FILOSOFIA
Simone Weil, la mia fede è tutta ai piedi della Croce
«Quando leggo il Nuovo
Testamento, i mistici, la liturgia, quando vedo celebrare la messa,
avverto quasi la certezza che questa fede è la mia, o più esattamente
sarebbe mia senza la distanza che la mia imperfezione ha posto tra me e
lei»: così scriveva Simone Weil a padre Marie-Alain Couturier nella ben
nota Lettera a un religioso.
I due si erano conosciuti a New York, dove la famiglia Weil si era
trasferita nel luglio 1942 per sfuggire al nazismo. A Couturier l’aveva
presentata un confratello domenicano, Joseph-Marie Perrin, che Simone
aveva frequentato a Marsiglia a partire dal 1941. Con quest’ultimo,
impegnato nella Resistenza, era diventato amico e a lungo avevano
discusso del cristianesimo, anche animatamente. Ma la filosofa aveva
preferito sempre restare sulla soglia: pur manifestando la sua
adesione alla figura di Cristo, rimanevano in lei numerose perplessità
sulla Chiesa cattolica. Che emergono in tutta evidenza nel volume Attesa di Dio,
pubblicato postumo nel 1949 proprio su iniziativa di padre Perrin. Non
sopportava la Chiesa cattolica come organizzazione e collettività, e
poi l’incapacità che riscontrava a quel tempo di valorizzare le altre
culture e religioni e il mondo dei non credenti (non c’era ancora stato
il Concilio!), manifestatasi con la violenza più volte nel corso della
storia. Infine, pesava il suo sentirsi inadeguata ad essere accolta
dalla Chiesa. Per questo partecipava alla Messa ma non voleva ricevere
l’ostia. Così come non cedette mai sul battesimo.
Come ha spiegato nella sua Autobiografia spirituale,
una ventina di pagine che portano la data del 15 maggio 1942 e che
costituiscono un resoconto preciso del suo percorso di avvicinamento
al cattolicesimo, Simone Weil aveva accolto la certezza dell’esistenza
di Dio durante un suo viaggio in Portogallo nel 1935, certezza poi
confermata ad Assisi, dove nella basilica di Santa Maria degli Angeli si
era inginocchiata per la prima volta. E a Solesmes, dove era stata
«rapita da Gesù». Ed è al suo rapporto personale con Cristo che è
dedicato un volumetto appena uscito in Francia, Le Christ,
che riunisce per la prima volta in un’antologia di testi di varia
lunghezza, tratti dalle sue opere, tutte le sue riflessioni sulla
figura di Gesù (edizioni Bayard, pagine 158, euro 13,90). Come scrive
François Dupuigrenet Desrouissilles nella prefazione, «la fede di
Simone Weil nel Cristo non è una credenza ma una certezza e un
desiderio, definiti non a partire da una rivelazione ma dall’esperienza
della condizione umana». La presenza del bene nel mondo, pure in mezzo
a tanto male, è segno e manifestazione dell’esistenza di Dio. «Ogni
puro bene – scrive la filosofa – procede dal Cristo» e, se è vero che
Dio ci ha esposti al male gettandoci nel mondo, ella ha la certezza che
il nostro desiderio di bene sarà esaudito: «Se anche Dio fosse
un’illusione dal punto di vista dell’esistenza, dal punto di vista del
bene Egli è la sola realtà». A differenza di Pascal - cui non guardava
con simpatia - che invitava a scommettere sull’esistenza di Dio,
Simone sostiene l’identità perfetta di desiderio e realtà.
Il volume raccoglie testi famosi che la Weil ha consacrato alla natura
umana e divina di Cristo, nonché sue testimonianze personali e
riflessioni storiche a proposito delle intuizioni precristiane che,
dalla cultura greca a quella egizia e indiana, hanno prefigurato
l’avvento di Cristo. Non solo i personaggi del-
l’Antico Testamento (Abele e Noè, Melchisedech e Enoch, Giobbe e
Daniele), ma anche Osiride e Krishna rappresentano una profezia
dell’Incarnazione. E così Prometeo. Rimane però una forte ostilità verso
Israele e Roma, che a suo dire esaltano il culto della collettività
nazionale ed esprimono una religione che porta benessere e prosperità
al popolo ed è garante di potenza. Tutto il contrario del Dio
cristiano, che coincide con la compassione e la misericordia. Ma è ben
nota ed è già stata ampiamente rilevata e studiata la radicale
diffidenza della Weil verso l’ebraismo, nonostante le sue radici. Ella è
al contempo convinta che con la Creazione Dio ha rinunciato alla sua
onnipotenza per donarci l’esistenza: è
l’idea dello tzim-tzum, il ritrarsi di Dio dopo la Creazione su cui
hanno riflettuto vari pensatori ebrei, da Gershom Scholem ad Hans
Jonas. Il volto di Dio è quello della debolezza e della tenerezza ed è
Cristo che l’ha svelato all’umanità. I brani più emozionanti di questa
antologia riguardano il racconto del suo lento ma costante
innamoramento di Gesù. A partire dalla processione delle barche che
vede in un paesino portoghese, nel 1935: il canto delle donne che si fa
lamento e speranza le dà la certezza, per la prima volta, «che il
cristianesimo è per eccellenza la religione degli schiavi, che gli
schiavi non possono non aderirvi, ed io con loro ». Dopo un’infanzia e
un’adolescenza trascorse nel totale ateismo e nella fascinazione del
marxismo e dopo il breve coinvolgimento nella guerra civile spagnola,
terminato amaramente per un infortunio, è nel 1937 ad Assisi che
avviene la svolta: «Là, mentre ero sola nella piccola cappella romanica
del secolo XII di Santa Maria degli Angeli, incomparabile miracolo di
purezza, in cui san Francesco ha pregato tanto spesso, qualcosa di più
forte di me mi ha costretta, per la prima volta in vita mia, a
inginocchiarmi». E l’anno dopo a Solesmes, sede di una delle più belle
abbazie di Francia, trascorre la settimana della Passione e partecipa a
tutti i riti e trova «una gioia perfetta e pura nella inaudita
bellezza del canto e delle parole».
Qui fa amicizia con un giovane inglese che le fa conoscere i poeti
metafisici del Seicento. Impara a memoria una poesia di George Herbert,
intitolata Amore, e proprio mentre la recita si accorge che non è
solo un bel componimento ma per lei diventa una preghiera: «Fu proprio
mentre la stavo recitando che Cristo è disceso e mi ha presa ». In una
lettera inviata a quello studente, avrebbe poi scritto: «La più bella
poesia è quella che è capace di esprimere, nella sua verità, la vita
della gente che non può scrivere poesia. All’infuori di questo, c’è solo
poesia fatta con abilità e gli esseri umani possono benissimo farne a
meno. L’abilità suscita l’aristocrazia dell’intelligenza; l’anima del
genio è caritas nell’accezione cristiana del termine; ovvero il
sentimento che ogni essere umano possiede un’importanza estrema ». Ma
di Cristo preferirà sempre sottolineare la passione e la croce,
mettendo in secondo piano la resurrezione. La sofferenza di Gesù è la
sola in grado di abbracciare quella di tutta l’umanità. E rievocando le
parole di san Paolo («si è fatto obbediente fino alla morte, e alla
morte di croce») aggiunge: «È proprio e solo questo che mi ha spinto a
credere».
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In Francia esce “Le Christ”, libro della filosofa su Gesù che «si è
fatto obbediente fino alla morte È proprio e solo questo che mi ha
spinto a credere»
