo, nonostante le sue radici. Ella è al contempo convinta che con la Creazione Dio ha rinunciato alla sua onnipotenza per donarci l’esistenza: è l’idea dello tzim-tzum, il ritrarsi di Dio dopo la Creazione su cui hanno riflettuto vari pensatori ebrei, da Gershom Scholem ad Hans Jonas. Il volto di Dio è quello della debolezza e della tenerezza ed è Cristo che l’ha svelato all’umanità. I brani più emozionanti di questa antologia riguardano il racconto del suo lento ma costante innamoramento di Gesù. A partire dalla processione delle barche che vede in un paesino portoghese, nel 1935: il canto delle donne che si fa lamento e speranza le dà la certezza, per la prima volta, «che il cristianesimo è per eccellenza la religione degli schiavi, che gli schiavi non possono non aderirvi, ed io con loro ». Dopo un’infanzia e un’adolescenza trascorse nel totale ateismo e nella fascinazione del marxismo e dopo il breve coinvolgimento nella guerra civile spagnola, terminato amaramente per un infortunio, è nel 1937 ad Assisi che avviene la svolta: «Là, mentre ero sola nella piccola cappella romanica del secolo XII di Santa Maria degli Angeli, incomparabile miracolo di purezza, in cui san Francesco ha pregato tanto spesso, qualcosa di più forte di me mi ha costretta, per la prima volta in vita mia, a inginocchiarmi». E l’anno dopo a Solesmes, sede di una delle più belle abbazie di Francia, trascorre la settimana della Passione e partecipa a tutti i riti e trova «una gioia perfetta e pura nella inaudita bellezza del canto e delle parole».
Qui fa amicizia con un giovane inglese che le fa conoscere i poeti metafisici del Seicento. Impara a memoria una poesia di George Herbert, intitolata Amore, e proprio mentre la recita si accorge che non è solo un bel componimento ma per lei diventa una preghiera: «Fu proprio mentre la stavo recitando che Cristo è disceso e mi ha presa ». In una lettera inviata a quello studente, avrebbe poi scritto: «La più bella poesia è quella che è capace di esprimere, nella sua verità, la vita della gente che non può scrivere poesia. All’infuori di questo, c’è solo poesia fatta con abilità e gli esseri umani possono benissimo farne a meno. L’abilità suscita l’aristocrazia dell’intelligenza; l’anima del genio è caritas nell’accezione cristiana del termine; ovvero il sentimento che ogni essere umano possiede un’importanza estrema ». Ma di Cristo preferirà sempre sottolineare la passione e la croce, mettendo in secondo piano la resurrezione. La sofferenza di Gesù è la sola in grado di abbracciare quella di tutta l’umanità. E rievocando le parole di san Paolo («si è fatto obbediente fino alla morte, e alla morte di croce») aggiunge: «È proprio e solo questo che mi ha spinto a credere».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
In Francia esce “Le Christ”, libro della filosofa su Gesù che «si è fatto obbediente fino alla morte È proprio e solo questo che mi ha spinto a credere»