domenica 14 gennaio 2024

Biografia di Yves Congar (Lorenzo Fazzini, Avvenire)

 





 

LA BIOGRAFIA

Domenicano instancabile che radiografò la crisi del cattolicesimo occidentale


Un teologo che scriveva di Chiesa, fede e cultura su Le Monde; un domenicano instancabile nel suo lavoro intellettuale, brillante e pionieristico, ma anche segnato da limiti caratteriali umani che talvolta ne hanno segnato il percorso (« È vero, non sono uno facile»); autore di best-seller teologici, con numeri che fanno impallidire l’editoria cattolica di oggi; un intellettuale capace di dissentire da grandi colleghi per diversità di vedute – tre nomi, Rahner, Ratzinger e Schillebeeckx. E soprattutto oggetto di un ostracismo da parte della gerarchia cattolica che si è poi tramutato – con l’avvento di Giovanni XXIII – in una valorizzazione quasi corrispettiva alla negazione del suo apporto innovativo a due campi della teologia, il rapporto tra fede e storia, e l’ecumenismo. Tutto questo, e molto altro, è stato Yves Congar, uno dei più grandi pensatori cattolici del Novecento, come emerge dalla recente biografia dello storico francese Étienne Fouilloux, Congar. Una vita (Il Mulino, pagine 328, euro 28,00). Testo ricchissimo, quello di Fouilloux, che attinge dai Diari di Congar e ne ricostruisce il profilo biografico e lo spessore teologico nel contesto della Chiesa nel Novecento.

Fouilloux segnala come fondativa, nel percorso biografico di Congar, la stagione di guerra: arruolato e poi prigioniero, nella baracca del campo di prigionia fu compagno di Jean Guitton. E se lo storico non può non registrare una venatura antisemita di Congar, incapace di lucidità su questo rispetto ad un certo spirito del tempo, gli va riconosciuta la capacità di aver visto nel nazismo un’espressione di netto e radicale anticristianesimo: «Padre Congar sarà davvero indenne dall’antisemitismo solo al tempo del Vaticano II», scrive il biografo, ricordando al contempo come «tanto ammirava la Germania di Lutero e Möhler, tanto detestava la Germania di Hitler e quella di Guglielmo II». Sul fronte religioso, Congar era stato capace, già negli anni Trenta, di radiografare con parole precise la crisi del cattolicesimo occidentale: « Ripiegata su se stessa, tagliata fuori dalla vita, la religione non ha più offerto alle anime quell’ambiente di vita totale in cui la fede ha la sua adeguata espressione. La fede si è, per così dire, disincarnata, svuotata di sangue umano». Per riportare il cattolicesimo all’altezza della sua vocazione Congar si avventura in un lavoro teologico di proporzioni enormi (1790 titoli censiti), con alcune opere che hanno fatto la storia del pensiero teologico: Vera e falsa riforma della Chiesa (in Italia per Jaca Book) in Francia ricevette 27 recensioni, quel volume di 650 pagine venne venduto in cinquemila copie, esaurite in un solo anno (1950). Mentre Per una teologia del laicato (Morcelliana), ampio come il precedente, si arrivò alla cifra sensazionale di diecimila copie vendute dell’originale francese nella seconda edizione del 1954. Un’eredità che resta feconda e attuale ancora oggi, visto che proprio nell’estate scorsa papa Francesco ha citato Vera e falsa riforma di Congar laddove ha chiesto ai sacerdoti: « Non ci succeda di essere una Chiesa “ricca nella sua autorità e nella sua sicurezza, ma poco apostolica e mediocremente evangelica”». La perizia e la peculiarità intellettuale di Congar divennero ben presto però un problema per le maglie della censura del suo Ordine (era entrato nei domenicani nel 1925, a 21 anni) e di quella vaticana: già nel 1939 il Sant’Uffizio chiede il ritiro di una pubblicazione di Charles Moeller nella collana fondata da Congar. Per dare un’idea di quanto Congar abbia dovuto subire in termini di restrizione, Fouilloux segnala che il suo Chrétiens désunis abbia dovuto attendere il 1964 per essere di nuovo pubblicato dalla prima edizione, uscita nel 1948. Nei suoi Diari Congar riferisce di quella prassi censoria che voleva sopire sul nascere ogni tentativo riformatore: «Si cerca nei miei scritti

ogni minima possibilità in direzione di ogni temibile eresia, finendo per trovarne un’ombra in mezza riga. Nessun testo – neanche san Tommaso – resisterebbe a un simile trattamento ». La scure vaticana colpì nel 1952 in particolare Vera e falsa riforma: vietata la sua riedizione e vietata ogni traduzione. Ostracismo che colpiva nell’intimo un teologo innamorato della Chiesa e della sua missione: « Ho pianto per ore, e singhiozzato come un bambino», scrisse nel luglio 1956, quando il suo Ordine gli impediva, sollecitato da Roma, di pubblicare. L’amara constatazione di Congar: «Solo una volta mi rifiutarono il diritto di predicare: i nazisti nel maggio 1941». Il cielo si schiarisce per Congar nell’approssimarsi al Concilio Vaticano II, convocato da Giovanni XXIII. Diverse testimonianze attestano che fu proprio il pontefice bergamasco – che era stato nunzio a Parigi e aveva apprezzato il teologo di Le Saulchoir, dal nome del convento belga domenicano fucina delle novità teologiche di Francia. En passant, anche Henri de Lubac, prima avversato, venne ampiamente riabilitato. Nella primavera del 1963, con il vento già cambiato in suo favore, Congar registra: « Alle 11.50 a Santa Sabina il padre generale ha chiesto di incontrarmi. Per dirmi cose gentili: è la prima volta in vita mia che un superiore mi convoca per una cosa simile». Il biografo ha gioco facile a segnalare: « Era entrato nell’Ordine nel 1925, quasi trentotto anni prima…».

Fouilloux traccia poi riassuntivamente (lo stesso Congar lo aveva scritto nel suo Diario del Concilio) l’apporto del teologo francese ai lavori del Vaticano II: otto dei sedici documenti dell’assise avevano visto l’apporto del domenicano. «Solo Philips, cardine dei testi dottrinali, dall’intersessione del 1963 al suo ritiro a causa di una malattia il 7 novembre 1965, poteva esser paragonato a lui».

Gli anni successivi al Concilio per Congar furono, da un lato, segnati da una malattia neurologica che ne limitò sempre di più la sfera di influenza, dall’altra segnata dai tormenti post-conciliari: per esempio, il suo rapporto dialettico con la teologia della liberazione più marcata, quando scrisse: « Il progetto di salvezza di Dio in Gesù Cristo supera, giudica e radicalizza gli sforzi umani di liberazione temporale ». « Riformista, padre Congar non era una rivoluzionario », sintetizza Fouilloux, il quale non tace la riserva del domenicano sull’Humanae vitae, e al contempo segnala la distanza dialettica che Congar manifestò verso Hans Küng: « Pur elogiando al sua intrepidezza, criticava il radicalismo della sua sintesi sulla Chiesa e la contestazione dell’infallibilità. Ma riteneva importante il suo lavoro, e si impegnò con lui in un dialogo esigente e senza compromessi». Come altri teologi prima ostracizzati, poi riconosciuti dalla Chiesa come punti di riferimento, anche Congar ricevette la porpora – a de Lubac era stato assegnata la dignità cardinalizia nel 1983, a lui toccò nel 1994, esattamente 50 anni dopo essere stato censurato e allontanato dall’insegnamento. Riabilitazione piena che operò papa Giovanni Paolo II. Il 22 giugno 1995 morì durante la colazione all’ospedale des Invalides, dove era stato accolto come reduce di guerra.


(da Avvenire on line, continua la lettura)